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Racconti erotici sull'Incesto

Il ripasso

By 7 Aprile 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Quiero hacer el amor contigo’.
Aveva dimenticato il quaderno sulla scrivania. L’avevo aperto. Era completamente bianco. Solo sulla prima pagina c’era scritta quella frase.
Sorrisi.
Chissà a chi avrebbe dovuto darlo. Certamente a qualche compagno di classe.
Vera veniva a farsi aiutare nelle traduzioni in spagnolo. E, in effetti, non riusciva e penetrare la realtà di quel melodioso linguaggio, di quell’elegante modo di parlare. Lei traduceva le parole, una ad una, e le metteva in fila.
Non era una gran bellezza, ma le sue robuste cosciotte generosamente mostrate dalla microscopica ‘minigonna’ erano pur sempre giovani e fresche, e, devo ammetterlo, qualche ‘lisciata’ gliela avevo data. Anche con insistenza.
Era talmente corta, la ‘mini’ di Vera, che il ragazzo del bar, voltandosi a guardarla, aveva osservato: ‘vedi quella, ha messo la mantovana alla fica’!
La volta successiva le detti il quaderno.
‘L’hai dimenticato qui.’
‘Non l’ho dimenticato.’
E tutto finì.
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Il passare del tempo non aveva aggraziato l’aspetto di Vera.
Del resto, la robustezza delle cosce e delle braccia non &egrave che si potesse cambiare. Il viso era carino, un po’ capriccioso. Del resto, lei non &egrave che fosse aliena a piccole bizzarrie, anche nel vestire.
Quanti anni erano trascorsi da quel quaderno dimenticato o, come asseriva lei, ‘lasciato’?
Mi telefonò.
‘Ciao, zio, credevo che eri al mare.’
‘No, raggiungo domani la famiglia, per il fine settimana. E tu?’
‘Ma’ io devo lavorare’ l’agenzia &egrave in piena stagione, c’&egrave un sacco di gente che si prenota per viaggi, soggiorni. Uffa! Ho scelto proprio un brutto mestiere. Fare la tecnica del turismo”
‘Dai, Vera, che vedi un sacco di gente, e guadagni benino.’
‘Si, ma che mi frega della gente”
‘Allora, Vera, posso esserti utile?’
‘Si, zio. Ricordi quel quaderno che lasciai a casa tua, tanto tempo fa? Posso venire a riprendermelo?’
‘Io ricordo che lo hai ripreso”
‘No, &egrave certo che l’ho lasciato da te’ mi serve perché sulla copertina interna, ultima pagina, c’&egrave un indirizzo”
‘Veramente non ho la minima idea di dove sia”
‘Facciamo così, tu cerca di trovarlo, ed io questa sera, quando finisco, verso le otto, passo a prenderlo’ ciao’ scusa’ ma c’&egrave gente..’
Non mi dette neppure il tempo di salutarla.
Quel quaderno. Io sono certo che lo riprese a suo tempo. In ogni caso non avevo la minima idea di dove potesse essere andato a finire, né mi sarei affaticato a cercarlo.
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Alle otto in punto, il citofono.
‘Zio, sono Vera.’
Aprii, sentii il rumore dell’ascensore; l’attesi sulla porta.
Sempre la stessa, il personale non poteva cambiarlo, certo, ma lei lo evidenziava con colori stravaganti. Aveva una blusa annodata in cinta e una gonna lunga, larga, a pieghe.
Era nel suo costume apparire sempre indaffarata, soprattutto quando non aveva niente da fare.
‘Ciao zì!’
Mi baciò sulla guancia, con le sue labbra carnose e sode. Un bacio strano, un po’ a ventosa.
La feci entrare, andammo in salotto.
Sedetti nella mia solita poltrona.
Faceva abbastanza caldo, ero in camiciola con un pantalone di canapa.
‘Accomodati, Vera.’
‘Vado un momento al bagno”
‘Se vuoi qualcosa di fresco, guarda nel frigo. Ci sono bibite e gelati.’
‘OK’
Tornò poco dopo, ma senza portare nulla.
Sedette di fronte a me.
‘Vera, io quel quaderno non l’ho trovato.’
Alzò le spalle.
‘Te lo ricordi, però.’
‘Vagamente.’
‘C’era scritta una frase”
‘Ah, si, la ricordo, in uno spagnolo molto elementare.’
Scosse la testa.
“Eres un est’pido t’o”
‘Perché sarei uno stupido?’
‘Cosa diceva quella frase?’
‘Ma, veramente’.’
‘Non sforzare la memoria, te lo dico io.’
Si inginocchiò dinanzi a me, abbassò la zip, armeggiò nel boxer’ e lo tirò fuori.
Figurarsi ‘lui’.
Appena sentì quella manina si imbaldanzì di colpo.
Lei si fermò un momento a guardarlo, sorridendo, e poi lo baciò delicatamente, quasi con devozione.
Non sapevo che fare, anche perché non volevo far nulla.
Lo baciò di nuovo, picchiettando la punta con la lingua, lo accolse avidamente tra le labbra. La sua bocca sembrava un fuoco delizioso. Ma la voluttà maggiore era data da quelle carezze linguali che lo lambivano, lo avvolgevano, mentre lo suggeva golosamente.
Era bravissima, inimmaginatamente brava.
Ed io stavo sul punto di’
Le battei una mano sulla spalla per avvertirla.
Non mi ero accorto che dal bagno aveva portato un asciugamano che ora era sul tappeto.
Con rapidità lo prese, e si allontanò dal mio fallo nel medesimo istante che’ fu necessario’ avvolgerlo nell’asciugamano.
Vera ansava, e cominciò ad tergerlo delicatamente, guardandolo fisso.
Dalla scollatura si scorgeva il seno abbondante.
Io dovevo proprio sembrare un cretino. Semisdraiato sulla poltrona, coi pantaloni sbottonati, il mio sesso affidato alle premurose cure di una ragazza che, anche se non splendida, era sempre pur giovane e allettante. Specie in quel momento.
‘Lo’ carezzava, lentamente.
Senza lasciarlo, si alzò. Sollevò la gonna. Era nuda. Una macchia scura, una fitta foresta, e come divaricò le gambe il rosa del suo sesso.
Stavo per allungare una mano, per toccarlo.
Non me ne lasciò il tempo.
Brandì il mio pene e si mise a cavalluccio, impalandosi lentamente, non senza impegno, accogliendolo fremente. Mi abbracciò stretto, e restò per un po’ così, ferma. Le contrazioni della sua piccola vagina erano irresistibili, eccezionali, inattese. Perché la vagina di Vera era incredibilmente stretta e lei era capace di stringerla ancor più.
Pur restando quasi immobile, mi stava mungendo.
Poi cominciò a dondolare.
Di colpo si aprì la blusetta, la tolse. Slacciai il reggiseno. Due robuste tette, rotonde, con piccoli capezzoli, che accolsi immediatamente tra le mie labbra, e cominciai a succhiare avidamente, mentre, più giù, il suo sesso suggeva golosamente il mio.
Inarcò la schiena, rovesciò indietro la testa, e cavalcò sempre più palpitante, vibrante, con lunghi mugolii sordi, verso il traguardo di un orgasmo che la agitò, la fece sobbalzare, e sentivo parole indistinte, soffocate, tra un gemito e l’altro: hacer el amor contigo!
Quando sentì invadersi dal mio seme, emise un grido gutturale’ ah’ bueno’ maravilloso, celestial yo muero’ muero de placer’ es guap’simo’espléndido’
E strinse a me il suo bacino, voluttuosamente.
Da Vera, malgrado le sue bizzarrie, non mi sarei mai atteso un’ assalto così improvviso e deciso.
Improvviso per me, logicamente.
Mentre era avvinghiata a me, col grembo palpitante, deglutendo continuamente, col capo sulla mia spalla, le mani le carezzavano le natiche. Sode, come pietre, ma pienotte, come le cosce. Forse erano più adatte a un quadro fiammingo che botticelliano. Altrettanto le braccia, il seno.
Non proprio una modella per Botero, ma palpandole diligentemente il fondo schiena mi veniva in mente un polposo nudo femminile di Modigliani.
Che fare?
In quel momento Vera mi guardò, con aria sorniona e un lieve sorriso sul volto un po’ sudato ed estatico.
‘Da quanto attendevo ‘sto ripasso, zi’, non lo immagini’ repaso delicioso ..’
E spostò in avanti il bacino, stringendo un po’ le gambe, quasi un segno di intesa per ‘lui’, che era ancora abbastanza arzillo.
La cosa non poteva finire li.
‘Vera, in camera mia c’&egrave anche la doccia’ vogliamo andare li?’
‘Ma c’&egrave anche il letto, zi’. Andiamo.’
Si disarcionò, mi prese per mano e si avviò verso la mia camera matrimoniale. Passando dinanzi allo specchio mi veniva da sorridere, ma anche da arrossire scorgendo la giovane con la gonna spiegazzata, la blusa aperta e il petto nudo, scalza, che teneva ben stretto in una mano il fallo di un uomo di mezza età, un po’ frastornato, coi pantaloni aperti e l’andatura strascicata, e s’avviava per il corridoio.
Doveva avere in mente tutto chiaro, Vera. Comunque più di me.
Entrata in camera, si avvicinò al lettone e lo scoprì. Nel mentre io mi guardavo intorno, come se le mura potessero venirmi in aiuto, lei era già nuda, col suo non snello ma pur giovane personale, e mi guardava. Visto che io ero immobile, si avvicinò, mi sbottonò la camiciola, si inginocchiò per togliermi scarpe, calze, poi alzò le mani a slacciare la cinta dei pantaloni e li fece cadere giù. Così i boxer. Con questo benedetto ‘coso’ che, malgrado tutto, stava sempre più svettando gagliardamente.
Doveva esser l’atto terzo della sua commedia, per Vera.
Si avvicinò al letto e vi si mise carponi, facendo sfoggio della generosa robustezza delle sue chiappe, che stava dischiudendo con le mani per evidenziare, incorniciata da lunghi peli neri, una vulva portentosa. Questa sì, degna di un pittore realista.
La ‘visione che incanta’, dice uno slogan pubblicitario. Che ammalia, aggiungo, e fu facilissimo penetrarla, malgrado, come ho detto, la sua particolare strettezza vaginale, perché era rorida degli umori che avevano onorato il recente episodio.
Fui accolto da un lungo e profondo aaaaaaah! Mentre spingeva il sedere verso me. Stretta ma abbastanza profonda. Quando le sue manine lasciarono le natiche, esse, richiudendosi, quasi schiacciarono, ma deliziosamente, i miei testicoli. Attendeva, Vera, le mie mani sul suo seno, tra le sue gambe, le mie dita tormentarle capezzoli e clitoride.
E quegli aaaaaaaaaaaah’ si ripetevano sempre più insistentemente, con sempre maggior frequenza, fino a un urlo, incontrollato: ‘Aaaaaaaaaaaaaah, finalmente, por fin, ahora fue , siiiiiii, così, così ‘, as’, as’. ‘
E cadde lunga, sul letto stringendolo freneticamente in sé.
Non nascono che mi stavo meravigliando della mia performance, ma era da tempo, troppo tempo, che non avevo uno stimolo del genere, una totale dedizione da parte di una lei, e per di più giovanissima.
Forse era quella la ragione per cui, dopo che lei ronfò un pochino tra le mie braccia, ero di nuovo pronto. E lei, risvegliandosi e baciandomi teneramente, si voltò verso me, su un fianco, e alzò una gamba, alta, verso il soffitto, sorreggendola con una mano e mostrandomi di nuovo quello che, ormai, avevo battezzato lo ‘stretto necessario’.
Si spostò, salì con parte di sé, pur sempre in quella posizione, sulla mia gamba, per avvicinare il suo sesso al mio, e lo guidò dolcemente in lei, iniziando, poi, una originale danza che andava facendo rapidamente montare il mio piacere, e anche il suo.
Ero riuscito ad afferrare tra le mie labbra un capezzolo, e lo mordicchiavo, succhiavo, lambivo con la lingua, mentre lei si dimenava sempre più. Tolsi la sua manina vicino al suo clitoride e la sostituii con la mia.
‘Dai zi” dai’, me fai morì’ sei inesauribile’ lo sapevo’ dai’ riempime n’antra vorta’ così, ziì’ così”
E pur restando con la gamba in aria, si serrò a me, voracemente. Di nuovo.
Eravamo sudati, e, almeno io, provati. Ma insaziabili.
La carezzavo.
‘Ma tu, Vera, la prendi la pillola?’
Allungo la mano, prese i miei testicoli.
‘Me piacciono queste de pillole, so’ pillole di vita’.’
Si abbassò e le baciò, le leccò’
Poi, sentendo che l’interessato non era rimasto proprio inerte, lo prese in bocca, e cominciò a popparlo avidamente. Si staccò un istante.
‘Non venì, zio, non venì, lo voglio dentro di me, ancora’.’
E fu abilissima nel calcolare i tempi e nell’accogliere tutto il residuo balsamo che potetti dedicarle, dentro la già bagnatissima, gocciolante, calda e palpitante grotta della voluttà.
Si strofinò come una gattina, si stiracchiò.
Poi mi sussurrò all’orecchio che doveva’
Si alzò, andò nel bagno.
Non ci mise molto a tornare, così, completamente nuda, senza alcun complesso, nel modo più semplice e naturale.
‘Io comincio ad aver fame. Zio, vado a spiare nel frigo.’
Se ne andò, scalza, sculettante, e facendo ballonzolare le sue tonde tette.
Io ne profittai per andare nel bagno, a mia volta, anche per lavarmi e rassettarmi. Indossai l’accappatoio e stavo per raggiungerla in cucina.
Tornò proprio in quel momento.
‘Allora, Vera, hai trovato qualcosa?’
‘Si, c’&egrave del buono, ti tratti bene. Io credo che ne tireremo fuori una cenetta da far leccare le labbra’ ma tu, cosa fai, ti sei vestito?’
‘Ho indossato l’accappatoio.’
‘Sei’ come dire’ stanco? ‘. Esaurito? Fa vedere”
Si avvicinò e tirò il cordone dell’accappatoio facendolo aprire completamente.
‘B&egraveh, non mi sembra da buttar via”
Intanto lo carezzava e ‘lui’, malgrado tutto, dava segni di vita.
Potenza d’una ragazza.
La fissai interrogativamente.
‘Togli quella vestaglia e siedi sul letto, con le gambe fuori’ ho studiato qualcosa straordinaria, l’ho vista in immagine e ne ho letto la descrizione su una rivista specializzata”
‘Specializzata in cosa?’
‘In piacevolezze erotiche ‘Placer er’tico’, si pubblica a Madrid. Dicono che sia un dettame del Kamasutra, e si chiama ‘La balanza’, La bilancia’ Dai, proviamo.’
‘Ed io cosa dovrei fare?’
‘Nada excepcional, ti accomodi sulla sponda, con le gambe ben in fuori, io mi siedo sulle tue gambe, naturalmente dopo che la mia ‘cosina’ lo ha ingollato il più possibile, e comincio a muovermi al ritmo di ‘avanti e ndré’, lo sai? Non fare niente. Siediti come ho detto io”
Malgrado il trascorso recente e la non verde età, ‘lui’, alla sola descrizione della ‘bilancia’, d’era incuriosito in modo tale che non stava nella propria pelle. Letteralmente.
Ed eccole le prosperose e sode chiappe di Vera che si avvicinavano fameliche, la sua mano ‘lo’ afferrò decisamente, lo soppesò, lei si voltò col visetto verso me e fece un’espressione compiaciuta, aggiungendo un ‘però’ che mi inorgoglì, e poi, con sapiente dolcezza, vi si impalò lentamente. Come aveva detto lei, fino in fondo, e cominciò a dondolare, canticchiando: avanti indré, avanti indré, che bel divertimento, avanti indré, avanti indré, la vita &egrave questa qua ! Per quel che ricordavo, la finale non era proprio quella, ma lei l’aveva opportunamente adattata al momento.
‘Tu, zio, pensa alle tette e al mio ciccetto tremolante’ al resto penso io’ sì’ penso io”
E quel ‘avanti e indré’ mi stava facendo impazzire.
Non parliamo, poi, quando le afferrai il seno e con l’altra mano andai a titillare insistentemente il clitoridino, era così agitata e frenetica che più d’una volta temei che ‘lui’ sgusciasse fuori, ma lei riusciva, con un colpo di reni, a trattenerlo, sempre e totalmente.
Era veramente bello quel modo.
Aveva la testa leggermente rovesciata indietro, gemeva, mugolava, respirava pesantemente. Era tutta in subbuglio. Senza voltarsi, con voce bassa e roca, affannata, diceva qualcosa, tesi l’orecchio per ascoltarla.
‘Nun te ferma’, zì, nun te ferma”. Manco se moro’. Perché sto a morì’ a morì’ perché già stò in paradiso’ in paradiso’ sei un dio, zì’ un dio’ ecco il paradiso’.’
E dopo uno scuotimento che la sconvolse, si abbandonò tra le mie braccia, con lacrimoni che le rigavano il volto. Solo la sua piccola vagina, che s’era contratta e poi rilassata, tornò a una dolcissima peristalsi quando sentì qualcosa dilagare in lei.
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Era notte, tardissimo.
Così come eravamo preparammo qualcosa da mangiare, in cucina. C’era salmone affumicato, un po’ d’insalata, macedonia di frutta, e una mezza bottiglia di un ottimo spumante italiano.
Volevamo non affrettarci, almeno formalmente, ma appena finimmo, lei disse che’ era stanca’ voleva andare a letto, ma aveva paura andarci da sola’
Anche se non con la stessa energia precedente, riuscii a rispondere agli appelli che Vera mi lanciò languidamente, nelle poche ore che ci separavano dal mattino.
L’ultima, la volle fare, come disse lei, all’amazzone.
E neppure la cavalcata delle Valchirie sarebbe stata sufficiente per batterne il tempo. Incantevole l’ultima strizzata che ‘gli’ dette, logicamente con la sua piccola calda vagina. Lo strinse forte come se volesse strapparlo, lo tenne un po’ così e poi, con un lungo sospiro di rammarico, ‘gli’ consentì di sgusciare da lei.
Ero trasognato ed anche un po’ confuso. Un surmenage che non avevo affrontato da tempo, dall’epoca del superarrapamento giovanile, delle esigenti pretese delle tardone assatanata. Comunque ero riuscito, spero, a superare la prova. Volevo esse anche spiritoso.
Ero a letto, mentre lei, uscita dalla doccia, si stava rivestendo.
‘Che ne dici del ‘ripasso’ Vera?’
‘Si che ‘ripasso’, zio, ripasserò presto.’
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