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Racconti erotici sull'Incesto

Il sole e il pianeta

By 1 Dicembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

L’appartamento non &egrave in un edificio elegante ed appariscente.
Riuscimmo ad entrarci, appena sposati, grazie a un paesano di Tonino, mio marito, paesano che aveva moglie e quattro figli e contava di rientrare in Calabria.
Ci fu, logicamente, l’acquiescenza, da parte della Commissione. Ma la maggioranza era composta di Calabresi, immigrati in questa città da molto o poco tempo.
L’assegnatario accettò, finse di prenderne possesso, dichiarò che temporaneamente avrebbe ospitato, gratis, un suo paesano e la moglie, cio&egrave io e Tonino, dopo un mese riuscì farsi riconoscere una malattia più o meno immaginaria; chiese e ottenne un periodo di aspettativa, e non trovò molti ostacoli perché l’aveva chiesta ‘senza assegni’. Dopo sei mesi rinnovò l’aspettativa e al termine di essa, certificando il perdurare della sua infermità, con il favore del medico del paese, che gli aveva battezzato un figlio, rassegnò le dimissioni.
Io, intanto, avevo partorito Carlo.
Non potevano, certo, sfrattare una puerpera. Del resto Tonino si faceva molto apprezzare da superiori e colleghi e non rifiutava mai turni scomodi o lavori pesanti, per cui gli fu concesso di occupare l’appartamento fino al compimento del terzo anno del figlio. Fitto accessibile, buona manutenzione. Avevamo tre spaziosi vani, cucina, ripostiglio, un lungo balcone, ampio bagno. C’era, inoltre, anche un balcone, in cucina, dove si potevano stendere i panni del bucato.
Stavamo bene. Tonino guadagnava discretamente, tra indennità notturna e straordinari, e riuscivamo a realizzare anche qualche risparmio.
Tonino aveva frequentato fino al terzo anno dell’istituto industriale, ma non lo ultimò. Gli mancavano ancora due anni, per il diploma di perito meccanico. Preferì andare al Nord, in cerca di lavoro.
Anche i miei erano al Nord, sempre per motivi di lavoro. Da tanto tempo. Io sono nata qui, parlo il dialetto locale, che mi piace molto, e conosco poche parole di quello calabrese, per averlo sentito in famiglia.
Non ho mai avuto molta voglia di studiare.
Le suore, che mi volevano bene, dissero che era inutile insistere. Avevo ormai diciassette anni e la maturità magistrale era ancora lontana. Meglio, quindi perfezionare il ‘dono’ datomi dalla Provvidenza, la capacità di ricamare, di realizzare lavori veramente pregiati.
L’anno dopo, però, incontrai Tonino, ad una festa.
Quello successivo l’ho sposato: quasi diciannove anni io; ventisette lui.
I miei, fecero i conti: avevano qualcosa da parte; avevano trasformato in una civettuola villetta la masseria; mio padre si era perfezionato in impianti elettrici industriali e civili; mia sorella Egle s’era sposata al paese. Partirono.
Tonino era buono, paziente, gentile. Prendeva le mie mani e le baciava, teneramente. Dicevano che erano preziose, che sapevano realizzare capolavori, e cercava di evitarmi ogni lavoro che potesse deprezzarle.
‘Voglio sentire il velluto delle tue carezze, Dora.’
E chiamava ‘prato di velluto’ quello che mi impreziosiva ‘diceva lui- la valle del paradiso, la fonte della gioia.
Come le pesche ‘diceva- sono le tue bellissime zinne ed ancora di più questo splendido planisfero.
E non era mai stanco di perlustrarne le valli, di abbeverarsi alla fonte della gioia, di addentare le pesche, di bearsi del mappamondo.
Ma era una beatitudine anche per me.
Quella mattina era in ritardo, dal turno di notte, al Lingotto, non molto lontano da casa.
Attesi, sempre più in ansia.
Carletto s’era svegliato, lo avevo lavato, vestito; gli avevo fatto fare la colazione, che mangiava ingordamente. Ora gironzolava per la cucina, con un piccolo modello di un’auto rossa, e imitava il suono del motore.
Quasi le dieci, e di Tonino non sapevo nulla.
Decisi di telefonare in fabbrica.
Proprio in quel momento bussarono alla porta.
Andai ad aprire.
Un signore alto, distinto, che non conoscevo, insieme a Giuseppe Neri, il caporeparto di Tonino.
Ebbi una fitta al cuore, una stretta alla gola.
Quella visita non mi diceva niente di buono.
Avevo ragione.
L’ingegner Renzi, il signore distinto, chiese di entrare.
Li feci accomodare nella sala da pranzo.
‘Signora’ ‘cominciò l’ingegnere- ‘suo marito ha avuto un incidente”
Lo guardai con gli occhi sbarrati. Carletto s’era attaccato alla mia gonna.
‘E’ morto?’
Giuseppe il caporeparto, intervenne, mi fece cenno con la mano di stare calma.
‘No, Dorina, Tonino”
L’ingegnere intervenne, con le mascelle strette.
‘Si, signora, purtroppo non c’&egrave stato niente da fare. E’ rimasto fulminato!’
Ricordo che caddi a sedere sulla sedia.
Non riuscivo neppure a piangere.
Ma che vale ricordare tutto questo.
Dopo un po’ la casa era piena di gente: vicini, paesani, la moglie di Giuseppe. La sera tardi, partiti da Lamezia, arrivarono i miei, i genitori e il fratello di Tonino.
Vissi tutto confusamente, e confusamente ricordo: la bara coperta di fiori, con sopra il casco di protezione; il gruppo di compagni di lavoro in tuta; gente che non conoscevo; anche il rappresentante del Sindaco che si scusava ma era malato’.
Carletto era rimasto a casa, con la zia, mia sorella, anche lei venuta con i miei.
Mi chiesero se volessi far seppellire Tonino al paese.
No, lo voglio vicino. Perché io rimango qui. Da qui non mi muovo.
^^^
E qui sono restata.
L’azienda arrotondò generosamente quanto mi spettava per preavviso e liquidazione; mi offrì un posto nella foresteria, che non accettai perché volevo restare vicino a Carlo; mi assisté per sollecitare la liquidazione della pensione.
Sono trascorsi oltre quindici anni da allora.
Come li ho vissuti?
Come vive un satellite intorno al ‘sole’ da cui trae calore e ragione di vita: Carlo.
Come vive una sacerdotessa votata al proprio nume: Carlo.
Il difficile &egrave stato non fargli pesare questa mia completa consacrazione, farlo sentire libero. Ma nel contempo ho sempre cercato di averlo il più possibile per me.
Con le borse di studio dell’azienda sta per conseguire la maturità scientifica.
Non &egrave stata e non &egrave una vita facile.
Il senso di vuoto iniziale non &egrave venuto mai meno.
Molti, quasi tutti, mi hanno suggerito di ‘crearmi una nuova vita’. Non potevo restare sola, così giovane.
Ma loro non sanno che io non sono sola: ho Carlo.
Sono stata tormentata, e lo sono ancora, dalle tormentose esigenze del mio essere, della mia femminilità. Mi giro nel letto, mi aggrappo alle lenzuola. Mi alzo, scalza, vado nella camera di Carlo senza fare rumore, ad ascoltare il suo respiro. Mi seggo ai piedi del suo letto e resto a rimirarlo.
Non sono mancate le proposte: convivenza’ matrimonio’ ma non potevo, non posso, far entrare un uomo nella casa di Carlo. E’ lui il mio solo uomo.
Ogni tanto, mentre lui &egrave a scuola, attraverso la città, giungo al Monte dei Cappuccini. Mi confesso (&egrave più esatto dire ‘mi sfogo’) con uno dei premurosi frati. Cerco di cambiarlo. Ma mi dicono sempre le stesse cose: ‘non bisogna ardere, sorella cara, sposati’.
Hanno cautamente indagato sui miei sentimenti verso Carlo, mi hanno spinto a rifletterci bene.
Ci ho riflettuto: hanno ragione.
A mano a mano che lui &egrave cresciuto, si &egrave fatto adolescente e specie ora che sta entrando nel pieno della sua maturità, l’ho sempre meno considerato bambino, e sempre più l’ho guardato come uomo. Con tutto quello che ciò comporta: pulsioni, pensieri, istinti, desideri.
Doccia frettolosa tutti gli altri giorni, fa Carlo, ma gli piace crogiolarsi pigramente nel tepore del bagno, la domenica.
Gli insapono la schiena, lentamente, dolcemente, con la mano, non con la spugna, ma gli occhi corrono sempre là, tra le sue gambe robuste, dove su un nero letto di ricci cresposi, inizialmente giace il suo sesso. Solo inizialmente perché poi, non so se per il calore dell’acqua, o per il piacere dell’insaponatura, comincia a levarsi, sempre più prepotente.
Ora gli insapono anche il petto’ l’addome’ più giù’ gli afferro delicatamente il fallo ‘per lavarlo, s’intende- e lui mi guarda, con certi occhi’ ma sono io ad essere turbata. Sento il grembo contrarsi, spasmodicamente, e poi mi devo cambiare le mutandine intrise della linfa che distilla dalla mia intimità.
Mi sono sorpresa, a letto, a carezzarmi, solitaria, pensando alla virilità di Carlo.
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Carlo ha deciso di liberarsi subito dal servizio militare. Così, se trova una occupazione, pur desiderando di raggiungere la laurea, non c’&egrave la spada di Damocle della naja.
E’ ad Alberga, in addestramento. Non ha neppure chiesto di frequentare il Corso per divenire Ufficiale di complemento. Il suo scopo &egrave ‘affrancarsi’ da ogni obbligo.
Mi telefona tutte le sere. Mi rassicura, mi dice che gli manco tanto, che mi vuole bene’ mi ha perfino detto che li non ci sono vasche da bagno dove poltrire, con una mano delicata e deliziosa (ha detto proprio così) che gli lava la schiena e’ si &egrave fermato, non ha proseguito.
‘Torna presto, Carlo, torna presto.’
Avevo il pianto alla gola, gli occhi umidi, il naso un po’ rosso.
Non sono riuscita a chiudere occhio.
Sono tornata al Monte dei Cappuccini. In un angolo, inginocchiato e silenzioso, un vecchio frate, dalla lunga barba bianca.
‘Vorrei parlarle, padre.’
‘Vuoi confessarti?’
‘Forse si’ debbo parlarle”
‘Se vuoi, puoi farlo qui’vedi’ non c’é nessuno’ siedi sulla panca”
‘Padre’ mi sento sola’ sconfortata’ perduta’ specie ora che mio figlio &egrave andato a fare il soldato..’
Il frate mi ha guardato.
‘Come, così giovane, hai un figlio in età di servizio militare?’
Sorrisi.
‘Ho trentotto anni, padre, lui ne ha diciannove’ sono vedova’ mi manca moltissimo”
‘Capisco, figliola, capisco. Ma tu’ sei sola? Dico, non ti sei risposata?’
‘No, padre.’
‘Hai, come dire, un’ compagno?’
‘No, padre, ho mio figlio, Carlo. E’ tutto per me, &egrave il mio sole, la mia vita.’
‘Ti vuole bene?’
‘Certo che mi vuole bene’ non quanto, però, gliene voglio io”
‘Sicuro, capisco, l’amore della mamma. Ma dimmi, di cosa mi vuoi parlare?’
‘E’ difficile, padre, &egrave difficile.
Non so come cominciare’ Io voglio bene a Carlo’ tanto bene’ ma da un po’ di tempo quello che era solo qualcosa di vago, indeterminato, va assumendo corpo’ sono preoccupata”
‘Parla liberamente, figlia mia, dimmi cosa ti turba.’
‘Non mi turba, padre, anzi’ mi sta cambiando la vita’ Carlo lo vedo non solo con gli occhi della madre ma soprattutto con quelli della donna’ &egrave un ragazzo bellissimo, buono, alto, cordiale, affettuoso, studioso”
‘Sento, cara, sento il tuo entusiasmo, ma &egrave tuo figlio”
‘Padre, &egrave un uomo’ mi capisca’ &egrave un maschio’ come Tonino, il mio povero marito’ più attraente di lui”
‘Capisco, cara. Siamo deboli, le tentazioni sono quelle che sono, la carne, a volte, ci fa pensare quello che non dobbiamo pensare’ ma’ non &egrave che tu e tuo figlio’.’
‘No, padre, no’ lui, forse non si &egrave neppure accorto di questo mio’ di questo mio’ come dire”
‘Meglio così, meglio così. Cerca di allontanare ogni pensiero del genere, figlia mia’ prega, cerca aiuto nella bontà dell’Onnipotente. Anche Gesù ha avuto tentazioni, anche i grandi santi, sant’Antonio, ad esempio, come Bosch ha rappresentato in una sua tela suggestiva. Prega ed abbi fiducia. Ora, se puoi, fermati brevemente, leggi qualcosa da questo libro, aprilo a caso. E’ la Bibbia. Poi lascialo pure qui, sul banco. Ti benedico’.’
Presi il libro, che recava evidenti segni di quotidiana consultazione, mi sedetti in favore della luce, lo aprii a caso: pagina 591, i Salmi, Salmo 62. Lessi.
‘ di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua!
Chiusi il libro, Lo posi sul banco, mi alzai, mi avviai verso l’uscita.
Le parole si ripetevano nella testa’ incessantemente’ a te anela la mia carne’ a te anela la mia carne’ a te anela la mia carne’
Tornai alla luce del giorno, ma la mia luce &egrave Carlo’
‘ a te anela la mia carne’
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Il telefono trilla.
Corro, alzo la cornetta.
‘Mamma, fra poco parto, vengo a casa in licenza breve, due giorni, sabato e domenica. Parto alle 16.00, il treno ferma al Lingotto, alle 18,47. Ciao mamma!’
Neppure il tempo di salutarlo, di chiedergli nulla. Lo capivo, mancava pochissimo alla partenza del treno.
Dovetti sedere un momento perché la gioia era così forte che mi sembrava di perdere i sensi.
Carlo a casa, da questa sera, venerdì, fino’ forse domenica sera’ speriamo lunedì mattino.
La sua camera &egrave in ordine, la casa pure.
Io so cosa gli piace. Spaghetti al sugo e bistecca ai ferri. Ho tutto,
Adesso devo prepararmi per andare a prenderlo alla stazione. E vicinissima, pochi minuti a piedi.
Carlo torna a casa!
Devo fare la doccia’ devo vestirmi elegante’ non troppo, però. Devo andare alla stazione. Poi, magari, quando torniamo a casa mi cambio, mi metto il vestito scuro, quello scollato, che a lui piace tanto, dice che gli sembro una ragazzina.
Faccio la doccia, mi friziono con la lozione tonificante-rassodante. Sa di buono. Un po’ di profumo alle ascelle, ai lobi delle orecchie’ ma si’ anche un po’ lì, dove cominciano i riccioli neri e ribelli del grembo. Ecco, metto questo reggiseno, a balconcino. Mi guardo allo specchio, mi sta bene. Non &egrave che serva lui per tenermele su, ci stanno da sole. Forse &egrave meglio il perizoma, fa giovane. Sì, ma a che pro’, mica lo deve vedere, Carlo.
Speriamo di fare in tempo.
Sono in perizoma e reggiseno, con autoreggenti velate, e scarpine con un tacco abbastanza alto, quando manca un’ora e mezzo all’arrivo del treno.
Meglio che vada un po’ prima. Potrebbe essere in anticipo.
Apro il frigo. C’&egrave anche il gelato che piace a lui. Tutto a posto. Chissà se berrà un po’ di vino, lui &egrave quasi astemio.
Guardo in giro. Tutto a posto.
Esco, vado alla stazione.
Mi informo. Il treno &egrave in perfetto orario, ancora venticinque minuti.
Vado al quadro delle partenze.
Se Carlo dovrà rientrare la sera della domenica, potrà partire alle venti. Ma ci sono anche dei treni al mattino.
Tiro fuori un blocchetto, la matita, annoto accuratamente ore di partenza e di arrivo a destinazione.
Faccio ancora un giretto. Ecco, sta per arrivare il treno.
Arriva.
Si ferma.
Si aprono gli sportelli.
Il primo a saltare giù &egrave Carlo, in abiti civili, con una piccola sacca da viaggio. Mi corre incontro, mi abbraccia fortissimo, mi solleva da terra, mi bacia sugli occhi, sulle guance’ sulla bocca!
Mi cinge la vita. Ci avviamo verso casa, sempre così.
Prendiamo l’ascensore, saliamo. Apro la porta, entriamo in casa. Richiudo.
Appena dentro, in anticamera, Carlo mi prende la mano, la solleva, mi guarda, annuendo.
‘Perbacco, che tocco di’ mamma mi ritrovo. Ma come fai ad essere così bella?
Sei proprio una gran bella tòta!’
‘Ma Carlo, non mi hai visto mai?’
‘Si, ma questa sera sei proprio chic!’
‘Non scherzare. Allora, cosa vuoi fare per prima cosa?’
Mi guardò sornione.
‘Che ne dici di un bel bagno in vasca?’
Il cuore si mise a battere all’impazzata-
‘OK, caro, va nel bagno. Mi metto in vestaglia e vengo ad aiutarti. Ti porto anche l’accappatoio’!’
Quando torno (ho indossato una leggera e corta vestaglia su reggiseno e perizoma) Carlo &egrave seduto sullo sgabello. E’ nudo. Fuma.
Lo guardo con sorpresa, perché non ha mai fumato. C’&egrave un odore strano nell’aria, dolciastro, ma gradevole.
‘Carlo, ma da quando fumi?’
‘E’ la seconda volta mamma.’
‘Ma che razza di sigarette sono? Non ho mai sentito questo tipo di tabacco.’
‘Dai una tirata’ prova’ aspira lentamente, lungamente, trattieni il fumo nei polmoni, mandalo fuori sempre lentamente”
Senza neppure attendere risposta, mi prende per la mano, mi attira a sé, mi fa sedere sulle sue ginocchia nude, mi porta quella strana sigaretta alla bocca. Eseguo, meccanicamente, quello che mi ha detto lui. Mi viene da tossire, ma riesco a mantenermi. Aspiro, profondamente, lentamente, trattengo il fumo, lo espello piano.
E’ piacevole..
‘Insomma, cosa &egrave?’
‘Solo un po’ d’erba, mamma’ hai visto com’é bello? Dai, un’altra tirata..’
Riporta la sigaretta alle mie labbra.
Ho già imparato come si fa.
‘Erba?… Vuoi dire marijuana!’
‘E’ solo un po’ d’erba, mamma. Una pianta considerata sacra, in oriente, utilizzata nelle cerimonie religiose.
Sai, una leggenda vedica racconta che il dio Shiva per trovare un po’ di ombra finì in un bosco di piante di canapa, e dopo averle assaggiate diventarono il suo cibo prediletto.’
Mi carezzava la coscia, dolcemente, da sopra la vestaglia.
Mi sembrava, però, sentire qualcosa che premeva insinuandosi tra i glutei, e provavo un certo senso di calore tra le gambe, una lenta e incalzante eccitazione.
Mi alzai di colpo.
‘Butta ‘sta roba, Carlo, ed entra nella vasca.’
Mi guardò sorridendo, si alzò, col fallo eretto, andò a sedere nella vasca.
Mi sembrava di impazzire. Temevo di non sapermi controllare. Mi stava prendendo una specie di frenesia, esaltazione, desiderio smodato, impaziente’ Quel fallo mi ossessionava, la mia vagina si contraeva, convulsa, sconvolta’ Presi dell’acqua dalla vasca, me la passai sulla fronte, sul grembo, tra le gambe’ perfino il tocco lieve della mia mano aumentava l’eccitazione’
Deglutii a fatica, presi il bagno schiuma, lo versai sulla mano, cominciai a lavargli la schiena.
Carlo aveva gli occhi chiusi.
La cicca s’era spenta nel portacenere.
Intorno, nell’aria, aleggiava quel profumo strano, avvincente, inebriante.
Mi limitai a lavargli la schiena.
Gli indicai l’accappatoio.
Indossalo subito, quando esci dal bagno.
‘Vado a finire di preparare la cena. Ti aspetto.’
Tornai nella mia camera. Respiravo a fatica. Ero confusa. Sedetti un po’. Mi ripresi con difficoltà. Indossai l’abito che avevo già preparato. Molto elegante, un po’ civettuolo, sexy. Mi fermai di fronte allo specchio, dubbiosa. Chissà se non era meglio mettere qualcosa di più castigato. Le cose stavano prendendo una strana piega’
‘ a te anela la mia carne’
Ci mancava solo l’erba’
Decisi di restare così. Non riuscivo a comprendere se fossi più timorosa o speranzosa.
Finii di apparecchiare.
Quando Carlo giunse, allegro e pimpante, in camiciola e pantaloncini, era tutto pronto.
Un ‘chinato’ come aperitivo.
La cena.
Conversazione spezzata, senza un filo conduttore.
Racconto sul come trascorreva le giornate. Che il corso era quasi al termine, che sperava di essere assegnato al Comando Territoriale di Torino, al CED’
Non parlava dell’erba.
‘Che mi dici dell’erba, Carlo?’
‘Niente di eccezionale. Me l’hanno fatta provare alcuni giorni fa. Mi &egrave sembrata piacevole, dà un certo senso tra l’eccitazione e il benessere. Ne ho fumato solo un po’ quella sera. E adesso, in bagno, per’. Farti una sorpresa’.’
‘Ci sei riuscito! Ne hai ancora?’
‘Un’altra sola!’
‘Forse &egrave bene non ricomprarla più.’
‘Lo credo anche io.’
Andò a sedere sul divano, accese la TV, mentre io riordinavo tutto.
Quando ebbi finito, mi tese la mano, fece cenni di avvicinarmi a lui.
‘Mamma, ma come fai ad essere così bella questa sera. Sei meravigliosa. Vieni qui.’
Mi tirò nuovamente sulle sue ginocchia.
Dal taschino della camiciola tirò fuori un tubicino avvolto nella stagnola.
‘E’ l’ultima, mamma, distruggiamola insieme. Così non ci pensiamo più.’
Prese l’accendino sul tavolino, accese la sigaretta, aspirò. Poi la passò a me.
Intanto, aveva mosso un po’ le gambe. Credendo di essergli di fastidio, mi alzai. Lui mi sollevò delicatamente il vestito e mi fece risedere, a cosce nude, sulle sue gambe. Il pantaloncino era corto, le nostre carni si incontrarono. Per me, molto piacevolmente.
Forse era l’effetto dell’erba, ma tutto era roseo, intorno, piacevole, allettante. E gradevole era sentire il suo rigonfio.
Ci scambiammo la sigaretta’ fin quando non finì.
Carlo mi cullava lentamente, dolcemente.
Una mano era sulla mia coscia’ con disinvoltura l’aveva infilata sotto il vestito’ mi carezzava’ Mi teneva abbracciata, stretta a sé, l’altra mano mi sfiorava il petto’ aveva gli occhi come guardanti il vuoto, il nulla’
Era un lento dondolare, suggestivo’ dolcissimo’ che mi portava in un ambiente irreale’ Sentivo chiaramente un sesso giovane, prepotente, eccitato, palpitante, che urgeva tra le mie gambe’ le avevo dischiuse, avevo cercato di accoglierlo’ ma era solo un gonfiore’
Mi sembrava di essere in trance, presa da un incantamento, in estasi. Ero in una spirale che mi stava avviluppando sempre più. Una smania incontenibile si stava impadronendo di me. Il pianeta attratto dal sole. Il sole che ti scalda, ma che può anche incenerirti.
‘ a te anela la mia carne’
Un ritornello che mi ossessionava.
Il mio grembo era irrequieto, tormentato, smanioso’
Avvicinai il mio volto al suo, lo sfiorai con un bacio. Lo baciai ancora, lo lambii’ la mia lingua raggiunse le sue labbra’ si dischiusero, entrò nella sua bocca, incontrò la sua lingua’ pazzesco’ non riuscivo più a fermarmi’ sempre avvinghiata a lui, sempre baciandolo, furiosamente, mi sollevai un po’ sulle gambe, cercai con la mano’ liberai il suo fallo, lo accolsi tra le mie cosce, sul mio grembo, vicinissimo alle grandi tumide labbra’
Mi strinse a sé’ mi sbottonò il vestito, infilò la mano’ sotto il reggiseno’ comincio a palparlo’ tormentarlo’ stringeva i capezzoli tra le dita’ cominciò a sussultare’ ad agitarsi, e mi stringeva sempre più, mi baciava sul collo, appassionatamente, quando sentii, tra le gambe, il tepore del suo seme’.
‘Tesoro’..’
‘Mamma’.!’
La diga di sabbia, dapprima incrinata, era stata travolta.
Non avevamo più barriere, freni’
Mi sollevò come un fuscello’ mi portò nella mia camera, mi depose sul letto’ mi tolse l’abito spiegazzato, liberò il seno, quasi strappò il perizoma inzuppato della sua e della mia linfa voluttuosa. In un attimo testò completamente nudo.
‘Sei splendida, mamma, abbagliante, fantastica, grandiosa, superba, eccezionale”
Nascose il volto nel mio grembo palpitante, mi baciò, mi lambì, succhiò il mio clitoride impazzito’ mi fece raggiungere orgasmi dimenticati, mai conosciuti’ era meraviglioso’
Lo volevo, adesso, subito.
Gli presi la testa, dolcemente lo trascinai su me, tra le mie cosce divaricate’ sentii il suo sesso’ con la mano lo condussi alla mia fremente vagina’ inarcai il bacino’ entrò in me’ incrociai le gambe sulla sua schiena, e lo stringevo, ritmicamente’
Nessuna inibizione’ nessun complesso’
Gemevo senza imbarazzo, sfrenatamente’ e gridai’ gridai’ liberai la mia angoscia, la mia repressione troppo a lungo durata’
Lo tenevo imprigionato tra le mie braccia, tra le mie gambe, nel mio ventre’ Eccolo, lo sentivo’ in me’ eccolo’.
‘Carlo! Mia luce, mio sole, ‘ a te anela la mia carne’ come terra deserta, arida, senz’acqua!
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