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Racconti erotici sull'Incesto

Incursione aerea

By 25 Novembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Poco prima dell’alba numerosi ‘Liberator’ (gli aerei USA che’ liberavano le genti, soprattutto dalla vita) avevano compiuto un’incursione.
Ero in licenza. La radio aveva detto che era stato colpita la zona intorno a Via Livorno, molto vicina alla linea ferroviaria.
Li abitava Tina, mia cugina. Il marito, funzionario delle ferrovie, era stato distaccato temporaneamente ad Ancona.
Provai a telefonarle. Nessuna risposta.
In effetti ero preoccupato.
Tina, di dieci anni maggiore di me, era stata sempre affettuosa, premurosa. Me la ricordavo fin da bimbo. Per me, che allora avevo otto anni, era una donna, e mi piaceva essere coccolato da lei, abbracciato, fatto oggetto di mille attenzione.
Era bella, fin da allora. Una brunetta, non vistosa, ma perfetta in ogni particolare. Io la conoscevo bene, sia perché, al mare, avevamo lo stesso capanno, sia perché avevo dormito più volte nel lettino a fianco al suo, bella sua stessa camera, e lei, dopo essersi assicurata che io dormivo, la sera o al mattino, si cambiava. Aveva l’abitudine di restare completamente nuda, guardarsi allo specchio e poi indossare la camicia d notte.
Non credo che si sia mai accorta che i miei occhi erano socchiusi, che la vedevo benissimo. A volte facevo finta di svegliarmi dopo un po’, e accusavo degli incubi che non mi facevano riposare. Mi chiamava accanto a sé. Era bellissimo addormentarmi abbracciato a lei, sentire il suo profumo, il suo tepore, il morbido-consistente del suo senno.
Ma, adesso, perché non rispondeva Tina?
Decisi di andare a vedere.
Unico modo per raggiungere la sua casa erano i mezzi pubblici. Mi avrebbero portato fino a Piazza Bologna.
Via Livorno, che da quella piazza partiva appunto verso la linea ferrata, era bloccata. Pompieri, ambulanze, forza pubblica,
Essere in divisa mi permetteva di superare ogni sbarramento.
Arrivai all’edificio dove abitava Tina. Mi sembrava non colpito. L’altro, a fianco, invece, era stato centrato nell’ala opposta a quella che guardava la casa di Tina. C’era ancora fumo, e dallo squarcio si vedevano alcuni mobili in bilico sulla parte dei pavimenti che non era crollata.
Mi dissero che c’erano stati morti e feriti. Che avevano tagliato gas, elettricità, e per conseguenza anche i telefoni erano inservibili. Non avevano neppure l’acqua.
Andai al cancello di Tina, salii le scale, in fretta. Bussai, in ansia, alla sua porta.
Mi aprì, in vestaglia, pallida, ma splendida come sempre. Come mi vide si gettò tra le mie braccia, il volto sul mio petto e comincio a singhiozzare.
La carezzai, piccoli baci sui capelli.
Sorreggendola, andai verso il salotto. Riuscii a sedermi. Sedette sulle mie ginocchia, spaurita, col singhiozzo.
‘Ho avuto paura, Pat, tanta paura. Credevo che dovesse sprofondare tutto. Un rumore infernale. Si &egrave aperta la credenza, sono caduti i bicchieri, i piatti..’
Rabbrividiva.
Seguitavo a carezzarla.
‘E’ tutto finito, tesoro mio, finito, non tornano mai sullo stesso bersaglio.’
‘Si, ma ho paura.’
Aveva il volto alzato verso il mio, con i suoi occhioni neri, lucidi di pianto, e le labbra tremanti, appena dischiuse.
Mi sembrava che implorasse aiuto, protezione.
E, non so come, ma fu naturale il desiderio di rassicurarla, tranquillizzarla, dimostrarle che c’ero io a proteggerla. Mi chinai su lei e la baciai sulle labbra. A lungo, E la strinsi a me. Forte.
Quando mi staccai da lei, mi guardò. Non era sorpresa, anzi, dava l’impressione che quel bacio le avesse dato sicurezza.
Presi il suo visetto tra le mani e la baciai ancora.
Questa volta si aggrappò a me, e lo ricambiò. Quasi con impeto, e sentii che la sua lingua saettava in cerca della mia.
Mi stavo eccitando.
Quella bella donna mi apparve nel ricordo della mente, come l’avevo vista tante volte, nuda, e come tante volte l’avevo sognata.
‘Se hai paura, cuginetta, vieni a casa nostra.’
‘No, qui durante la notte svaligiano le case vuote.’
Era sempre sulle mie ginocchia e adesso le mie gambe ‘sentivano’ la rotondità delle sue natiche sode, e il calore di esse.
Tina era rannicchiata tra le mie braccia.
Finalmente, dopo ore di veglia, di tensione, riuscì a rilassarsi.
Era aggrappata al mio collo. Si assopì. La cullavo teneramente.
Era bellissima.
Non dormì molto. Si svegliò, mi sorrise, e mi sembrò che mi porgesse le labbra, comunque non si sottrasse ad un altro bacio. Anzi!
La pendola suonò le undici del mattino.
‘Titti bella, hai il necessario per prepararti il pranzo?’
Alzò le spalle.
‘Non lo so, non mi interessa, non ho proprio la testa per penare a queste cose.’
‘Buona, piccola. Allora, sai cosa devi fare? Preparati, vestiti, andiamo al circolo ufficiali. Porta i documenti. Abbiamo lo stesso cognome, dirò che sei mia sorella.’
Mi guardò con un’espressione incantevole.
‘Devo controllarmi a guardarti’ altrimenti diranno che sono una sorella un po’ strana’ che guarda suo fratello in un certo modo”
‘Scroccona.’
Intanto le carezzai il fianco, la strinsi a me, e tornammo a baciarci.
Era bello carezzarle quella natica. Si sollevò un po’. Poi, al termine del bacio, tornò a sedere, ormai sulla mia patta gonfia e voluminosa.
‘Vado a vestirmi, ma tu non lasciarmi sola, vieni in camera mia, c’&egrave la poltrona”
Andammo di là, sedetti in poltrona. Lei si diresse al bagno. Mi urlò che l’acqua non era ancora tornata ma lei ne aveva fatto una piccola riserva. Tornò in camera, con la vestaglia aperta, ancora asciugandosi il volto, le braccia, il collo. S’intravedevano le lunghe gambe affusolate, le mutandine nere, il ventre liscio, il reggiseno che conteneva le due piccole, graziosissime tette.
Era sposata da tre anni, con Pino, ma niente figli!
Mi voltai dall’altra parte, per non darle imbarazzo. La sua figura era accolta dallo specchio della toletta, ma lei, di spalle, mostrando la perfezione, del suo splendido fondo schiena che mi faceva venire la voglia di morderlo, non si accorse di nulla (forse) e seguitò a prepararsi.
Fummo fortunati, a Piazza Bologna, malgrado la confusione, trovammo un taxi. Ci portò al Circolo Ufficiali, a Palazzo Barberini.
Pasto unico, senza menù, tipo mensa.
Le donne erano pochissime, quasi tutte anziane.
Tina era splendida, e attirava lo sguardo di tutti. Perfino delle vecchie signore.
Le rinnovai l’invito a venire a casa nostra.
Ripet&egrave le ragioni per cui non poteva accettare.
Le dissi, allora, se gradisse che andassi io a casa sua, per la notte.
Avvampo’ in volto, mi guardò scrutandomi.
‘Verresti?’
‘Se vuoi.’
Annuì, in fretta.
‘Vado ad avvertire a casa mia.’
‘Cosa dirai?’
‘Che rimarrò fuori per la notte, vista la situazione, mi sono presentato al comando”
Mi sorrise.
Passando per il direttore della mensa del Circolo, gli chiesi se fosse possibile avere qualcosa per la cena. Mi assicurò che avrei trovato carne, pane e frutta, quando sarei andatoal guardaroba. Ringraziai, tornai da Tina.
‘Possiamo andare, tutto a posto ‘ e ho rimediato anche la cena.’
‘La cena?’
‘Si, per questa sera.’
‘Ah!’
Fummo di nuovo fortunati, a Piazza Barberini c’era un taxi.
^^^
Eravamo a casa sua, nel primo pomeriggio.
Con un miracolo di celerità, gli operai dell’Acqua Marcia, l’azienda che allora alimentava l’acquedotto, erano riusciti a isolare le rotture e a ripristinare il flusso dell’acqua. Ancora niente per luce, telefoni, gas.
Tina aveva una ghiacciaia, un piccolo armadio in legno pesante, rivestito internamente di metallo antiruggine, dove ogni paio di giorni, in apposito scomparto si metteva mezza colonna di ghiaccio portata da un vecchietto che da anni disbrigava tale lavoro. Ce ne era ancora. Mettemmo la carne che mi avevano dato al Circolo.
Tina mi rassicurò. Aveva un fornello a carbone vegetale, per cucinare, che si era procurato proprio per le frequenti interruzioni di gas ed elettricità.
Tirammo un lungo sospiro di sollievo.
Tina sembrava aver smaltito le sue paura.
Mi disse che sarebbe andata a rinfrescarsi, e che io dovevo mettermi un po’ in libertà, e dopo di lei avrei potuto darmi una bella lavata, se lo avessi voluto.
Rimasi in salotto. Tolsi cinturone, giubba, cravatta, ma faceva abbastanza caldo e gli stivali non erano proprio la calzatura adatta.
Dopo circa mezz’ora, apparve lei, in vestaglia. Faccia fresca, acqua e sapone, capelli sciolti, abbastanza ondulati, nerissimi. Mi disse che nel bagno c’erano gli asciugamani per me. Quando le chiesi se avesse delle scarpe di Pino’ una vestaglia’
Rimase un attimo in silenzio, pensosa.
Quel richiamo al marito era stato inopportuno, forse aveva rotto una specie di atmosfera di tenerezza che era andata creandosi tra noi.
Ma fu solo per poco.
‘Ho una vestaglia nuova, mai indossata e, guarda caso, anche delle scarpe, di quelle bianche, da ginnastica, di tela, che sono pure mai calzate. Vado a prendere il tutto.’
Chiaro, non voleva che usassi cose di Pino.
Riuscii a soffocare un sorriso, perché mi venne in mente: .
A quanto mi risultava, non c’era, tra loro, un sentimento travolgente. Non ero riuscito a comprendere se c’era una certa ‘freddezza’ da parte della mia cuginetta, o se era lui che lasciava a desiderare, da quel lato lì. Oddio, a giudicare dai baci del mattino, Tina non era affatto ‘fredda’. Mah!
Tornò poco dopo, con le robe.
Andai nel bagno. La solita ginnastica per tirar via gli stivali quando non si ha l’apposito attrezzo. Poi, nudo come un verme, mi detti una bella rinfrescata, indossai le mutandine, infilai la vestaglia, calzai le scarpe. Mi andava tutto benino. Io ero un po’ più robusto di Pino. Lui era proprio magrolino!
Tornai da Tina, in salotto. Era seduta sul divano.
Mi guardò sorridendo.
‘Sei proprio bello, mio caro fratellino.’
Le avevo detto io, quando ero bambino, di essere il suo ‘fratellino’.
Mi misi al suo fianco.
La ringraziai per l’affettuoso nomignolo.
‘Come ti senti, Tina, credo che tu non abbia riposato molto la notte scorsa.’
‘Quasi niente.’
‘Perché non cerchi di fare un sonnellino?’
‘Perché non mi &egrave passata del tutto la paura.’
Le presi la mano, la tirai verso me.
‘Vieni qua, piccola, ti proteggo io. Dormi’
Invece di avvicinarsi, si alzò e venne a sedere sulle mie gambe.
Non c’era molta stoffa, tra noi, e il suo culetto s’era piazzato proprio sul mio irrequieto ‘pierino’. Mi mossi un po’, per evitare’ Ma fu lei a precedermi e sentii che le sue natiche quasi si dischiudevano per accogliere l’evidenza della mia eccitazione che sollecitava impaziente.
Si abbracciò a me, mise la testa sul mio petto. La mia mano, quasi naturalmente, andò a infilarsi nell’apertura della vestaglia!
Io sobbalzai, certo, ma figuratevi ‘pierino’ quando ci accorgemmo che quella era una splendida, tonda e dura tettina, con un capezzolino che s’ergeva prepotente.
Lei spinse il sedere su me. si mosse.
Avvicinai le mie labbra al suo orecchio.
‘Credo che non ti farò dormire, piccolina”
Annuì.
‘Forse &egrave meglio se vai a letto.’
‘Si, ma tu non lasciarmi, dammi la mano.’
Si alzò, lentamente, mi prese la mano e, insieme, andammo nella sua camera da letto. Era in penombra.
Lasciò per un momento la mia mano e si sdraiò. Così com’era, in vestaglia. Mi fece cenno di sedere dall’altra parte. Lei si mise supina. Le gambe non erano del tutto coperte. Anche io mi sdraiai, sul fianco sinistro, guardandola.
Riprese le mia mano, la sinistra, tra le sue, e la portò sul seno. Non era il massimo, perché sentivo solo le sue dita affusolate, il tepore dei palmi delle sue mani che stringevano la mia. Feci in modo, cautamente, di sfilarla e portarla direttamente sulla leggera stoffa. Ora sì che era piacevole, Il suo capezzolo rigido mi faceva il solletico, e non sembrava infastidito dalla mia leggera carezza, col dorso, però. Data la mia posizione. In compenso, la destra poggiò sul suo grembo, sotto la stoffa si avvertivano, distintamente, i riccioli che lo adornavano. Rimasi fermo un po’. Poi, sempre con prudente manovra, per non pregiudicare tutto, riuscii a infilarla nella vestaglia. Titti aveva gli occhi chiusi, ma non mi sembrava che si fosse appisolata. Le sue labbra erano strette, il suo volto non era del tutto rilassato. Ecco, ora era la seta del suo pube che toccavo. Morbida, incantevole. ‘Pierino’ non riuscì a restare al suo posto, sgusciò fuori, gonfio, borioso, arrogante e pretenzioso. Aveva ragione, poverino, con tutta quella grazia di dio.
Le gambe erano strette. Un dito lambì, dolcemente, dove le grandi labbra si congiungevano, si insinuò delicatamente, senti il tepore umido del piccolo sesso della mia cuginetta. Seguitai, con tenacia, e sentii che quella stretta andava lentamente attenuandosi. Ora era il clitoride che palpitava al mio tocco. Il dito, curioso, saggiò l’orificio della vagina. Titti sobbalzò un po’, come se volesse andare incontro alla mia mano, e il dito entrò in lei, piano, girò tutto intorno. Il suo respiro divenne più pesante. Mi sistemai meglio, sul fianco. La mano della tetta andò a ghermirla direttamente, sotto la stoffa, quella nella valle della voluttà cominciò un crescente andirivieni, le mie labbra si unirono alle sue, le sue mani si aggrapparono al mio collo. Cominciò a muoversi, sempre più calorosamente, e la sua bocca aveva afferrato la mia lingua e la suggeva, ingorda, golosa. Cominciò a gemere, sempre più forte. Era squassata, travolta dal piacere, con un gorgoglio incalzante, fino a un sobbalzo più forte degli altri, e un lungo, roco, ooooooh! Mentre mi stringeva appassionatamente a sé.
Non si calmò subito, il suo affanno.
Aprì gli occhi.
‘Pat, sei fantastico, eccezionale, straordinario’ ma tu, amore, come stai?’
Allungò la mano, afferrò il palo impazzito che s’ergeva tra le mie gambe.
Mi guardò con occhi dolci, splendenti.
‘Povero caro’. Come deve soffrire’.’
Mi spinse dolcemente. Andai giù, supino, aprì la mia vestaglia e rapidamente riuscì a togliermi le mutandine.
‘Povero caro’ adesso ci pensa Tina tua”
Ormai la sua vestaglia giaceva per terra.
Si mise a cavallo, poggiandosi sulle ginocchia, e con la mano portò il mio glande impaziente e agitato all’ingresso caldo e umido sella sua vagina. Cominciò a impalarsi, con deliziosa lentezza.
Una vagina stupenda, stretta, che si dilatava appena a mano a mano che lei si abbassava, e stringeva, voracemente, voluttuosamente, il mio fallo che stentavo a controllare.
Le mie mani avevano artigliato le sue tettine.
Chi avrebbe mai immaginato tanta passione, tanta bramosia, frenesia, in quel piccolo e splendido corpicino che sapeva darmi un simile piacere. E anche lei, doveva provarne di altrettanto trascinante, perché la sua cavalcata diveniva sempre più un galoppo impetuoso, veemente, che ci stava trasportando verso un traguardo inimmaginabile, al di là di ogni fantasticheria.
Il solito gemito che andava trasformandosi in gorgoglio sordo, e nel medesimo istante che la sua vagina, in preda all’orgasmo, si contraeva avida intorno al mio sesso, quasi volesse svellerlo e impossessarsene, le dighe del mio seme, troppo a lungo trattenute, ruppero ogni indugio e un violento caldo getto la invase.
Si gettò su me. Affannata, sudata, e mi baciava: gli occhi, il volto, le labbra, mentre, dopo un momentaneo rilassamento, il suo grembo riprendeva a contrarsi.
Sollevò il volto, mi guardò.
‘Non sapevo che poteva essere così bello, Pat! Stupendo!’
Ed anche io stavo rifiorendo in lei, mentre un pensiero orrendo, scellerato, mi attraversava la mente: ‘se non c’era il bombardamento’.’.
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