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Racconti erotici sull'Incesto

La strada giusta

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Nessuna considerazione di qualsiasi carattere.
Al di sopra e al di fuori di ogni norma inventata dall’uomo, a suo uso e consumo, a suo arbitrio, c’&egrave una legge universale che, volenti o nolenti, regola ogni accadimento, sfuggendo ad ogni controllo che non sia voluto o imposto dalla natura stessa.
Cosa può fermare l’eterno moto dei corpi stellare? O il soffiare del vento, o la pioggia travolgente, o lo scuotimento della terra?
Chi impedisce l’alternarsi delle stagioni, o il rinnovarsi della vita?
Non ci sono confini, nell’universo.
Esso stesso &egrave infinito!
Ogni limitazione &egrave un’invenzione dell’uomo.
Con questo non mi giustifico, ma spiego il mio modo di intendere il mio comportamento durante il breve passaggio in questo mondo.
Non ho chiesto io di venire al mondo, né potevo oppormi.
Non ho scelto io di essere femmina, né potevo evitarlo.
Sono viva e vitale e soggetta alle naturali esigenze del mio essere: devo respirare, devo nutrirmi, devo ripararmi dal freddo e dal caldo, devo soddisfare le necessità del sesso.

Neanche Carlo ha chiesto di nascere, l’ho deciso io.
Io ho provveduto ad alimentarlo col mio latte, a vestirlo, curarlo, dargli una casa, educarlo’
Perché, invece, non posso provvedere anche ai bisogni del suo sesso?
Lo so che si possono sollevare infinite obiezioni, ma potete negare che la madre ‘&egrave’ tutto, dico tutto, per il proprio figlio?
L’ho seguito, a mano a mano che trascorrevano gli anni, e mi compiacevo di vederlo crescere sano e robusto. Ne ero orgogliosa, perché era anche merito mio.
Ho visto le sue prime reazioni erotiche.
Quando, sotto la doccia, lo insaponavo, dappertutto, la sua virilità si manifestava sempre più evidente. E lui attendeva, lo so, le mie carezze, lente ed appaganti.
Avevo perfettamente capito che cercava una femmina.
Ed ero certa che guardava me proprio sotto quella luce.
Le norme della società, però, gli impedivano di rivelarsi.
Ormai aveva superato i diciotto, andava all’università.
Non era più per pigrizia quando mi chiamava per farsi lavare la schiena, e ben sapeva che l’avrei lavato tutto, e accuratamente asciugato.
Non si ritrasse quella volta che, più eccitati del solito, lui ed io, indugiai nella carezze, con mano delicata, e lo vidi sbiancare in volto, aggrapparsi alla parete e riempire le mie mani del suo seme caldo e abbondante.
Lo lasciai, andai nella mia camera, tremante, e non avrei mai voluto togliere da me il seme del mio seme.
Quando fummo insieme, a colazione, mi baciò teneramente.
‘Grazie, mamma!’
Lo guardai con tutto il mio amore, ed anche col mio sempre vivo desiderio di lui.
Ero certa che andasse a donne, come usa dirsi, e ne ero profondamente irritata.
Andava con altre donne.
Del resto, le mie carezze non potevano certamente bastargli.
Ma le desiderava.
Quando, finita l’università, andò in una lontana cittadina, per il servizio militare, mi telefonò.
‘Mamma’ mi manca il tuo aiuto’ quando sono sotto la doccia”
Dissi a Vito che andavo a trovare nostro figlio, e partii subito.
Scesi all’albergo quasi di fronte alla Stazione.
Dopo poco mi raggiunse, mi baciò, si spogliò, andò nella doccia.
Avevamo delle ‘insaponate’ arretrate.
Provvidi anche ad anticiparne altre.
Era soddisfatto, lieto, sereno, quando mi accompagnò al treno sul quale salii per tornare a casa.
Inutile, rapporti con altre donne, anche se completi, non lo appagavano del tutto, aveva sempre bisogno della sua mamma.
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Sara, la donna che aveva sposato, stava per dare alla luce il loro primo figlio.
Carlo mi chiamò.
‘Mamma, perché non vieni ad aiutarci?
Lo sai che Sara non ha più i suoi genitori, si può dire che non abbia nessuno.’
‘Certo caro, ti raggiungo.’
Un’ora di aereo e lo trovai ad aspettarmi.
Un bellissimo giovane, di circa ventotto anni, col volto illuminato al solo vedermi.
Sara mi accolse affettuosamente.
Una brava ragazza, certo, ma per me era pur sempre una usurpatrice che fruiva di quanto io consideravo di mia sola e assoluta appartenenza.
Aveva finito di preparare la valigia con le cose che doveva portare in clinica. Sarebbe entrata nel pomeriggio. Il parto era previsto per l’indomani o, al massimo, per giorno successivo.
Le facemmo compagnia fino a dopo la sua cena.
Il medico che l’aveva visitata ci disse che potevamo andare tranquilli, lui riteneva che ci volessero ancora almeno ventiquattro ore.
Ci salutammo, uscimmo.
Carlo mi chiese se fossi stanca o se gradivo cenare fuori, in un localetto vicino alla loro abitazione.
Non ero stanca.
Prima di entrare nel ristorante, Carlo, col suo cellulare, chiamò la moglie, le disse che stavamo andando a cena e che l’avrebbe richiamata al nostro rientro. Non avremmo disturbato nessuno, perché il telefono di Sara era direttamente collegato con l’esterno.
Non avevo molto appetito, scelsi una paillard con insalata.
Carlo fece lo stesso.
Poco vino, bianco dorato del Collio.
Ci avviammo verso casa, salimmo, entrammo.
Dissi a Carlo che desideravo fare una doccia.
Lui avrebbe telefonato alla moglie.
Non posso dire di averlo fatto volontariamente, ma solo quando ero sotto al getto mi accorsi di non aver chiusa la porta del bagno.
Quando, dopo un po’, mi voltai, me ne accorsi.
Carlo era là, a guardarmi, e dalla sua espressione devo dire che non ne era affatto scontento.
Del resto mi mancava ancora più di un anno per raggiungere i cinquanta, e ci tenevo al mio fisico.
Controllavo la dieta, frequentavo la palestra, mi sottoponevo a rilassanti e tonificanti massaggi.
Seno e sedere erano a posto, sodi e torniti.
Vito mi diceva sempre che avevo il corpo di una trentenne, e solo le mani mostravano qualche’ giorno in più.
Carlo era appoggiato allo stipite della porta.
Aveva un certo sorrisetto sulle labbra.
‘Ma’, sai che sei uno schianto?
Non ti avevo mai veduta così.
Ti immaginavo’ ma ora so di certo ‘
Vuoi che ti asciughi la schiena?’
‘Si, grazie Carlo.
Ma mi fai troppi complimenti, mi vedi con gli occhi del tuo affetto.’
‘No, ti vedo come realmente sei.
Del resto tu sei cosciente di essere una donna bellissima e desiderabile”
‘Desiderabile?’
‘Certo!’
‘Anche da te?’
Si avvicinò col lenzuolo a spugna aperto.
‘Lasciamo stare!’
Comincio piano, sulla schiena, scendendo lentamente, giunse ai glutei. Si fermò un momento, non sentivo più il contatto con la stoffa. Dallo specchio intravidi che, allontanato ma me l’asciugamano, mi stava guardando fissamente. Vidi la sua mano allungarsi, carezzarmi le natiche, palparle, introdursi tra esse. Era un contatto delizioso, sentivo che il mio sesso s’inumidiva, si contraeva, specie quando mi sfiorò il buchetto, vi si attardò intorno, lo saggiò con un dito.
Poi riprese ad asciugarmi.
Passò davanti e rimase come incantato.
Mi guardava negli occhi, poi scendeva al seno, al ventre, al pube.
Cominciò da li.
Lo stillicido della mia vagina incalzava.
Gli presi da mano il lenzuolino.
Lui rimase interdetto.
‘Grazie, Carlo, continuo io.’
Non disse nulla.
Solo che, prima di allontanarsi, la sua mano volle conoscere la consistenza del mio monte di Venere e la qualità del boschetto che l’ornava.
Era fuori discussione che eravamo eccitati tutti e due.
Mi venne in mente di raggiungerlo, di fargli quelle carezze che conosceva bene.
Mi fermai a considerare l’accaduto, il momento, la nostra solitudine intima.
Mi misi una vestaglia e lo raggiunsi in salotto.
Stava bevendo un cognac, di fronte alla TV spenta.
Sedetti di fronte a lui.
‘Vuoi un drink, ma’?’
‘Si, grazie.’
Prese un bicchiere dal tavolino, lo riempì in parte, me lo porse.
Lo guardai.
‘Carlo, ti ringrazio, ma sono certa che i tuoi apprezzamenti e anche un po’ il tuo’ comportamento, sono frutto di un particolare momento che attraversi.’
‘Cio&egrave?’
‘Beh, come dirtelo, tu sei giovane, esuberante, hai le tue esigenze e lo stato di Sara non ti ha consentito di soddisfarle.’
Era serio nel volto.
‘Vedi ma’, lo ‘stato’ di Sara non c’entra.’
‘Perché, l’avete fatto lo stesso, fino ad oggi?’
‘No, é che farlo o non farlo, con Sara, ha poca influenza. Lei &egrave molto riservata, mettiamola così. Non &egrave frigida perché raggiunge quasi sempre il suo orgasmo, ma non &egrave un’entusiasta del rapporto sessuale, ed &egrave gelosa custode della sua intimità fisica. E’ difficile che si lasci vedere nuda, vuole spegnere la luce quando facciamo l’amore. Se la tocco, si ritrae. Non ti dico, poi, se nell’eccitazione, mi permetto sfiorarla tra le natiche!’
Ero abbastanza sorpresa.
‘La accarezzerai, però, almeno durante i preliminari.’
‘Non se ne parla.’
‘Ti’ ti accarezza? A te piacciono tanto certe carezze’!’
‘Ma fammi il piacere. E’ come se dovesse toccare una cosa repellente.’
‘Povero Carletto, non immaginavo tutto questo.’
‘Lasciamo stare. Meglio che vada a letto. Buonanotte.’
Si alzò, mi venne vicino, si chinò a baciarmi
Lo trattenni per la nuca, lo baciai sulle labbra.
Si avviò verso la sua camera.
Quello, per alcuni, forse quasi per tutti, doveva essere per me il limen, la soglia da non superare.
Io pensavo, invece, che poteva essere il limen delectationis, il punto di partenza per godere.
Andai nella mia camera, mi denudai, indossai di nuovo la vestaglia.
La porta di Carlo era solo accostata, trapelava un tenue raggio di luce.
Il lume sul comodino era acceso.
Su un fianco, era già addormentato.
Entrai senza far rumore.
Andai dall’altra parte del letto, feci cadere la vestaglia, mi infilai accanto a lui, alle sue spalle, sentendo il sedere vicino al mio grembo.
Allungai la mano, gli afferrai il fallo che, prontamente, divenne come un obelisco che svettava al cielo.
Carlo si destò prontamente, capì subito che ero lì.
Si voltò decisamente, verso di me, mi guardò.
‘Eh, no ma’, non basta più così!’
Cominciò a ciucciarmi avidamente i capezzoli, mentre con una mano mi carezzava, scendeva sul mio ventre, tra le gambe che si dischiusero spontaneamente e si alzarono poggiando sui talloni.
Era imponente il mio bambino. Meraviglioso.
Si mise tra le mie ginocchia, i piedi lo strinsero a me. Il suo fallo, maestoso, poggiava sulle piccole labbra che fibrillavano, con contrazioni rapide e irregolari, che si trasmettevano alla vagina a tutto il grembo.
Inarcai impulsivamente il bacino, mi penetrò decisamente.
Sembrava non finire mai, mi invadeva, carezzava le pareti della vagina col suo vigoroso glande, alesandola voluttuosamente, quasi a volerla calibrare per adattarla al suo rispettabile siluro palpitante.
Dio, come era bello!
Era piacevolissimo lasciar fare tutto a lui.
Come quando si dà al bambino il giocattolo che ha sempre desiderato, e gli si dice: divertiti, &egrave tuo, fanne quello che vuoi; anche distruggerlo, se &egrave questo che ti piace.
Ma lui mi edificava, mi faceva conoscere una nuova dimensione del piacere.
Era l’incontro di due metà perfettamente combacianti, naturalmente, saldate fortemente per formare un unico solo, e completo.
Non riuscivo più a controllarmi, ero presa nel vortice del godimento, della voluttà. Sobbalzavo sempre più ardentemente, e conobbi lo smarrimento d’un orgasmo che certamente nessun altro avrebbe potuto donarmi.
Sentivo che stavo per rilassarmi, beata, quando il mio interno fu inondato da un tepore celestiale, che si sparse dappertutto, come il più dolce dei balsami.
Carlo giacque su me, e sentivo in me i suoi fremiti.
Il mio bambino era tornato nella sua dimora, deliziosamente.
Una centuplicata compensazione delle doglie di quando gli detti la luce.
Ora era lui a darmi luce e calore, ad irradiarmi perché sapevo che il mio volto in questo momento era splendente, fiammeggiante.
Mi baciava teneramente.
Gli carezzavo la schiena, i glutei gagliardi.
La mia vagina cominciava nuovamente a palpitare, il suo fallo lo avvertiva.
Ero io, ora, a voler prendere le redini.
Con lui sopra, avvinghiandolo con braccia e gambe perché non scivolasse da me, mi posi su un fianco, mi girai ancora, quando gli fui sopra mi alzai lentamente, ponendomi sulle ginocchia, spingendo il bacino perché potessi accoglierlo quanto la mia vagina bramosa e ingorda poteva.
Cominciai a dondolarmi.
Mi guardava fisso, tendeva le mani verso il mio seno, lo impastava, si intrufolava tra le mie gambe per titillarmi incantevolmente il clitoride che trasmetteva la voluttà alle pareti del mio grembo perché lo ringraziassero contraendosi, suggendolo.
Le sue dita mi carezzavano le natiche, si infilavano tra esse, si soffermavano sul mio sussultante buchetto, lo saggiavano. Era cosparso delle linfe fuoriuscite da me. Il suo dito tentò di entrarvi, dapprima timidamente, poi con risolutezza, e quella carezza interna aumentava il mio piacere.
Fui scossa violentemente da un primo orgasmo, poi da un altro.
M’abbattei su di lui, affranta, ma paga.
Era evidente il suo piacere, la realizzazione del suo sogno tanto a lungo carezzato.
Mi carezzò dolcemente i capelli.
Eravamo entrambi anelanti.
Mi mordicchiava l’orecchio.
‘Ma”’
Sussurrò.
” ti ho trascinata sulla strada sbagliata’ scusami’ ma ti desideravo tanto’ ti volevo’ anche se non immaginavo che tu fossi così bella, appassionata, voluttuosa’ &egrave stato bellissimo’ mi perdoni?’
Gli carezzai il volto.
‘Bambino mio, tesoro mio’ ma sono stata io a venire da te’ capivo il tuo desiderio’ sapevo che non era un semplice capriccio’ e questo mi lusingava’ mi inebriava.
Ho sempre creduto che una unione del genere, tra due esseri legati per sempre dall’aver vissuto insieme sin dal primo momento del concepimento, fosse una cosa sublime. Non mi sbagliavo.
Perdonarti? Perdonarci? Di cosa?
Di esserci amati come sempre abbiamo desiderato?
Di aver coronato il nostro sogno?
Sei rientrato in me, amore mio. E’ stato meraviglioso.
Solo una madre può sperimentare una simile sensazione. La più bella che possa godere. E’ il privilegio della mamma.
E chi, se non un figlio, può tornare la dove &egrave stato concepito, e dal quale &egrave venuto al mondo?
Non &egrave, forse, il più mistico dei pellegrinaggi?
La massima e insuperabile esperienza che si può fare nella vita?
E quale maggior piacere, per la madre, ritornare all’antico piacere che le consentì di generarlo, e rinnovarlo, centuplicato, con la carne della propria carne?
Perdonarci? Di che?
Strada sbagliata, perché?’
Mentre mi ascoltava, Carletto mi carezzava continuamente.
Il suo fallo era più fiorente che mai.
Le sue dita erano attirate dal mio sussultante sfintere, tra i glutei.
Comprendevo la sua reticenza a voler confessare qualcosa che riteneva una pretesa eccessiva.
Perché?
Il desiderio non é mai eccessivo, &egrave naturale che non conosca limiti.
Si era accorto che quel ditino nel mio buchetto aveva aumentata la mia eccitazione, ed io sentivo che il solo toccarmelo accresceva la sua.
‘Aspetta, Carletto, non voglio, la prima volta che stiamo insieme, lasciare la minima insoddisfazione in te’ e in me. Aspetta.’
Lo spinsi dolcemente, mi portai alla sponda del letto, bocconi, con una gamba fuori del letto, il bacino ben sollevato.
Non ci fu bisogno di dirgli altro.
Venne dietro di me, portò il glande tra le mie natiche roride di mie e sue secrezioni, e spinse dolcemente per entrare.
Penetrò lentamente, splendidamente, in tutta la sua possanza.
Dai suoi movimenti sentivo che assaporava il piacere, lo centellinava, mi sprimacciava una tetta con la mano e con l’altra titillava dolcemente il clitoride, entrava nella vagina, con sapienti e deliziosi massaggi che, uniti al crescente stantuffare nel mio incantevolmente invaso posteriore, stimolavano contrazioni che accrescevano il già travolgente e voluttuoso godimento.
Sentivo in me le sue dita intrise della mia linfa, lo stringere dei capezzoli corrispondeva a quello della vagina, del luogo dove lui stava dominando generosamente.
Non si fermò quando fui sconvolta dall’orgasmo, proseguì sentendo che al breve rilassamento seguivano subito più frenetici palpiti.
Lo stavo letteralmente mungendo, lo sentivo.
Quando il suo seme si sparse in me, lo strizzai fino all’ultima goccia, e mai fui tanto felice quando, distendendosi su me, mi sussurrò, inebriato il suo piacere.
‘Oh, mamma, che meraviglia! Non l’avrei mai immaginato.’
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L’indomani mattina ci sorprese ancora abbracciati, non più il mio bambino tra le mie braccia, ma io tra le sue, sulle sue ginocchia, col suo non sfiorito fallo tra le mie natiche golose e vogliose.
Ci dovemmo alzare.
Dovevamo andare alla clinica.
Quando fummo pronti, mi misi sottobraccio a lui, nell’ascensore.
‘Sei ancora dello stesso parere sulla ‘strada sbagliata’?’
Mi guardò sorridendo.
‘Sei splendida, ma’. Non ti avevo mai vista così!’
‘Desideri ripercorrere lo stesso cammino?’
‘Un viaggio incantevole e reale, per monti e valli, gallerie misteriose, boschetti incantati.’
‘Sei bellissimo, Carlo.
Quando vuoi ripeterlo di nuovo?’
‘Tra molto, ma’, purtroppo tra molto. Devo attendere, purtroppo.
Fino a questa sera.
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