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Racconti erotici sull'Incesto

L’estate di San Martino

By 15 Marzo 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Un classico: il ritrovamento d’un vecchio quaderno, non dimenticato ma del quale si sono perdute le tracce, non si ricorda dove &egrave stato conservato. Forse sarebbe meglio dire nascosto, perché ad esso abbiamo confidato i nostri segreti, piccoli o grandi che siano.
Era tra i libri del primo anno di università, con la copertina celeste e la lettera ‘M’ ben evidente, tracciata col pennarello nero.
Lettera ‘M’, tracciata come usava siglare Mussolini, duce del fascismo e capo del governo, i documenti che vistava, come esibivano i famosi battaglioni ‘M’, i fedelissimi (almeno nelle dichiarazioni). Questo me l’aveva raccontato mio nonno che era nato proprio alla vigilia di quella che venne definita la Marcia su Roma.
Lui, però, ci teneva a far sapere che quella lettera (M) distingueva da secoli (così affermava) la loro famiglia. Anzi erano due ‘M’, allineate o intrecciate, che ornavano i vecchi piatti di porcellana, che si stagliavano sullo stemma di granito che sovrastava il grande portone del ‘palazzo’ sulla piazza centrale del paese di origine, che salutavano visitatori e viandanti dal pesante cancello che custodiva la ‘villa’, la casa di campagna.
Da sempre, le iniziali dei componenti la famiglia erano due M.
Questa tradizione, a quanto mi risultava, non era mai stata interrotta.
Mia madre, Margherita Marini, non so se per caso o per scelta, ha sposato Mario Meli, per cui anche mio padre ed io vantiamo MM come iniziali.
Era logico, dunque, che il mio quaderno di appunti, il mio diario, il diario di Marisa Meli, fosse contraddistinto dalla ‘M’.
Iniziai a rileggerlo, ma tutto era rimasto indelebilmente inciso nella mia memoria.
Sono passati oltre venti anni.
L’intenzione era di iscrivermi alla Bocconi, desideravo conseguire un titolo rilasciato da una Università prestigiosa.
A Milano, tra l’altro, viveva il primo fratello di mia madre, zio Martino, che insegnava e insegna ancora alla statale, come la moglie, solo che lui é matematico e zia Margherita (altra M) é archeologa, una delle più stimate conoscitrici delle civiltà antiche.
Non avevano figli, abitavano in una bella villetta, alla periferia, dove, su una colonna, la targa di tufo grigio, il peperino, mostrava, incise e nere, due grandi M, tanto che zio Martino diceva, ridendo, che c’era pericolo che qualcuno si fermasse in attesa che passasse li la Metropolitana Milanese. MM.
Una coppia tranquilla, lui, zio Martino, sui cinquanta, la moglie sui quarantacinque.
Mamma gli aveva telefonato, a lungo, diceva che non voleva che la mia presenza sovvertisse le abitudini della casa, ma zio Martino s’era mostrato entusiasta di ospitarmi e la parola decisiva fu di zia Margherita, che era felicissima che nella loro casa entrasse una ‘folata di gioventù’. Così aveva definito i miei diciannove anni.
La ‘M’ tracciata sulla copertina del quaderno, voleva anche dire ‘Milano’.
E così, partii per Milano.
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Eravamo rimasti d’accordo, con i miei, che sarebbe stato un periodo sperimentale, senza dirlo agli zii, logicamente, perché se avessi notato qualche loro perplessità, nell’ospitarmi, o non mi fossi trovata a mio agio, sarei tornata a casa e mi sarei iscritta all’università della mia città.
Una mattina non proprio limpida, almeno per me, abituata alla mia città, con una nebbiolina che, però, non ostacolava l’atterraggio.
Zio Martino ‘detto zio Marty- era venuto a prendermi all’aeroporto, mi accolse con esuberante affetto, bracci e abbracci come se non ci vedessimo da secoli, mi cinse la vita e mi accompagnò al ritiro bagagli.
Non era altissimo e tanto meno magro, ma aveva un volto aperto, cordiale, con un ché di sornione nell’espressione.
La sua mano più che alla vita s’era posta più in basso e mi sembrava che palpeggiasse alquanto. Ma non mi ci soffermai troppo.
Andammo, col carrello, al posteggio dove era la su auto, caricammo il bagaglio e mi disse di attenderlo lì perché avrebbe riportato il carrello al posto suo.
Tornò, si avviò lentamente, si inserì nel traffico, e ci incamminammo verso la sua villetta.
‘Allora, Marisa, sei contenta di venire a Milano?’
Accompagnò la domanda poggiando la sua non piccola mano, bene aperta, sulla mia coscia, bene in alto, col mignolo quasi tra le gambe.
Lo guardai sorridendo.
In effetti, pensavo, ‘vuoi vedere che zio Marty &egrave un vecchio pomicione? Un ‘limonero’? Non me ne ero mai accorta fino a quel momento’ anzi no’ a ben pensarci’ l’anno scorso, al mare, era sempre premurosamente a togliermi le ricce dal costume. Come, poi, un ridotto slip elastico o un reggiseno della stessa stoffa potesse formare ricce non mi era ben chiaro. Almeno fino a quel momento.
Si, zio Marty era un pomicione, non disdegnava affatto prendersi audaci ‘passaggi’. E non perdeva tempo. La sua mano saggiava la consistenza della mia coscia e devo dire che non mi infastidiva affatto.
Eccoci a casa.
La colf ci venne incontro.
‘Zia Margherita &egrave all’università?’
‘No, cara, tua zia &egrave alle prese con degli scavi a Petra, in Giordania.’
Mi accompagnò nella camera che aveva fatto preparare per me. Rosetta, la colf, portò il bagaglio.
Zio Marty volle ancora abbracciarmi, ringraziarmi per essere andata a stare con loro, e questa volta abbrancò decisamente i miei glutei, stringendomi a sé. Sentii qualcosa di evidentemente rigido nei suoi pantaloni, e non riuscivo ad esserne infastidita, anzi, era un contatto che non intendevo essere io a interrompere per prima.
Quando si allontanò da me e andò subito a sedere in poltrona. Lo guardai attentamente.
Accidenti, era più anziano di mio padre, ci separavano oltre trenta anni, ma c’era qualcosa di simpatico, di tenero, di attraente.
Accidenti, la passerina di Marisa si bagnava a contatto coi pantaloni del vecchio zio Marty! Anche con tutti i vestiti che erano interposti tra i due sessi.
Si, pensai proprio a questo, ai vestiti. Figuriamoci cosa sarebbe successo se fossimo stati senza.
Zio Marty mi osservava attentamente.
‘Sei proprio una gran bella ragazza, Marisa, proprio bella. Vieni qua.’
Mi avvicinai a lui, mi fece sedere sulle sue gambe, mi carezzò teneramente.
Poi, disse che andava a informarsi per il pranzo.
Erano comode le sue gambe, mi ci trovavo bene.
^^^
Dopo pranzo mi disse di andare a prendere il caff&egrave in salotto.
Accendemmo la TV, ascoltammo distrattamente le ultime notizie.
C’era uno strano silenzio, tra noi. Come se volessimo dire qualcosa ma non sapevamo da dove cominciare.
Rosetta venne a informarci che aveva riordinato tutto, e sarebbe tornata per servirci la cena.
Zio Marty disse che saremmo andati fuori, per una pizza, e che, quindi poteva farsi rivedere l’indomani mattino.
Rosetta salutò, si allontanò. Sentimmo l’uscio di casa che si chiudeva.
‘Hai messo a posto le tue cose, Marisa?’
‘No, zio, devo ancora disfare i bagagli.’
‘Dai, andiamo, che ti aiuto io.’
Andammo nella mia camera.
Zio Marty prese una valigia e la mise sullo sgabello. Poi andò a sedere nella solita poltrona.
Io cominciai a togliere la biancheria e a metterla nei cassetti.
Mi alzavo e mi chinavo.
La mini, evidentemente, non nascondeva molto, e zio Marty s’era messo in una posizione ottima per una attenta osservazione.
Quando mi voltai, e stavo per dirgli che se era tutto questo il suo aiuto’ mi accorsi che aveva tolto la camicia ed era rimasto in canottiera. Una di quelle bianche, stile antico.
‘Vieni qui, Marisa.’
Andai da lui, certamente mi avrebbe fatto di nuovo sedere sulle sue ginocchia.
No, questa volta mi prese dolcemente per la vita e mi depose sulle sue ginocchia, ma a pancia sotto. Sollevò la gonna e abbassò in parte le mutandine. Cominciò a sculacciarmi, dapprima piano, poi sempre più decisamente.
Colpi fermi, energici, accompagnati da una carezza.
Ad ogni colpo si contraeva il grembo, li risentiva la vagina, mi eccitavano, sempre di più.
A un certo momento, mi tolse del tutto le mutandine e con gesti teneri, fermi, ma non affrettati, mi spogliò completamente.
Lasciavo fare, come ammaliata.
Ero eccitatissima, avrei voluto toccarmi, ma soprattutto essere toccata.
Zio Marty mi alzò, come un fuscello, mi portò sul divano, sulla spalliera del divano, col corpo rovesciato indietro.
Si spogliò in un attimo, mi allargò le gambe e si mise tra esse, puntando il suo grosso glande all’ingresso della mia passerina umida e fremente.
Mi penetrò lentamente.
Era bello grosso, più di quanto immaginavo, ma era delizioso.
Proprio quello che ci voleva, in quel momento.
Non ne potevo più.
Tutto si svolgeva nel più profondo silenzio.
Era in me, zio Marty.
Mi carezzava il ventre.
Ma perché non si muoveva?
Sentivo il suo grosso fallo pulsare, meravigliosamente, e la sua mano sfiorare la mia pelle liscia, stringere il seno, titillare i capezzoli.
Ero io a palpitare, a salire sempre più velocemente verso le vette di un piacere nuovo e travolgente che mi stava conducendo a un orgasmo irresistibile.
Stavo gemendo, lo sentivo.
Zio Marty si muoveva appena, ma sapientemente.
Il mio grembo sobbalzava, le pareti della mia vagina si contraevano, lo mungevano, lo stringevano.
Ecco, ora il suo andirivieni era più marcato’ sempre di più’ seguiva attentamente le mie sensazioni’ spiava il mio volto’ e quando sentì che stavo per urlare, spinse al massimo, con movimenti lenti e lunghi, poi frenetici’ e per la prima volta nella mia vita il mio orgasmo turbinoso s’incontrò con l’incantevole inondazione del caldo balsamo che si sparse voluttuosamente in me.
Meraviglioso zio Marty.
Rimase in me, abbastanza a lungo, poi scivolò fuori, lentamente.
Mi baciò tra le gambe.
Mi sollevò di nuovo sulle sue braccia.
Mi depose sul letto.
Si vedeva che non era giovanissimo, zio Marty, ma era stato favoloso.
Quella si che era stata una vera scopata!
Zio Marty raccolse le sue cose, si chinò a baciarmi, a carezzarmi teneramente, mi fece un cenno di saluto con la mano, uscì dalla mia camera.
Come inizio di soggiorno non c’era da dire.
Potevo ritenermi pienamente soddisfatta.
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Non rividi zio Marty che verso sera.
Avevo fatto una doccia rilassante, avevo dato una sistemata alle mie cose. M’ero vestiva per uscire, ricordando che aveva detto di andare a cena fuori.
Bussò alla mia porta.
‘Marisa, posso entrare?’
Mi venne quasi da ridere.
Ma aveva dimenticato cosa era accaduto? Dove e come era entrato?
‘Avanti!’
Che avrebbe fatto?
Si sarebbe gettato di nuovo su di me?
Non comprendevo se temessi o speravo che lo facesse.
Suggestionava il mio pensiero l’ingordigia di Marco, il mio ragazzo del momento, che ci dava dentro a ripetizione, ma neppure cinque botte di quel baldo ragazzo sarebbero riuscite ad appagarmi come aveva fatto il vecchio Marty.
Entrò sorridendo, mi carezzò il volto.
Anche lui era pronto per uscire.
Mi aspettavo qualche accenno’. Nulla!
‘Marisina, vuoi andare in un locale di lusso, alla moda, o che altro?’
‘Avevi parlato di una pizza, mi piace moltissimo.’
‘Bene, allora andiamo allo Scoglio.
Vere pizze napoletane, di vario tipo, e con pasta lievitata artigianalmente, niente di surgelato.
Se ti piace, c’&egrave un vinello meraviglioso, adatto per la pizza.’
‘OK zio, sono certa che mi piacerà’ anche la cena!’
Mi domandavo se, al rientro, mi avrebbe ancora sculacciata, portata nel suo letto’.
Chissà!
Devo confessare che il ‘matusa’ mi aveva fatto conoscere sensazioni finora mai godute.
Se in precedenza avessi pensato di avere simile rapporto con zio Marty, avrei sorriso, mi sarei sentita a disagio, avrei avuto, forse, anche un certo senso di rifiuto.
Avrei sbagliato.
Zio Marty si era rivelato un amante dolce, tenero, meraviglioso, e perfino le sue sculacciate erano state un preludio incantevole. Certo, avevano favorito l’afflusso di sangue ai glutei, nel basso ventre, alle grandi labbra, alla vagina. Tutto era divenuto più irrorato e, quindi, più turgido, più fiorente, più naturalmente desideroso di adempiere alla propria funzione.
E quale funzione, quella della vagina, se non quella di accoppiarsi?
Furbo, esperto, delizioso zio Marty.
La pizza fu ottima, il vinello fresco, frizzante.
Al ritorno, in auto, qualche leggera carezza, una toccatine alle tette, una rapida passatina di mano tra le mie gambe.
A casa, un bacio sulla fronte e una affettuosa buona notte.
Quindi, era tutto finito li.
Andai a letto un po’ delusa e alquanto tesa.
Indossai una leggera e corta camicia da notte, del tipo che una volta si chiamava baby doll.
Ci misi molto ad addormentarmi.
Il sonno fu abbastanza agitato.
Sognai zio Marty, le sue sculacciate il resto.
Sentivo carezzarmi tra le gambe, delicatamente, e venivo invasa da un piacevole languore che si andava trasformando in desiderio sempre più pressante e nel contempo si avviava a un dolce lungo orgasmo.
Quella piacevole sensazione mi fece svegliare, socchiusi gli occhi, la luce del giorno filtrava dal balcone.
Non era un sogno.
Zio Marty stava con la testa tra le mie gambe e la sua lingua curiosa mi esplorava diligentemente fin nei più reconditi recessi del mio sesso, e indugiava là dove il contatto mi faceva maggiormente fremere e godere.
Era bravo, lo zietto, e portava la sua linguina dappertutto, tra le natiche a lambirmi il buchetto, per poi tornare a intrufolarsi nella vagina sempre più bagnata.
Sentivo che dal pube al perineo, più su fin dove il sedere diveniva schiena, ero piena della sua saliva e della mia linfa.
E lui seguitava, instancabile, finché non cominciai a sobbalzare come se fossi pervasa da una scarica elettrica.
Gli avevo afferrata la testa, con le mani, e la spingevo verso me, volevo sentirla dentro la sua lingua, e che mi preparassi a una ancor più voluttuosa penetrazione.
Quando giacqui esausta, zio Marty prese a carezzarmi dolcemente.
Mi fece voltare su un fianco, sempre baciandomi e carezzandomi, sussurrandomi che ero la sua splendida bambina.
Quando fui bocconi, mi sollevò leggermente il bacino.
Ero carponi.
Con la sua consueta dolcezza, puntò il glande sul mio buchetto e mi mormorò di spingere, di premermi.
Sentii un po’ di fastidio, anzi un po’ di dolore, ma lui seguitava a premere il suo grosso pisello, quella capocchia a forma di fungo, che cominciava a vincere la resistenza naturale del mio buchetto.
Entrò lentamente, come una locomotiva nella galleria, e si spinse fino in fondo, fin quando le mie chiappe non intesero battere i suoi testicoli.
‘Respira forte, tesoro, profondamente.’
Quel respirare mi faceva rilassare.
Ora non mi faceva più male.
Le sue mani titillavano il clitoride, impastavano le tette e quando si accorse che il piacere cominciava a farmi dimenare, iniziò a stantuffarmi sempre più decisamente, fino a non farmi capire più nulla.
Stavo venendo, voluttuosamente, e sentivo che lui stava riempiendomi di sé del suo seme bollente.
Mi abbattei sul letto, distesa, bocconi.
E lui rimase su me, a lungo.
Stavo bene.
E quando sgusciò da me, mi voltai per guardarlo.
Era perfino bello, zio Marty.
Ancora un intreccio di ‘M’: Marisa e Marty.
Niente male.
Zio Marty mi tenne tra le braccia, mi cullò.
‘Sei meravigliosa, Marisa, splendida.
Il sole che scalda il mio tramonto.
La mia ultima estate.
L’estate di San Martino.’
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