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Racconti erotici sull'Incesto

L’indimenticabile M

By 24 Marzo 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Volle festeggiare solennemente il mio compleanno.
‘Ora, Bob, sei il padrone di casa a pieno titolo, anche giuridicamente. Trasferirò a te ogni proprietà, e non mi riserberò neppure l’usufrutto, perché sono certa che tu non trascureresti mai la tua mamma.
Per me rimani sempre il mio bambino, anche ora che sei grande e grosso, uno splendido ragazzo.
Ti ricordi? Ti chiamavo ‘pulcino’, ‘pisellino’.
Ora sei un vigoroso galletto e un’ ‘pisellone’.
La tua mamma ti ha seguito giorno per giorno, ti ha indicato le strade della vita, ha dissipato i tuoi dubbi, fugato le tue insicurezze di adolescente.
Abbiamo sempre parlato di tutto, scambievolmente.
Non ho avuto segreti, per te. Spero che tu non ne abbia avuto per me.
In un certo senso, ed entro certi limiti, sono stata la tua guida, ti ho svelato i piccoli misteri della vita, le trasformazioni del corpo, l’evoluzione dello spirito.
Forse molti inorridiranno, ma sono orgogliosa di essere stata io a spiegarti che certi fenomeni ‘come l’erezione del sesso, che tanto ti metteva a disagio- sono fisiologici, naturali; a mostrarti come l’elemento essenziale della vita, il seme della vita che tu produci, si prepara a fecondare il solco in cui cade per generare un nuovo essere.
Certe mie carezze, che qualcuno definirebbe audaci, ti hanno detto cosa &egrave il piacere.
E non credere che tutto ciò non mi sia costato.
Sono la tua mamma, ma anche una donna, una femmina.
Una femmina che ha perduto il suo uomo, il cui grembo, a volte, spasima. E te l’ho detto, te l’ho confessato.
Auguri, Bob.
Figlio mio.
Uomo della casa.’
Questo me lo disse il mattino, quando venne a svegliarmi col suo regalo, uno splendido orologio d’oro, con le mie iniziali e con inciso ‘a Bob, Mara’!
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Al P&C, Club esclusivo che nascondeva nelle lettere del logo maliziose e significative iniziali, c’erano i pochissimi parenti e i più intimi amici.
Avevamo riservato una saletta, e un simpatico DJ alternava musica moderna a balli classici, dell’epoca del liscio, dello slow, del tango.
Mamma sfoggiava un abito molto elegante e certamente aveva indossato la biancheria intima, insolitamente molto sexy, che avevo visto sul letto.
Gli altoparlanti diffondevano sommessamente le note di ‘silenzioso slow’. Mamma mi venne incontro.
‘Ai tuoi nonni tutto cominciò con questa canzone. Erano ancora studentelli.’
‘Vuoi ballare, splendida mammina?’
‘Grazie.’
Si rifugiò tra le mie braccia, appoggiò la testa sul petto.
La musica era coinvolgente, sentimentale.
La stringevo a me, sentivo le sue prominenti tettine, la mia gamba che s’intrufolava tra le sue e percepiva il tepore del grembo. E il grembo l’accoglieva, la tratteneva, vi si strofinava.
Io mi stavo eccitando sempre più. Lei se ne accorse, si strinse ancora di più a me.
Uscimmo dal P&C che era abbastanza tardi.
Prima di salire in auto la ringraziai di tutto, l’abbraccia stretta, poi le presi il volto tra le mani, la baciai sulle labbra. Lungamente.
‘Grazie, mamma!’
Aveva il respiro grosso quando si staccò da me.
‘Grazie a te, tesoro mio.’
In auto si accostò più che poté, si mise sottobraccio, pose una mano sulla mia coscia, mi carezzava teneramente. A volte sfiorava il mio pisellone che i pantaloni non riuscivano a contenere,
Entrammo a casa tenendoci per vita.
Alzò il volto per baciarmi.
‘Buona notte, bambino mio.’
‘Buona notte, mamma.
Sono contento, grato per come mi hai festeggiato, ma sono anche tanto infelice’ inquieto’ teso.’
Mi guardò con tenerezza.
‘Ho capito, amore mio”
Mi prese per mano e si avviò verso la mia camera.
Appena entrati in camera, mi disse di spogliarmi, di mettermi a letto.
Lei sedette sulla poltroncina, ai piedi del letto.
Mamma non &egrave un pezzo di donna, ed io, che sono alto altre un metro e 85, la sovrasto di un buon palmo, un mio palmo,
Ha un personale grazioso, attraente, lunghi capelli neri e occhi di smeraldo. Un sedere non voluminoso, alto, nervoso, che incanta a vederlo muoversi quando cammina, e due piccole, sode tettine, che mi viene la voglia di addentare come due frutti appetitosi.
Una donna del genere, con fianchi larghi fatti apposta per accoglierti, &egrave anche tormentata da una castità che lei ha scelto, e che non intende infrangere col primo venuto.
E non sono pochi a sbavarle dietro.
Come li comprendo.
I miei diciassette centimetri di cetriolo, come lo chiamò lei quando li vide fuoriuscire dall’acqua del bagno, per quasi cinque di diametro, vibrano frementi al solo pensare a quel delizioso corpicino, di quasi quarantenne-bambina.
Presto rimasi con la sola camicia.
‘Giù Bobby.’
Mi sdraiai.Si avvicinò, sollevò la camicia e si chinò su me.
Il vestito, elegante ed alquanto elaborato, le dava fastidio.
Con rapidi gesti se ne liberò, restando in reggiseno e slip. Un piccolo slip dal quale facevano capolino i suoi radi riccetti scuri.
Il cetriolo assunse la consistenza dell’acciaio temprato.
Spense il lume sul comodino.
Non si vedeva nulla, le tapparelle accuratamente abbassate e le tende impedivano l’ingresso a qualsiasi chiarore proveniente dai lampioni della strada.
Sentii che il mio pisello veniva delicatamente preso tra le dita di una deliziosa manina, poi due labbra che lo baciavano, si dischiudevano, un tepore caldo e umido che l’accoglieva.
Ero eccitatissimo, e la mia meravigliosa ‘M’, emme: ‘mamma’, ‘Mara’, ‘magnifica’, ‘mona’ ambita e splendida, comprese quando fu il momento di lasciar liberamente esplodere la mia voluttà, allontanò il suo volto da me, ma io l’afferrai e la trascinai su me, mentre il seme erompeva dal mio fallo, e si spandeva sulla pelle del suo ventre, del suo seno, del pube, scendendo a impiastrarle gli sparsi ma streganti riccioli che bramavo assaporare sotto la mia lingua. Intanto, le lambivo il volto.
Mamma restò così, tremante, ansante.
Si alzò, prese il suo vestito, lo strinse al seno e uscì dalla mia camera.
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Sentivo di essere in una spirale dalla quale non riuscivo a sortire. Percepivo nettamente il turbine che mi avvolgeva. Avevo chiaramente visto avvicinarsi quel tornado che chiamavo ‘M’, ma non sapevo, non potevo, non volevo sfuggirlo, anche se ero perfettamente cosciente che avrebbe potuto distruggermi.
Strano, quel vorticoso tornado che si avvicinava sempre più, non alzava polvere, non distruggeva; era limpido, trasparente, carezzava ciò che avvolgeva, rinverdiva gli arbusti secchi, alimentava le fonti aride, recava luce, calore, vita!
Ormai era lì, accanto a me, stava per ghermirmi. Lo sapeva.
Sembrava, ogni tanto, mutare direzione, cercando di evitarmi.
Niente da fare: ero sulla sua strada!
Quella sera eravamo intenti a vedere la TV, le avevo messo il braccio sulle spalle, la sua testa era sul mio braccio che la circondava, la mano poggiata sul petto.
Alzò il volto verso me, mi chinai a baciarla.
Dapprima sfiorandole leggermente le labbra, poi le lambii con la lingua, sentii che si dischiudevano, che mi accoglievano, mi cercavano. La sua lingua si allacciava alla mia. Il mio pisello era violentemente eretto, la mia mano le strinse la tetta, la sua afferrò il mio fallo lo carezzò fin quando non lo avvolse nel lembo della vestaglia per raccogliere il mio seme che sprizzava gagliardo.
‘Mi vorresti, Piero? Vuoi fare l’amore con me?’
Annuii e la baciai forsennatamente.
Si svincolò dolcemente, si alzò.
‘Me ne vado’ devo restare sola’ nella mia camera’ nel mio letto.
Devo pensare, riflettere, meditare, valutare, ponderare, concludere.
Ciao, bambino mio.’
Mi baciò sulle labbra, una carezza sui capelli.
Si allontanò.

La sera seguente fui io che per primo andai a sedere sul sofà.
Chissà se si sarebbe messa accanto a me.
Apparve subito dopo, in una nuova vestaglia, con un volto sorridente, splendente.
Avrei voluto chiederle se avesse’ meditato’ concluso, ma pensai che sarebbe stato meglio tacere e vedere come si comportava.
Prese il mio braccio, lo mise intorno alla sua vita, si accucciò come la sera prima.
La mia mano le carezzò il grembo. Sentivo la sua pelle tiepida, sotto la vestaglia, come se non indossasse altro, mi intrufolai dentro. Era nuda! Quelli erano i suoi peletti, e le carezzavo il sesso, tiepido, vellutato.
Alzò il volto per baciarmi, per essere baciata.
Mentre titillavo il suo piccolo clitoride, cercavo le sue piccole labbra, le dischiudevo, vi infilavo un dito’ due dita’ e proseguivo nella mia esplorazione, liberò il pisello dalla prigionia dei pantaloni e del boxer, e prese a ‘menarlo’ con esperienza e con evidente piacere. Ma il vero godimento, che saliva dal suo grembo, l’invase sempre più, e mentre stringeva intorno al mio glande il provvidenziale fazzoletto raccoglitore, di cui s’era provveduta, sussultò in un orgasmo che la squassò violentemente. Poi giacque.
Fu quella la prima volta che mamma ed io’ ‘venimmo” insieme.
Rimase con la testa china, scotendola leggermente.
Mi guardò con gli occhi pieni di pianto.
Si alzò,si avviò verso la sua camera.
La sera successiva rimasi solo sul divano.
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Era sabato.
Ci guardavamo, senza parlare.
Eravamo gentili, tra noi, quasi troppo.
I ‘prego”’scusa”’grazie” si sprecavano.
Nei due giorni precedenti aveva perfino dimenticato il ‘bacetto’ del buongiorno e della buonanotte.
Ma io sentivo che quella cortina di ghiaccio cercava invano di arginare il fuoco che bruciava in noi.In tutti e due. Me lo dicevano i suoi occhi.
Mi propose di pranzare qualcosa di poco elaborato: una bistecca, dell’insalata, frutta.
Ero perfettamente d’accordo.
A tavola mi disse che aveva preso appuntamento dal parrucchiere, alle quattro del pomeriggio.
Dopo il pasto mise piatti, posate e bicchieri nella lavastoviglie, mi pregò di pensare io al blocchetto di detersivo e a riporre tovaglia e tovaglioli. Lei andava un po’ nella sua camera, a riposare, in attesa di uscire.
Mi chiese se avessi qualche programma.
Dissi che sarei restato a casa.
Me ne andai in tinello, accesi la TV.
Non riuscivo a trovare alcun programmo che mi interessasse.
Credo che mi assopii un po’.
Sentii i passi di lei.
Si affacciò dalla porta, senza nemmeno entrare.
‘Allora’ ciao’ vado dal parrucchiere.’
Mi fece un cenno con la mano.
Uscì.
Dopo un po’ mi alzai dal divano, bighellonai per casa, andai nella mia camera, mi misi al PC, navigai distrattamente su internet, mi collegai con un sito in Giappone. Non capivo nulla della scrittura, ma mi interessava quanto la web-camera faceva vedere: traffico, un negozio di elettronica, un locale con incontri di sumo, un altro di spettacoli.
Guardai l’orologio.
Era uscita da due ore! Ma quanto ci voleva dal parrucchiere!
Andai verso la cucina, aprii il frigo, presi il cartone con l’aranciata, me ne versai nel bicchiere, mi avviai a tornare nella mia camera.
Passando dinanzi alla sua porta, abbassai la maniglia, spiai dentro.
Era tutto in perfetto ordine.
Sul letto la coperta di seta rosa, quella che a me piace tanto.
Sulla coperta una camicia da notte, di pizzo, nera.
Non l’avevo mai vista.
Sulla poltroncina, vicino alla toletta, una vestaglia molto elegante.
Anche quella la vedevo per la prima volta.
Alzai le spalle, uscii, richiusi la porta.
In quel momento sentii il campanello dell’uscio d’ingresso.
Chi mai poteva essere a quell’ora, di sabato.
Andai ad aprire.
Era mamma.
Sorridente, con una nuova pettinatura, moderna, che la ringiovaniva ancora di più. Già normalmente dimostrava dieci anni di meno, ma ora sembrava proprio mia sorella.
Gli occhi splendenti, un’aria più che felice, raggiante.
‘Scusa ma’, non avevi la chiave?’
‘Si ma dovevo cercarla nella borsetta e temevo di rovinare lo smalto delle unghie.’
Le sue belle mani, affusolate, che mi avevano procurato tante sensazioni, erano più attraenti che mai.
Mi sorrise, incantevole,
‘Vado un momento di là, in camera.
Che ne dici se andiamo a cena fuori?
Non lontano, però.
Di fronte c’&egrave ‘Marius’, di solito ha del pesce freschissimo.’
‘Per me va benissimo.’
‘Allora, tra mezz’ora sarò pronta’ tu devi cambiarti?’
‘Metto un pantalone scuro e una camicia chiara. Credo che vada bene così.’
‘Certo, andrà benissimo.’
Andò nella sua camera.
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‘Marius’ ci aveva suggerito un suo menù particolare: cocktail di scampi e sogliola alla mugnaia, chablis, macedonia fresca.
In effetti tutto fu molto buono.
Quella cenetta ci voleva.
La gentilezza superficiale e formale cedette il posto alla confidenza che ci univa da qualche tempo, ogni tanto ci scambiavamo occhiate, sempre più tenere, appassionate. Cercavamo ogni scusa per carezzarci la mano.
Casa nostra era solo di fronte, bastava attraversare la strada.
Mamma si aggrappò (&egrave il termine esatto) al mio braccio.
Nell’ascensore le cinsi la vita.
Nell’ingresso ci baciammo.
‘Vado a mettermi in vestaglia, tesoro.
Vediamo un po’ di TV?’
La guardai fissamente.
‘OK, ma’. Vado a cambiarmi per la notte.’
Dopo due minuti ero sul divano, in calzoncini corti, del pigiama, e giacca senza maniche.
Ecco lei.
Indossava ‘quella’ vestaglia che avevo visto sulla poltroncina.
Una visione incantevole, che gli occhi trasmisero al cervello e il cervello ne informò il mio pisellone che non rimase inerte.
Si avvicinò a me, mi tese la mano, mi fece alzare.
Notò, logicamente, la mia eccitazione. Ebbe un fremito delle narici.
‘Vieni a vedere.’
Mi condusse nella sua camera.
Il letto era preparato per la notte.
La coperta un po’ ripiegata, per facilitare di entrare tra le lenzuola.
Da tutte e due le parti!
Tolse la vestaglia. Rimase in camicia da notte. Quella che stava sul letto. Leggera, evanescente, trasparente. Esaltava, non nascondeva, il suo corpo che mi attraeva, desideravo.
Si mise a letto, supina.
Mi fece cenno di andare dall’altra parte.
Credo che mi muovevo un automa.
Entrai nel letto.
Si avvicinò a me, mi carezzò, sbottonò la mia giacca, mi aiutò a sfilare i pantaloncini. Tolse la sua camicia da notte.
Cominciò a baciarmi, seguitò a carezzarmi’
Le nostre mani si cercavano, frementi, impazienti, curiose.
Sentivo sempre più spasmodica la mia erezione, e mi sembrava che i miei testicoli stessero per scoppiare.
Una femmina meravigliosa, esperta artista dell’erotismo.
La sua lingua era dappertutto, mi lambiva dai lobi delle orecchie agli alluci. Le sue mani mi carezzavano, dolcemente.
Fu istintivo cercare il suo sesso, baciarlo, inebriarmi, per la prima volta, del miele che distillava, della linfa della sua voluttà, mentre la sua bocca accoglieva i sussulti del mio fallo e non si staccò neppure quando sentì che stava per svuotarsi in lei tutto il carico della mia passione.
Seguitai a succhiarle il clitoride, a esplorarle la vagina con la lingua, con le dita’ sembrava pervasa dall’elettricità’ vibrava’ si contrasse, strinse la mia testa tra le sue gambe, portò la mano alle labbra, ma non riuscì a soffocare del tutto il grido liberatorio che testimoniò il suo orgasmo travolgente.
Giacemmo ansanti, supini, ‘M’ aveva afferrato il mio fallo e lo teneva stretto, come se temesse che gli sfuggisse.
Quando sentì che era tornato rapidamente a rifiorire gagliardamente, duro come l’acciaio, si mise sopra di me, brandendolo come un grosso pennell , passandolo e ripassandolo tra le sue gambe aperte, sul grilletto turgido, all’ingresso della vagina.
Le mie labbra tormentavano i suoi capezzoli, sempre più insistentemente’ sentii che stava rapidamente raggiungendo il piacere’ lo prese meglio, con le dita, alla base, vi si impalò, deliziosamente.
Un tepore voluttuoso, una sensazione inaspettata, tanto che stavo per concludere tutto’ si fermò, mi guardò, mi disse che ero bellissimo, che ero sempre il suo bambino, e cercava di distrarmi, di prolungare la mia permanenza in lei’
Riprese la sua frenetica cavalcata.
‘Ora’ tesoro’ora’ con me’. Si’ con me’ insieme”’!’
E i nostri godimenti furono fusi in uno solo, sublime.
Fu una sensazione indescrivibile quella che provai quando versai il mio seme in lei. Fu come un ritorno, dopo tanti anni, dove ero stato concepito, da dove ero uscito alla luce.
La luce che ora splendeva nel volto di ‘M’. L’indimenticabile!
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