Skip to main content
Racconti erotici sull'Incesto

L’ineluttabile

By 6 Giugno 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Se andassi dall’analista, la prima domanda che mi farebbe, credo, sarebbe quella: ‘da quando senti’.?’
A lui potrei rispondere.
A voi non posso dirlo qui, potrei solo confessarvelo in privato.
L’uomo probo ha fatto la sua legge farisea e moralista (a modo suo), per cui puoi raccontare pubblicamente i tuoi istinti sessuali, le tue pulsioni naturali, solo dal raggiungimento della maggiore età.
Prima, tutti asessuati.
Non sto riferendomi alla turpe pedofilia che per primo aborro. Anzi, non la concepisco neppure, pur conoscendone la diffusione. Parlo di simpatie prima dei diciotto anni, di attrazioni, di rapporti’.!
Questo mi costringe ad incominciare non dal principio, ma da un certo punto.
Mi ero costruita, nell’immaginazione, quella che chiamavo la mia scala al Paradiso, stair to Paradise.
Dove iniziava la scala?
Forse dalla nascita.
No, molto prima, dal concepimento. Insomma, devo modificare quello che ho detto, perché non é immaginazione. La sento come cosa concreta, come il battere del cuore, esiste in me da prima che abbia iniziato a respirare. E’ innata, connaturale. Sempre presente. E’ parte della mia vita. E non secondaria.
Quando riuscivo ad infilarmi nel letto di ‘mom’ e ‘dad’, tra loro, ero felice, soprattutto perché in quel momento li separavo. Dad era vicino a me, non a ‘lei’!
Qualche tempo dopo, passando dinanzi alla loro camera (andavo in cucina a bere, nel caldo pomeriggio di agosto, al mare) sentii come un mugolio, un gemito, lungo, quasi lamentoso, che si concluse in un grido soffocato. Era mom. Oddio, cosa le stava accadendo? Abbassai lentamente la maniglia della porta, socchiusi appena. Dad stava su mom, lei gli intrecciava le gambe sulla schiena, erano nudi. Il sedere di dad si alzava e abbassava ritmicamente’. Richiusi piano, andai a bere.
Sapevo che mamme e papà fanno l’amore, ma non lo avevo mai visto fare. Avevo poche idee e ben confuse sull’accoppiamento.
Poi mi si schiarirono.
E non passavo più per caso dinanzi alla porta della loro camera, ma, spesso scalza, mi soffermavo ad origliare.
Non avevano orario: sera’ notte’ mattino’ pomeriggio’
Dad ansimava forte, mom sembrava emettere un sordo, sommesso, lungo ululato: uuuuuuuuuuuuuuuuh’. Uuuuuuuuuuuh’ e poi cambiava: aaaaaaaaaah’ e terminava quasi sempre in oooooooooooooooooh!
Una volta mi sorpresi, mente ascoltavo di nascosto, che la mia mano stava carezzando nervosamente la mia micetta, e ne traeva piacere.
Dad era bellissimo, il più bello di tutti.
Anche mom era molto bella, con un personale da sballo.
Certo, le mie tette non erano come le sue; il mio sedere era meno tondo e prepotente, ma’.
Ormai avevo la stessa età di quella che aveva mom quando si era sposata, diciotto anni.
Lei, ora, ne aveva trentasette, ma sembrava sempre più mia sorella, a mano a mano, che le mie curve si riempivano. Alte uguali, gli stessi occhi, gli stessi capelli’
Dad ci guardava, sorrideva. Diceva che eravamo le sue ‘donnine’.
Si, però c’era una bella differenza sul come, poi, si comportava con le sue donnine’!
Quasi cinquanta, ma sembrava un giovanotto. Aitante, scattante, allegro, cordiale, affettuoso.
A volte eravamo sul balcone, tutti e tre. Lui in mezzo, cingeva ad entrambe la vita, ma la mano che carezzava la tetta era quella che abbracciava la mamma.
A me una rapida affettuosa pacca sul sedere. A mom un evidente palpeggiamento di chiappa. Forse un messaggio, un preludio’
Ero sempre più io che cercavo mille scuse per sedermi sulle sue ginocchia, specie quando era in pigiama, al mattino, a colazione. E le mie ormai ben tonde e ben sode natiche, si strofinavano perché mi piaceva strusciarle sul suo sesso.
Un senso di gioia mi pervase quando, finalmente, mi accorsi che non era insensibile a quella mia manovra. Strinse un po’ le gambe, mi afferrò una coscia, nervosamente. Si stava eccitando’ lo sentivo!
Quindi, quello scettro non era reattivo solo allo scrigno di mom!
Io ero stata quasi ossessionata dal pensiero fisso di dad.
Per me era non un uomo ma l’uomo, non un maschio, ma il maschio.
Io sono carne della sua carne, e come tale non potevo che considerarmi sua.
E’ chiaro cosa significhi, per una femmina, essere ‘sua’!
Cercai di convicermi. Mi ripetevo, buona, Dorina, &egrave solo la pulsione del sesso, il desiderio di farlo. Dad ti attira (sì, infinitamente) perché lo vedi sempre vicino a te, perché lo puoi baciare, abbracciare, carezzare. Non &egrave che abbia un maggiore sex appeal di un altro’
Che bello, però, se dad fosse il mio primo uomo, anzi il primo maschio!
Mi ripetevo: Dora, che ne diresti di deciderti a farlo? Ci sono tanti bei fusti nella tua classe. Ormai siete all’ultimo anno.
Giorgio mi piaceva, nell’aspetto mi ricordava molto dad. Ma non era lui.
Comunque, mi stava dietro da tempo, ma oltre a qualche pomiciata superficiale non c’era stato nulla.
Gita scolastica dei maturandi. Non molti, ma la comitiva era abbastanza allegra.
Ogni classe voleva farla per conto suo.
Noi decidemmo per subito, all’inizio dell’anno scolastico, così non avremmo influito sulla necessaria concentrazione richiesta dall’impegno degli esami.
Fummo, forse, i più ovvi, banali, Parigi, ma i colori della ‘ville lumi&egravere’ diceva quella di storia dell’arte, erano incantevoli, affascinanti. Guardava per aria, la zitella, e sospirava: ‘Paris, l’amour’!’ e fissava Diego.
Giorgio si mostrò molto premuroso, amorevole.
Non ero entusiasta di farlo, ma, a quanto mi dicevano le compagne, ero rimasta l’unica a non ‘conoscere uomo’.
Camere doppie. In ognuna due maschietti o due femminucce. O meglio due ragazzoni veramente ‘fichi’ o due ‘gnocche’ d’assalto.
Fu quasi naturale che Giorgio, anche per agevolare il suo compagno di camera, finisse per sedersi sul lettino accanto a quello mio.
L’ambiente, lo champagne, l’età, la natura’
Insomma, non fu ricco di preliminari, anzi del tutto privo, il nostro incontro. Era impaziente, e il suo ‘coso’ vistosamente eretto non ammetteva ritardi. Era stato anche maldestro nell’aiutarmi a togliermi i pochi vestiti. Mi condusse, quasi con irruenza, sul letto, sulla sponda, mi spinse indietro. Frettolosamente s’infilò il profilattico. Era buffo con quella piccola borsetta pendente. Sapevo a cosa serviva.
Gli feci cenno con la mano che doveva attendere un momento.
Presi un asciugamano dal bagno, lo piegai, lo misi sotto il mio sedere.
Giorgio strabuzzò gli occhi.
‘Tu sei’?’
‘Si’beh?’
Sembrò ancor più ringalluzzito.
Si precipitò su me, goffamente con una mano tentava divaricarmi le piccole labbra, mentre l’altra guidava il suo fallo. Non si curò di accertare se fossi pronta, lubrificata, se avessi bisogno di scaldarmi un po”
Spinse ed entrò, impetuosamente.
Provai un piccolo dolore, molto fastidio.
Si affannava, poverino, solo preoccupato di sé, del suo piacere.
Finalmente finì, abbastanza rapidamente, e si decise a tirare fuori da me quel tubo estraneo.
Andai nel bagno, mi lavai accuratamente, mi asciugai, rientrai in camera, indossai il pigiama, mi infilai nel letto.
Quando, dopo essere stato anche lui nel bagno, Giorgio tornò e aveva quasi la pretesa di infilarsi nel mio lettino, gli indicai, col dito, che doveva accomodarsi nell’altro.
Non dormii molto.
Rimuginavo a quello che avevo fatto, senza un perché, a quel senso di fastidio che mi aveva provocato quella invasione.
Mi assopii, verso l’alba.
Sognai dad che mi baciava, carezzava. Era bellissimo.
Avrei voluto che il sogno non finisse mai.
Poi, dad mi baciò tra le gambe, era delizioso.
Avevo gli occhi chiusi, ero abbandonata.
Sentii che mi penetrava, dolcemente, teneramente, che mi carezzava, internamente, col suo sesso.
Mi svegliai con le mani sulla mia micetta bagnata. Avevo avuto un orgasmo, in sogno. Mi era sembrata realtà.
Quel mattino accusai una forte emicrania, lasciai che il gruppo se ne andasse per conto suo, sul pullman, con la guida e la prof.
Io bighellonai, andai in un grande magazzino, a mezzogiorno mangiai svogliatamente un croque-monsieur e golosamente le frites. Andai al cine, non ricordo bene la pellicola che vidi, non capendo nulla del parlato, perché non conosco il francese.
Di nuovo in albergo.
Dissi a Giorgio che volevo restare per conto mio, e se ciò scombussolava i piani di qualcuno ero decisa a farmi assegnare una singola.
Non ce ne fu bisogno.
Credo che in qualche camera ci sia stata una specie di orgia.
La prof era quasi assente del tutto, lei aveva il suo allievo preferito, Diego. Non molto attraente, dai modi alquanto sbrigativi, con l’atteggiamento del macho.
Due giorni dopo, finalmente, rientro a casa.
^^^
Parigi segnò il ‘giro di boa’ nei miei rapporti tra me e Giorgio.
Mi dimostrai sempre più gelida, distaccata. Gli dissi chiaramente che avrei preferito che lui non sedesse più vicino a me, nel banco.
Mi attendevo una reazione, che mi accusasse chissà di quale anormalità: frigidità, insensibilità..!
Niente di tutto questo. Seguitò ad essere il mio muto adoratore, come il cucciolo che guata la padroncina implorando una carezza.
Il solo pensare a quel ‘tubo di gomma’, come l’avevo battezzato, mi faceva rivoltare lo stomaco.
Per fortuna c’era il ricordo del sogno.
E dad era sempre meraviglioso.
Anzi, era divenuto molto più affettuoso, espansivo, e in un modo che mi piaceva’ mi eccitava.
Non era stagione da balcone, ma guardavamo fuori, da dietro i vetri, sempre lui in mezzo e le sue donne ai lati. Ora, però, la sua mano mi carezzava, mi palpeggiava la tetta, le dita mi pizzicavano il capezzolo.
Era lui a chiamarmi sulle ginocchia. Diceva che ero la sua bambina cresciuta, e si compiaceva di constatarlo carezzandomi la coscia, facendo scorrere la mano sulla natica, stringendomi a se.
Ormai sapevo che in quel modo avrei avvertito in tutta la sua evidenza la sua virilità. E non mi dispiaceva. Anzi, aprivo e chiudevo lentamente le cosce per cercare di afferrarlo un po’, sentirlo bene!
Chiarissimo.
Dad ed io ci eccitavamo da morire quando ci abbandonavamo a quelle manifestazioni che andavano sempre più allontanandosi dall’affetto, chiamiamolo pure amore se volete, filiale, paterno.
Io sentivo sempre più che ero sua. Da sempre.
Invidiavo, ed ero gelosa, di mamma, che poteva farselo quando e come voleva! Più volte ero sul punto di dirgli: ‘papà, voglio fare l’amore con te’! Si, era proprio fare l’amore, darsi per avere, non una semplice ‘scopata’ liberatoria. L’amore completo, totale, quello per cui due divengono uno, si fondono, generano una nuova vita. Sarebbe stato un ‘grazie’ per avermi dato la vita, ora creiamone un’altra. Io sono la tua carne, tu sei la mia carne! Che si riproducano’ in eterno!
Bastava la lieve carezza della sua mano sul mio grembo per farmi quasi raggiungere l’orgasmo.
Quando mi alzavo dalle sue ginocchia, poggiavo la mano sul suo cock, come per sostenermi. Era un saluto, un arrivederci, un segno di gratitudine, un augurio, una speranza.
^^^
Proprio alla vigilia della settimana bianca, la mamma dovette partire perché la nonna doveva subire un intervento chirurgico. Non era in pericolo di vita, ma si trattata di una operazione di una certa delicatezza e che richiedeva un successivo non breve periodo di riabilitazione motoria.
Papà le propose di accompagnarla e disdire le prenotazioni in montagna.
Lei disse che non era il caso di stravolgere tutti i nostri programmi. Papà ed io potevamo andare a sciare, anche perché avremmo profittato di alcune festività per ridurre assenze da scuola, per me, e da studio per dad.
Mi venne spontaneo abbracciare mom, con trasporto, e dirle che era meravigliosamente generosa.
Dunque, una settimana io e dad soli. In montagna.
Partimmo la stessa mattina, lei in aereo, noi in auto. Ci aspettavano settecento chilometri di strada.
Ci saremmo tenuti in contatto coi cellulari.
Traffico non eccessivo, ma ci vollero ben otto ore per arrivare a destinazione.
Solito albergo, solite camere. Adiacenti.
Cordialissima accoglienza da parte del proprietario, del personale.
Al ristorante ci assegnarono il tavolo che occupavamo ogni volta che venivamo a passare qui qualche giorno.
Ci fecero trovare gli ski-pass.
Tra una cosa e l’altra s’era fatta l’ora di cena.
Telefonammo alla mamma.
Giunta benissimo. La nonna sarebbe entrata in clinica l’indomani. Ce la passò, le facemmo gli auguri, le promettemmo che saremmo andati presto a trovarla.
Eravamo abbastanza stanchi.
Salimmo nelle nostre camere, tenendoci per mano nell’ascensore.
Il bacio della buona notte fu molto affettuoso e lungo.
Diciamo la verità, fu diverso dai soliti bacetti sfuggenti che ci si scambiava prima di andare a letto.
Ci abbracciammo, e ci baciammo sulla bocca.
Ognuno si ritirò nella propria camera.
Io ero su di giri.
E credo anche lui.
^^^
Mattino splendente. Neve ottima.
Decidemmo di fare una prima capatina sulla pista.
Sci in spalla, ovovia.
Dad mi disse di avviarmi lentamente verso valle, lui mi avrebbe seguita.
Dopo qualche centinaio di metri mi fermai, mi voltai, vidi che si avvicinava. Senza fretta.
In quel momento sentii un forte urto, al fianco, che mi gettò a terra.
L’incauta e sbadata sciatrice che mi aveva investita era lunga sulla neve, anche lei.
Dad fu subito vicino a me; altra gente accorse. Dalla stazione di arrivo avevano visto tutto e stavano anche giungendo due slitte di soccorso.
Uno dei quatto addetti alle slitte era medico.
Bastò uno sguardo per constatare che quella che aveva avuto la peggio era la mia investitrice.
La liberarono dagli sci, la deposero sulla slitta, la coprirono bene e si avviarono verso valle, dove di solito c’erano altri presidi medici. Intanto, avevano chiamato l’ambulanza.
Anche a me avevano tolto gli sci.
Il medico mi aveva palpato ben bene, dalle caviglie ai fianchi.
Disse che per lui non c’era niente di rotto. Solo una contusione, anche se abbastanza forte. Comunque sarebbe stato bene fare altri accertamenti.
Mi chiese se me la sentissi di alzarmi. Quando gli risposi affermativamente mi aiutò a mettermi in piedi.
In effetti le gambe andavano benissimo. Solo l’anca mi doleva.
Non riteneva necessaria la lunga discesa in slitta, la stazione dell’ovovia era vicinissima. Mi avrebbero trasportato li, e poi saremmo scesi con lo stesso mezzo usato per la salita.
Un più approfondito esame, all’ospedale, avrebbe fornito un quadro esatto della situazione che lui, desiderava ripeterlo, riteneva che si sarebbe risolta in qualche giorno.
In effetti non mi dette fastidio restare in piedi nell’ovo che ci riportò giù.
Papà mi teneva abbracciata.
Io mi aggrappavo a lui, e gli sorridevo.
Mi chiese se volessi un ambulanza per andare all’ospedale.
Risposi che bastava un taxi.
Avvertì telefonicamente l’albergo perché ce ne facesse trovare uno al nostro arrivo.
Fu il signor Livio, il proprietario dell’albergo, ad attenderci con la sua mercede.
Ospedale.
Sedia a rotelle obbligatoria.
Papà fu ammesso a venire con me.
Sala delle visite.
La simpatica dottoressa disse all’infermiera di aiutarmi a spogliare. Via scarponi, calzettoni, pantaloni: tutto.
Papà collaborò affettuosamente.
Rimasi stesa, sul lettino, col maglione di lana (avevo tolto il giubbotto) e col microscopico tanga dal quale esplodevano natiche e lunghi riccioli neri (mi depilo solo le ascelle).
Dad mi carezzò il sedere e quasi con naturalezza cercò inutilmente, con un dito, di far rientrare nella stretta pattina l’esuberanza del mio vello.
Che bello quel dito!
Avrei voluto serrarlo tra le mie cosce, sentirlo procedere’oltre!
La dottoressa mi visitò accuratamente, toccò e palpò l’anca arrossata, disse che non c’era niente di rotto ma che era meglio un esame radiologico. Il lettino fu portato nella stanza a fianco, sempre con papà che si preoccupava affinché non mi raffreddassi. Mi avevano coperta con una specie di plaid.
I raggi confermarono la diagnosi: contusione con limitato ematoma.
Terapia. Applicazione di apposite pomate ogni sei ore, un antinfiammatorio in capsule ogni dodici ore, per almeno tre giorni. Sula ricetta c’era indicato il gel e il FANS, farmaco antinfiammatorio non steroideo.
Potevo tornare in albergo.
Forse sarebbe stato bene tenere la gamba a riposo fino a domattina, a letto, ma potevo alzarmi per i pasti o quello che mi serviva.
Il dolore sarebbe scomparso del tutto in pochi giorni.

Il albergo fui accolta come un’eroina, reduce da chissà quale impresa.
Tutti vollero salutarmi, congratularsi per essermela cavata così a buon mercato, e augurarmi rapida e completa guarigione.
Sempre sostenuta (era bello, ma non ne avevo bisogno) da papà, salimmo in ascensore al nostro piano. Dad mi disse che era consigliabile andare da lui, camera più ampia, letto grande e comodo.
Gli dissi dove avevo il pigiama, la gonna di lana, le scarpe di riposo, la calzamaglia di lana. Intanto, si era presentata la cameriera che si offrì di accompagnare papà nella mia camera e prendere tutto.
Comunque fu facile portare ogni cosa nella camera grande. C’era posto nell’armadio.
Papà ringraziò la cameriera, la congedò.
Io, ‘conciata’ per sciare, dovevo indossare qualcosa di pratico, di più leggero.
‘Sta ferma, bambina, siedi sulla sedia, penso io.’
Indicai cosa preferivo vestire.
Ero in piedi, stavo per togliermi i pantaloni.
Mi fece cenno con la mano, che dovevo stare ferma.
Si avvicinò, abbassò la zip, tirò giù i pantaloni piano piano.
Ero di fronte a lui con le gambe scoperte, il tanga, la tenuta da sci nella parte superiore del corpo.
‘Alza le mani, piccola, devi togliere maglione ed il resto, per mettere blusa e golf.’
Fu veloce ed abile.
Per fortuna che la camera era ben riscaldata, perché ero rimasta in reggiseno e tanga.
‘Sdraiati un momento sul letto, voglio vedere dove sei stata urtata.’
Scoprì il letto, mi aiutò a sdraiarmi, mi fece voltare su un fianco, dandogli la schiena.
Toccò l’anca, il gluteo, mi piegò la gamba, come aveva visto fare in ospedale, sentì con le dita l’articolazione del femore. Più volte.
Mi palpava la natica chiedendomi se mi facesse male.
No, e quel massaggio (dissi proprio così) era molto gradevole.
Bussarono alla porta.
Papà mi ricoprì.
Andò ad aprire.
Era il fattorino con le medicine.
Prese una capsula dalla confezione, versò dalla bottiglia dell’acqua dal bicchiere, si avvicinò a me di nuovo.
Sedetti sul letto.
Tette appena contenute nel reggiseno.
Papà, intanto, aveva aperto il tubetto del gel.
‘Giù, tesoro, pancia sotto.’
Eseguii.
La sua mano spalmava dolcemente il gel, sulla parte contusa, ma l’altra, pur senza medicamento, faceva altrettanto movimento sull’altra natica.
Era una carezza meravigliosa.
Mi stavo eccitando.
‘Non indurire i muscoli, piccola, rilassati.’
Non era facile impedire quelle contrazioni che, splendidamente, s’irradiavano al grembo.
Riuscii a malapena a dirgli che le sue mani erano miracolose, lenivano sensibilmente il dolore.
Lui non prese gel dal tubetto, ma seguitò quel movimento soave, scese un po’ sulle cosce, risalì lungo la schiena, le spalle, il collo’ poi scese lentamente.
L’elastico del reggiseno era di ostacolo a quelle lunghe, lente carezze. Lo sganciò.
‘Ora, bimba, se vuoi, puoi girarti. Piano, non fare movimenti bruschi.’
Non sapevo quale collegamento tra l’anca e il davanti, ma la voce era cos’ affettuosa, suadente, che mi voltai, supina, tenendo con una mano il reggiseno al suo posto.
Dad cominciò a massaggiarmi, ma &egrave più esatto dire carezzarmi, palparmi, le caviglie, il polpacci, le cosce, anche in alto. Passò all’addome, lentamente salì più in alto, ai lati del seno. Senza nulla dire, s’intrufolò sotto il reggipetto e prese a impastare dolcemente il seno. Prendeva le tette nelle mani, le stringeva un po’, imprimeva un moto leggermente rotatorio, con la punta delle dita, tenendo sollevato il palmo, sì che sfiorava il capezzolo che andava sempre più inturgidendosi. Lo guardai, era serio in volto, pensieroso, la fronte leggermente aggrottata, le labbra strette, e proseguiva con deliziosa maestria, stringendo dolcemente, di quando in quando, i capezzoli tra indice e pollice.
Sentivo che il mio respiro stava divenendo affannoso.
Ormai la stretta striscia del tanga, lo sentivo, era completamente bagnata, e per il mio continuo e irrefrenabile muovere del bacino s’era inserita tra le grandi labbra. Certamente i miei riccioli erano completamente esposti.
Guardai ancora dad. I suoi pantaloni non potevano nascondere completamente l’effetto che il contatto con la mia pelle, con le mie tette, gli faceva.
Ad un tratto sembrò risvegliarsi. Come uscire da un trance.
Smise di colpo. Si rizzò.
‘Mettiti seduta, ti aiuto a vestirti.’
Scesi dal letto, sedetti sulla sedia.
Il reggiseno era caduto sul tappeto.
Rimasi così, di fronte a lui che mi fissava.
Scosse appena la testa.
‘Sei proprio bellissima, bambina mia, affascinante. Hai un sederino e due tettine che fanno girare la testa”
‘Sono tua figlia, pa”’
Si avvicinò, si chinò su di me, mi prese la testa tra le mani e mi bacio sulla bocca, a lungo.’
Fu istintivo (più o meno) afferrare il suo ‘coso’, ben pressante ed evidente, e stringerlo. Si fermò un istante, poi riprese a baciarmi con maggior foga. Contraccambiato.
Col suo aiuto, andai nel bagno.
Dovevo fare una doccia.
‘Pa’, per favore, trovi nella mia sacca un tanga per cambiarmi?’
Ero sotto l’acqua quando rientrò con quanto gli avevo chiesto e lo mise sullo sgabello.
Rimase a guardarmi.
‘Sei una donna, Dorina, e che donna!’
‘Mi insaponi la schiena, pa’?’
Versò del sapone liquido sulla spugna, mise tutto sul lavandino.
Rapidamente, tolse tutto da dosso, rimanendo in boxer.
Prese la spugna ed entrò nel vano della doccia.
Gli voltavo le spalle.
Cominciò a insaponarmi dall’alto.
Nessuno di non pensò che il gel avrebbe perduto, forse, l’effetto. E se lo pensò lo trascurò volutamente.
Sulle natiche non era la spugna a spargere il sapone, ma la sua mano, le sue dita. Entrarono nel solco, delicatamente, sfiorarono il mio buchetto che si contrasse di colpo, passarono e ripassarono, ed ogni volta la contrazione si ripeteva. Si ripercuoteva anche davanti.
Ora, con la mano, mi insaponava davanti, sempre restando dietro di me, cosparse di schiuma il petto. Ripetutamente, dette qualche strizzatine ai capezzoli, come aveva fatto poco prima, con quella specie di chiroterapia meravigliosa, ma quando proseguì non incontrò la pur effimera strisciolina del tanga. Era bello sentirsi’ insaponare così, avvertivo la sua mano, avrei voluto baciarla, poi le dita tra le grandi labbra. Incontrò subito il mio piccolo e sensibile clitoride, era di una bravura inimmaginabile, lo sfiorava, lo titillava, poi andava alle piccole labbra, penetrava appena nella vagina, si ritirava, ripenetrava. Stavo piegandomi sulle ginocchia. Lui mi sorresse con un braccio, seguitando quelle carezze voluttuose. Speravo fortemente che non smettesse, era come nel sogno, era bellissimo, cercavo di frenare i miei gemiti, ma non ci riuscivo. Ecco, stavo per essere travolta dall’orgasmo’ ecco’ era magnifico’ oddio se era bello’
Nello stesso tempo, il solco tra le mie natiche, che quasi non s’era accorto, così intenta com’ero a godere, che qualcosa di duro premeva, sentì un rivolo caldo che in parte fu assorbito dal boxer e in parte prese a colare, misto alla mia linfa, nel piatto della doccia.
Dad mi strinse ancora di più a lui, aggrappato alle mie tette.
Io non avevo ancora ripreso il controllo di me.
Sentii il suo alito vicino alla mia orecchia.
‘Dorina, esci’ asciugati’ vado”
Si avvicinò al WC, sentii lo scorrere del liquido.
Tolse il boxer, sporco e sgualcito.
Sedette sul bidet.
Sbirciai.
Il suo cock era ancora ritto, immenso, meraviglioso.
^^^
Non fummo troppo loquaci, neppure durante la cena.
Poi, andammo al bar, scambiammo quattro chiacchiere con gli altri ospiti dell’albergo, tutti si rallegravano perché mostravo di aver bene assorbito la botta. Qualcuno, anzi, aggiunse che a giudicare dal mio viso mi aveva perfino fatto bene, mentre era molto più preoccupata l’espressione di papà.
Credo che entrambi stessimo pensando al dopo. Alla notte.
Quando rimanemmo soli, al nostro tavolino, mentre lentamente ognuno si ritirava nella propria camera, dad mi prese la mano.
‘Dorina, non so cosa mi stia capitando’.’
In quel momento squillò il cellulare.
Era la mamma.
Nonna l’avrebbero operata tra due giorni, dovevano controllare pressione e coagulazione. Lei stava bene.
Credemmo opportuno non dirle della piccola disavventura occorsami, perché si sarebbe preoccupata, fin troppo.
La salutammo.
Fui io a prendere la mano di papà.
‘Mi dicevi, papi?’
Fece un lungo, profondo respiro.
‘Te la senti di dormire sola questa notte? Nella tua camera?’
Scossi lentamente la testa.
‘No, pa’. Mi devi dare la pillola, spalmare il gel. E poi sono ancora sotto choc, anche se cerco di non mostrarlo. Ho paura a restare sola. Voglio che tu mi abbracci!’
Da come lo dissi sembrai quasi sincera, spontanea.
Io avevo deciso!
‘OK, piccola, come vuoi tu.’
‘Ti dispiace?’
‘Ma come puoi immaginarlo. Può mai dispiacermi stare vicino alla mia bambina?’
‘No’ dicevo che’ forse sono un po’ grandicella’ Me lo hai detto, no?’
Dad sorrise, mi carezzo la mano.
Ci alzammo, andammo nella sua camera.
Sedette sulla poltrona.
‘Hai bisogno di aiuto per prepararti, Dorina?’
‘No, grazie, faccio da sola. Eventualmente ti chiamo. Non vedo l’ora di togliere tutto da dosso, perché mi stringe un po’ sulla coscia che ha avuto l’urto. Poi devi vedere come sta.’
Andai nel bagno. Le solite cose.
Indossai solo la giacca del pigiama, e non la abbottonai.
Ricomparvi, andai a mettermi a letto.
‘Dory, vuoi subito pillola e gel?’
‘Dammi la pillola, per favore. Il gel quando verrai a letto.’
Dopo che mi dette il medicinale, andò lui nel bagno, e tornò poco dopo, in pigiama e pantofole.
‘Gel?’
‘Mettiti a letto, lo spalmerai più facilmente.’
Non era vero, ma volevo sentirlo ancora più vicino quando, come speravo, mi avrebbe rinnovato quel’massaggio.
Nella mente, con uno dei soliti strambi accostamenti che spesso facevo, pensai: massaggio’ messaggio’!
Venne a letto, mi scoprii, mi misi sul fianco.
‘Guarda se si &egrave fatto più evidente l’ematoma.’
Si chinò, guardò, palpò coscienziosamente.
‘Sta benissimo.’
Mi girai un po’ per mettermi a pancia sotto.
Pensiero della mente: cul’in’aria!
Lui, intanto aveva preso quelle dolci carezze che contrabbandava per massaggi.
Ad un tratto, mi posi supina, con la giacca del pigiama del tutto aperta.
‘Che ne dici di metterne un po’ sulle parte interna della coscia?’
Divaricai le gambe.
Ora la mia micetta era lì, sotto i suoi occhi.
La vide. Oh se la vide.
Dai pantaloni del pigiama spuntò immediatamente il suo batacchio, e la mia campana già vibrava.
Ci guardavamo fissi.
Poi, d’un tratto, nascose il suo volto nel mio grembo e cominciò a leccarmi, a introdurre la sua lingua nella mia vagina, mentre io gli andavo dolcemente smenando il ‘coso’.
Era roca la mia voce, quando gli dissi di togliere i pantaloni.
Cercò di farlo, quasi acrobaticamente, senza sospendere l’esercizio orale che andava svolgendo.
Si mise in ginocchio.
Lo presi per la testa, lo tirai su me, gli afferrai il fallo, portai il glande rosso e gonfio all’ingresso della vagina, inarcai il bacino. Lo accolsi freneticamente.
Era bello, robusto, caldo. Sentivo la sua nervosità, i rilievi del suo sesso che stava stirando ogni grinza della mia vagina.
Altro che tubo di gomma.
Questo era fare l’amore.
Ero talmente presa, travolta dalla voluttà che s’era irradiata in tutta me stessa, che quando giunse, dolce e lento, l’orgasmo che s’impadronì di me e mi squassò come ramo al vento, mi sembrava di sognare.
Stavo quasi per rilassarmi, quando sentii invadermi da un’ondata calda.
Il seme di dad. Lo stesso seme che mi aveva dato la vita.
Rabbrividii per il piacere, lo strinsi in me, con tutta la mia forza.
Avrei voluto trattenerlo in me, per sempre.
Lo so che doveva avvenire.
Era ineluttabile
^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply