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Racconti erotici sull'Incesto

Mia sorella Giuseppina – Angela 2

By 1 Maggio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Opera del mio grande amico Gianfranco.

Giuseppina, così bella, così innocente, commette un errore. Pensa che sia tutto finito, ma è in agguato il fato..
Lui vede subito la possibilità di poter trarne vantaggio.
La storia si divincola nei giorni che si susseguono. La piccola giovane Giuseppina non sa cosa le accadrà..
Leggete e scoprirete..

Mia sorella Giuseppina Nr. 1
http://www.iomilu.com/viewstory.php?sid=5496

Angela cap 2

Venne anche il momento della descrizione delle vicende che avevano portato Giusy verso il negozio di moda, a spogliarsi nuda in mezzo ai clienti, a farsi fotografare in quelle condizioni e poi con abiti che, nella normalità, lei non avrebbe ma indossato.

Ed infine comparve, nel racconto, anche Sara, l’amica che veniva coinvolta, in quegli ultimi giorni, nel medesimo gioco perverso deciso per lei da Tonino, su ordine del Signor X. Giusy non sapeva darsi pace, per aver collaborato col ragazzo per indurre Sara a seguirla su quella strada verso l’Inferno. Era stato per questo, che aveva cominciato ad errare per le strade della città, sola, sinchè ‘Tappo’ non aveva incrociato il suo cammino.

Cadde il silenzio. Giuseppina si girò verso la sua compagna e si accorse che le lacrime le sgorgavano copiose, perdendosi poi lungo il viso.

‘Ho ragione,’ chiese, ‘capisci, ora, perché io sia tanto disperata?’

Angela tacque ancora per un momento. Poi sollevò lo sguardo e fissò dritto negli occhi quel povero essere distrutto dalla sofferenza e dal quale, tuttavia, lei si sentiva stranamente attratta.

‘Cosa posso dirti, Giusy’ disse abbracciando la ragazza che sembrava ripiegarsi su se stessa, in preda ad una sofferenza intollerabile, ‘ti capisco, certo, fin troppo bene. Ho vissuto anch’io, una storia difficile quanto la tua. Ora mi sono liberata, ma Dio solo sa se è stato penoso.’

Aveva in mente l’immagine di Giuseppina, come lei l’aveva vista, ammirata ‘ e desiderata: ma questo non riusciva, non ancora, a confessarlo nemmeno a se stessa ‘ quel famoso giorno. Era passata per caso nel punto in cui era posteggiata la macchina di Tonino. Conosceva quell’amico del fratello, ed aveva notato come l’auto apparisse piena di persone. Per questo s’era avvicinata, per salutare il ragazzo, ed anche per curiosità tutta femminile. Non aveva potuto credere ai suoi occhi, quando aveva visto ciò che accadeva dentro l’abitacolo. Lo spettacolo di una ragazza nuda costretta ad un pompino superbo praticato a Marco, indifesa sotto due, tre, quattro mani che percorrevano il suo corpo senza ritegno, le avevano procurato, per un attimo, un senso di rigetto. Ma, subito, aveva sentito qualcosa agitarsi nel suo ventre, mentre i capezzoli si irrigidivano istantaneamente. Si rendeva conto, vergognandosene, che era la violenza implicita nella scena, ad eccitarla in quel modo, rammentandole una parte difficile e recente della sua vita. E non era riuscita, per qualche attimo, a distogliere lo sguardo da quello spettacolo. Per giunta, coinvolto sino all’estremo, aveva visto suo fratello, nudo. Conosceva già, quel membro – così come ne aveva visto parecchi altri, ricordò – potente e vibrante sotto i colpi di lingua di Giuseppina. L’aveva visto nella quotidianità della loro casa, mentre lui faceva la doccia ed anche quando, nudo, giaceva sul letto, nella sua camera, con gli occhi chiusi. Aveva sbirciato, Angela, alla ricerca della prima conoscenza di un sesso al quale, inconsciamente, ancora confusamente, sentiva di starsi aprendo. Quel pezzo di carne prima floscio, che si inturgidiva sempre più, toccato dalla mano di Marco, carezzato, stimolato da immagini terribilmente eccitanti di cui la mente del fratello si nutriva, le aveva procurato uno sconvolgimento interno. Non era riuscita a capire come mai avesse perso, da quello spacchetto tra le gambe, tanti succhi da bagnarle tutte le due gambe, sino alle caviglie.

Ora lo rivedeva, eretto, orgoglioso, quel bel cazzo. E le tornava in mente anche il momento in cui, improvvisamente, aveva visto il corpo di Marco inarcarsi, il suo membro irrigidirsi ancora di più mentre un lungo, irrefrenabile gemito che usciva incontrollato dalla bocca semiaperta del fratello.

Al ricordo, serrò fortemente le cosce: dovette lottare con se stessa, per riuscire a controllarsi, a non correre con la mano a carezzarsi, per tentar di placare il desiderio cocente che si era impossessato improvvisamente del suo corpo.

Tornò di colpo alla realtà:

‘Mi hai sentito?’ stava dicendole Giuseppina.

‘No, scusami, stavo pensando a te’e ad altre cose.’ rispose, riprendendo faticosamente il contatto con la realtà. ‘Forse potresti consolarti se ti raccontassi di me. Ricordi, quando dissi che avevo avuto già quattro uomini? Beh, non era una balla. Li ho avuti, si, ma tutti insieme. Anzi, ne ho avuto anche di più. In pratica è stata la mia iniziazione al sesso. Ti va, di ascoltarmi?’

***Questa è la storia che una ragazza bella, dal volto allegro ma dall’animo pieno di tristezza, raccontò ad un’altra ragazza, simile a lei, in una giornata scura e nebbiosa dalla quale ambedue tentavano in tutti i modi di fuggire per ritrovare se stesse e la loro innocenza perduta.***

‘E’ successo circa sei mesi fa. Sino a quel momento quasi nessun ragazzo mi aveva sgamato con un minimo d’attenzione. Lo sai, come sono: se non hai le tette almeno della terza misura non ti si filano proprio. Ed invece, come vedi, in certi momenti, a seconda dei vestiti che porto, le mie sono talmente piccole da far pensare che non mi siano nemmeno venute ancora le mestruazioni. Lo so, che sono carina, di viso. Ma loro, i maschi, cominciano ad accorgersene solo quando sono un po’ più grandi di quelli che io frequentavo. Qualcuno mi guardava le gambe, le poche volte che mettevo una mini, ma tutto finiva lì.

Eppure, dentro di me funzionava tutto perfettamente. Avevo cominciato presto, a masturbarmi: non riuscivo più a farne a meno e nemmeno lo desideravo. Quando andavo a letto, la sera, mi spogliavo tutta, tenendomi solo le mutandine. Poi cominciavo a pensare a situazioni che mi piacevano molto. Figurati che le prime fantasie erano addirittura (non ti mettere a ridere, per piacere’.) quelle di Biancaneve che faceva qualcosa con i Sette Nani, anche se non riuscivo a pensare ancora di cosa potesse trattarsi. Scostavo il tessuto dal pube e carezzavo la mia carne più tenera sino a venire gemendo. Ma credo proprio’ disse Angela, vedendo un rapido sorriso di complicità formarsi sul volto di Giuseppina ‘che non sia stata io, la sola a stimolarmi in questo modo, almeno all’inizio.’ Giusy sorrideva, si, ma di nostalgia, in qualche modo. Ricordò che anche lei aveva scelto una fiaba, per aiutarsi a trovare il piacere, le prime volte: solo che quella che aveva vissuto nella sua mente, era la storia di Cappuccetto Rosso chiusa con il Lupo nella casa della Nonnina, in mezzo al bosco. Per la verità, il Lupo, nella sua fantasia, si limitava per un po’ ad annusarla. Poi, però, mentre la Bestia apriva le fauci per riempire del tutto lo stomaco ancora insoddisfatto, arrivava il cacciatore che gli sparava addosso e poneva fine all’incubo della piccola Cappuccetto. Solo che, a dispetto dalle versioni edulcorate della storia, costui era un figo da sballo, alto, palestrato, con gli occhi azzurri ed i capelli biondi, che dopo averla consolata leccandole le lacrime dal viso, l’aveva stesa sul letto della Nonna già divorata, ed aveva continuato a leccarla, ma non più sulle guance. Ed a quel punto, i pensieri di Giuseppina imbizzarrivano come un cavallo selvaggio, la sua manina correva sul pube e poco dopo lei veniva sopraffatta da quel piacere fino ad allora sconosciuto, forte sino al parossismo, che la costringeva a stringere le gambe, piegarsi su se stessa in posizione fetale, per poi dormire di un sonno profondo e piacevolissimo.

‘Dopo un po’ ‘ proseguì ‘Tappo’, ‘ il carezzarmi così non mi bastava più. Scoprii che poteva essere molto piacevole anche stringermi i capezzoli tra due dita. Mi accorsi che, sensibili com’erano, in certi momenti, più li stringevo e più la figa mi si bagnava, sino a macchiare il lenzuolo. E poi, un giorno accadde che mentre mi carezzavo il clitoride, siccome mi prudeva una natica mi grattai con l’altra mano e poi indugiai, prima nel punto dove mi prudeva, poi nel solco tra le due parti del mio culetto. Senza nemmeno rendermene conto, un mio dito carezzò il buchetto posteriore ed io fui attraversata da una specie di scarica elettrica. Da allora, usai contemporaneamente ambedue i punti capaci di procurarmi piacere. Cominciavo stringendomi forte i capezzoli. Poi, quando la voglia tra le gambe cresceva, una mano, di solito la destra, correva a carezzare la vulva ed il grillettino, mentre il medio dell’altra, inumidito di saliva, andava ad infilarsi nel forellino di dietro. A volte, non me lo leccavo, quel dito. Un’altra cosa che avevo scoperto, infatti, era che se mentre con una mano mi carezzavo la fighetta, con una o due dita dell’altra la penetravo, ottenevo due risultati assieme: il mio piacere aumentava sino a diventare insopportabile, e le dita si lubrificavano sino a poter penetrarmi dietro senza difficoltà.

Passò ancora un po’ di tempo, ed anche questo gioco, pur restando molto piacevole, non mi bastò più. Le mie ditina, anche se usate due alla volta, restavano pur sempre troppo sottili, mentre la mia vagina reclamava, invece, qualcosa di più sostanzioso. Cominciai allora ad usare degli oggetti, prima sottili, poi delle dimensioni sempre crescenti, sin a quando usai una candela. Mia mamma, istruendomi su come dovessi pulirmi, mi aveva raccomandato di non spingere troppo all’interno, per non correre il rischio di rompere l’imene. E così, usai sempre la candela con molta attenzione. A volte, devo dire, la tentazione di arrivare sino in fondo era molto forte. Ma il terrore che mia madre si accorgesse di qualcosa di anormale era tale che in qualche modo riuscii sempre a controllarmi.

Trascorsero ancora alcuni mesi, durante i quali mi detti un sacco di piacere. Ma capivo che per poter provare sino in fondo un’emozione di quel tipo mi sarebbe servito qualcosa di ancora più grosso e forte.

Ti sembrerà strano, ma per quanto l’avessi visto spesso nudo, non avevo mai messo insieme, nella mia mente, il pensiero del sesso con quello del cazzo di mio fratello. Ma evidentemente, ormai la spinta del desiderio era diventata troppo forte e così le mie fantasie si concentrarono sull’essere scopata da quella ‘cosa’ che mi sembrava incarnare tutta la sessualità del mondo, non fosse altro perché non mi era mai capitato di vederne altri.

Nel frattempo ero un po’ cresciuta, ed un giorno, all’uscita dalla Scuola un ragazzo di un paio d’anni più grande di me mi si avvicinò e cominciò a farmi le solite, stronzissime domande:

‘Come ti chiami?’, ‘In che classe stai?’ e così via. In principio mi sentii un po’ disorientata dalla nuova esperienza. Ma lui, malgrado l’approccio senza molto senso, era piuttosto simpatico, e così cominciai ad uscirci insieme. Dopo una decina di giorni gli permisi di baciarmi e – lo sai bene anche tu, come vanno ‘ste cose, Giusy – fu una prima bellissima esperienza. All’inizio tenevo la bocca chiusa ermeticamente. In qualche modo, temevo che la penetrazione da parte della sua lingua, che premeva sempre più decisa contro le mie labbra, potesse causare una specie di sverginamento come quello di cui mi aveva parlato mia madre. Ma una sera che ero particolarmente arrapata dischiusi le labbra ed i denti. L’incontro tra le due lingue fu sconvolgente. Prima furono tocchi delicati. Poi, man mano che la sua eccitazione saliva, quella lingua cominciò ad invadere la mia bocca con sempre maggiore prepotenza. Confusamente, sentii che una mano di Giorgio ‘ questo era il suo nome ‘ si era appoggiata sul mio culetto e stringeva una natica, mentre l’altra cercava un passaggio tra la maglietta che portavo e la pelle, procurandomi dei brividi deliziosi. Per cui, quando lui mi strinse un seno, anche se con qualche difficoltà per via delle dimensioni ancora piuttosto ridotte, per poi pinzarmi un capezzolo tra le dita, come io stessa avevo fatto un sacco di volte, il piacere fu talmente grande che le mutandine si bagnarono come una spugnetta. Se me le avessero tolte in quel momento, sarebbero potute servire per lavare almeno un chilometro di strada.

Ed invece, a quel punto una paura istintiva prevalse sul piacere che provavo. Seppure a fatica, mi liberai, di quella bocca e di quelle mani, gli chiesi di scusarmi e scappai. Nel mio letto, quella notte, successero cose incredibili. Non riuscivo a tener ferme le mani che correvano dappertutto, sul mio corpo. Cercavo posizioni sempre diverse, per tentare di provare ancora più piacere. Mi carezzai messa in ginocchio sul materasso, davanti e dietro e sui seni e sulle labbra, ed anche sull’interno delle cosce e poi su quella zona che sta tra l’ombelico e l’inizio del mio cespuglietto, che mi ero accorta di avere sensibilissima alle carezze quando, un giorno che tenevo le gambe strette, ben decisa a non masturbarmi perché avevo un’interrogazione il giorno dopo (ci ho messo del tempo, per capire che tra le due cose, nonostante tutti gli ammonimenti dei ‘grandi’, non c’è nessun rapporto) provai a passare una mano proprio in quella zona: dopo non più di dieci secondi le mie cosce si aprirono da sole, mentre la figa cominciava a pulsarmi irresistibilmente.

Non vidi Giorgio per un paio di giorni. Poi lo incontrai mentre andavo al Supermarket per delle commissioni. Se mamma avesse saputo quali sarebbero state le conseguenze, non mi avrebbe mai mandata a comprare una bottiglia d’olio e tre chili di patate.

– Ciao, – esordì, – non ci vediamo da un po’ di tempo’ –

Ecco, pensai, ricomincia con le solite menate. Chè, non lo so da sola, pensai, quanto tempo è, che non ci vediamo?! E’ tutto quello che ho passato a carezzarmi pensando ad una sua mano sul petto e, possibilmente, l’altra a carezzarmi fuori e dentro la figa. Però non riuscii a sembrare fredda e scostante come avrei desiderato. Banalità per banalità:

– Dove stai andando? – gli chiesi. Una parola tira l’altra e così cominciammo a parlare. Chiedemmo reciprocamente come andassimo a scuola, come avessimo passato il tempo mentre non ci vedevamo. Poi lui cominciò a parlarmi dei suoi progetti per il futuro. Sembrava che fare questa cosa – parlarmene, voglio dire – gli facesse piacere. E per la verità, faceva molto piacere anche a me. Ad un certo punto rievocammo ciò che era successo quando eravamo stati insieme, quel giorno, e lui mi disse quanto era grande il desiderio che gli avevo lasciato dentro. Non ebbi il coraggio di spiegargli che anch’io ero tanto dispiaciuta di essermi fermata a quel punto e di come avessi cercato in ogni modo di trovare delle alternative’private, senza riuscirci mai del tutto. Così stetti zitta, ma mi resi conto che tutto quello che non avevo detto con la bocca, glielo avevo comunicato con gli occhi. E lui aveva capito benissimo. Mi sfiorò quasi casualmente una mano con la sua, e mi vide sobbalzare lievemente, mentre un brivido di eccitazione mi correva lungo la schiena. Continuammo a parlare del più e del meno. Avevo una tempesta dentro la testa. Il cuore mi ballava, impazzito, in petto. Se mi avesse chiesto di stendermi lì, in quel momento, su quella strada, per farmi scopare, non avrei saputo rifiutare. Ma lui pensò, credo, che non doveva correre il rischio di spaventarmi per troppa aggressività. Non in quel momento, perlomeno.

Intanto mi aveva accompagnata a fare le commissioni e poi indietro, sin sotto casa. Mentre stavamo per lasciarci, mi disse:

– Senti, Angie, il mio Reparto Scout va a fare un campo di una settimana. Avremmo bisogno di una ragazza che si occupasse della cucina. Non saresti sola, perché almeno un’altra, la sorella dl Capo, verrà con noi per dare anche lei una mano d’aiuto. Che ne dici? –

Rimasi perplessa. Non sarebbe stata la prima volta, che avrei passato qualche giorno fuori di casa, ma sino ad allora questo era successo solo in compagnia di gruppi di amiche e di compagne di scuola, e solamente in case nelle quali c’erano anche degli adulti. Però, riflettei, qui si trattava di un gruppo di Scout, ragazzi affidabili, che facevano parte di un’Associazione che operava nell’ambito della Chiesa.

– Gio’, non è per mancanza di fiducia, ma se glielo dicessi io direttamente, mamma e papà mi direbbero di no, quasi sicuramente. Però, se gliene parlasse il Capo Reparto o, meglio, il Parroco, probabilmente cambierebbero parere. –

– Certo – rispose lui, – che problema c’è? Lascia che ci pensi io. ‘

Accennai della cosa a mamma. Le dissi che qualcuno l’avrebbe contattata per avere il consenso. Poi, non seppi cosa accadde esattamente, ma due giorni dopo, quando tornai da scuola, mamma mi disse che sia lei che papà erano d’accordo perché andassi:

– Sarà un’esperienza nuova, per te, non potrà farti altro che bene, considerato poi chi sono le persone con le quali ti troverai. Così capirai anche, finalmente, cosa vuol dire far da cucina ogni giorno, per un branco d’affamati! –

Ci trovammo, una mattina alle sette e mezza, con Giorgio, per andare al luogo di raduno, qualche chilometro fuori città, con il suo Honda scooter. Da lì, mi disse, saremmo partiti, con le macchine di alcuni degli altri.

Quando cominciarono ad arrivare, ci fu qualcosa che mi sembrò strano. Anzitutto, nessuno di loro portava la divisa. Giorgio mi spiegò che si trattava di un campo senza particolari cerimonie. Poi, qualcuno era pettinato in maniera strana, con quelle creste che portano alcuni ragazzi e che li fanno sembrare degli Indiani d’America. Erano anche vestiti ‘ ma questo un po’ tutti ‘ con magliette e pantaloni neri. Non è che la cosa mi facesse impressione più di tanto: ne avevo visti, di tipi strani, a scuola od in discoteca (quelle consentite dai genitori), assieme ad alcune amiche. Ma il fatto che facessero parte di un gruppo Scout mi sembrava un po’ fuori logica. Ne parlai con Giorgio. -Non ti stupire – mi disse sorridendo, – il nostro Reparto si occupa anche del recupero di ragazzi con problemi di disadattamento. E’ per questo, che li portiamo assieme a noi. –

Gianfranco
Maxtaxi

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Sono in attesa delle vostre proposte e suggerimenti da inserire nei prossimi capitoli’

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