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Racconti erotici sull'Incesto

Mia sorella Giuseppina – Angela 9

By 5 Giugno 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Opera del mio grande amico Gianfranco.

Giuseppina, così bella, così innocente, commette un errore. Pensa che sia tutto finito, ma è in agguato il fato..
Lui vede subito la possibilità di poter trarne vantaggio.
La storia si divincola nei giorni che si susseguono. La piccola giovane Giuseppina non sa cosa le accadrà..
Leggete e scoprirete..

Mia sorella Giuseppina Nr. 1
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Angela saga
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Angela cap 9

Dire che ero spaventata è poco, davvero. Ed il fatto di essere scopata di fronte a tutti mi faceva vergognare terribilmente, benché un piccolo tarlo nel mio cervello ridesse soddisfatto nel pensare al mio corpo ed alle mie voglie esibiti così, di fronte ad un pubblico attento. Ormai era evidente che sarei stata scopata perlomeno cinque o sei volte di seguito, e questo pensiero mi angosciava terribilmente. La sera prima, due rapporti, con Andrea e con Giorgio, mi avevano stancata terribilmente, e mi avevano lasciata indolenzita dal petto sino al basso ventre. Gli inguini mi facevano male, per via della posizione prolungata a gambe spalancate ed il forellino posteriore risentiva ancora della penetrazione compiuta da Andrea con un dito. Era stata la mia prima volta, in assoluto e le conseguenze non sarebbero potute essere diverse. Ma ora, cosa sarebbe accaduto, se su di me, sui miei seni, dentro la mia fighetta ‘ e non solo! ‘ si fossero accanite tante mani, tante bocche, ma soprattutto tanti peni? Mi passavano tante cose, per la mente, ma quella che ricordo più chiaramente è che mi accorgevo con stupore che, malgrado la paura, il mio corpo continuava a reagire, mostrando una carica di desiderio che non riuscivo a scacciare.
Strinsi forte le cosce, in un estremo tentativo di nascondere almeno la parte più segreta di me stessa.
– Allargale, Angie – disse la voce di Antonio, – lascia che ti vediamo tutta, ma proprio tutta’. –
Non ci riuscivo. Mi sentivo sola, indifesa. Capivo, ormai, quanto sarebbe diventato selvaggio, quello che ormai poteva essere chiamato senza mezzi termini uno stupro di gruppo. Continuavo a tenere strette le gambe, sperando’.
Non sapevo più nemmeno io, cosa sperare.
– Angie, ti ho detto di allagarle! – ripetè Antonio in tono ancora più duro. Decisi in un attimo di non dargli retta. ‘Dopo tutto, cosa avrebbe potuto fare, di più?’mi chiedevo.
Lo capii subito: ad un suo cenno, due dei ragazzi salirono sul letto ai due lati del mio corpo. Presero una caviglia ciascuno e divaricarono le mie gambe scoprendomi impietosamente la figa. Legarono una corda molto soffice alle mie caviglie e le fissarono ancora una volta ai piedi del letto, ma stavolta in maniera tale da non consentirmi altro che piccolissimi movimenti. Continuavo a tentare di chiudermi, per quanto possibile, ed allora la legatura venne ripetuta all’altezza delle ginocchia che vennero allargate pure esse. Mi accorsi che il letto aveva subito una modifica: esattamente nel mezzo c’era una fessura della quale sino a quel momento non mi ero accorta. Colui che si era posto alla mia sinistra vi infilò la mano, ritraendola poi con tra le dita un anello, che venne usato per legarmi il ginocchio da quella parte, senza che la fune potesse interferire con lo spazio a disposizione di Paola. Presero due cuscini e li posero sotto la mia schiena, in modo che il bacino restasse sollevato ed esponesse del tutto la figa ed il culetto.
In questo modo risultavo del tutto spalancata e senza alcuna possibilità di difesa, completamente a disposizione di chiunque avesse voluto usare il mio corpo. Piangevo disperata, e per qualche attimo gridai anche, con tutto il fiato che avevo in gola, mentre con la mano libera tentavo inutilmente di coprirmi la vulva.
– Piantala, cretina, o ti mollo una sberla! – mi urlò uno dei ragazzi in un orecchio, – Guarda che più gridi e più ci eccitiamo. –
Andrea intervenne:
– Adesso basta! Rispettiamo i patti, per favore, oppure’. –
– Oppure che? – gli risposero, assieme, alcune voci, – te le sei scopate, ieri sera, come hai voluto. Adesso è la nostra volta e qui, di regole, non ce n’è più. O la pianti di scassare, oppure’.te lo diciamo noi, ‘oppure’: oppure sono cazzi tuoi. –
Non esisteva più, un Capo. Il branco dei lupi, ormai, si era scatenato, del tutto fuori controllo. Uno si parò davanti ad Andrea, le mani sui fianchi e lo sguardo minaccioso. Avevo una paura indicibile, ma mi veniva anche un po’ da ridere, per via del suo pene che rimaneva, malgrado tutto, puntato verso il cielo.
Cercai in tutti i modi di trattenere il pianto. I due che mi avevano legato così bene si erano rimessi in piedi ed ora lasciavano campo libero al ragazzo che era stato chiamato col nome di Patrizio. Questi si stese in modo che la sua testa fosse all’altezza delle mie ginocchia. Poi cominciò a strisciare lentamente sul materasso, progredendo lentamente aggrappato alle mie cosce.
La faccia arrivò all’altezza della mia vulva. Patrizio mi odorava mugolando di piacere. Sembrava un’ape intenta ad esaminare un fiore, prima di tuffarcisi dentro. La sua lingua si appoggiò sulla vulva esposta, sulle piccole labbra che si erano gonfiate formando una piccola cresta somigliante all’interno di un’orchidea che avevo visto qualche giorno prima. Sul clitoride eretto ed incredibilmente lungo. La punta mi solleticò piano, provocandomi una scossa pari a quella di una scarica elettrica. Gemetti forte e contro la mia stessa volontà il mio bacino si spinse ad incontrare più profondamente quella carne dura e calda che mi stava scatenando un piacere senza limiti. Le labbra presero delicatamente il clitoride, lo leccarono, lo succhiarono. La lingua saettava da destra a sinistra, dall’alto in basso, ed io sprofondavo sempre più in un abisso di piacere. Sentii nel profondo della mia vagina salire la sensazione splendida, unica, che solo un orgasmo incipiente riesce a procurare. La mia testa sbatteva impazzita, la mano legata stringeva una sbarra della testata del letto spasmodicamente, sinchè le nocche diventarono bianche. L’altra artigliava il materasso tanto violentemente che un’unghia si piegò, procurandomi una fitta di dolore che esaltò, anziché soffocarlo, il piacere che mi stava sommergendo.
Appena era iniziato l’orgasmo, Patrizio aveva ricominciato a strisciare sul mio corpo, sempre più su. Le sue mani’ mi avevano afferrato i seni formando due coppe che li coprivano interamente. Tuttavia, egli aveva fatto in modo che i capezzoli venissero a trovarsi, ognuno, tra il suo medio e l’indice, ciò che gli consentiva di stringerli e di stimolarli. Sentii il suo corpo coprirmi progressivamente, sinchè la punta del suo cazzo giunse a toccarmi la vulva. La strofinava, pianissimo, imponendomi una carezza’ stupenda. Lo volevo. Volevo con tutta me stessa che quel pene mi riempisse, portandomi su, su, fino in cielo. E fu proprio questo, ciò che accadde, ma non in una sola volta, come avevo sperato. Patrizio cominciò ad entrare dentro di me con una lentezza incredibile, millimetro dopo millimetro. I suoi occhi mostravano chiaramente quanto questo gli costasse. Guardava le mie palpebre socchiuse, il mio labbro inferiore stretto dai denti fin quando vi comparve una minuscola perla rossa. Mi teneva per i fianchi e continuava a procedere dentro il mio corpo, toccando le pareti della vagina in tutti i loro più riposti recessi. Tenendo gli occhi così chiusi, mi sembrava di poter vedere quel membro sprofondare con lentezza esasperante, scostando con la punta i tessuti rosei ed umidi di desiderio. Sentii confusamente la voce del mio amante di un attimo:
– Guarda, Angela, guarda bene’ –
Non obbedii subito. Tutte le mie percezioni erano come ovattate e quelle parole impiegarono qualche momento, per penetrare attraverso la coltre che mi ottundeva i sensi. Poi mi decisi ad alzare le palpebre ed anche la testa e rivolsi lo sguardo verso il basso. Il mio bacino era sollevato ed ancora di più il monte di venere dalla carne morbida, sottolineato dal triangolo di peli. Assistetti allo spettacolo eccitantissimo dell’asta di Patrizio che entrava piano, pianissimo dentro la mia figa. Lo vedevo scomparire progressivamente e contemporaneamente percepivo la sua presenza sempre maggiore dentro di me. Cominciai a gemere, prima piano e poi sempre più fortemente. Patrizio resistette quanto gli fu possibile: poi la vista del mio viso in preda ad un godimento senza limiti ed il movimento progressivo del mio bacino gli fecero perdere il controllo, ed allora spinse tutto in una volta il cazzo dentro la mia vagina. Forse si aspettava una maggiore resistenza alla penetrazione. Ed invece si ritrovò a sbattere subito contro il fondo, con una forza che mozzò il respiro a lui e strappò dalle mie labbra un urlo di piacere assordante. Si rese conto che non aveva alcun bisogno di essere delicato per evitare di violentarmi. Oppure, non gliene importava niente: questo non lo saprò mai. Si fermò con evidente sacrificio per un piccolo attimo che gli servì per prendere le mie gambe ed appoggiarle sulle spalle, in modo da favorire la penetrazione. Poi cominciò a pompare con tutta la sua forza. Mi faceva male, per la profondità che aveva raggiunto e che io non avevo mai saputo possibile. I suoi colpi aumentavano di forza ad ogni suo movimento. Cominciai a sentire di nuovo l’incombere del mio orgasmo assieme al suo. E dopo pochi, attimi nel mio ventre si scatenò uno tsunami di passione sfrenata. Urlavo, mi sbattevo senza controllo, piegavo il bacino in modo da sentire il cazzo di Patrizio scavare sempre meglio dentro di me. Alcune sue grida di dolore, che si confusero con quelle che testimoniavano il suo piacere, mi dissero che quelle torsioni non erano rimaste senza conseguenze. Ma se possibile, quest’idea moltiplicava ancora il mio immenso godimento.
Raggiungemmo assieme l’apice della montagna. Sembrava che ambedue avremmo continuato ad urlare per sempre. Poi l’orgasmo si attenuò. I nostri due corpi continuarono per qualche minuto ad agitarsi fuori del nostro controllo. E venne la pace ed il torpore che essa porta con se. Patrizio si abbatté di schianto su di me e rimase per un poco in quella posizione. Poi scivolò di lato, supino, ormai privo completamente di forze.
Un attimo dopo sentii che per me le cose erano lievemente diverse: il giorno prima avevo scoperto la mia capacità innata di raggiungere orgasmi multipli. Ed ora ne avevo la conferma. Pochi istanti dopo il termine della follia, tutto il mio corpo provava l’esigenza di una nuova penetrazione. Sentivo ancora i capezzoli dolermi per l’eccessiva tensione, che li teneva lunghi e durissimi. Il ventre era teso e sentivo il disperato bisogno di trovarmi ancora con qualcosa dentro la vagina. Mi piegai su me stessa e mi penetrai con due dita. Ma quel contatto non era sufficiente: avevo provato l’invasione di un cazzo ed era quello, ciò che desideravo ancora spasmodicamente. Allungai la mano libera verso il corpo steso vicino a me, alla ricerca del membro di Patrizio. Lo presi e tentai di carezzarlo, malgrado che risultasse floscio e molto rimpicciolito.
– No, aspetta. – disse il ragazzo girandosi di tre quarti, – Ho bisogno di recuperare, almeno un poco. Così, subito, non ce le faccio proprio. –
Antonio, che ormai aveva esautorato del tutto Andrea, assumendo il comando delle operazioni, non gli lasciò nemmeno il tempo di finire:
– Beh, tu il tuo turno l’hai avuto. Riposati e poi, semmai, fai un altro giro. Adesso è il turno di Nicola. – Quest’ultimo non si fece pregare. L’avevo intravisto masturbarsi mentre assisteva alla mia scopata con Patrizio. Non fu altrettanto delicato: mi venne sopra, abbrancò i miei seni, li strinse sino a farmi gridare e poi con un solo colpo sprofondò dentro di me. Forse fu la violenza dell’assalto, ma in pochi secondi venni ancora. E malgrado cominciassi ad essere un po’ indolenzita, dovetti subire un altro ragazzo ancora.
Quando finì, col corpo ancora scosso dagli spasimi del piacere che non mi aveva mai abbandonato, biascicai:
– Basta, basta, non ce la faccio più’. Lasciate che mi riposi almeno un po”. -. Sentii ancora la voce indifferente di Antonio:
– Non ricordo: chi è il prossimo? – chiese, senza neanche rispondere alla mia invocazione, – Ah, sei tu, Piero, giusto! Però stai attento a non farle troppo male alla figa’. – Ammiccò all’amico con un preoccupante risolino.
Uno dei crestati si alzò. Era molto alto, circa due metri. Il suo pene eretto arrivava ben sopra l’ombelico.
– Tranquillo -, disse ironico, – non gliela tocco nemmeno’ –
Si stese al mio fianco, vi appoggiò una mano e spinse, nel tentativo di farmi girare. Io resistetti per quanto mi fu possibile. Non avevo capito cosa stesse tentando di fare, ma mi sentii nuovamente in preda alla paura.
– Girati! – mi urlò nell’orecchio, – Altrimenti ti schianto! -, e per rafforzare il concetto mi dette uno schiaffo sul braccio, lasciandomi il segno delle cinque dita. Mi arresi ancora una volta. Piangevo come una fontana, ma feci ciò che mi era stato ordinato. Ero piegata sul fianco, col viso verso la sponda del letto. In questo modo, la mia schiena ed il mio culetto erano rivolti verso di lui. Sentii le pale che aveva per mani accarezzarmi la schiena, partendo dalle spalle e sempre più in basso, fino a raggiungere l’inizio del solco tra le natiche. Andò su e giù per un paio di volte ed al terzo passaggio sentii che un dito delle dimensioni di un paletto stradale, invece di risalire si avventurava nel canalone. Irrigidii fortemente il culetto, per impedirglielo, malgrado i suoi sforzi per superare la resistenza. Sentivo che cominciava ad arrabbiarsi.
– Datemi una mano. -, grugnì, rivolto verso gli altri ragazzi, due dei quali si avvicinarono. Mi presero per le braccia e mi costrinsero a stendermi sulla pancia, mentre io gridavo tutta la mia disperazione. Improvvisamente sentii una mano abbattersi su una natica, in una sculacciata fortissima che poi venne ripetuta sull’altra. I colpi si alternavano, mentre la pelle bruciava sempre di più. Il sangue affluiva verso la parte colpita eccitando così tutta la pelvi e la zona perianale. Mischiato al dolore, quei colpi mi procuravano uno strano, perverso piacere che mi indusse a spalancare le gambe e con esse anche il culetto. Un attimo dopo sentii che una crema mi veniva spalmata proprio sul forellino. Cercai di guardare dietro le mie spalle e vidi che Piero aveva infilato il ditone dentro il vasetto della crema. Tenne una natica aperta, con l’altra mano, appoggiò il dito sul buchetto e cominciò a spingere, alternando la pressione ad un movimento circolare. Nel frattempo la mano di uno degli altri due ragazzi mi carezzava il clitoride e quella del terzo un capezzolo con un movimento circolare del palmo. Non potei resistere a quelle sensazioni e mi rilassai. Immediatamente sentii che il mio sfintere anale veniva forzato dal dito di Piero che scivolò dentro senza fatica. Continuò per un poco ad effettuare quel massaggio in tondo. Non mi dava più alcun fastidio, ed anzi mi piaceva.
Gli altri due mi spinsero sino a riportarmi nella posizione di fianco, ma uno di loro mi tenne le mani per i polsi, in modo che non potessi muoverle. Di nuovo, avevo la schiena ed il culetto rivolti verso Piero. Le mie gambe erano retratte in posizione fetale.’ Sembrava che non accadesse più nulla, ed io cominciavo a pensare che tutto fosse finito e che lui si fosse accontentato di avermi violato il culetto con quel suo grossissimo dito. Girai un tantino la testa e mi resi conto di quanto mi fossi sbagliata. Piero spalmava accuratamente la crema sul suo membro, abbondando soprattutto su tutto il glande. Ne prese un’altra quantità da dentro il vasetto, infilandoci due dita e me lo spalmò ancora sul buchetto. Capii in un lampo cosa si stava preparando: un attimo dopo appoggiò l’asta sul mio ano e cominciò a spingere, senza dire una sola parola. Ansimava, grugniva, a momenti, ma non più di questo Il suo grosso cazzo premeva, tentando di entrare in un foro che, malgrado le carezze ed i massaggi di prima, continuava a risultare troppo stretto, per permetterne il passaggio. Quando lui spinse in maniera più decisa cominciai ad urlare per il dolore. Cercai di liberarmi le mani per difendermi in qualche modo, anche se non sapevo bene come, ma non riuscii a muovere nemmeno un dito: il ragazzo che mi teneva le mani aveva rafforzato la stretta e l’unica cosa che ottenni fu un altro dolore, stavolta ai polsi, che si aggiungeva a quello, lancinante, che provavo nella parte posteriore del corpo.
Sentii qualcuno sedersi sul letto, vicino ai cuscini. Andrea mi era venuto vicino ed ora mi carezzava con dolcezza la testa sussurrandomi piccole parole di conforto:
– Tranquilla, Angie, fra poco finisce, vedrai’ –
– Aiutami, Andre, ti prego – gridai, mentre le lacrime scivolavano incontrollate sul mio viso, – digli di smetterla’ora basta, basta, non ce la faccio più’mi sta facendo troppo male. – Confusamente, in mezzo alle ondate di dolore che mi sommergevano, mi sembrò, ma certo mi sbagliavo, che la voce di Andrea fosse alterata, come se il ragazzo stesse’piangendo? No, non poteva essere, anche lui faceva parte della banda che mi stava tormentando. E non me sola: sentivo altri suoni acuti e mi resi conto che anche Paola, sdraiata vicino a me, stava subendo un trattamento simile al mio. Ormai i ragazzi erano scatenati e mi sembrava di vivere un incubo terrificante.
– Non posso far niente, Angie, non mi danno più retta! – Avevo aperto del tutto gli occhi, nello spasimo che mi permeava. Non capivo più nulla: Andrea mi consolava, ma il suo cazzo spuntava dal grembo rigido e violaceo. Le vene che lo percorrevano parevano grosse funi.

Gianfranco
Maxtaxi

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