Skip to main content
Racconti erotici sull'Incesto

Mildred

By 28 Maggio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Non so se crediate o meno nel significato dei nomi e come quasi sempre essi descrivano la persona, fisicamente e caratterialmente.
I Latini, del resto, avevano un detto, ‘nomen omen’, il nome &egrave un presagio, nel nome &egrave segnato il destino delle persone.
E quante volte le lettere che compongono il nome sono anche la sigla, le iniziali, di ciò che le persone sono.
Complicato?
Ecco un esempio.
Mildred, nome di donna.
L’elenco dei nomi, nel Webster, dice che significa ‘gentile e forte’.
E’ composto da mild e red, tenue e rosso.
E Mildred era proprio così, dolce e decisa, di capelli rossi tendenti al biondo.
La chiamavano tutti Millie.
Io la chiamavo, e la chiamo, Mil.
Un diminutivo, certo, ma anche le iniziali di ‘mother in law’, suocera. Perché la splendida Mildred Russel &egrave la madre di mia moglie.
E’ splendida, infatti, anche alla soglia dei cinquanta.
Un personale perfetto, da far invidia alle ventenni, e ben curato. Un volto radioso, rosa, con lineamenti bellissimi, senza difetti. Pelle luminosa, labbra incantevoli. Le mani erano uno dei suoi pregi. Dita lunghe, sottili. Occhi verdi, smeraldini, che lanciavano sguardi lampeggianti.
Erano già cinque anni che ero sposato con Rose, sua figlia, che aveva ereditato tutta l’avvenenza della madre, ma più passava il tempo e più pensavo a Mil. Come donna, s’intende. E mi chiedevo come fosse nell’intimità. Se quel rosso delicato era dovunque. Se quella pelle di pesca fosse così liscia, serica, dappertutto. Il vecchio Bill, colonnello della riserva, con diversi anni più di lei, ne’ fruiva ancora? Ed era all’altezza di quelle che immaginavo le necessità della esuberante anche se dolce Mil? Chissà!
Quasi venti anni più di me, ma non riuscivo a togliermela dalla mente. Anzi, più trascorreva il tempo e peggio era. Ora me la sognavo, perfino, e in certe situazioni che solo la vicinanza di Rose riusciva ad attenuare l’eccitazione che mi provocavano.
Dovevo stare bene attento a non lasciarmi sfuggire il nome ‘Mil’ mentre, con impeto e passione, entravo con tutto me stesso nel grembo di Rose. Non poteva immaginare, la mia piccola Rose, che doveva ringraziare sua madre per quella mia bramosia.
Sapeva Mil della mia smania, ossessione?
Non riuscivo a comprenderlo.
Era sempre dolce con me, ‘Mild’, appunto, come il suo nome. A volte mi guardava con i suoi occhi profondi e sentivo che voleva dirmi qualcosa. Ma cosa? Tenerezza materna o nel suo sguardo non c’era nulla avesse a vedere con tale sentimento? Non &egrave facile interpretare sempre ciò che una donna comunica. Ci sono donne che nel momento più intenso dell’amore, di quello fisico intendo, hanno un’espressione angelica, soave, estatica, come, appunto, una madre che ammiri, incantata, la propria creatura. Altre, invece, il cui sguardo &egrave sfavillante, balenante, con lampi che sembrano volerti incenerire, mentre il loro grembo sussulta di piacere.
C’era, mi sembrava, come una specie di segreto compiacimento. Qualche volta addirittura una specie di lieve estasi.
Già. Estasi.
E mi tornava in mente una celebre statua del Bernini, di una santa in estasi. Ma se non sapevi che era una ‘santa’ avresti detto che quella era una espressione palesemente orgasmica.
Per tradurla in volgare: Mil mi ‘tirava’ da morire. E sempre più.
Le avevo sempre detto che era una donna splendida, affascinante. Sembrava accettare, le mie parole, come complimenti. Ma una volta mi disse di ricordare la poesia sulla madre, di De Amicis, e il verso ‘e più la guardo e più mi sembra bella’.
Le risposi che lei non era mia madre, ma che anche se lo fosse stato, non mi ‘sembrava’ bella. Lo era.
Mi dette una carezza di sfuggita, e quando l’abbracciai stretta non si svincolò da me.
Era bello sentire il suo seno sul mio petto. L’avrei trattenuta a lungo, così!
Ogni tanto andavo a rilevarla in palestra, e tornavamo a casa insieme. Lei, anzi loro, i suoceri, abitavano al piano inferiore. Nello stesso edificio.
Era accaldata in volto, un po’ arrossata, ancora col seno che si alzava e abbassava per il ‘fiatone’ non completamente smaltito.
Mi veniva spontaneo pensare che glielo avrei fatto venire io il fiatone, e come, e con una ginnastica tutta particolare. E mi eccitavo da pazzo!
Quella volta, prima che uscisse dall’ascensore, al suo piano, le presi il volto tra le mani e la baciai, sulle labbra.
‘Sei stupenda, Mil, bellissima!’
Mi guardò con quel suo sguardo indecifrabile.
‘you’re a real scallywag Gorge! Sei proprio un monello!’
E uscì sul pianerottolo.
Rimuginavo qualcosa. E fu allora che presi la decisione. Dovevo dirglielo. O la va o la spacca!
^^^
L’attesi all’uscita della palestra.
Indossava la solita tuta. Il viso un po’ acceso, come di consueto, i capelli rosso-chiaro raccolti a coda di cavallo, la borsa con il necessario per la doccia post-palestra.
Mi vide subito, mi salutò con la mano. Le aprii lo sportello, mise la borsa sul sedile posteriore, sedette, indossò la cintura di sicurezza. Misi in moto e, lentamente, mi inserii nel traffico.
Mil guardava in giro, poi si rivolse a me.
‘Fai un’altra strada oggi?’
Annuii, senza parlare.
‘Perché?’
‘Perché voglio parlare un momento con te, in un luogo tranquillo, appartato. Diciamo al ‘Belvedere’.’
‘Lassù?’
‘Non vuoi?’
‘No, niente in contrario, ma &egrave fuori città.’
‘Si.’
‘Belvedere’ era su un poggio, a circa trenta chilometri. Uno spiazzo abbastanza largo, e in più punti, tra gli alberi, ringhiere che guardano verso la città che spesso appariva coperta da una nube scura provocata dagli scarichi dovuti alle auto in circolazione. Poco distante un chiosco, con qualche tavolino.
Impiegammo circa mezz’ora per raggiungerlo.
Trovai un angolino deserto. Parcheggiai l’auto.
‘Vuoi bere qualcosa, Mil?’
‘Un’aranciata amara, grazie.’
‘Vado a prenderla al chiosco, aspettami qui, per favore. Bicchiere o cannuccia?’
‘Cannuccia, grazie.’
Ci misi poco. Fui presto di ritorno con due lattine e due cannucce.
Aprii le lattine e tolsi la carta dalle cannucce. Detti a Mil una lattina e una cannuccia.
Era poggiata con la schiena sulla ringhiera.
Bevve un sorso della bibita.
‘Allora, George?’
Ero di fronte a lei, quasi attaccato a lei. Non poteva retrocedere.
Poggiai la mia lattina per terra, posi le mani sulla ringhiera, quasi imprigionandola, e mi avvicinai; aderii al suo corpo caldo.
Mi venne spontaneo dirglielo in inglese, la sua lingua madre, quella che lei aveva usto per dirmi che ero un birichino. Mi sembrava che desse meglio l’idea di quello che volevo.
‘Mil, I want make love to you. Voglio fare l’amore con te.’
Ma quel ‘to you’, che letteralmente significa ‘a te’, era più esatto che ‘con te’. Ed era anche la massima espressione del mio bramoso egoismo, un modo non volgare di dire ‘voglio scoparti’!
L’espressione di Mil non tradì, come al solito, alcun pensiero. Si limitò a dire che certamente ero matto o che stavo scherzando.
Mi strinsi ancor più a lei. Col ginocchio la costrinsi ad aprire leggermente le sue gambe, e le feci sentire l’urgenza che premeva nella mia patta, e che le insinuai dove le sue cosce si riunivano.
‘Mai stato più serio e più deciso.’
Sguardo insicuro, il suo, per la prima volta. Cercò di portare la cosa sulla burla.
‘Adesso’ Così? In piedi? All’aperto? Di fronte alla città?’
‘Perché no!’
E un’altra spinta.
‘George, ti prego’ ragiona”
‘Ragiono. E come!’
L’abbracciai e la baciai, sulle labbra.
In effetti non cercò di sfuggirmi, non si ritrasse, ma pur sentendo il caldo tremore delle sue labbra, non le dischiuse.
Quando riuscì ad allontanare il suo volto dal mio, scosse lentamente la testa.
‘George, sei il marito di Rose, di mia figlia”
‘Ma io voglio te. Non posso farne a meno. Cerca di capirmi”
I suoi lineamenti si addolcirono.
‘Ti capisco, George. Dovrei sentirmi lusingata’ e in un certo senso lo sono’ ma tu stai sbagliando”
‘No, Mil, sto solo dicendoti quanto ti amo, ti desidero”
Non si muoveva col corpo, sentiva certamente la mia stretta, la mia eccitazione che diveniva sempre più incontenibile. Alzò una mano e mi carezzò lievemente il volto.’
‘OK, caro, OK’ dobbiamo parlarne’ con calma’ adesso, però, perché non mi riporti a casa? Dammi il tempo di riflettere’ Ti sono grata per questa tua ammirazione”
‘Mil, non &egrave solo ammirazione, &egrave desiderio”
‘Certo, caro, certo’.’
‘Ma &egrave possibile che tu non senta niente per me?’
Ancora una leggera carezza.
‘Chi lo dice? E’ che non ritengo dover ascoltare i nostri sensi. Lo dobbiamo per Rose, per Bill”
‘E per noi?’
Sorrise, con mestizia.
‘Andiamo a casa, Gorge, ti prego.’
Fu lei a stringermi a sé, e mi sembrò che il suo grembo quasi volesse accogliermi.
Risalimmo in auto. Non parlammo durante tutto il percorso.
Prima di uscire dall’ascensore, mi baciò sulla guancia, mi carezzò il volto, mi sorrise.
^^^
L’indomani, quando tornai a casa dallo studio, Rose mi informò che la madre, Millie, era partita improvvisamente per un grave malore che aveva colpito la sorella Eileen. La sorella maggiore, che curava gli interessi della famiglia gestendo il vecchio e glorioso Hotel in S.t Patrick str.
Sembrava trattarsi di una cosa abbastanza seria.
Rimasi pensoso e perplesso. Una vera e strana coincidenza. La cosa non mi convinceva troppo. Inoltre, Bill non aveva accompagnato la moglie. Dovevo cercare maggiori dettagli. Rose, però, affermò che quello era quanto sapeva.
L’indomani mattina, dallo studio, chiamai l’Hotel, a Cork, e chiesi di Eileen. La centralinista mi rispose che la signora era uscita per lo shopping. Quando domandai se fosse insieme alla sorella, la ragazza mi disse che ‘credeva di si’, la sorella di Madam era arrivata il giorno prima.
Altro che malore di Eileen!
Tornato a casa, chiesi a Rose se avesse notizie da Cork.
Da quanto aveva saputo, Eileen stava un po’ meglio, ma i medici erano ancora cauti nella prognosi. Così le aveva riferito la madre.
‘Sai quando tornerà Millie?’
‘Non ha detto nulla.’
‘Non &egrave il caso che andiamo anche noi a Cork, Rose?’
‘Proviamo a ritelefonare a mamma, domani.’
‘OK. Aspettiamo domani.’
E fui io a telefonare di nuovo, in hotel, dal mio studio.
Dissi di essere il Dottor Moss, e chiesi direttamente di Mildred.
Rispose lei.
‘Ciao, Mil, come &egrave andato lo shopping?’
‘Ciao, George, tutto bene, grazie.’
‘Allora, vieni tu o ti raggiungo io?’
Un silenzio abbastanza lungo.
La voce sembrava diversa dalle altre volte.
‘Torno io, torno io.’
‘Quando?’
‘Domani sera. Ho deciso!’
Va a capire cosa aveva deciso.
Non dissi niente a Rose, ma fu lei a darmi la notizia che la madre tornava a casa, perché la zia era fuori pericolo.
Mostrai un certo interesse alla notizia, quasi premura.
‘Che ne dici se vado a prenderla all’aeroporto?’
‘Ottima idea, George, sarà lieta trovarci li.’
Riuscii a reprimere un moto di disappunto. Ci saremmo andati insieme!!
^^^
Mil era un po’ pallida, ma ci sorrise affettuosamente. Abbracciò Rose e mi sfiorò la guancia con un bacio. Non parlò molto, né in attesa del bagaglio né lungo la strada, fino a casa, dove l’attendeva Bill. Serafico come sempre. Chissà se quella sera, a letto, lui e Millie’ Comprendevo di essere ridicolo, ma provavo una certa gelosia’
Mi mostrai tenero e carino con Rose, mentre preparava la cena. Le andai dietro, quando era china a prendere lo stufato dal forno, l’abbracciai, le feci chiaramente sentire il mio desiderio e nel contempo le ghermii le belle e sode tettine.
Restò ferma per un attimo.
Voltò il capo sorridendo.
‘Ma George’ dovremmo cenare’ prima”
Allentai l’abbraccio, si tirò su, si voltò, la presi tra le braccia e la baciai, golosamente, con gli occhi chiusi. Rose, carne di Mil. Ma non era Mil!
Quando fummo a letto, contrariamente al solito, spensi tutte le luci. La carezzai a lungo, insistentemente, voluttuosamente, la baciai, la frugai come se la conoscessi per la prima volta. Sentii la bramosia del suo grembo, feci del tutto perché il suo orgasmo salisse pian piano e la invadesse con dolcezza ‘poi’ la travolgesse. Fu allora che mi inserii tra le sue gambe, portai il mio glande impetuoso all’ingresso della sua vagina palpitante e rorida, e la penetrai con studiata lentezza, assaporando le sue inebrianti contrazioni. Ma non era Rose, quella, era Mil!
Rose si addormentò tra le mie braccia, abbandonata e soddisfatta.
Io avevo gli occhi aperti, nel buio, e la mente affollata di pensieri che si accavallavano disordinatamente.
Al centro, Mil.
Dopo il piacevolissimo e pienamente appagante match erotico con Rose, che ci aveva intensamente impegnati, stavo riflettendo su Mil, e l’attrazione che esercitava su me. Mi domandavo cosa, effettivamente, trovavo di tanto irresistibile in lei. Una gran bella donna, certo, ma non poteva essere solo questo. Curiosità? Non riuscivo a identificarla. Curioso di cosa? E andava affiorando il dubbio che tutto potesse derivare dal fascino del ‘proibito’. Fascino ancestrale.
Nell’Eden, Adamo ed Eva potevano far tutto meno che mangiare del frutto di un determinato albero. Quello era loro ‘proibito’! Ebbene, con tanta grazia di dio (&egrave proprio il caso di dirlo) a portata di mano, andarono proprio a cibarsi di ciò che era ‘proibito’.
Mil, madre di Rose, mia suocera, la mia ‘mother in law’, doveva essere tabù per me. Ed io volevo lei!
La volevo. Sì la volevo. E il solo pensiero di averla mi eccitava.
Rose se ne accorse. Così, semiaddormentata, allungò una mano ‘lo’ carezzò, e riprecipitò nel sonno, su me, a pelle d’orso, con ‘lui’ che cercava di nuovo rifugio nel tepore del suo grembo.
^^^
Era circa mezzogiorno quando Mil mi telefonò, a studio.
Desiderava parlarmi.
Prendemmo l’appuntamento: sarei passato a rilevarla, alla fermata della Metrò, fra un’ora. Avremmo fatto colazione insieme, al roof di un Hotel dal quale si domina il panorama della città.
Era all’angolo del marciapiede, elegantissima, nel suo abito sportivo, e con un volto particolarmente luminoso, giovanile.
Mi fermai, aprii lo sportello, salì, mi salutò con un rapido bacio sulla guancia, allacciò la cintura, ci avviammo verso il ristorante.
Veramente affascinante, Mil, soprattutto stuzzicante.
Mi ricordai la fiaba che mi veniva detta, da bambino: il dolce proibito nella vetrina del pasticciere.
Devo confessare che, più che tenerezza, provavo un irresistibile desiderio di ‘possesso’; il selvaggio piacere di afferrarla, penetrarla, con impeto, irruenza, ardore, passione, più intento al mio piacere che non al suo. E l’invasione del mio seme sarebbe stato il sigillo del possesso, la traccia della mia conquista. Poi, soltanto dopo, l’avrei compensata con baci e carezze, mi sarei preoccupato di lei, l’avrei accomunata al mio godimento.
Eccoci al ristorante.
Scendemmo dall’auto, detti le chiavi al ragazzo che ci venne incontro.
Mil era esitante, si era fermata appena entrata nell’hotel. Dovevamo prendere l’ascensore, per raggiungere il ristorante.
La guardai.
Appariva pensosa.
Le poggiai la mano sul braccio.
‘Qualcosa non va, Mil?’
‘Non credi che dovremmo parlare?’
‘Prima ancora del lunch?’
‘Quando vuoi, se lo vuoi.’
Nei suoi occhi c’era qualcosa d’insolito che mi incuriosiva. Sembrava in attesa, più che della mia risposta, di una parola dalla quale dipendeva molto. Tutto.
La scrutai con intensità, stringendole il braccio.
‘Preferisci un posto discreto?’
Annuì, senza parlare. Senza mutare espressione.
Andai alla reception, chiesi una camera.
L’impiegato mi disse il numero, 325, e mi disse che mi avrebbe fatto accompagnare.
Gli risposi che non era necessario, che mi desse la chiave.
L’uomo mi sorrise, e mi porse la scheda magnetica per l’apertura della porta.
Tornai da Mil, che aveva atteso guardando la vetrina di una boutique, nella hall.
‘Vieni?’
Mil guardò la scheda, e mi rivolse un’occhiata che non riuscii a interpretare.
Terzo piano. Corridoio a destra, camera 3-25.
Aprii, la lasciai entrare, entrai anche io, chiusi la porta. Andai a sedere nella poltrona che era accanto al tavolo, nell’angolo, vicino al balcone dal quale si scorgevano le antiche rovine di quello che un tempo era stato uno dei più importanti ‘fori’ della città.
Mi si avvicinò. Di fronte a me, in piedi. Il seno all’altezza del mio volto. Poggiò la borsetta sul tavolo. Restò così, ferma.
Le afferrai i fianchi, l’attrassi a me, nascosi il viso sul suo petto.
Mi carezzò dolcemente i capelli.
‘Sono una vecchia pazza, vero George?’
Io aspiravo il suo profumo, percepivo il suo tepore.
Sbottonai il suo abito, lo aprii, portai lentamente le mani dietro la sua schiena, raggiunsi il fermaglio del reggiseno, lo sganciai. Alzai l’indumento rosa, liberai le due splendide tette e tra esse, morbide e accoglienti, tornai a tuffare il volto. Lei seguitava a carezzarmi.
Era bello stare così. Un seno tondo, e sodo, con piccoli capezzoli vermigli che cominciai a lambire golosamente.
Mil aveva intrecciato le sue dita nei miei capelli. Nervosamente.
Fu allora che mi prese come un raptus.
Mi alzai di colpo, e mentre lei mi guardava, sorpresa, cominciai a spogliarla, frettolosamente, fin quando restò completamente nuda. Era come l’avevo sognata. Splendida.
La presi di peso, andai a deporla sul letto, seduta. Restò così, con gli occhi sgranati che mi fissavano; mi liberai rapidamente da ogni indumento, mi avvicinai a lei, tra le gambe, presi le sue caviglie, le sollevai; lei cadde distesa sul letto. Una mano afferrò il mio glande impaziente e lo avvicinò nel bosco dorato che s’apriva sotto al suo grembo. Entrai in lei di colpo, fino in fondo. La sentii dapprima irrigidirsi, poi la sua vagina si contrasse, strinse il fallo. Cominciai uno stantuffare lungo e impetuoso, al quale rispose il sussultare del suo grembo, il gemito crescente che le sfuggiva tra le labbra. Ma io pensavo a me, a godere, a pompare con frenesia, foga, e non mi fermai neppure quando sentii erompere da me, come colata incandescente, il seme che l’invase. Solo allora mi resi conto che Mil era stata travolta da un orgasmo squassante, e che stava lentamente rilassandosi. Poi sentii ancora le contrazioni della sua vagina, che mi mungevano golosamente, e mi riversai su lei.
Eravamo sudati, spettinati, ansanti.
Le sue labbra erano dischiuse, i suoi occhi dicevano la sua estatica voluttà.
‘George, piccolo mio, sei una potenza della natura, mi hai trasportata in altezze sconosciute. Piccolo caro’ sei stato meraviglioso.’
Ero tentato di dirle tante cose belle, deliziose, di dirle come e quanto mi avesse fatto godere, ma sentivo era solo desiderio di sesso, quello che provavo, desiderio naturale, istintivo. Il mio sesso aveva trovato il naturale complemento e completamento. Eravamo fatti l’uno per l’altro.
Ora, eravamo sul letto, supini. Il respiro stava tornando regolare.
In altra occasione mi sarei attardato in baci, carezze. La mia lingua l’avrebbe lambita a lungo, dovunque; le mie dita sarebbero state indiscrete e curiose esploratrici d’ogni suo recesso, avrei voluto che i miei occhi si beassero della visione di lei, del suo corpo, del suo sesso.
C’era, invece, l’imperiosa e pressante impazienza di entrare di nuovo in lei. Qualche cosa di ferino, selvaggio, primitivo.
Avvicinai le mie labbra al suo orecchio.
‘Sei una magnifica tigre, Mil, splendida’ e voglio averti come se fossi anche io un felino”
Non ebbi bisogno di aggiungere altro.
Mil si mise carponi, la testa alta, lievemente rovesciata indietro, poggiava sulle braccia e sulle ginocchia, il bacino leggermente sollevato. Dilatai un po’ le sue natiche, l’orificio vaginale sembrava pulsare. Bello, rosa’ e come sentì che il glande s’andava intrufolando in lei, Mil, spinse decisamente verso me, e il mio scroto batté deliziosamente alle sue tonde e calde chiappe. Le afferrai le tette, le martoriai, con una mano cercai tra le sue gambe, titillai impazientemente il clitoride che fremeva pazzamente. Una sincronia perfetta, che solo la natura poteva realizzare. E nello stesso istante tornammo a godere voluttuosamente, con il mio sempre maggior impeto che avrebbe voluto penetrarla ancora di più, e la sua ingorda contrazione che sembrava volermelo strappare e conservare in sé!
Poi fu la volta della sua cavalcata, della sua galoppata sfrenata’.. fin quando’ i limiti della natura prevalsero.
La doccia, i sorrisi, i baci.
Il leggero lunch.
Il ritorno alle nostre quotidiane abitudini.
Era stato un capriccio, lo confesso.
Ma ne era valsa la pena.
^^^

Leave a Reply