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Racconti erotici sull'Incesto

Storie di ordinaria follia. Il camper, ovvero sesso selvaggio sull’autostrada del Sole

By 8 Ottobre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Storie di ordinaria follia. Il camper, ovvero sesso selvaggio sull’autostrada del Sole

-Quest’anno mi piacerebbe noleggiare un camper, per le vacanze-, esordì il ‘cornuto’, addentando famelico la bistecca.
La mia, di bistecca, quasi mi andò di traverso, ascoltando l’ennesima trovata che la sua mente aveva partorito, per rovinarmi involontariamente le ferie.
Io e la cagna ci fissammo un attimo, consapevoli delle ferali conseguenze che questa notizia avrebbe comportato.
Niente scuse per venire nella mia camera d’albergo e farsi sbattere per bene, dopo una giornata di palpeggiamenti rubati negli attimi di distrazione di mio padre.
Niente finti mal di testa , architettati dalla ‘signora’ per rientrare prima in camera,chiedendomi di accompagnarla, lasciando l’ignaro ‘cornuto’ in spiaggia a crogiolarsi al sole.
Niente di niente, insomma.
La coabitazione forzata nel camper, e la presenza costante del vecchio, ci avrebbero impedito di ritagliarci quelle mezz’orette di sesso selvaggio e animalesco che hanno sempre reso indimenticabili le nostre vacanze.
E poi io e la cagna amiamo gli agi e le comodità : la prospettiva di dormire in tre su un camper per due settimane,senz’aria condizionata,facendo acrobazie per una doccia,divorati dalle zanzare,non ci allettava per nulla.
-Mah’non so’-,obiettai,-non credo che la vita del camperista , o come cavolo si chiama, faccia per me’
-Ma se non hai mai provato!-,si affrettò a ribattere mio padre, stizzito.- Potresti anche divertirti’
-Davide ha ragione, caro-intervenne mia madre Rebecca , in soccorso mio e della sua micetta affamata, che rischiava di restare quindici giorni senza la verga del sottoscritto.- Preferirei anch’io andare in hotel, come tutti gli altri anni.
Mio padre si intestardì.
-Quest’anno vorrei provare qualcosa di diverso-continuò, accalorandosi.- Molti miei colleghi passano così le loro vacanze, e mi dicono continuamente che ne vale la pena. Si &egrave più liberi, ci si può spostare dove e quando si vuole’voglio provare!
Si interruppe un attimo, scrutando la nostra reazione.
-E poi per tre anni di fila siamo andati dove avete voluto voi-, riprese, alzando la voce,-‘in Grecia, alle Maldive, negli Stati Uniti’
Quest’ultimo argomento fu decisivo, e risolse definitivamente la questione.
Effettivamente, negli ultimi anni, mio padre aveva accettato di buon grado le mete che io e mamma gli avevamo proposto: sarebbe stato impossibile pretendere lo stesso anche questa volta.
Cercammo, timidamente, di convincerlo a lasciar perdere;ma mio padre ormai ne aveva fatto una questione di principio. Impossibile smuoverlo dal suo proposito,gli sarebbe sembrata un’inammissibile mancanza di rispetto.
Per quieto vivere ci rassegnammo al camper,alle zanzare,alla doccia microscopica’e alla probabile astinenza forzata.

Fu così che un mese dopo,in un’assolata mattinata dei primi di luglio,caricammo i bagagli su un camper preso a nolo.
Il mezzo in questione non era propriamente dei più affidabili,perlomeno ad una prima,rapida occhiata. Doveva essere stato spremuto parecchio dai precedenti ‘turisti on the road’: la vernice scrostata qua e là,le gomme lisce e il generale aspetto dimesso non lasciavano presagire niente di buono.
Il ‘cornuto’,taccagno fino al midollo nonostante il suo stipendio di direttore commerciale,aveva cercato di risparmiare l’impossibile,noleggiando quella specie di container su ruote (lisce).
-Ma questo ‘coso’ ce la farà a portarci in Sicilia ?-, obiettai appena lo vidi.
-Certo,certo’-,ribatt&egrave il ‘cornuto’, punto sul portafogli, -‘&egrave un po’ vecchiotto,ma robusto’con questo qui arriviamo anche in Australia!
Guardai la targa,e capii che per lui ‘vecchiotto’ significava almeno vent’anni di onorato servizio sulle strade di mezza Europa.
Mi consolai in parte ammirando mia madre, la mia cagna, la mia dolce e perversa concubina, che stava proprio in quel momento chiudendo a chiave il portoncino di casa,terminati gli ultimi controlli prima della partenza.
Avete presente quegli esemplari femminili della specie ‘homo sapiens sapiens’che , pur prossimi al mezzo secolo, dimostrano vent’anni a trenta metri di distanza, e svelano la loro vera età soltanto mentre vi si avvicinano?
Gli anni sembrano passare rapidi mentre camminano verso di voi,come se il tempo avesse improvvisamente accelerato, scena degna di un film di fantascienza, e quella che da lontano sembrava un’adolescente si rivela essere una superba signora di cinquant’anni.
Questo &egrave l’effetto che mia madre Rebecca produce sugli altri,e anche su di me,nonostante il suo corpo mi appartenga da ormai molti anni.
Nel vederla si prova quasi una sensazione di smarrimento.
Si ammira una donna di una bellezza spettacolare, aristocratica, forse un po’ snob, ma si ha al contempo la sensazione che qualcosa non quadri ,che qualche particolare sia fuori posto,come osservando un dipinto di Magritte.
Poi si comprende.
Questo suo essere senza età, adolescente e matura allo stesso tempo, giovane donna precocemente invecchiata o splendida matrona che un sortilegio ha affrancato dal tempo,lascia interdetti i sensi di chi la guarda, come un sordo che per la prima volta riuscisse ad ascoltare Mozart.
La sua pelle alabastrina, quasi diafana, abbagliava quanto il sole ormai alto di quel mattino estivo.
L’ abbigliamento sbarazzino accentuava la discrepanza anagrafica di cui vi ho parlato poc’anzi.
Un paio di aderenti pantaloncini in jeans, che le arrivavano pochi centimetri sotto l’inguine,fasciava le bianche e morbide cosce,che qualche leggerissima smagliatura rendeva ancor più desiderabili.
Ai piedi portava delle eleganti infradito, che valorizzavano i piedi snelli e curati, ornati da alcuni anelli dorati,mentre una camiciola di seta celeste, annodata alla vita, esaltava il pallido e piatto ventre, i fianchi generosi, la figura armoniosa.
Aveva lasciato i lunghi capelli fulvi liberi sulle spalle,ed un nuovo particolare le rendeva ancor più seducente. Una lunga ciocca di capelli ossigenati le attraversava la chioma in tutta la sua lunghezza,raggio di luce in un mare di fuoco.

Mezz’ora dopo imboccammo l’autostrada, diretti verso le azzurre lontananze della terra di Trinacria (scusatemi se cito Thomas Mann,ma un po’ di cultura ci vuole anche in un racconto per adulti’e che cazzo!).
Mio padre se ne stava alla guida,entusiasta come uno scolaretto il primo giorno di scuola.
Parlava e parlava e non la finiva mai,magnificandoci quella specie di mietitrebbia che chiamava camper,che già in pianura ansimava in modo preoccupante.
Mamma si era sistemata al centro, silenziosa, mentre io avevo accartocciato il mio metro e novantacinque contro la portiera di destra.
A Carpi, dopo una cinquantina di chilometri, già la cagna iniziò a strusciarsi contro di me.
Col piede nudo prese a massaggiarmi delicatamente il polpaccio e la caviglia, mentre la mano destra, nascosta alla vista, mi accarezzava la schiena.
A Sasso Marconi la bramosia la rese più audace. Appoggiò la testa sulla mia spalla e voltò la schiena al ‘cornuto’ ,fingendo di voler riposare: con la mano cominciò invece a giocare con la mia verga , schiacciandola e spremendola piano attraverso il leggero tessuto dei pantaloncini.
L’erezione divenne ben presto rabbiosa, e quando la prima galleria dell’Appennino incalzante mi ricordò la glabra femminilità della ‘signora’,decisi di prendere il toro per le corna.
Fu cosa rapida, avendone un bel paio vicino a me, alla guida.
-Papà, alla prossima piazzola di sosta ti potresti fermare ?Ho sonno’non ho dormito molto stanotte, vorrei andare dietro a riposare’fra un paio d’ore ti do il cambio’-,mentii spudoratamente.
-Ok -,rispose mio padre,-ce n’&egrave una fra un paio di chilometri, quando arriviamo mi fermo.
Strinsi la mano alla cagna, forte da farle male, fissandola con sguardo intenso e cattivo.
Capì, ovviamente, senza bisogno di parole.
-Vado anch’io un po’ dietro,ho mal di testa, voglio sdraiarmi-, disse prontamente al ‘cornuto’,che si rassegnò a trascorrere le ore successive in compagnia della radio.

Quei tre chilometri mi sembrarono tremila. L’erezione dolorosa che sbranava i pantaloncini di cotone non mi dava tregua: fantasticavo di prendere mia madre lì, sul cruscotto, ai centoventi all’ora.
Ci fermammo in una piazzola alberata, immersi nell’aria frizzante e profumata delle prime alture appenniniche. Alcune famigliole stavano consumando un veloce spuntino sull’erba, circondate dai bambini che si rincorrevano tra gli alberi, ridendo forte.
Io e mia madre scendemmo velocemente dalla cabina di guida, impazienti. Alcune persone si voltarono a guardarci. Gli occhi degli uomini fissavano la mia ‘signora’ con cupidigia, come sempre.
Si stavano pappando qualche panino stantìo, preparato probabilmente il giorno prima, avvolto nella stagnola. Se avessero saputo che tra pochi minuti io, invece, mi sarei pappato lo splendido esemplare che stavano spogliando con gli occhi’
A quel pensiero il desiderio, ormai incontenibile, mi morse la bocca dello stomaco, animale impazzito che mi ottenebrava la mente.
Divenni cattivo: volevo rovinare il pic-nic a quei quattro maschietti arrapati.
Quando fummo dietro al camper, nascosti quindi alla vista di mio padre, presi bruscamente la cagna per un braccio, appoggiandola contro la parete di plastica.
Iniziai ad impastarle con foga le calde e morbide natiche, allacciando la bocca alla sua.
Mamma lasciava fare, sottomessa, docile, mia.
Con la coda dell’occhio osservavo le persone vicino a noi, ad una decina di metri: vidi occhi in cui l’incredulità, l’invidia ed il desiderio si mescolavano confusamente.
Somiglio molto a mia madre: stessa struttura fisica , nonostante sia almeno quindici centimetri più alto, stessi lineamenti, stessi occhi.
Si vede lontano un miglio che sono suo figlio, e doveva averlo capito anche il ‘pubblico’ che ci stava osservando, a giudicare dalle bocche spalancate e dagli occhi sbarrati.
Dopo una decina di secondi smisi, troppo rischioso quel numero, anche se particolarmente stimolante, e salimmo finalmente gli scalini che portavano all’interno del camper.
Il ‘cornuto’ ripartì subito, appena chiudemmo la porta di quell’alcova improvvisata. Presi lo stereo e misi qualcosa di forte, per darmi ulteriormente la carica.
‘Back in black’ poteva andare. Brian Johnson cominciò subito a vomitare la sua voce impastata e avvinazzata: il sottofondo perfetto per una bella cavalcata, dura e cattiva come piacciono a me.
Mi avvicinai alla cagna.
-Spogliami-, le mormorai.
Tolse lentamente la polo e mi sfilò i pantaloncini di cotone.
Prese quindi a leccarmi delicatamente i capezzoli, con studiata lentezza, scendendo poi lungo il ventre. Addentò gli slip e li trascinò a terra.
Risalì con la lingua lungo le mie gambe; così piano che fui tentato di strattonarla per i capelli, affinché si dedicasse alla verga impaziente.
Aspettai, invece, assaporando ogni istante di quella dolce tortura.
Arrivò finalmente ai testicoli ed iniziò a stuzzicarli, per poi ingoiarli alternativamente, succhiandoli con maestria.
-Ciucciamelo’dai’cagna’-, le ordinai, ad occhi chiusi.
Ingoiò l’asta – tesa e paonazza allo spasimo, quasi dolorante- senza dir nulla: sorrideva docile, la sgualdrina, mentre lavorava il membro con arte collaudata.
Dai testicoli, sentivo il piercing sulla sua linguetta infernale percorrere tutta la verga, per poi soffermarsi sul glande violaceo e tornare indietro.
La presi con crudeltà per i capelli e, bloccandole la testa, iniziai a penetrarla in gola, con profondi movimenti di bacino. Il membro affondava completamente in quella calda ed umida fornace, stuzzicandole il palato. Dopo qualche minuto, con la mano sinistra, le tappai il naso, prendendo a pomparla con foga sempre più intensa, incurante dei gemiti che quasi coprivano il suono dello stereo e del motore.
Passò almeno un minuto, nel quale cercava di respirare come meglio poteva dalla bocca. Ad un tratto, una lunga bava viscida di vomito e saliva le sgorgò dalla bocca, mentre altri devastanti singulti la scuotevano.
Questo, assieme al colorito cianotico del volto, mi impietosì, facendomi smettere il trattamento.
La cagna tossicchiava piano, respirando rumorosamente, mentre altri maleodoranti e lucidi filamenti, che cercava inutilmente di trattenere, cadevano sul pavimento.
Si forbì la bocca con una mano, gli occhi da pazza fissi su di me, seria in volto.
-Sei proprio una troietta,- mormorai,-non ti piace il cazzo del tuo bambino?
-Mmh’- miagolò lei , sorridendomi, mentre spalancava oscenamente la bocca roteando la lingua.
La presi per il collo, stringendo forte, e la feci alzare, gettandola poi sul lettino.
Le strappai i vestiti , il reggiseno e gli slip, con la rabbia e l’ingordigia di uno stupratore.
Quando fu nuda davanti a me, bianca , morbida e desiderabile come solo una madre può essere,la bramosia divenne dolorosa, devastandomi il cervello come una droga dalla quale mai mi sarei liberato.
Lei capì che quel giorno non ci sarebbero stati preliminari: il suo giovane amante trepidava, impaziente di saziarsi al desco proibito.
Puntai l’asta all’ingresso della bollente femminilità materna, dalle carnose labbra già dischiuse, titillando i tre piccoli anellini che la custodivano gelosamente.
Poi, con un affondo rabbioso, entrai completamente in lei.
-Ahh’o santo’-, gridò la cagna, devastata in profondità.
Iniziai a cavalcarla con furia, la verga instancabile che esplorava le sue pieghe più celate.
-Ugghh..lo senti,vero’cagna’il cazzo del tuo bambino’piantato dentro, fino in fondo’-, grugnii.
-Oh sììì’scopami tesoro’aaahhh’me lo sento nello stomaco’scopala così, la tua cagna!- balbettava lei, accesa in volto, già madida di sudore, accompagnando i miei possenti affondi.
La verga menava fendenti terribili, che le squassavano il ventre.
Latrava, la cagna, gemeva e si dimenava. Spalancava la bocca, immersa nel godimento, mugugnando mezze frasi senza senso, ingiurie, oscenità, quasi stesse parlando nel sonno.
Presi a succhiare i seni maestosi che mi tremolavano davanti. L’innocente poppata si trasformò ben presto in un’attenzione più dolorosa.
Cominciai col mordicchiarle il capezzolo sinistro, vicino al quale occhieggiava impotente il piccolo scorpione tatuato.
Passai quindi al destro, prendendo tra gli incisivi l’anellino di brillanti che l’adornava.
Cominciai a strattonarlo sempre più forte, continuando a scoparla furiosamente.
Ad un tratto lo tirai con forza verso di me, con un deciso movimento del collo, così violentemente che il capezzolo violaceo parve staccarsi dalla tenera carne della mammella, tesa come un cima.
I gemiti di piacere della cagna trascolorarono ben presto in urla di dolore, animale immolato sull’altare del piacere filiale.
-Taci, lurida puttana!-, ringhiai, rifilandole una sberla che la tramortì.- Taci o smetto di scoparti’lo sai cosa mi piace!
-Oh no amore! Non smettere, scusami’fammi quello che vuoi, ma scopami’-, singhiozzava mia madre, il ventre ed il seno in fiamme, timorosa di perdere la verga che, nonostante il dolore, la conduceva all’ estasi.
La possedetti in quel modo animalesco, giocando crudelmente con le sue sensibili mammelle, per almeno dieci minuti, ignorando i lamenti ed i gemiti che cercava inutilmente di reprimere, per non suscitare la mia ira.
Pensai al ‘cornuto’, che a qualche metro da noi, ignaro, guidava ascoltando la radio. La mia eccitazione aumentò.
Mi arrestai improvvisamente, sentendo il piacere farsi incontrollabile.
La cagna mi fissava, gli occhi lucidi, studiando le prossime mosse.
-Mi fai morire, puttanella’-, mormorai, massaggiandole lo stomaco.- Mi stavi già facendo venire. Ma non può mica finire qui!
La ‘signora’ mi sorrise, musa della voluttà più perversa.
-Ti scopo fino ad ammazzarti-, le sussurrai,- ci penso io, a te’
Misi un paio di cuscini sotto le sue natiche, in modo che il bacino si sollevasse di una ventina di centimetri.
Mi alzai e, aperto il piccolo frigo, vi rovistai rabbiosamente, le mani tremanti, cavandone infine un panetto di burro.
Lo scartai, convulsamente, macerato dal desiderio. Ne presi una piccola noce tra le dita, che spalmai sulla verga affamata, bollente: mancava poco che iniziasse a sfrigolare’
Ritornai dalla cagna, barcollando sul camper in movimento, ed iniziai a spalmare di burro il suo delizioso e roseo sfintere, entrandovi piano con l’indice, per lubrificarlo in profondità. Mamma spalancò le cosce, senza dir nulla, lo sguardo docile e sottomesso che studiava i miei movimenti, comprendendo le mie intenzioni.
-Adesso ti lavoro il culo, sgualdrina-, sibilai, e iniziai ad immergermi lentamente nel torrido budello.
L’asta entrò con relativa facilità, scivolando sul burro: sentivo le calde pareti dell’intestino materno stringerla in un famelico abbraccio.
Mamma respirava rumorosamente, stringendo i denti come una partoriente, mentre le scavavo le viscere. Penetrai completamente nel proibito pertugio, i testicoli che accarezzavano le pallide natiche della ‘signora’.
-E’ in fondo’&egrave tutto dentro’-, balbettai inebetito dal piacere, più a me stesso che a lei,- voglio morire così’in fondo’in paradiso’all’inferno’
-Sì amore, prendimi così-, uggiolava la cagna, stringendomi i fianchi tra le gambe.
Presi a muovermi in lei senza frenesia, estraendo il membro quasi completamente, lucido di umori, per poi rituffarlo con impeto nell’ardente tana.
Gli affondi si fecero via via più profondi e rapidi : i grugniti ed i gemiti di mia madre coprirono ben presto le schitarrate degli AC/DC, che continuavano a sbraitare allo stereo.
Le tenere carni di mamma si lacerarono progressivamente, accogliendo con sempre maggiore facilità l’asta rabbiosa che le martellava senza tregua. La verga si ricoprì ben presto di un sottile velo di sangue ed escrementi, che permetteva una penetrazione sempre più dura ed intensa.
Il tempo passava inavvertito, unica entità che poteva porre fine al godimento: a quell’ora, per quanto ne sapevo, potevamo già essere all’altezza di Roma’o sulle rive dello Stige. Non m’importava.
Quando lo sfintere della cagna si arrese definitivamente al mio scettro pulsante, che lo perforava ormai con disarmante facilità, decisi anch’io di arrendermi all’orgasmo che mi bruciava i testicoli.
Mi ritrassi bruscamente, sentendo sopraggiungere il seme indomabile, impugnando con decisione la verga.
Mamma spalancò la bocca, pronta a dissetarsi alla mia fonte.
La sorpresi, cambiando il finale, improvvisando, con la mente affinata dal piacere incipiente.
Eruttai un’abbondante cascata di nettare sui seni, dove il bianco lattiginoso e i lividi purpurei si mescolavano, stimmate della nostra selvaggia unione. Il seme iniziò a colarle lungo il petto e lo stomaco, raccogliendosi nell’incavo dell’ombelico, lussurioso laghetto ghiacciato.
-Non muoverti, o ti pesto a sangue!-, ruggii.
Barcollai verso il lavandino, mentre il camper, in leggera salita, affrontava qualche curva.
Presi un cucchiaio e mi fiondai nuovamente sulla cagna in attesa.
Raccolsi con lentezza esasperante lo sperma che le si era accumulato sul ventre, risalendo lungo lo stomaco ed il petto lucidi del mio amore. Quando il cucchiaio fu ben pieno di una tremolante massa biancastra, lo avvicinai alla bocca di mia madre, che l’aveva già aperta mostrandomi la lingua violacea.
Lasciai colare il viscido nettare sulla sua lingua.
-Lavoratela in po’!-, le ordinai, mentre con l’indice distribuivo il seme in tutta la sua bocca.
La cagna se ne sciacquò lungamente la gola, gli occhi felini che mi sorridevano, per poi inghiottire tutto rumorosamente, assetata, ad un mio cenno.
Mi tolse il cucchiaio dalle mani ed iniziò a leccarlo con avidità, occhieggiando maliziosa.
‘Visto che non &egrave ancora stufa”, pensai.
Le presi violentemente una guancia tra le dita, facendola inginocchiare per terra.
-Vai al cesso, cagna’a quattro zampe!-, le sussurrai in malo modo all’orecchio. Mamma si mise carponi e vi si diresse, senza aprir bocca.
La seguii e mi piazzai davanti alla tazza. Dovevo sorreggermi alle pareti, per mantenere l’equilibrio, perché il camper stava sbuffando su un tratto in salita, disseminato di curve.
-Fammi pisciare!-, ringhiai alla mia dolce schiava.
Mamma, restando inginocchiata sul duro pavimento, prese la verga ormai doma tra l’indice e il pollice, puntandola verso il centro del water.
Un potente getto di liberatoria orina mi riconciliò col mondo, mentre, ad occhi chiusi, me ne stavo appoggiato alla parete.
Iniziai volontariamente a roteare il bacino: copiosi getti di liquido giallastro caddero sulla tavoletta di plastica e sul pavimento. La cagna taceva.
-Puliscimelo-, ordinai quando ebbi terminato.
Mia madre, ovviamente, non fu sfiorata dall’idea di usare della carta.
Si avvicinò, strisciando le ginocchia arrossate, e prese a pulire l’asta con la sua morbida linguetta.
-Anche il cesso’e per terra, sguattera!-, sibilai,- dove ho sporcato!
La cagna mi fissò un attimo, ma non osò ribellarsi: era troppo vicina alla sola verga che riuscisse a placare il suo grembo.
Si chinò ed iniziò a leccare il nudo pavimento, per poi passare, dopo qualche minuto, alla tavoletta, che ritornò ben presto intonsa.
La guardavo, mia madre, succube dei miei desideri più sfrenati, delle mie voglie più inconfessabili.
E il vederla ridotta così, strumento di piacere tra le mie mani, calmò la sete che mi incendiava l’anima. Almeno per quel giorno’

Quando il camper iniziò a rallentare e, accostando sulla destra, si fermò del tutto, io e la ‘signora’ ce ne stavamo teneramente abbracciati sul divanetto.
Ci baciavamo piano, intensamente, mentre esploravo i suoi morbidi seni, nuovamente imprigionati nella camicetta celeste.
Sentii la portiera aprirsi e il ‘cornuto’ ciabattare verso la porta, fischiettando.
Mi staccai a malincuore dalla mia cagna: gli amanti tornarono ad essere madre e figlio.
-Dammi un po’ il cambio, guida tu’sono a pezzi!-, biascicò mio padre, appena ebbe aperto la porta.
-Dove siamo?,- chiesi, ignorandolo del tutto dopo quella piacevole prigionia.
-Appena dopo Firenze, più o meno’-, rispose, buttandosi sul lettino.
-Vado anch’io davanti,- si affrettò a dire la cagna,- voglio guardarmi un po’ attorno, sono stanca di stare chiusa qua dentro.
-Va beh’come vuoi’-, rispose il vecchio, sbadigliando.- A proposito, che ve ne sembra delle ferie in camper, finora?
Io e mia madre ci sorridemmo complici, abbracciandoci scherzosamente.
-Forse avevi ragione tu-, risposi prontamente.- Credo proprio che ci sarà da divertirsi parecchio. Noi due, perlomeno, abbiamo già iniziato’

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