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Racconti erotici sull'Incesto

Titty

By 6 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Non &egrave semplice esprimere certe sensazioni, comprendere certe situazioni, credere nel succedersi di avvenimenti. Spesso la realtà supera la fantasia, gli eventi possono apparire romanzeschi, creati dall’immaginazione. Accade anche che ci costruiamo un episodio, nella mente, come avremmo voluto che si fosse svolto, e finiamo col crederci. Quello che era solo un wishful thinking, un pio desiderio, si trasforma in ricordo concreto. E finiamo perfino col raccontarlo, oltre che riviverlo, addirittura soffrendo.
Questo, però, &egrave accaduto proprio così.
Dovevo tornare nel profondo sud, dove avevo trasferito anche la famiglia essendo la mia nuova, anche se temporanea, sede di lavoro. La caterva di documenti che dovevano essere trasportati al meridione, aveva occupato quasi tutto l’autocarro sul quale erano stati caricati. Carte d’una certa importanza e riservatezza, per cui mi era stato chiesto di accompagnarli di persona.
‘Truck’ americano, guidato da un driver inglese, il caporale Rosler, il bravo Jim.
Ero a cena in casa dei suoceri e, appunto, dissi del lunghissimo viaggio che attendeva il camion. Strade dissestate, paesi devastati e molti ancora con le macerie fumanti. Traffico caotico, e non ci sarebbe stata alcuna precedenza sui lunghi convogli che si dirigevano verso nord, dove ancora si combatteva.
Dovevo ripartire l’indomani, ma loro non avevano capito, come fu chiaro dal seguito della conversazione, che io avrei accompagnato quei documenti. Avevano preparato un pacco, con qualcosa per il piccolo Dino, di appena un anno, il nipotino.
Mario, mio sucero, era un tipo simpatico, bonario, e sentiva molto la lontananza della sua primogenita. Mi chiese se, una volta partito l’autocarro, io sarei tornato in aereo, partendo, logicamente, da Centocelle.
Gli dissi che mi attendeva strada e strada.
Mario e Rosa si guardarono. Poi lui si schiarì la gola.
‘Scusa, Piero, ma se vai con un automezzo, non potrebbe venire con te la ‘piccola’, così farebbe un po’ di compagnia alla sorella, anche in considerazione delle tue frequenti assenze per servizio?’
La loro seconda figlia, sedicenne, era la ‘piccola’.
‘E’ un autocarro.’
‘Se non c’&egrave posto in cabina potrebbe arrangiarsi dietro. Ci sarà un angolino.’
‘Piccola’ guardava i genitori, guardava me, e non comprendevo se avesse gradito o meno quel non comodo viaggio, anche perché il suo ritorno a Roma sarebbe stato problematico, in quel periodo.
Fui io a porle la domanda.
‘Tu cosa ne pensi?’
Il suo grazioso visetto si illuminò.
‘A me farebbe piacere.’
E fu così che l’indomani,con l’ansimante 3tons mi fermai a prendere la ‘piccola’.
Davanti c’era posto: Jim alla guida, io, e poi ‘Piccola’.
Partimmo.
Non fu molto facile neppure uscire dalla città. Il traffico era disordinato, vorticoso. Avevamo anche esaminato, con Jim, l’opportunità di seguire l’Appia o la Casilina. Preferimmo quest’ultima, anche dovendo attraversare zone colpite dai combattimenti.
Faceva abbastanza caldo, fin dalle prime ore del mattino. Regolammo i finestrini in modo che si creasse una soddisfacente circolazione d’aria, senza, però, che ci colpisse direttamente.
‘Piccola’ aveva una gonna di leggerissimo fresco-lana, e una blusetta celeste, di quello che veniva definito ‘cotone ingualcibile’. Maniche corte, con qualche trasparenza, abbottonata davanti.
Procedevamo lentamente, con un lieve dondolio, evidentemente ‘Piccola’ aveva dormito poco, forse in tensione per la partenza, ogni tanto chiudeva gli occhi, chinava la testa. Passandole un braccio dietro, l’avvicinai a me. Poggiò il capo sulla mia spalla. Era veramente graziosa, e si assopì subito.
La mia mano, sotto la sua ascella, sentì il tepore di quel corpo giovane e ancora in acerbo, si mosse istintivamente in una lieve carezza, incontrò il rigonfiamento dell’inizio del seno, si inoltrò, curiosa. Un piccolo seno, ancora in sviluppo. Una tettina. Ecco, lei era Titty, ‘tettina’. Che bella, un bocciolo che sarebbe certamente fiorito, meravigliosamente. E che dolcezza quel minuscolo capezzolino che, però, s’era rizzato non appena sfiorato. La guardai. Certamente dormiva, il respiro era profondo e regolare. Era la natura che reagiva con spontaneità. Anche nel sonno.
Mi piaceva carezzarla così, e mi dava una eccitazione che mi pervadeva incantevolmente. Mi accorsi che stavo cullandola lentamente, aiutato dal movimento dell’autocarro.
Seguitavo ad accarezzarla, a stringere appena quella piccola fragola tra le dita. Si mosse un po’, ma non si svegliò.
Erano trascorse più di tre ore dal momento della partenza, e non ancora eravamo giunti a Cassino. Ci volevano altri venti chilometri. Data l’ora, dissi a Jim che ci saremmo potuti fermare al ‘rest-camp’ subito dopo i resti di quella città, avremmo preso qualcosa alla ‘canteen’ e ci saremmo dati una rinfrescata.
Lei si mosse un po’, svegliandosi, fui pronto a ritirare la insistente mano. Si drizzò sul busto, mi guardò, sorrise.
‘Scusa, Piero, mi sono addormentata’ ho dormito male’ sono stanca”
Profittai per carezzarle il volto.
‘Hai fatto bene’ hai bisogno di qualcosa? ‘. Il bagno?’
‘No, grazie. Dove siamo?’
‘Fra poco attraverseremo Cassino e poi ci fermeremo, anche per mangiare qualcosa. Tutto bene’ Titty?’
‘Bene, grazie, ma perché mi chiami Titty?… Ah, capisco’ ‘&egrave la Titt’ come una passeretta” mi tratti come una bambina, come la Tittì di Carducci”
Quell’accenno alla ‘passeretta’ venne immediatamente accomunato, nel pensiero, a ciò che in Toscana si indica col termine ‘passera’. Proprio così, Titty era una ‘passeretta’, una gran bella e promettente ‘passeretta’. Era una che, come si diceva goliardicamente, fra qualche tempo’ era già ‘bbbona’ subito!
Qualcosa, nei miei pantaloni, si dichiarò d’accordo.
Comunque, dovevo rispondere.
‘Ma tu, cara, sei una ‘passeretta’, ancora non hai spiccato il volo dal nido, almeno credo, e per me sei la piccola Titty (non le dissi la derivazione da ‘tit’)’ ti dispiace?’
‘No, figurati, a me piace essere vezzeggiata, coccolata,’ accarezzata”
Mi sembrò che avesse avuto un attimo di esitazione e che avesse dato una particolare inflessione ad ‘accarezzata’. O era solo la mia fantasia.
Profittando dell’atmosfera che s’era instaurata, l’abbracciai e nel contempo mi volsi a Jim, ovviamente in inglese, chiedendogli se non fosse anche lui d’accordo a considerare Titty un passerotto, a young sparrow. Mi rispose che, con tutto il rispetto, lui più che un uccello vedeva nella ragazza un nido molto attraente, a very alluring nest! Non sbagliava. E concluse con ‘good luck Sir’, buona fortuna!
Titty seguiva la breve conversazione con aria attenta, ma sapevo che non conosceva una parola di Inglese.
Eccoci al ‘rest-camp’.
Jim parcheggiò, si assicurò che tutto fosse in ordine, ci avviammo verso la porta dov’era scritto ‘lavatory’. Diverse porte con ‘M’, una sola con ‘W’. La indicai a Titty, vi entrò, ma uscì subito.
‘Piero, non si chiude, per favore non andartene, non far entrare nessuno”
Rimasi’ di guardia’ sentii il getto della ‘pipì’ e fu naturale che pensassi alla nudità di Titty’ Poi lo sciacquone, l’acqua del lavandino, il fruscio della carta e, finalmente, uscì, un po’ rossa in volto, ma sorridente.
‘Scusa, Piero, ma”
‘Niente, niente. Va verso la porta dov’&egrave scritto ‘Canteen’, aspettaci lì davanti.’
Fu la mia volta di entrare nella porta con ‘M’.
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Avevamo preso più o meno le stesse cose, ed eravamo andati a sedere in un tavolo in angolo.
Tutti in uniforme, uomini e donne, soprattutto americane. Queste ultime avevano sul braccio la WAC dorata. Women’s Army Corps. Titty era l’unica in abiti borghesi ed era osservata con curiosità. Anche io, ovviamente, ero in divisa, in ‘battle-dress’ e solo la ILO che sovrastava il piccolo tricolore, quasi all’altezza della spalla, indicava il mio essere un Italian Liaison Officer.
Roast-beef, vegetables, fruit-cake, pale-ale (che Titty gradì moltissimo) e quindi ritorno sul truck, e ripresa della strada, sempre con esasperante lentezza.
Il percorso era ancora molto lungo, certamente non saremmo giunti in serata.
Erano le tre del pomeriggio quando dovemmo fermarci, a Caianello, per far passare una lunga colonna di mezzi militari. Ne profittammo per bere qualcosa, per andare al bagno (sporchissimo!) della stazione.
Avevamo percorso poco più di 160 chilometri, ce ne attendevano altri 300!
Quando riuscimmo a ripartire, Titty poggiò la testa sul finestrino, ma gli sbalzi gliela facevano battere. Mi guardò alzando le spalle.
‘Vieni qui, Titty, poggiati sulla mia spalla.’
E tornai ad abbracciarla.
Non dormiva ancora, certamente, ma era difficile far restare immobile la mia mano. Scesi lungo il fianco, sull’anca, e l’avvicinai a me. Da lì alla natica c’&egrave pochissima distanza. Una natica tonda, soda, e mi sembrò che si contraesse alla mia carezza. Sì, si contraeva, e lei si poggiò a me, con l’altra parte del suo delizioso culetto.
Forse si assopì, ma non riuscii a rinunciare a sentire la consistenza della sua coscia, sia pure sopra la gonna. Da quel che potevo giudicare era lunga, snella, divinamente disegnata.
Lente e lunghe carezze, poi risalii pian piano alla tettina, sotto l’ascella. Alzò appena il braccio per facilitare l’infilarsi, della mano, e quando tornai a carezzarla, a stringere il capezzolino tra le dita, mi sembrò che si sistemasse meglio vicino a me.
Titty’ la passeretta’
Si era molto giovane, ma ‘lui’ stava scoppiando, avrebbe certamente fatto felice qualche assatanata WAC, che consideravano un vero e proprio bocconcino, a titbit, un ufficiale italiano, tanto che noi le chiamavamo VAC, con la ‘c’ dura, come vacca!
A parte ogni considerazione, ero certo che Titty, per usare una frase evangelica, ‘non conosceva uomo’!
Impiegammo oltre tre ore per raggiungere Benevento. Ancora duecento chilometri per la destinazione. Le sette di sera.
Poco oltre sapevo che c’era un attrezzato posto di ristoro con annesso alloggio, sia per la truppa che per gli ufficiali. Una vera e propria ‘military-guest-house’, affidata al AA, Army Aid.
Ancora pochi chilometri, mentre il sole andava calando.
Dissi a Titty che avremmo pernottato lì, e saremmo ripartiti l’indomani, abbastanza presto.
Jim avrebbe fatto il pieno al Petrol Point, avrebbe controllato tutto ed avrebbe affidato il truck alla MP, Military Police, dato il carico.
Entrammo nel recinto, andai al check-desk, accolto dallo splendido sorriso della graziosa ‘caporale’ e da un cartello che mi diceva di ‘considerarmi a casa’. Mostrai i documenti, dissi che con me c’era Jim e una signorina italiana.
Meg Roll, così diceva il ‘badge’, mi rispose che non c’era nessun problema per Jim, né per me, che potevo andare nell’alloggio ufficiali, in una camera molto comfortable, ma’ ma’ se non s’era un permesso particolare per la signorina’ e guardandomi significativamente aggiunse che avrei dovuto to get by for the night, arrangiarmi per la notte.
‘Questa &egrave la chiave della sua camera signore, pian terreno, numero 22, sul retro dell’edificio, con balcone!’
Mi strizzò l’occhio.
Sapevo di aver lasciato Titty e Jim in attesa, nell’autocarro, ma andai ad accertarmi che nella camera tutto fosse in regola.
Locale abbastanza vasto, con mobili discreti, ma non due lettini, sebbene un large single bed, un letto alla francese, ad una piazza e mezzo. E nemmeno una comoda poltrona, solo sedie. Nel vano adiacente una doccia, e perfino sapone e asciugamani. Aprii il balcone, lasciai le ante accostate. Tornai al truck.
Dissi a Jim che tutto era OK, presi la mia sacca da viaggio e Titty mi chiese di tirare già anche la sua valigia piccola, dove aveva qualcosa che le serviva.
Jim condusse l’autocarro al parking vigilato e ci demmo appuntamento per la cena, verso le otto e mezzo. Lui sarebbe andato nell’ala riservata agli NCO, non-commissioned officers.
Presi Titty sottobraccio, con l’altra mano portavo sacca e valigetta, e mi avviai al retro dell’edificio, raggiungemmo il balcone semiaperto, la feci entrare nella camera.
Titty si guardò attorno e poi guardò me.
‘E’ l’unica camera libera, Titty. Adesso vediamo come sistemarci.’
‘Io potrei dormire sul sedile dell’auto.’
‘Non dire sciocchezze, potrei andarci io ma &egrave proibito. Adesso vediamo se c’&egrave una branda, o magari un materasso per mettere a terra. Tu datti una rinfrescata, io vado a parlare con la ragazza del desk.’
‘Io chiudo balcone e porta, quando torni, per favore, bussa.’
‘OK.’
Andai al desk, ma non c’era nulla da fare, niente, né branda, né materasso.
La ragazza mi guardò in un certo modo.
‘Se non le piace la sistemazione, signore, posso farle vedere la mia camera, la condivido con una collega, ma questo non &egrave un ostacolo. Noi condividiamo tutto!’
Le sorrisi e tornai verso la camera 22.
Bussai piano. Attesi un po’.
‘Piero, sei tu?’
‘Si.’
La chiave girò nella toppa e la porta si socchiuse. Titty era avvolta in un asciugamano da bagno e tornò subito nella doccia. Io andai a sedere su una delle due sedie.
Certo che una soluzione si doveva trovare.
Titty non ci mise molto a tornare, vestita come prima, e venne a sedere di fronte a me, sull’altra sedia.
‘Allora, Piero?’
‘Niente da fare, dobbiamo arrangiarci qui. Io mi sistemerò alla meglio su queste sedie.’
Titty guardò il lettone.
‘Potremmo sdraiarci vestiti su quel letto, &egrave abbastanza grande, non credo che ci daremo fastidio. No?’
‘L’idea &egrave ottima, Titty, ma tu permetterai che io tolga qualcosa della divisa, &egrave pesante, e fa caldo.’
‘Ma certo, lo dicevo così, per dire.’
‘Adesso vado io alla doccia.’
‘Ti aspetto.’
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Disordine totale, nella mia mente, confusione, tumulto. Conflitto tra istinto e ragione; illusione e realtà; bene e male. E il nocciolo era qui: cosa &egrave bene e cosa &egrave male?
Titty mi attirava sessualmente, mi infiammava fino al tormento, con veemenza, ma nello stesso tempo mi ispirava un dolce senso di tenerezza. Le carezze che avevano scoperto il suo corpo ancora acerbo erano state deliziose, e desideravo ripeterle, ancora’ ma quello stesso corpicino mi eccitava tremendamente e io la volevo! Volevo possederla, sentirla mia, completamente.
Dopo la cena, Jim era andato a NCO Club, noi passeggiavamo nel buio, poco distanti dall’edificio principale, in uno stretto viale, con alberi e siepi. Lontano, sul nastro asfaltato e dissestato, le luci degli automezzi che salivano, incessantemente, verso settentrione.
Era vicina a me, le avevo messo il braccio sulle spalle, quasi abbracciata.
Capivo perché la chiamavano la ‘Piccola’, ma non era più una bambina, e non ancora una donna.
Camminavamo in silenzio. Chissà cosa passava per quella graziosa testolina.
C’era una panca di pietra. Sedemmo. La strinsi ancora di più.
‘Certo che preferiresti stare qui col tuo ragazzo.’
Alzò il visetto verso me, mi guardò con aria semplice, fresca.
‘Ma io non ho un ragazzo, Piero. Non ne ho mai avuto uno!’
‘E’ difficile crederci, sei così bella?’
‘Grazie, ma’ non so come spiegarmi’ e mi sento a disagio’ ma non gradisco quelle che i ragazzi chiamano ‘attenzioni’, quel loro voler toccare’ ad ogni costo.’
Tolsi il braccio dalla sua spalla, mi allontanai un po’.
‘Scusa, Titty”
Lei prese la mia mano e la ripose sulla sua spalla si riavvicinò a me.
‘Ma no, Piero, non lo dicevo per te’ vedi com’&egrave difficile parlare di queste cose. Meno male che &egrave buio, credo di essere rossa come un peperone”
Le presi il volto tra le mani e la guardai fisso.
‘Un colore splendido, incantevole’ e’ non dirmi che nessuno ha mai baciato queste labbra così belle”
Scosse il capo, ma mi guardava negli occhi.
Tornai ad abbracciarla, a cullarla dolcemente.
Ecco, questo era il lato tenero, dolce, romantico’
‘Vieni, Piccola”
Le tesi la mano e la faci sedere sulle mie ginocchia, per cullarla meglio, e carezzarle i capelli.
Si rannicchiò come una gattina che fa le fusa sotto le carezze. E la mano tornò, più realisticamente, alle tettine, ai capezzolini. Sentivo che il suo culetto si contraeva e la mia patta non restava insensibile.
Le baciai gli occhi, la fronte, scesi a lambirle le labbra, che pulsarono, ma non si dischiusero. Era bello così, ma quanto eccitante!
‘Piccola Titty, passerottina”
Ecco, mi era scappata quella parola che ricordava’ e per correlazione la mano scese sul suo grembo, si soffermò dove le gambe si riunivano, e mi sembrò percepire, pur attraverso la stoffa, il piccolo prato che nascondeva l’oggetto del mio struggimento, del mio desiderio ardente.
Il movimento delle sue piccole natiche mi faceva impazzire, fino al punto che temevo non poter trattenere la conclusione della mia voluttà.
Fu lei a richiamarmi in un certo senso alla ragione.
‘A che ora partiremo domani?’
‘Abbastanza presto’ forse &egrave meglio andare a riposare”
Si alzò lentamente, le detti la mano, ci avviammo verso il balcone.
Entrammo, accendemmo la luce.
‘Incredibile, Piero, mi sembra vivere quanto letto in un racconto, ‘Night Bus’ di Samuel Hopkins Adams, quello da cui &egrave stato tratto, anni fa, il film ‘Accadde una notte’. Solo che io non sono Plaudette Colbert, il motivo del viaggio &egrave diverso, e il nostro ‘bus’ &egrave un autocarro dell’esercito inglese’ Buffo, no?’
‘Né io sono Clark Cable’ tra l’altro, qui non c’&egrave modo per stendere una coperta tra i letti e, del resto, non credo che ce ne sia bisogno. Mi sembra che di spazio’.’
Titty alzò le spalle.
Era ferma, pensosa, di fronte alla lunga camicia da notte che aveva messo sulla sedia.
Ero alle sue spalle.
‘Che dici, Titty, se vado al bagno? Io indosserò il pigiama, e non credo che potremo lasciare aperte le persiane del balcone, altrimenti le zanzare”
Annuì, senza parlare.
Andai nel bagno per prepararmi per la notte, dopo poco tornai in camera, in pigiama, mi avvicinai al letto, mi distesi avendo cura di mettermi sulla sponda, per lasciare libero il più spazio possibile.
Titty, con la camicia stretta sul petto, guardò attentamente come mi ero sistemato. Aveva le labbra serrate.
‘Vado io, Piero’ tu spegni la luce’ contro le zanzare”
Spensi la luce, la camera cadde nella penombra consentita dalla luna che filtrava attraverso le persiane.
I soliti rumori del bagno. La porta si riaprì, per un attimo Titty fu avvolta da un raggio di luce, la spense, a tastoni venne sul letto, e si rannicchiò sull’altra sponda, su un fianco, volgendo la schiena a me. Ne intravedevo la sagoma.
‘Buona notte, Titty.’
Allungai la mano, la toccai.
‘Buona notte, Piero.’
Mi strinse la mano. Ritirò lentamente la sua, come carezzandomi.
Rimasi con gli occhi aperti, fissi su di lei, sull’evidenza della curva del fianco, giù, fino ai piedi che uscivano dalla camicia da notte.
Mi venne in mente di alzarmi, uscire dal balcone, prendere aria. Ma certamente le avrei dato fastidio. Meglio restare lì.
Era un supplizio. Sentivo il suo profumo. Profumo di giovinezza, di vita. E mi sembrava anche che giungesse a me il tepore del suo corpo. Ma era fantasia. C’era caldo in camera.
Quel tepore, quel delicato effluvio che percepivo mi penetrava nel cervello, m’invadeva, si ripercuoteva in tutto me stesso, e soprattutto nel mio sesso, eccitato fino allo spasimo.
Tesi l’orecchio, il respiro era lungo, regolare, abbastanza profondo. Forse dormiva.
La mia mano fremeva, formicolava, ricordando le carezze a quelle belle tettine; le dita stringevano l’aria, ma ancora sentivano i piccoli capezzoli che si inturgidivano. Ero voltato verso lei. Allungai il braccio, cautamente, senza farlo strusciare sul lenzuolo.
Ecco, la mano, aperta, sfiorava il fianco si posava, senza pesare, sulla natica.
Meglio alzarmi, non potevo seguitare in quel modo.
Tentando di alzarmi, la mano si poggio abbastanza decisamente su lei. Non si mosse. Carezzai, con determinatezza, palpai, risolutamente. Sentii il solco che divideva i glutei. E lei era immobile, il respiro non s’era modificato.
Deglutii a fatica.
Ma come potevo alzarmi, allontanarmi da questa irresistibile lusinga.
Non so quanto tempo impiegai per strisciare lentamente, micron a micron, verso lei e intanto arzigogolavo una scusa nel caso che lei si fosse svegliata, mi avesse chiesto cosa stessi facendo.
Ero dietro di lei, a un centimetro di distanza’ meno’ il mio corpo toccava il suo, quel personalino meraviglioso, quel fiore in piena fioritura.
Feci in modo che il suo culetto poggiasse sulle mie gambe, e non potei evitare (non volli evitare) che il gonfiore prepotente della patta andasse a porsi proprio li, dove i glutei si univano.
Gran confusione nella testa, perplessità.
Dovevo fermarmi. Lo capivo, ma era così bello stringerla un po’ a me. La mano cercò la sua tettina, l’accolse nel palmo. Restai così, cercando di non muovermi.
E vi rimasi a lungo. Di dormire neppure a parlarne.
L’eccitazione era tale che temevo, da un momento all’altro, l’esplosione delle mie ghiandole seminali. Sarebbe stato un bel guaio!
Lo sapevo che dalle tette sarei passato al grembo, avrei frugato.
Presi il lembo della camicia da notte e lo alzai, m’intrufolai sotto.
Mutandine leggere, abbastanza larghe perché le dita potessero infilarvisi, incontrare il liscio prato dei suoi peli pubici. Erano come li avevo immaginato. Riccetti morbidi.
Titty si mosse. Mi fermai di colpo.
Riprese il suo respiro regolare. Proseguii con la leggerezza di una piuma. Le grandi labbra erano chiuse, le carezzai lievemente con un dito.
Altro movimento di lei. Il sederino, evidentemente, aveva sentito qualcosa di’ estraneo.
La sua mano si mosse, decisamente, per accertare cosa mai fosse ciò che le premeva dietro. Cercai di allontanarmi da lei, ma nello stesso momento il fallo sgusciò dal pantalone del pigiama e la sua mano l’afferrò con forza.
Sentii il suo corpo sobbalzare.
‘Oddio’ cosa &egrave!’
Lasciò la presa e si voltò verso me.
Feci finta di uscire da sonno.
‘Titty’ cosa succede’ scusa’ devo essermi voltato nel sonno’ capita’ e certe reazioni sono naturali’ specie durante i sogni”
‘Ma Piero’ sei tu”
‘Si, Piccola, sono io. Ti sei spaventata? Dormi cara. Vieni che ti abbraccio”
Si avvicinò.
‘Ma quello, Piero, era il tuo sesso!’
‘Si’ ero un po’, come dire’.’
‘Non sapevo che potesse assumere tale dimensione”
‘Ma no, Tittyna, &egrave regolarissimo, ed &egrave che, non so perché, ma sono un po’ eccitato. Scusa. Vieni che ti abbraccio, torna a dormire.’
Le cose stavano andando meglio di quanto sperassi.
La accolsi tra le mie braccia e ‘lui’ s’andò a posizionare, come un obelisco sacrificato, tra il mio ventre e il suo.
Caspita se lo sentiva.
E non disse nulla quando le alzai la camicia perché ‘lui’ sentisse la sua carne.
Ora ero sicuro che da un momento all’altro le’ dighe si sarebbero rotte’ Ma chi se ne fregava!
Si rannicchiò, mosse un po’ il pancino, e credo per sentirlo meglio.
Mi sussurrò nell’orecchio.
‘Cosa mi capita, questa notte. Incredibile. Ti prego Piero, non lasciarmi, ma ricordati che io sono’.’
Si fermò di colpo e pur nel buio mi fissò coi suoi occhi dolci e imploranti.
‘Non lo hai fatto mai?’
‘No, Piero, e non devo farlo. Stringimi a te, e’ basta.’
Basta! Più facile dirlo che a realizzarlo.
Incredibile. Dopo poco quasi russava tra le mie braccia, e con le mani le carezzavo le splendide tonde chiappette vellutate come una pesca.
Non so quanto tempo restammo così.
Lei, ad un certo momento, si mise supina.
La mia infaticabile mano sollevò la camicia, cercò le mutandine. Io non credo che lei non si accorse quando gliele sfilai lentamente. Del tutto.
Posai il capo sul suo grembo, e con la lingua cominciai a lambirle il sesso. Feci in modo che dischiudesse le gambe. La lingua proseguiva. S’intrufolò timida, solo per breve percorso, nella vagina tiepida e umida; uscì, cercò il clitoride e cominciò a suggerlo e leccarlo. Il suo bacino ondeggiava, sempre più, e sentii le sue manine sulla mia testa, le piccole dita affusolate afferrare i miei capelli, nervosamente. Respirava sempre più affannosamente, con piccoli gemiti, e d’un tratto sobbalzò vigorosamente. Un lungo gemito e giacque, spossata. Sorpresa e felice.
La sua voce gorgogliava.
‘Non immaginavo che fosse così bello’ altro che quello che si raggiunge da soli”
In quel momento, sono certo, avrei potuto fare ciò che avessi voluto, ma la natura mi venne in soccorso’ mi sollevai sulle ginocchia e il mio seme si sparse sul suo pancino, fino al seno, tra le tette.
Mi sembrò meno sorpresa di quanto immaginassi, e rimase ferma mentre io, presi i pantaloni del mio pigiama, cercavo di asciugarla alla meglio.
‘Scusa, Tittyna’ scusa”
Mi guardò quasi sorridendo.
‘Non credevo che fosse così tanto, né così colloso’. Ora vado a fare la doccia.!’
‘Aspetta, amore, ho qualcosa da’. dirti”
Sedetti sul letto, le sfilai completamente la camicia da notte, cominciai a ciucciarle le tettine e pian piano la feci sedere sulle mie gambe, facendo in modo che il mio fallo, sempre arzillo, si posizionasse tra le sue, a contatto con le grandi labbra, sentendo i ricci del suo pube, battendo contro il suo pancino.
Quel meraviglioso, voluttuoso contatto, e quel suo dondolare lento e poi crescente, fecero l’effetto previsto e mi accorsi che lei guardava fissamente il prepuzio e aprì le labbra, come a esprimere ammirazione, quando ‘lui’ schizzò di nuovo. Lo afferrò, come a voler imprigionare quello zampillo, e poi guardò il palmo impiastricciato della sua manina.
Senza smettere la poppata infilai la mano tra sue gambe e cominciai a titillare dolcemente il suo piccolo bocciolo che pulsava al tocco delle mie dita.
Si distese un po’ aprì le gambe, e il suo culetto sussultava incantevolmente sulle mie gambe, sempre di più. Ad un tratto vidi i suoi occhi rovesciarsi, mostrare solo la sclera, le sue labbra tremare e sentii il crescendo del suo gemito, sempre di più, fin quando ebbe un balzo, si aggrappò a me, si strinse a me. Si rilassò. Come se i sensi l’avessero abbandonata.
Si riebbe, mi guardò, mi abbracciò ancora, ridendo e piangendo.
‘Grazie, Piero, grazie’ sei un tesoro, e grazie per comprendere la mia debolezza, senza abusarne”
Lunghe e lievi carezze.
‘Ti piace?’
‘Da morire’ ma ora dobbiamo alzarci’ la doccia’ partire’ Sì &egrave proprio così, ‘accadde una notte’, e non potrò mai dimenticarla nella mia vita”
‘Ma viverla nuovamente, sì.’
‘Quando, come?’
‘Inshallah!’
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Vivere per qualche tempo nella stessa città, non lontani, ci portava a vederci, nei primi tempi, con una certa frequenza. Occhiate tenere, quelle di Titty, struggenti, che ricambiavo, quando potevo, con una carezza, meno elegantemente con una pacca, e cercavo sempre di accarezzarle il seno, sussurrandole che erano le più belle tettine del mondo, quelle sue, di Titty.
Eravamo di nuovo a Roma.
Trascorsero alcuni anni, Titty era sempre nei miei pensieri, ma come avvolta da una nebbia che andava infittendo col passar del tempo.
S’era brillantemente laureata, ed era riuscita ad essere inserita tra le ricercatrici del Centro ‘E’, dove sperimentavano nuovi tipi di sostanze esplodenti. Partiva da casa il lunedì mattina e vi tornava il venerdì sera. Il Centro, guarda caso, aveva utilizzata l’area militare che gli Inglesi avevano adibita a ‘rest-camp’, quello di”accadde una notte’. Chissà se Titty ricordava quella notte. Ero sicuro che non l’aveva dimenticata, anche adesso che era sposata da circa un anno. O forse, proprio per questo, la ricordava di più.
Strane combinazioni, nella vita.
Io, già da tempo, mi interessavo dell’espansione di un gruppo multinazionale che cercava dove insediarsi proficuamente, beneficiando delle facilitazioni statali.
Prima di raggiungere il piccolo Capoluogo del Sannio rimuginavo tutto questo, e mi chiedevo se farmi sentire o meno da Titty. Potevo chiamarla ancora così? L’auto si fermò dinanzi all’Albergo che, indipendentemente dalle stelle che ostentava, non era attraente. Comunque era quanto di meglio si potesse ottenere. La guerra era finita da tempo, ma non le difficoltà.
Camera discreta. Del resto ci dovevo stare solo per qualche notte. Speravo di sbrigarmi presto.
Non mi piace, in genere, mangiare nei Ristoranti degli Alberghi. Dopo una rinfrescatina, uscii e mi misi a curiosare intorno. Ero al Duomo, si avvicinava l’ora della cena. Chiesi a un Vigile Urbano di indicarmi un ristorante caratteristico, mi rispose che non molto lontano, poco più di trecento metri, c’era un ottimo ristorante, con specialità locali, dove, di solito, mangiavano anche impiegati e professori che non avevano famiglia in città.
Pochi minuti e lo raggiunsi.
C’era un po’ di vocio. Il cameriere disse che avrebbe cercato di aiutarmi a trovare un posto, se non proprio un tavolo solo per me.
Mi guardai in giro.
Una lunga tavolata, di ufficiali e borghesi.
Il cameriere mi spiegò che erano clienti abituali.
Parlavano, ma abbastanza sottovoce, e’.
Ma quella era Titty!
Nello stesso momento lei alzò la testa e mi vide. Rimase con gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse’ Dio, com’era bella. Più bella di prima. Era una donna splendida. Per quello che potevo vedere.
Si alzò lentamente, come al rallentatore e, senza dire nulla a nessuno, lasciò il tavolo, mi venne incontro. Si fermò di fronte a me. Una visione incantevole.
‘Piero, sei tu? Proprio tu?’
La voce era tremante, gli occhi lucidi di lacrime.
Avrei voluto abbracciarla, stringerla’ ma lì’ di fronte a tutti.
Mi tese la mano, la strinsi tra le mie.
In quel momento venne il cameriere a dirmi che se mi accontentavo c’era un tavolo nella saletta adiacente.
Presi Titty per mano e ci avviammo.
Una piccola sala, un solo tavolo, il mio. Ora il nostro. Dissi al cameriere di preparare per due e non appena uscì presi Titty tra le braccia, e le nostre bocche si unirono, le lingue si cercarono, freneticamente, voluttuosamente. Le mani scesero a palpare i suoi tondi e sodi glutei. Quelli d’una donna fatta. E che donna.
‘Titty’!’
C’eravamo staccati, ci tenevamo per mano.
Sporse il petto, maliziosa.
‘Credi che sono ancora Titty?’
Un seno procace ma contenuto.
Stavo per afferrarlo, ingordamente. Il cameriere rientrò per finire di apparecchiare. Ci chiese cosa avessimo desiderato.
Titty fu la più svelta.
‘Faccia lei’ a sorpresa’ questa sera &egrave la sera delle cose inaspettate!’
Non riuscivamo a parlare.
Ma non serviva parlare. Sapevamo bene cosa significasse quell’incontro, e cosa ci attendesse: quello che volevamo. Che io desideravo da sempre.
Non ricordo cosa cenammo, e nemmeno lei, credo.
Parlammo di cose futili, del tempo trascorso, delle nostre vite, ma superficialmente. Non ci interessava nulla, se non essere insieme.
Quando uscimmo, si mise sotto il mio braccio, e ci avviammo verso il mio Albergo. Non mi aveva domandato dove alloggiassi, ne quanto tempo mi sarei trattenuto in quella città.
Quello che contava era il presente: adesso! E mentalmente aggiungevo: subito!
Presi la chiave in portineria, salimmo in ascensore, entrammo nella mia camera.
Ancora un abbraccio, più impetuoso e smanioso del precedente; ardente, bramoso, impaziente.
Non ci volevano, certo moine, preliminari.
Lo attendevamo, da quella notte.
Ci spogliamo in fretta, senza parlare, guardandoci l’un l’altro ogni tanto.
E fummo nudi.
Si fermò di fronte a me.
‘Sono ancora titty?…. Non sono’ cresciute?’
‘Sono splendide, Piccola, meravigliose, ma per me rimani sempre Titty, la passeretta”
E lo sguardo andò al folto bosco riccioluto che copriva pube e nascondeva il suo sesso.
Era più che evidente la mia eccitazione.
Stese il braccio, aprì la manina’ ‘lo’ impugnò, strinse dolcemente le dita.
‘Non l’ho mai dimenticato, Piero, &egrave come se la mia mano ne avesse conservato il calco, lo sento ancora sul mio grembo, e mi formicola la pelle, rabbrividisco, quando la mente ricorda quell’improvvisa, tiepida, sconosciuta inondazione.’
‘Lo’ carezzava delicatamente, ma io fremevo.
Così, mi guidò verso il letto, vi si sdraiò.
Mi chinai su lei e iniziai a baciarla: gli occhi, le labbra, il seno. Ciucciai golosamente i capezzoli.
Alzò le ginocchia, ‘lo’ lasciò, si prese la caviglie e le attirò a sé, dischiuse le gambe. Lo spettacolo del suo sesso era sconvolgente, conturbante’ volevo baciarla’ mi fece segno di ‘no’ con la testa..
‘Ti voglio subito, Piero, subito’!’
Ero tra le sue gambe e con la mano portai il mio glande verso il palpito della sua vagina, entrai appena in lei. Inarcò il bacino, mi venne incontro, e la penetrai quanto potei.
Sempre stringendo le caviglie, aveva preso a far sussultare voluttuosamente il suo grembo, a mungermi golosamente, ma con dolcezza, dapprima, per poi aumentare sempre più la sua bramosia. Il calore che ‘lo’ avvolgeva era qualcosa di sconosciuto, sembrava un crogiolo che volesse ad ogni costo fondere il lingotto che era in lui, per assorbilo, una volta disciolto, e amalgamarsi con lui.
Aveva le nari dilatate e frementi, gli occhi semichiusi, le labbra tremanti dalle quale sortiva un roco mugolio, che divenne urlo quando, incredibilmente nello stesso istante, raggiungemmo il massimo del piacere, la ‘fusione’ completa. Eravamo una cosa sola: lei ed io.
Giacqui su lei, mi carezzava la schiena, mentre le contrazioni del grembo andavano pian piano acquietandosi.
‘Sei meravigliosa, Titty”
‘Sei un dio, Piero, insuperabile. Tu, tu solo, sei il mio uomo, il mio maschio”
E parlando aveva disteso le gambe, e le muoveva, ed il ‘mio’ rifioriva in lei.
‘Mi &egrave piaciuto da morire, Piccola”
‘Mi &egrave piaciuto da’vivere’da risorgere, tesoro’ Adesso tocca a me”
Mi spinse dolcemente.
‘Sdraiati, Piero”
Quando fui disteso, le sue mani ripresero a ‘carezzarlo’, ma non ce n’era bisogno’
Si accoccolò, come se volesse sedersi sul mio pube. I suoi riccioli, lunghi e impiastricciati delle nostre linfe, adornavano la magnificenza del suo sesso. Dallo scuro delle grandi labbra, al rosa interno, al più chiaro ancora del piccolo bocciolo che vibrava, il clitoride che avevo lambito voluttuosamente. Prese il glande e quasi con golosità, lo portò lentamente alle sue piccole labbra perché ‘lui’ le carezzasse lascivamente, e pian piano spostava il bacino per riceverlo, stringerlo, suggerlo’ e quando fu in lei, per quanto il suo sesso poté accoglierne, si fermò un momento. Mi guardò, sorridente, e con aria di vittoria.
‘Sei mio, Piero, non lo lascio più’ te lo strappo’ così”
E quel suo spingere e ritrarsi mi stava facendo impazzire. Godevo da matto. Le carezzavo i fianchi, le tormentavo le tette, le stringevo forte i capezzoli, e la sua vagina si contraeva sempre più’
Parlava tra i denti, quasi con affanno’
‘Te lo strappo, Piero’ così’ cosìììì’ cosìììììììììììììììììììììììììì!’
S’accasciò su me, stese le gambe, seguitando a stringere in sé il mio fallo che l’invadeva col balsamo del piacere.
Il nostro desiderio era inesauribile, e, almeno fin a quel momento, le risorse della natura ci avevano consentito di appagarlo, ma non eravamo ancora sazi. Anzi!
Ci baciavamo, carezzavamo, ci cercavamo continuamente, come a voler fissare bene nella mente ogni centimetro quadrato di noi. Ci guardavamo intensamente, perché negli occhi rimanesse sempre quell’espressione, la sua bellezza. Ognuno esplorava l’altro, con un interesse frenetico, ansioso; non semplice curiosità, attrazione, piacere, coinvolgimento. Mi sembrava che stessi scoprendo la donna, la femmina’.
‘Sei bellissima, Titty, eccezionale, insuperabile”
‘Mi hai fatto conoscere, cosa sia l’amore, la passione, la voluttà, il piacere’ amore mio”
Avevo baciato tutto di lei, dall’unghia degli alluci ai capelli.
Forse una reminiscenza ancestrale mi sollecitò a volermi unire a lei, more ferae, come si diceva, come usano gli animali. Titty era sempre pronta ed entusiasta. Si mise gattoni, sulla sponda del letto, e rimasi diritto, dietro di lei, a rimirare quella visione entusiasmante: il tondeggiar dei fianchi, la natiche perfette e rosee, l’intraveder del seno, e ciò che appariva tra i glutei. Meraviglia delle meraviglie. Non resistei, mi chinai, dilatai un po’ quelle fattezze divine, e con la lingua presi a lambirle il piccolo buchetto prima del suo sesso. Intanto le mani l’andavano dolcemente mungendo, insistendo sui capezzoli.
Titty ancheggiava lentamente, sembrava scodinzolare. La mia lingua s’allungava verso il sesso, tornava indietro. Volli toccarlo quel bocciolo incantevole, col dito che, stante l’abbondante saliva della quale era cosparso, non trovò difficoltà ad introdursi un po’. Sentii che lei stringeva le gambe. Insistei, e nel contempo andai a titillare il clitoride.
‘Oddio, Piero, sto per’ non fermarti’ ecco’ così’ piano’ bravo’. ecco’ Oddio, Piero, vieni’ ti desidero’ non ce la faccio più”
Spalancai i glutei e portai il glande impazzito alla vagina, entrai quasi di colpo, e ripresi a carezzarle il clitoride.
Ora si dimenava con sempre più forza, si spingeva verso me, i testicoli battevano sulle natiche, e stantuffavo con vigore e impegno. Stavamo galoppando verso il traguardo, e le dita tormentavano tette e sesso. Cedette di schianto, si allungò sul letto, e io caddi su lei, con ‘lui’ ancora dentro, gagliardo e intento in un’ulteriore e sempre voluttuosa’ semina.
Poi giacemmo distesi, affannati’
‘Titty, non abbiamo pensato a nessuna cautela”
‘Cau’ che? Ma come ti fa in testa che tra noi potesse esserci qualcosa che non siamo noi. Carne e carne’ E basta!’
‘Si, ma, se”
Voltò la testa dalla parte mia, mi guardò quasi con meraviglia.
‘Se’ se ho la fortuna che nasce, lo battezzerò’ e tu gli farai da padrino. Io non ho figli, e ne voglio. Da chi dico io!’
L’abbracciai, la coccolai, a lungo.
Descrivere il seguito di quella notte sarebbe un monotono ripetersi.
Le varianti esteriori non incidevano sulla sostanza degli amplessi che incredibilmente (almeno per me) riuscivamo a reiterare.
Anche la più ansiosa delle passioni, però, ha la sua esigenza di riposo.
Ci assopimmo, che era già quasi chiaro, fuori.
Ma durò poco.
Mi svegliai.
La tenevo stretta a me, con la mia mano, aperta, tra le sue cosce, e lei brandiva il mio fallo, ben stretto, come se temesse di perderlo.
Forse &egrave la donna che ho veramente amato. Titty, la mia cognatina.
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