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Racconti erotici sull'Incesto

Toc toc !

By 18 Giugno 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Toc toc !
Cosa c’&egrave ?
Esito. Il tono della sua voce, dicendocelo tra di noi, non &egrave ancora dei migliori. Eppure, prima di cena, tutto filava liscio come l’olio. Fino alla cena.
Fino alle sette della sera.
La giornata era trascorsa, come d’abitudine, con il solito tran tran. Al mattino, dopo la doccia e la frettolosa vestizione consistente in un paio di jeans, una maglietta e mocassini, ero corso fuori di casa come un forsennato per beccare al volo l’autobus strombazzante sulla piazzola distante una quarantina di metri; naturalmente m’ero fatto tutto il tragitto in piedi nel corridoio aggrappandomi qua e là ad ogni brusca frenata di una conducente impazzita e finalmente, dopo mille improperi lanciati da quelli o quelle cui pestavo i piedi o toccavo tette e culi, ero approdato al capolinea: la fermata dell’università dove, da tre anni, folleggiavo come ricercatore assunto per concorso.
Finalmente un posto fisso, anche se pagato come un cane con la coda tronca.
Staccavo alle 18,00, generalmente; stavolta alle 17,00. Un’ora, l’ultima, per fortuna andata buca.
” Beh ! Ne approfitto e vado in centro a comprarmi una camicia ganza ” Mi ero detto.
Ed ero salito sull’autobus che portava in centro, contento quasi come una donna.
A metà percorso (gli autisti sono tutti uguali ormai, maschi e femmine), la solita, brusca frenata.
Per cui era stato giocoforza cercare di afferrare una delle due sbarre in alto, rosse come il fuoco.
Nonostante ciò, ero andato a sbattere di nuovo contro una piacente signora con vestito azzurro, ad occhio e croce una 45 – cinquantenne bionda con capelli lunghi.
Morbida, la sua natica sinistra, che non vi so dire !
La quale, in luogo del solito digrignar di denti, s’era voltata con un espressione sorridente che sugli autobus &egrave dato quasi sempre non trovare.
Per farla breve, ero sceso alla sua fermata e m’ero messo a seguirla, discretamente credo.
Poi, sempre discretamente credo, avevo allungato il passo. Fino ad appaiarmi. E le avevo domandato dove andasse a quell’ora, se a zonzo, a fare compere o a casa. O volesse invece, visto che era l’ora, sedersi con me a quel caff&egrave con i tavolini fuori appena lì all’angolo.
La signora, sempre sorridendo, la cortesia dipinta su quel suo bel viso, aveva optato per quest’ultima soluzione e, così, avevo fottuto l’ultimo tavolino rimasto libero ai due impiegati scoglionati come e più di me che se ne stavano appropriando, approfittando del loro attimo decisivo di indecisione.
La signora in azzurro, come prevedevo, aveva ordinato un the, il the delle cinque !
Quando il cameriere ebbe la gentilezza di portarglielo e portare a me l’ “espresso” erano già dieci minuti che la stavo intortando.
Mentre ero intento a questa funzione preliminare pac ! Ecco passarti un taxi. Passarti &egrave un eufemismo, perché a Milano anche i tassisti sono pazzi. La folata di vento e sozzura scaturita dalle ruote di codesto non solo avevano inzaccherato e fatto alzare la gonna alla signora, ma anche gli occhi miei dalle sue cosce.
L’incantesimo era rotto, la bellona ora non aveva sguardo e pensieri che per la bella sottana da portare al più presto in lavanderia.
Per inciso, dentro quel taxi, sul sedile posteriore, attaccata spalla a spalla ad un illustre sconosciuto, occhi negli occhi, c’era mia madre.
” Ma dove cazzo va, che m’ha detto che rimaneva tutto il giorno a casa “?
Descrivervi mia madre rimane un poco più complesso.
L’età pressappoco quella delle tardona che ora si stava alzando ed aveva fretta, un sederone simile, e la morbidezza uguale.
Almeno pensavo io.
Gli occhi invece no, che questa che aveva ripreso improvvisamente la memoria li aveva azzurrini come il vestito, e mia madre marroncino chiaro come i suoi capelli. Ah ! Mia madre i capelli li portava corti alla maschietto, facendo risaltare in tal modo la delicatezza della nuca e dando ancor più morbidezza, chissà perché, anche alle labbra, tale e quale un bocciolo.
Bocciolo di che, di rosa, di papavero, di orchidea, di che ?
Bocciolo di fiore, meglio non vi so spiegare.
Invece della camicia ganza, fatto un breve excursus nella tasca destra del jeans, m’ero comprato l’ennesima maglietta.
E, con quella, ero tornato a casa. Il “bamboccino” era tornato a casa.
Dove l’aspettavano il padre nel giardino, intento a finire di potare la sua siepe, e la madre già in cucina a srotolare dalla doppia carta oleata del macellaio le sei cotolette alla milanese da friggere appena ci avesse chiamato nonché ci fossimo seduti a tavola (io e il bamboccione), nel soggiorno a penisola.
Avevo ormai un’età, trent’anni suonati, che non richiedeva più le smancerie d’un tempo, né lei me le aveva più fatte da quando ero entrato nell’adolescenza. Sicché la cena andò avanti in modo tranquillo fino alla frutta: mio padre che grugniva quasi ad ogni boccone, mia madre che non alzava nemmeno più gli occhi, io che me ne fottevo di tutti e due e pensavo a come abbordare quel come si chiamava di morettona con due tette da sbavarci sulla scollatura che la mattina era venuta nel mio ufficio, da seduta le ginocchia all’altezza degli occhi quasi, a chiedermi di consigliarla sull’argomento della tesi.
Dopo di che mio padre aveva mosso i piedi da sotto il tavolo per andare ad accomodarsi sul divano di pelle bianca in salotto, aveva impugnato il telecomando, chiuso la porta per non disturbare e, di lì al massimo tre quarti d’ora, si sarebbe addormentato come un tordo preso al laccio dai programmi televisivi generalisti per svegliarsi alle cinque, cinque e mezzo, del mattino, le ossa della schiena indolenzite da dieci anni almeno.
“Rosa Rosetta, mamma, chi &egrave colui con cui scopi fuori dalle mura. Troia, del cazzo ” ?
“Ti sei inscimunito”? Rosa aveva cercato di non darlo a vedere, ma dalla bottiglia colore della plastica del detersivo per piatti che sempre passava con la spugnetta sulle stoviglie prima di cacciarle meticolosamente nella lavastoviglie, era uscito un fiotto non da lei.
“Eh mà, da dove venivi cazzo, da quale pensioncina, da quale scannatoio col taxi oggi, da quanto dura sta’ tresca di merda”?
“E’ stato uno che, gentile, m’ha dato un passaggio”!
” E tu ad uno che ti concede un passaggio, lo fissi negli occhi come una triglia”?
“Sshhh ! Abbassa la voce. Il Babbo !”
“Il babbo ! Cazzo ! Proprio “il babbo” !” Babbo, a Catania dov’ero stato i primi tre anni a fare tirocinio chiuso in un laboratorio di tre per due compresi due computer, un tavolone, quattro sedie ed una collega che più grassa non si poteva, e secondo me quando m’alzavo per sgranchirmi le gambe scoreggiava pure, vuol dire fesso, scemo.
Il fesso, quando mai se ne sarebbe accorto, lui, i suoi roseti, le sue siepi, la sua officina da 12-13 dipendenti max per non diventare industria da bauscia !?
La sua Merzedes 320 SL sedili in pelle panna adombrata, riscaldamento sotto il culo e ai lombi ?
“Mà, mammà, Rosa Rosetta, come m’hai detto stamattina ? Che non uscivi di casa ? Ecco, facciamo così, se hai tanto bisogno di cazzo da non poterne farne a meno, a fare come l’ape con le tue morbide labbrucce ci pensa il sottoscritto, va bene, e da stasera. Adesso, appena hai finito di fare la cucina, vai su di sopra con calma, ti rifai la doccia con una approfondita irrigazione vaginale a getto intermittente, sbatti quel tuo culone sotto le lenzuola e aspetti il “banboccino”. Ok ?”
Mammà m’aveva guardato come fossi un marziano.
“Prima sveglio tuo padre, poi vado dai carabinieri, stasera, ora, brutto porco figlio di puttana !”
“Perfetto !”
“Perfetto che” ?
“Perfetto, l’hai detto, figlio di puttana. Uno che vuole che tutto rimanga in casa. O con quel culo ci vuoi fare mezza pacca dentro e mezza fuori”?

Ora, sapete, io non sono di quelli che, appena gli si &egrave potuta drizzare la minchia, ha iniziato a girare le orbite degli occhi a destra e a manca, sotto e sopra, fra le parete domestiche. Anzi.
Mamma, anche se come donna di aspetto alquanto piacevole, sotto sotto mi ha sempre fatto un po’ senso; mi schifavano, a dirla proprio tonda, le mutande rosa, nere, bianche con quel poco di odore di lei che rimaneva, e si sentiva, gettate alla rinfusa nel cestello della biancheria da lavare, specie nei giorni del ciclo; mi ritraevo quando mi sbaciucchiava perché l’odore della saliva da “grande” lo trovavo troppo acido ed il sentore che emanava dalla sua pelle olivastra era troppo forte, specie se accaldata in cucina sbracciata fra pentole e fornelli o sudata per aver passato e ripassato i pavimenti della nostra abitazione.
Vi dirò, di più, che i suoi baci insistenti sulla guancia ed i suoi morsetti li trovavo leggermente disgustosi in quanto già sapevo cosa facevano le femmine coi maschi quando si chiudevano le porte delle camere da letto.
Sono anormale ? Ebbene si.
A quattordici anni, in un’estate ed un inverno fra Rapallo e Milano, m’ero già strusciato addosso ad un otto coetanee e non avevo nessuna, ma nessuna, intenzione di regredire.
Di lì ai venticinque anni c’era stata, &egrave vero, qualche defaillance, nel senso che ci avevo provato anche con qualche nave scuola, ma tutto sommato non la trovavo una vera e propria deviazione.
Nella semantica che continuavano ad arraparmi le fighette della mia età o pressappoco. E poi, lasciatemelo dire, c’erano molte, ma molte più occasioni, fra scuola, università, pubs, strada e discoteche.
E, che cazzo me ne fotteva a me se mia madre a quel coglione ci aveva fatto le corna ?
Insomma, to be or not to be ?
Sta’ maniglia del cazzo, dovevo abbassarla o lasciarla com’era ?
Quella sera, pieno, pieno ho detto pieno non gonfio, di cento amletici problemi, la lasciai orizzontale com’era.
Passai oltre senza preoccuparmi del toc toc e, poiché non avevo alcuna voglia di ingozzarmi di birra pastorizzata davanti a quelle facce da pirla di Manuele e Jimmy capaci di captare anche le mie più leggere perturbazioni mentre ruttavano e sghignazzavano come porci in libertà, mi infilai nella camera in fondo al corridoio, la mia, sicuro che una di quelle seghe madornali in cui ero maestro m’avrebbe tolto dalla fronte le rughe che mi facevano anche male, quasi.
E lì, sdraiatomi seminudo sul lenzuola che sapeva ancora di bucato, con solo lo slip addosso, per stramazzarmi ben bene, me ne feci due. La prima rivedendomi al rallentatore la bionda starnazza del pomeriggio, la seconda, un’ora dopo, sbattendomi sul tavolo la morettona dalle grandi tette.
La sera successiva (avevo deciso all’ultimo momento di tornare alla casa paterna e materna, ma tant’&egrave, perché avrei dovuto senza alcuna colpa rimetterci il fitto e le bollette di un monolocale vicino all’università coi prezzi del petrolio che s’alzavano a picco lasciando larghi spazi inframezzati al potere d’acquisto del reddito fisso a caduta libera?), risalii sull’autobus, il mio solito, e mi ritrovai faccia a faccia, vis a vis, con quel troione di Rosa Rosetta che, parecchio spiazzata dallo sguardo fulminante di mio padre, metteva a tavola tre cartoni di pizza già abbastanza attempati per esserci, a due isolati di distanza, la Pizzeria da Pino che te la recapitavano pure a casa se gli telefonavi almeno una mezz’ora, tre quarti d’ora prima. Con le variazioni, pure, se gli facevi lo spelling.
” Non c’&egrave la birra scura”? Avevo detto io, che tanto vecchia o calda, sapevo che la pizza non mangiata in pizzeria &egrave una cicca comunque la rivolti.
” Non l’avevano” Era stata la risposta, secca.
” Cazzo però !”
” Bevi il mio vino !” S’era messo a fare da paciere Colui.
E mia madre stavolta l’aveva guardato. Ma con un’aria di pena !
” Lo sai che Marco il vino non lo beve, potevi comprarla tu la birra scura, magari una cassetta al cash & carry vicino allo stabilimento”. Proprio così, l’aveva chiamato stabilimento quel capannoncino prefabbricato di trecento mq. in cui mio padre produceva i soldi per cambiare la Mercedes ogni due anni, mantenere un genio senza fargli mancare il necessario e le vacanze a Ibiza, la villetta a Rapallo dove andava da trent’anni, la casa a due piani, l’estetista, il parrucchiere, la sarta, la profumeria, la boutique, la palestra, e il mantenuto (affermo io), della moglie.
“Voi due avete qualcosa, cercate di parlarvi”
Ecco, mancava lo psicologo !
” Difatti papà, volevo dire che io, ormai, a stare qui con voi mi sento un bamboccione !”
“Ah ah, Padoa Schioppa, l’ex ministro, ha lasciato il segno. Quello si che non &egrave un bamba !”
Rosa,:- non sarà un bamba, ma cosa vuoi che faccia con quei dentoni ?”
Poi ella aveva preso la mia parte, cio&egrave la palla al balzo.
“Magari gli contribuisci un po’, cosa ti costa, la Mercedes ogni tre anni ?”
Dimmi che non sono un figlio di puttana ! “Saranno milleduecento euro al mese più il mobilio !”
“A me dispiace un po’ !” Aveva continuato il benefattore, ma la cosa, secondo me, era già fatta.
Avevo guardato la mamma.
La quale gli aveva piazzato il diretto al mento.
” Gli passi, naturalmente, anche qualcosa per mangiare e vestirsi, che altrimenti con quella miseria di stipendio, come fa a rimanergli qualcosa ?”
“Però milleduecento ?”
“Il solito rompiballe !”
A me:- Ciccino, viene la mamma a tenerti in ordine, non cercare la donna, così ritiro anche la roba da lavare !”
Papà, tutto d’un botto, due giorni dopo si trovò a sganciare un assegno da trentamila,00 ‘.
L’appartamentino c’era già, mi bastò firmare il contrattino; era anche ammobiliato. Il costo, spese condominio comprese, cinquecentocinquanta euro ogni trenta giorni, da gennaio a dicembre.
A mamma Rosa, come l’agenzia d’affari ci aveva accompagnato a vedelo, era piaciuto subito. Alla ricarica del telefonino ci avrebbe pensato lei, assicurava.
L’agenzia aveva fatto uno sforzo, e con il quindici % di provvigione in luogo del dieci, aveva mandato anche l’impresa di pulizia che in due ore l’aveva ripulito da cima a fondo, facendo anche il cambio delle lenzuola.
“Mamma, che baluba però !”
“Ora telefono a papà e gli dico che &egrave tutto da mettere a posto, guarda qua, hanno lasciato la polvere anche sul terrazzino. Sono appena le sei e un quarto, in un’ora, un’ora e mezzo ho fatto”.
“Ma dai, vuoi metterti a far notte ? Da queste parti dev’esserci una trattoria dove fanno un risottino niente male, invito io !”
Seduti sotto il pergolato del ristorantino chiesi a mamma perché l’avesse fatto.
“Fatto cosa ?”
Già l’avevo accompagnata fino all’antibagno e, per gioco, nel passarle dietro mentre si lavava le mani, l’avevo fatta piegare sul lavandino.
“C’hai un culo meglio di quella tardona che mi volevo fare oggi ?”
“Ti scopi le tardone adesso ?”
“La gallina vecchia””
“Sai, l’altra sera m’hai fatto piangere !”
“Era quello che volevo !”
“Tu non puoi capire, e anche se capissi’.”
“Rosa Rosetta cazzo, parlavo sul serio io”!”
“Finiamo il risottino, poi mi chiami un taxi”.
“Ok, ti chiamo un taxi, stasera però voglio venire a casa anch’io”.
Nel taxi Rosa Rosetta ed io continuammo nella nostra discussione finché questo non si fermò davanti al cancello. Insieme percorremmo il vialetto ghiaioso, poi le aprì il portoncino di casa quasi furtivamente, senza far rumore, ed entrammo senza accendere la luce.
“Sembriamo dei ladri !”
“Speriamo che papà non si svegli, che altrimenti si spaventa”.
Sempre nel buio prendemmo per le scale che portavano al reparto notte.
In cima a queste ci fermammo.
Lei si voltò per dirmi qualche cosa ancora. Indosso, continuava a persisterle l’estratto di Poison che le avevo regalato quel pomeriggio.
Avrei voluto dirle non ti perdonerò mai e poi mai, invece mi attaccai a quelle sue labbra, ancora più morbide nel buio.
Appena le tolsi la lingua di bocca esclamò:- lo fai perché sono tua madre !
“Cazzo no, perché mi tiri !”
“Non ci credo !”
Allora, per non lasciare dubbi fra di noi, le sollevai la veste e, senza pensarci su un attimo, d’istinto, le infilai tre dita nella fica.
Forse era stato il bacio, chissà ? Mamma era già bagnata, così pensai che da quella notte di cazzo non me lo sarei mai più menato da solo.
“Rosa Rosetta, sicura che papà i trenta sacchi non me li richiede indietro ?”
” Per venire a mangiare da noi tre volte alla settimana ? Gliene dico quattro io !”

Rosettina, la mia Rosettina ormai, come promesso era venuta a rompere nel pied a terre. Era successo due giorni dopo. Aveva avuto la discrezione di capitarci alle sei meno quindici, poco prima che lasciassi l’aula delle lezioni. Che nell’appartamento ci fosse qualcuno quando avevo aperto con un solo quarto di giro non m’era nemmeno passato per la testa, essendo io (notoriamente anche per me), un distratto di quelli.
La sua figura era là, china sul letto nell’atto di strappare con piglio spavaldo le lenzuola.
“Mammina !”
“Marchino, visto la mamma ?”
La morettona, dopo aver avuto l’imbeccata, non s’era più fatta vedere; l’avevo cercata in lungo e in largo per i corridoi, gli sportelli delle segreterie, nel cortile antistante l’ingresso dove, come carcerati, si esce a fumarsi l’ora di libertà dopo aver atteso in coda il rancio del panino al salame e la coca, l’ultima spiaggia per cuccare,ma sembrava sparita nel nulla dell’aver già ottenuto quel che voleva.
La vedevo per la prima volta diversa. Infatti, mentre in casa per fare le pulizie si sbracava, quel pomeriggio era ancora tutta in tiro così come il taxi l’aveva sbarcata.
“Mamma, non c’era bisogno !”
“Lo dici tu, se non le cambi almeno ogni tre giorni si riempiono di acari e, dopo, ti vengono le allergie ! Le sbatti almeno al mattino ?”
“Si che le sbatto !”
“Ecco, bravo !”
Sembrava soddisfatta. “Che buono quel risottino l’altra sera !”
S’era di nuovo voltata verso il letto ed ora stava piegando il sotto e il sopra. Non &egrave che avesse portato il ricambio da casa cercando di smaltire quei cassetti troppo, troppo traboccanti, ma l’era andato direttamente a comprare nuovo, e poiché c’era, ne aveva comprate cinque paia non una, a fiorellini e righine come piacevano a lei. E ci aveva fatto il pendant con le federe, passando chissà quante ore in quel negozio di merda !
“Che bella idea mammina, così mi faccio il corredo nuovo !”
“Per l’appunto,cos’era quel vecchiume ? Aria nuova’ vita nuova !”
“Mi faccio una doccia”.
Quando ero uscito con l’accappatoio indosso mamma era ancora là: a passare con il massimo olio di gomito lo straccetto (anche quello appositamente comprato, di quelli tecnologici), sul ripiano del comodino, e sul tavolo dell’Ikea del computer.
Poi finalmente s’era abbattuta sulla poltroncina davanti al video sgonfia di tutte le forze.
“Non m’hai dato nemmeno un bacino !”
“Adesso te lo do !” M’ero avvicinato, mettendomi di fronte a lei e le avevo appoggiato le mani sul viso, mentre lei con le sue mi circondava con classe i fianchi.
“Mamma, mammina, che non può stare senza il suo bambino !”
L’avevo vista sorridere. Ed avevo capito il perché: Ciccino stava facendosi largo dall’accappatoio, a novanta gradi; figurarsi quando, senza sforzo apparente, si fosse portato a centottanta, beh non proprio, ma quasi.
“Mammina !”
“Ciccino !”
Il precedente di due sere prima le tolse ogni imbarazzo di mezzo,:- te lo posso baciare ? Ma guarda il piccolino della sua mamma, come fa capolino, cip cip’..cip !”
Presente il gatto Silvestro ?
Un secondo, ma cosa dico un secondo, dopo, il primo quinto era già sparito, come volatilizzato dentro la sua boccona. O Bocchino ?
Mah, non so ! Non so da che parte prendere. Ah, averci uno Iago !
6 e venti.
“Via, via, ora una doccia svelta e poi a casa, di corsa !”
Era sgusciata via come un’anguilla di Comacchio.
“La cuffia di plastica, lì, sul letto !” L’avevo sentita gridare.
L’avevo scorta, avevo scorto un ennesimo pacchettino, e glielo avevo prontamente allungato.
“Dammi il tuo accappatoio”.
Come si fa, ma come si fa, a non sbattere su un “cubo” tirato come in caserma la femmina che ti esce con la selvetta tutta incaponita verso l’alto, curata per una buona mezz’ora a gambe larghe davanti ad uno specchio, grondante di una buona doccia profumata da un bagno schiuma al muschio da venti euro, ma soprattutto di essenze proprie ?
“Rosettina, allora la tieni tu la seconda chiave che non la trovavo, che non sapevo più dove cazzo l’avessi messa ?”
” Ma certo caro ! Adesso lasciami andar via, sono già le sette meno dieci e lo sai cosa pensa tuo padre, quel brontolone di un sor Carugati, se la cena alle sette non &egrave pronta. Mamma, come si lamenterà per un’ora di ritardo, cosa mi dovrò inventare !”
“Ti chiamo un taxi !”
“Oh amore ! No, l’ho già chiamato io”.
E mamma guardò l’orologio,:- deve già essere di sotto !
L’ultima cosa, così deliziosa, così’..così’..così’..
“Amore, in bagno mi si sono bagnate le mutande, mica le posso indossare, le butto nel cestino, ok tesoro, ok ?”
E sparì.
La sorpresa però, la vera sorpresa, la grande,doveva venirmi dal sor Carugati.
Chi era quel buontempone ad averla organizzata, mon Dieu , od era un segno dotato di propria autonomia ?

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