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Racconti erotici sull'Incesto

Tua Madre

By 3 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Marco davvero non volevo, se avessi pensato un momento di più, se avessi immaginato dove stavo precipitando… Ed ora conto i mesi perché gli anni non mi bastano, non hanno la misura per contare la distanza, il dolore che sento. Ti ho visto di spalle che fuggivi nel buio e neanche ti ho rincorso. Solo un motore nella notte che è diventato silenzio su quella strada che curva e ricurva sopra le anse che sfiorano il mare.

Marco ascoltami, sono anni, ogni sera, che ti ripeto le stesse cose. Mi hai visto come madre senza pensare che potessi avere un sesso, dentro i tuoi occhi lo schifo di un tradimento senza ragione. Che ne potevi sapere che tra me e tuo padre era finita del tutto! Che erano mesi che fingevamo per non crearti disagio, perché a vent’anni eri ancora piccolo ed ha vent’anni non ci sono scusanti per una madre sorpresa a farsi scopare di santa ragione contro uno stipite tra il bagno e l’ingresso della casa del mare.

Che importa se era inverno, che per passare un sabato sera avevamo pensato alla stessa identica meta. Tu non eri solo, ma io non ho visto chi fosse, chissà se era bionda, se mi somigliava…

Ti giuro, Marco, era la prima volta che ci andavo, la prima che avevo deciso di cedermi in tutto. Lui era comprensivo, ma tu ci hai visto soltanto un amante, uno squallido uomo al culmine del piacere dentro la mia carne. Chissà per quanto tempo ci hai osservati, spiati nei dettagli tra respiri profondi e l’avida voglia di consumarci la pelle.

Da quel giorno non t’ho più visto. Tuo padre non mi racconta di te. Sono passati centoventinove mesi e so che sei a Buenos Aires. Chissà perché proprio l’Argentina, chissà come ti sarà venuta in mente. Lì non abbiamo parenti! Non credo che tuo padre abbia degli amici! Eppure sei lì da tanto tempo, senza la minima voglia di chiedermene ragione, senza il minimo desiderio di sapere cosa è diventata tua madre.

Mi guardo allo specchio come se tu fossi un amante, come se domani ti vedessi tornare. Già, ma cosa t’importa se ho i capelli più corti o l’ho lasciati allungare, se mi tiro la pelle per non essere vecchia. Cosa t’importa sapere quanto vuoto hai lasciato dentro questa esistenza, magari ti sarai anche sposato, magari ho una nipote bionda che m’assomiglia, un nipote già grande che non parla l’italiano. Io spero che negli anni tuo padre t’abbia spiegato il motivo, che s’ero lì addosso a quel muro non stavo tradendo nessuno.

Io e tuo padre ci siamo rimessi insieme, malati di solitudine abbiamo deciso di sopportarci. Ora sei grande e chissà se mi capiresti, se capisci perché una donna trascurata si fa beccare dal figlio nella casa del mare, se capisci quanto vuoto si forma dentro un seno che è solo apparenza, è immenso piacere solo per chi non lo tocca. Mentre gli amanti che l’hanno toccato non hanno avuto pazienza d’essere pompe d’aria per vederlo fiorire.

Marco, perché ti dico tutto questo? Perché ti parlo delle mie tette che tu vedevi solo piene di latte? Perché non ascolto il tuo silenzio che domanda invece d’essere qui e spiegare soltanto inutili ragioni, e non provare a capire quello che nessun’altro figlio avrebbe mai fatto. Ma io ho solo te, perché di altri allora non ne avevo bisogno, mentre ora mi basta la tua mancanza che è figlia, nipote e sorella e m’accompagna di giorno e di notte.

Ti giuro Marco, ti potrei dire che da quel giorno più nulla è successo, ma non sarebbe vero e mentirei a me stessa. Sono stati anni di dolore e sopraffazione, di scopate continue contro uno stipite di muro e non solo di una villa al mare, e non solo di una casa, di un albergo. Chissà se al mio posto ci fosse stato tuo padre sarebbe stato lo stesso? Se saresti comunque scappato dall’altra parte del mondo.

Non credo, perché una madre è come la luna. Nessuno mai potrebbe sopportare la vista d’una luna scopata. Presa davanti e sporcata di dietro come ci capita, senza badargli, di vedere una cagna montata mentre una fila muta l’aspetta. Forse per questo non ci hai visto l’amore, ma forse non c’era, perché dentro questa parte di me che stringo tra le gambe non ci si entra, ma ci si esce soltanto piangendo.

Chiederti perdono non avrebbe senso. Spiegarti queste flebili ragioni ancora meno. Perché sotto sotto sono convinta che tu non m’abbia mai condannata, perché non c’era ragione in quel gesto, non c’era pensiero, ma soltanto l’istinto di non volerlo accettare.

Ogni giorno chiedo a tuo padre notizie, lui mi ripete evasivo che stai bene. Sono contenta anche se non riesco ad accettarti lontano, ad accettare che quella sera tu non sei più tornato a casa, che uno squillo nella notte m’ha svegliata di soprassalto, che tuo padre è uscito di corsa, che sei partito per un lungo viaggio, che lui sapeva già quella notte che non saresti mai più tornato.

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