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Racconti erotici sull'Incesto

Un viaggio indimenticabile – parte 2

By 4 Novembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

NOTA PER IL LETTORE/TRICE: per capire la storia, cliccare sulla prima parte del racconto “Un viaggio indimenticabile”.

Ci lasciammo a Roma Termini dopo quella notte di fuoco, un po’ imbarazzati e con la convinzione che non l’avremmo fatto più: “Siamo cugini – pensavo dentro di me -, che cazzo è successo? E se lo sapessero i nostri genitori?” . Anche lei, conoscendola, aveva gli stessi pensieri che le ronzavano per la testa. Però, giunto in albergo per riposarmi e prepararmi alla faticosa giornata che mi aspettava, non potei fare a meno che riprendere tra le mani il suo perizoma che m’aveva lasciato come souvenir… era ancora caldo della sua pelle, sentivo il suo odore di sesso.

Praticamente, avevo ancora voglia di lei. Ma non avevo lei. E così, non mi restò altro da fare che mettermi a gambe aperte sul letto e masturbarmi con il suo indumento intimo che faceva la spola tra il mio naso e la lingua.

Venni copiosamente dopo pochi secondi… ma mi sentivo male dentro: troppi gli scrupoli per quel rapporto familiare cambiato d’improvviso, e anche un po’ di vergogna per quel feticismo che finora non avevo mai praticato, ma che mi piaceva da morire…

Mi feci una doccia, poi andai a sedermi sulla tazza del water, accesi una sigaretta e speravo di sentire vibrare il cellulare. Ma niente…

Dormii per poche ore, giusto il tempo di riposarmi e andare a fare le commissioni che avevo programmato e che erano il vero motivo della mia capatina nella Capitale.

Verso le 17, dopo che avevo concluso buona parte del giro, mi arriva un sms: “Non faccio che pensarci. Siamo stati stronzi, ma non riesco a togliermi dalla testa questa nottata in treno. E non faccio altro che martoriare la mia povera passerina, e non solo lei…”.

Però, non disse che aveva voglia di me, e di farlo ancora, nè tantomeno mi lasciò indirizzi dove eventualmente farmi trovare: “Resterà solo un ricordo – pensai -, un bellissimo ricordo”.

Allora tornai nella mia camera doppia uso singola in albergo, nei pressi di Piazza Colonna, con la tristezza nel cuore, ignaro di quello che sarebbe accaduto…

Trafelato per il gran caldo salutai in fretta e furia il receptionist, che mi sorrideva sotto i baffetti: “Cacchio vorrà questo qui – rimuginai -? Starà pensando a quanto son stupido a girare in una Roma sotto la canicola mentre lui è al fresco”.

Entrai in camera. Avevo lasciato il solito disordine, ma guardando bene sul letto, accanto al mio slip usato e logorato dal viaggio, vidi un perizoma bianco con una macchia vicino al filo: “Che razza di scherzo è questo – imprecai ad alta voce -? Chi è che si permette di prendermi così per il culo?”. E buttai un bestemmione…

Di colpò si aprì la porta del bagno… c’era Simonetta vestita con un “pinocchietto” nero e una canottiera rosa che, nonostante il reggiseno piuttosto stretto, lasciava intravedere le sue tette da quarta misura…

“Piaciuta la sorpresa – mi disse -? Roma è come il nostro paesotto, alla fine ci si trova tutti”.

“Ecco perchè quello stupido rideva – le dissi -, sapeva tutto”.

“Già – rispose -, ma ora pensiamo solo a noi per favore”.

La presi per i fianchi e ci baciammo in maniera caldissima, le nostre lingue si incrociavano da sembrare due uncinetti in grado di ricamare sempre nuovi disegni… e intanto le appoggiai la mano sul suo sedere, carezzandolo come un bimbo carezza il suo giocattolo che ha sempre sognato.

“Dimmi che non è un sogno – le ripetevo -, e che non mi lascerai come un treno…”

“No tesoro – replicò con la voce suadente -, sono venuta per fare tante porcate, ma non pensare che m’innamori di te”.

Bando agli indugi: la spogliai in pochi secondi, mi misi seduto sul letto e la lasciai in piedi con solo reggiseno e mutandine: “Mamma che spettacolo – mi lasciai scappare -, è tanta roba davvero”.

Le abbassai gli slip lasciandoglieli sulle ginocchia, e vidi che era completamente rasata come una bambina: “Vedi – annuì -? Come da piccoli che giocavamo al meccanico, ricordi?”.

Apro una parentesi, per spiegare in cosa consisteva questo giochino erotico apparentemente innocente: ogni volta che c’erano le feste, si andava tutti dai miei nonni, nella loro grande casa in campagna poco fuori dal paese. Io e Simonetta eravamo più grandicelli degli altri marmocchi della famiglia allargata, e ci chiudevamo nella nostra stanza. A quell’età, avevamo entrambi 10 anni, ci si vestiva ancora quasi da bambini, col vestito della festa. Lei portava sempre delle gonne tipo scozzesi fino a sotto le ginocchia, e camicette bianche. Io, invece, pantalone elegante e di solito qualche camicia abbinata.

Il gioco era presto fatto: io ero il meccanico, e lei la macchina da riparare. Quindi, io mi stendevo per terra con il compito di controllare le parti meccaniche, lei praticamente sempre in piedi veniva all’altezza del mio viso, mostrandomi tutte le sue grazie nascoste da mutandine bianche o rosa, a seconda delle serate. Passava e ripassava avanti e indietro, e io controllavo e annusavo i suoi odori nell’intimo. A volte, a dire il vero, causa puzzette incontrollate, non erano gradevoli, ma a me eccitavano lo stesso tantissimo. Dopo qualche minuto, la facevo mettere praticamente sul mio viso, in modo che mi desse la fichetta o il culetto a pochi centimetri dal mio naso. Mentre operavo, la sentivo ansimare, ma eravamo forse troppo piccoli per sapere il significato della parola “godere”. L’apice si raggiungeva quando avevo “trovato il guasto”: lei tornava in piedi, si abbassava le mutandine sino alle ginocchia e poi, io infilavo il viso sul suo fiorellino, mentre con le mani stringevo le sue chiappe. A volte mi sentivo il naso umido, ma non potevo capire. Poi il gioco si invertiva. Ero io ad abbassarmi i pantaloni, restando in slip. Lei guardava attentamente il mio membro ancora immaturo, e lo toccava dal di fuori. Una volta invece fu ancora più curiosa, e mi disse di calarmi le mutande: avevo una piccola erezione, ma lei si concentrò sui testicoli, toccandomeli al punto da farmi venire un formicolio che, da lì a qualche anno, imparai a conoscere molto bene. Eravamo perversi, e non ce ne accorgevamo, e così arrivò anche a mettermi un dito nel mio culetto, e io non dicevo nulla. Anzi…

“Scusi, ho un problema al motore – si girò mentre rimuginavo su quei giochini che segnarono la mia pre adolescenza -, può controllare per favore?”.

Non me lo feci ripetere due volte: mi misi steso per terra e lei stavolta passava con una fica che sembrava quella di quei tempi, ma molto più matura. Da lì a mettere la lingua il passo era obbligato.

“Ahhhh, oddio oddio oddio, certo che sei migliorato da quando andavamo da nonnaaaaaaaaaa – sparava – che maiale che porco, bastardo che sei. Ahhh ahhhhhh”.

Sentivo la sua fessura nella mia carne, le sue umide labbra mescolate con la mia saliva, e la feci praticamente sedere sulla mia faccia: “E’ troppooooo, così è troppoooo – continuava mentre io le titillavo anche il buco dietro alternando la falange dentro a un massaggio tutt’attorno – sto venendo non possooooo”. Ansimò forsennatamente e aumentò il ritmo delle sue stantuffate: era mia.

Dopo nemmeno trenta secondi sentii un urlo: “Sììììììììììììììììììììììììììì”. E poi si strofinò praticamente sul mio viso. Era venuta, e copiosamente.

Si riprese dopo qualche istante di sbandamento, con quelle tette che ballavano ancora strizzate nel reggiseno. Ero ancora a terra, e lei era ancora assatanata.

Serviva un colpo di genio. Mi abbassai i pantaloni, inutile dire che ero eccitato più di lei. Il suo reggiseno aveva l’attaccatura sul davanti, non ne avevo mai visto uno così… Allora ebbi il lampo che ha sempre caratterizzato le mie performances: presi il mio pene naturalmente duro anche se, sono sincero non lungo ma grosso di larghezza e di cappella, e lo appoggiai tra i suoi seni. Lei tolse i lacci e restò finalmente tutta nuda, come mamma l’aveva fatta.

“Adesso devo ripulire gli attrezzi da meccanico – risi continuando la pantomima -, potrei farlo qui”.

E intanto avevo il cazzo tra le sue tette: mi stava facendo una spagnola, il sogno che avevo sin da quando da bimba diventò una splendida adolescente, quel travaglio ormonale che, per pudore e altri motivi, mise fine a quei giochetti mica tanto innocenti.

“Mamma mia che menne – dissi mescolando italiano e dialetto -, da quando avevi 14 anni che ti sognavo in questa posizione”.

“E allora vieni qui, che ho voglia di coccolarmelo – rispose – e ti giuro che non te ne pentirai”.

Stantuffavo a pieno ritmo, lei serrava i suoi seni a mo’ di cuscino, mentre ero sempre più in estasi e non capivo nulla: “Che bello, che bellooooooo – ripetevo senza sosta -, cugì sei una favola”.

Mi trattenevo quanto più possibile per evitare di esplodere, e ci stavo riuscendo perfettamente fino a quando lei non pescò il jolly: con la punta della lingua me lo succhiava appena e mise una falange nel mio culo… come da piccoli.

“Nooooooooooo stronza – urlavo – sto venendo, sto venendooooo”.

Dopo pochissimo le venni sulle tette. Mai eiaculato tanto in vita mia. Volevo scattarle una foto per immortalarla tutta così impiastricciata. Una foto magari da destinare a trofeo, da far girare via mms o mail a tutti i miei amici. Ma poi sarebbe stata la fine, l’avrei sputtanata per tutto il paese e anche in famiglia. No, non era giusto.

“Piaciuto – si girò ancora con la faccia piena di godimento – d’ora in poi la chiameremo l’officina del sesso”.

Ridemmo a crepapelle come due stupidi, stesi su quel lettino che iniziava a diventare troppo stretto. Al punto da prendere l’altro e farlo diventare modello matrimoniale.

“Tu sei un perverso – disse tra il serio e il faceto -, per questo motivo per fortuna tra noi non ci sarà mai amore. Perchè gli altri con cui sono andata avevano sempre freni inibitori, e tutto si risolveva in una semplice scopata. Fatta o meno con amore, ma solo una scopata. Con te è diverso. E’ perversione allo stato puro”.

La baciai di nuovo appassionatamente, toccandole quelle tette che mi facevano impazzire. Al terzo tocco di capezzoli, sentivo che erano turgidi, e contemporaneamente anche il mio cazzo riprese vigore.

“Oddio – si voltò quasi vergognata mentre i nostri visi erano praticamente incollati – hai la faccia che puzza dei miei umori, ma puzzo così davvero?”.

“Senti – le risposi – questa non è puzza, è profumo di sesso. Quello che faremo per tutta la notte e la mattina di domani, e senza limiti”.

Si rianimò, e allargò le gambe. Poi le piegò su se stessa, dandomi in bella mostra il suo ano roseo ma già (ho l’occhio clinico) usato da altri.

Le scappò una scoreggia, come da ragazzini, come quei tempi: “mmm questa sì che è puzza – la sfottevo – non sei cambiata per niente”.

Lei rideva a crepapelle, e poi si fece seria: “Leccamelo ora, e non fare storie”.

Pensavo scherzasse, a me francamente un buco appena passato da un peto un po’ mi faceva schifo, ma lei insistette: “Leccalo, o non ti piaccio?”.

Ubbidii senza storie, e pur avendo un odore nauseabondo (chissà che aveva mangiato) lo leccai fino a metterle la lingua dentro, al punto che mi sembrava di sfiorarle le viscere…

“Ecco il mio stronzo di cuginettooooo – gridacchiava – ora ti riconosco”.

Intanto, giocavo con la sua fica, di nuovo un fiume in piena. Lei stringeva le gambe, ma riuscivo con le due dita a trovare la vagina e il clitoride…

“Ahhhhhhhhhhhhhh”… e si bloccò. Era venuta di nuovo

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