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Racconti Erotici

Benedetto colui che viene…

By 1 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

La vita si svolgeva prevalentemente nell’alone che dalla grande città si estendeva fino al paese, non grosso ma con molte attività, soprattutto agricole.
I maggiori centri di interesse, erano il circolo comunale, l’osteria, il caff&egrave dove c’era anche il biliardo, la Chiesa.
Le persone più influenti non erano molte.
Logicamente il Sindaco, che poi si chiamò Podestà e successivamente tornò al titolo precedente. Il medico condotto, la levatrice, il farmacista, il parroco e l’ufficiale postale.
Allora, l’Ufficio Postale era gestito come una concessionaria che curava servizi di corrispondenza e a risparmio. Il titolare era, appunto, l’Ufficiale Postale che, di conseguenza sapeva tutto di tutti: a chi si scriveva, che tipo di lettere si riceveva e da chi, se e quali risparmi si avevano sul libretto o in buoni postali, perché nel paese non c’erano sportelli bancari. Inoltre, tutti i pagamenti, anche quelli relativi agli stipendi degli impiegati pubblici, e tutte le pensioni, transitavano per la Posta.
Quando, poi, i componenti di una stessa famiglia erano a capo, contemporaneamente, di Comune, Posta, Parrocchia, posto di medico comunale, farmacia, si creava un potentissimo centro a conoscenza dei fatti di tutti: dell’anima e del corpo. Se poi, come nel nostro caso, anche la levatrice e una maestra fossero entrate a farvi parte, il cerchio era completamente chiuso.
Gli Zocchi erano dappertutto, dal primo vagito al funerale, ed erano anche informati di quante volte le coppie facevano l’amore e come, nonché delle conseguenze.
Il confessionale, pur circondato dalla notoria segretezza, conosceva perfino i pensieri della gente!
Gli Zocchi, malgrado avessero il paese in pugno, come suole dirsi, erano benvoluti. Sempre disponibili, pronti ad aiutare chi fosse nel bisogno. Una parola buona e amichevole per tutti, cordiali, alla mano, senza atteggiamenti protettivi o paternalistici.
Il Sindaco ascoltava attentamente, e cercava di andare incontro ai desiderata della comunità.
Il Parroco era comprensivo, saggio, indulgente.
Il medico condotto era pagato quando il paziente era in grado di farlo; così pure la levatrice.
Il farmacista attendeva, anche fino al nuovo raccolto, o alla vendemmia.
La maestra regalava i quaderni ai meno abbienti e portava degli squisiti biscotti per la gioia dei suoi piccoli alunni.
A capo degli Zocchi c’era Paolo, l’Ufficiale Postale che faceva anche piccoli prestiti a tassi onestissimi, mentre il fratello Don Cesare, il Parroco, fungeva da assistente e guida spirituale.
Quando gli eventi mutarono la struttura esteriore delle istituzioni, il Sindaco divenne podestà, e Paolo assunse anche la carica di Segretario Politico, pur non avendo mai manifestato a favore del partito che si era impadronito del potere.
Le cose seguitarono ad andare come prima, e Paolo non chiese mai se chi si rivolgeva a lui avesse o non avesse la tessera del partito, né si, invece, non simpatizzasse per la cosiddetta sinistra.
Piero nacque quando il padre, Paolo, era Podestà, e la madre, Maria, fungeva da rappresentante della Direzione Didattica che era, però, in un altro Comune, molto più grosso e popoloso, sede delle scuole secondarie e del tribunale.
Finite le elementari, cominciò a fare il pendolare per frequentare ginnasio e liceo. Non accettò mai il posto che l’autista-bigliettaio gli riservava sulla corriera, ma tutti si stringevano per non farlo restare in piedi.
Alunno diligente, sfruttava le doti naturali di intelligenza e perspicacia di cui era provveduto e si applicava intensamente, senza essere un secchione, sì che i risultati furono sempre molto lusinghieri e la maturità fu conseguita con una media eccezionale.
Paolo avrebbe voluto inserirlo nell’Ufficio Postale, o, in subordine, avviarlo a studi economici in previsione di ottenere l’apertura di uno sportello bancario nel paese.
Piero disse chiaramente che avrebbe fatto il medico.
Si trattava di fare il pendolare con la Capitale.
Partiva al mattino presto e spesso tornava anche a tarda sera.
Non trascurava una lezione, una esercitazione.
Poi ci fu la frequenza delle cliniche, e così fino alla laurea, alla scadenza del sesto anno, con 110 e lode, nonché citazione della tesi, meritevole della dignità di pubblicazione.
Lo zio gli chiese di aiutarlo, lui stava facendosi anziano.
Piero lo assicurò che al termine della specializzazione in ginecologia e ostetricia, altri anni, ci avrebbe pensato.
A ventotto anni, brillante ginecologo in ascesa, assistente del titolare della Cattedra, ben avviato nella carriera universitaria, si guardò intorno perché intendeva formarsi una famiglia.
Carla Moretti, del suo stesso paese, era al quarto anno di medicina, e sperava di divenire pediatra.
Una bellissima ragazza, un po’ troppo chiusa, che sorrideva a tutti ma non scherzava con nessuno. E nessuno sapeva chi fosse il suo ragazzo.
Aveva scambiato spesso quattro chiacchiere con Piero, quasi esclusivamente riferendosi alla medicina.
Piero l’invitò alla festicciola che dette nella loro villetta, in occasione della specializzazione alla quale sarebbero intervenuti colleghi, docenti e qualche luminare di chiara fama.
Carla accettò entusiasticamente, anche perché incontrare certi professori non era facile.
Quando Piero la presentò all’illustre Corelli, il gran titolare, come lo chiamavano, il professore gli chiese se fosse la sua fidanzata e lui, stringendo il braccio di Carla, rispose affermativamente. Corelli si congratulò con la ragazza e disse che avrebbe sposato un clinico dal radioso futuro.
Il giorno dopo, Piero, con la sua ‘Balilla’, andò alla fermata della corriera e invitò Carla a salire, tanto andavano entrambi al Policlinico.
Prima ancora che Carla aprisse bocca, Piero, con volto sorridente ma con tono serissimo, disse che non dovevano fare cattiva figura nei confronti del ‘barone’ Corelli, per cui era necessario fissare la data delle nozze.
Lui ne aveva già parlato in famiglia.
Carla avrebbe proseguito, ovviamente, gli studi, e si sarebbe specializzata in pediatria, così lui si sarebbe preoccupato del concepimento, della gestazione e della nascita e da quel momento avrebbe lasciato il neonato alle cure della moglie.
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Erano sposati da qualche anno, e Paolo jr sgambettava per casa e in giardino, quando il Professor Piero Zocchi fu chiamato alle armi, col grado di Capitano medico, ed assegnato a’
Clara rimase a casa, nel suo ambulatorio, affiancando anche il vecchio medico condotto che non si decideva a ritirarsi.
E’ vero che all’epoca non vi erano donne nelle forze armate italiane, ma era ridicolo che l’esperienza professionale di Piero fosse destinata a un reparto dislocato in una zona forse importante militarmente, ma senza attrezzature ospedaliere che avrebbero potuto utilizzare, sia pure parzialmente, l’esperienza clinica e chirurgica del Professor Zocchi.
Nessuna irritazione da parte di Piero, per la verità, salutò tutti, baciò Paolo jr, cercò di lasciare un gradito ricordo di marito e amante alla passionale Carla, e partì per la sua nuova sede, con la speranza che la lontananza fosse di breve durata.
Un paese poco lontano dal confine, con mai sopiti fermenti di separatismo da parte di minoranze (loro dicevano maggioranze) che non accettavano non solo il regime in atto, ma neppure la sovranità italiana. Loro non si sentivano Italiani, e andavano sempre più seminando disordini e terrore, anche e soprattutto per le spinte e i finanziamenti di origine sovietica.
Una gran parte della popolazione, invece, si sentiva italiana, e risentiva della non lontana Serenissima, parlava un dialetto veneto con fortissime inflessioni triestine e qualcuno era perfino entusiasta del nazionalismo di facciata che il regime sfruttava oltre ogni dire.
Le forze armate di stanza nel paese dove fu inviato Piero, erano la prova di quanto impreparazione, imprevidenza e pressappochismo riuscivano a fare. Qualcuno la definiva ‘la più organizzata disorganizzazione’.
Un vasto territorio, infestato da reparti che militavano sotto le insegne della Stella Rossa, e che erano infiltrati dappertutto, col pericolo immanente di incursioni di paracadutisti nemici, era affidato a uomini del tutto privi di addestramento militare, sia generico che specifico, data la particolarità della situazione, dotati di armi obsolete, comandati da pressappochisti che, al massimo, avevano qualche esperienza coloniale contro gli straccioni di Hailé Sellassié, che pure li avevano messi in scacco più volte.
Fucili del modello ’91, pochi moschetti, qualche mitragliatrice già usata nella guerra 1915-18, alcuni mitra e bombe a mano, quelle dette ‘pomodoro’ dal colore, e che non avevano grande effetto.
Dove si nascondeva il nemico, quelli che venivano con disprezzo chiamati ‘ribelli’?
Nelle case, nei boschi, nei gruppi alla macchia, forse accanto a te, sul treno, nel cinema, al caff&egrave.
Alcune famiglie, ritenute di sicura fede fascista, affittavano camere agli ufficiali. Ma non c’era nessuna garanzia.
Era anche capitato che splendide ragazze avessero attirato nostri militari in trappole galanti e gli sventurati erano stati ritrovati assassinati e qualche volta coi genitali in bocca.
Lungo il corso principale, un giorno, apparve il cartello: ‘Domani carne fresca’. L’indomani la saracinesca era ancora abbassata. Una soffiata aveva allertato i Carabinieri che andarono ad aprire quel negozio.
Appeso ai ganci, per le mani, era il corpo di un caporale, squartato, come un vitello.
Malgrado gli avvisi, le diffide, gli ordini e gli interventi disciplinari, era difficile tenere lontani quegli uomini dalle donne, dalle osterie.
I giovani erano pochissimi, solo qualche ufficialetto, per il resto erano padri di famiglia, bonari, compagnoni, attaccati al gotto e alla mona! I pochi giovani non mettevano il gotto al primo posto.
Il giovane sottotenente medico, sbattuto lassù appena laureato e dopo un breve corso a Firenze, faceva quello che poteva, e si limitava ai soliti rimedi militari: olio di ricino, un giorno di riposo in branda, qualche pasticca di aspirina. I casi dubbi erano inviati a Trieste o all’Ospedale Marittimo di Pola.
Piero Zocchi si presentò al Comando di Zona, che avrebbe dovuto coordinare il tutto, dal quale, però, non dipendevano i reparti della MVSN. La milizia volontaria che indossava camicia nera ed era spesso violenta ed estremista. Tra loro alcuni reduci della guerra di Spagna. Ancora una volta si trovavano di fronte ai Comunisti, e quando ne parlavano la mano correva al pugnale.
Il Comando Zona lo inviò a quello dell’esercito reale, dove un ufficiale richiamato alle armi aveva lasciato il tavolino e le mezze maniche di impiegato comunale ed era andato a comandare i reparti di difesa e intervento in un territorio vasto come una provincia.
Uomo con poca istruzione e molta presunzione.
Quando gli uomini facevano le marce di addestramento volute dal loro ‘tencol’ canticchiavano, e a volte cantavano a squarciagola, sul noto motivo di Lilì Marlene:
‘tu ce li rompi colonnell’
speriamo nei ribell’
speriamo nei ribell’!’
Marce inutili, e pericolose, perché era sempre possibile un agguato da parte dei ‘ribelli’.
Il capitano medico professor Piero Zocchi dovette subire lo sproloquio dell’onnisciente comandante, che discettò di medicina e gli dette molti ‘saggi consigli’, come disse, sia in diagnostica che in clinica.
Quando seppe che Piero era docente di ginecologia, gli batté una mano sulla spalla, alzandosi sulla punta dei piedi, e esplodendo in grasse risate gli disse che dopo tanta mona avrebbe avuto a che fare con uno stormo di ‘osei’.
E credette di essere stato molto spiritoso.
L’infermeria era una stanza male arredata, con un lettino e un armadio per gli scarsi presidi medici.
I pazienti attendevano il turno nel corridoio.
La degenza, al massimo tre giorni, utilizzava una piccola camerata, adiacente, con delle normali brande.
L’infermiere era un ex addetto alle pulizie all’ospedale del suo paese.
Il sottotenente Roselli fu felice dell’arrivo di Piero, non era il tipo che amava le responsabilità e la sua relativa esperienza lo rendeva perplesso nel formulare diagnosi, tanto che avviando i malati ad uno degli Ospedali militari, si limitava ad esporre una breve anamnesi familiare e personale e quanto aveva potuto rilevare dall’esame obiettivo.
Ora tutto cadeva sulle spalle del capitano, nonché professor Zocchi, e Roselli fu felicissimo sapere che Piero insegnava anche a medicina interna, per lui sarebbe stato un indubbio arricchimento professionale
Piero fu subito molto cordiale, cominciò a chiamarlo ‘caro collega’ e gli dette del tu. Si complimentò per quello che era riuscito a realizzare coi pochissimi mezzi di cui disponeva. Non poteva certo esordire dicendo che gli sembrava di entrare in un letamaio, Comprendeva bene che Roselli non era un falco e che il Comandante non aveva approvato alcuna richiesta.
Quando Roselli gli chiese se preferisse essere chiamato professore o signor capitano, Piero gli sorrise battendogli una mano sulla spalla.
‘Caro Mauro, non siamo né all’Università, né in ospedale, ma uniti nel compito di curare la salute dei nostri militari e, se serve, assistere la popolazione civile senza attendere approvazione alcuna da parte di qualsivoglia persona. Siamo due medici, legati indissolubilmente dal giuramento ippocratico. Quindi io sono Piero e tu Mauro, qui e dovunque, e se l’omino che comanda ha qualcosa da ridire faccia pure rapporto alla Sanità Militare.’
‘Veramente, professore’ signor capitano’ io non so se riuscirò a”
‘Ascolta, riconosci che tra noi due sono il più elevato in grado, come ufficiale?’
‘Certamente.’
‘Sei d’accordo che, essendo io primario tu devi starmi a sentire?’
‘Ci mancherebbe altro.’
‘Se scegliessi di specializzarti in medicina interna o ostetricia, mi ascolteresti essendo io tuo docente?’
‘Senza dubbio.’
‘Benissimo. Ciò premesso, ti ordino di darmi del tu!’
‘Ci proverò.’
‘Nessuna prova, bisogna eseguire un ordine; obbedire, e l’obbedienza, come ti hanno insegnato a Firenze, deve essere pronta, rispettosa, assoluta. Nel nostro casi devi disobbedirmi solo se ti dicessi di fare cose che per la tua scienza e coscienza di medico ritieni dannose al malato.’
‘Sissignore!’
Uscirono dal tetro edificio, il Castello di Raimondo Montecuccoli, e andarono alla mensa, dov’era una saletta di lettura e un’altra col biliardo.
Sedettero in un angolo, chiesero due bibite.
Piero aveva con sé la borsa e dentro il suo notes.
Aprì la borsa, estrasse il blocco, prese la stilografica.
‘Caro Mauro, adesso preparo la nota di quello che chiedo ai nostri superiori, medici, di Trieste. Innanzitutto, punto ad essere riconosciuto come ‘Sezione Staccata’, e poi mando l’elenco per avere due ambulatori completi, una attrezzatura per interventi d’urgenza, e quanto serve per mettere su due piccole corsie, di cui una per l’isolamento.’
‘E se il comandante di qui non approva?’
‘Io spedisco direttamente al Direttore Sanitario Militare del Corpo d’Armata che, tra le altre cose &egrave un mio carissimo amico.
Staremo a vedere.
Farò battere a macchina la lettera dal Sergente Magnani, pregandolo di tenere la cosa riservata.
Piero era ancora nel piccolo albergo, in piazza.
L’indomani si recò al Comune per salutare l’Ufficiale Sanitario, lo riteneva sua dovere di medico, pregandolo di considerarlo a sua disposizione.
Il Dottor Mario Califfi lo accolse con cordialità e con grande gioia. Gli disse che aveva letto alcune pubblicazioni di Piero, che era lieto e onorato di conoscerlo di persona, pur meravigliandosi che un professionista del genere fosse stato inviato dove certo la sua nota valentia non avrebbe avuto modo di essere utilizzata. In paese c’erano due medici, lui compreso, e facevano di tutto, meno che odontoiatri e interventi chirurgici. Chi ne avesse avuto bisogno doveva recarsi in uno dei due capoluoghi, comunque abbastanza distanti.
Califfi scosse la testa ed espresse a Piero la contentezza di averlo in paese, pur sottolineando la stranezza di non servirsi in un grande ospedale un ‘proteiforme’ (così lo definì) come Zocchi: clinico, chirurgo, ginecologo.
Rimasero d’accordo che una di quelle sere Piero sarebbe andato a cena a casa Califfi, dove avrebbe assaggiato le famose e ottime ostriche di Lemme.
Dopo qualche giorno giunse a Piero una lettera ‘personale riservata’ del Comandante della Sanità.
Gli scriveva chiamandolo ‘illustre professore’ e prima di tutto gli chiedeva se gradisse essere trasferito all’Ospedale Militare di Trieste o intendesse rimanere nell’attuale sede, dove, in tal caso, lo avrebbero aiutato in tutti i modi per realizzare la richiesta ‘Sezione Staccata’ che, tra l’altro, sarebbe stata dotata anche di una autoambulanza nonché del personale necessario per la funzionalità della Sezione stessa. Immediatamente, oltre alle attrezzature letterecce, e a quanto serviva per una piccola unità chirurgica, Piero avrebbe avuto un assistente chirurgo, in aggiunta a Roselli, e il personale infermieristico.
La Sezione, però, avrebbe assistito anche tutti i militari, di qualsiasi corpo od arma, che l’Ospedale Militare di Trieste avesse creduto avviarvi.
Se il professor Piero Zocchi, capitano di complemento della Sanità, avesse preferito la soluzione ‘Sezione Staccata’, tutto sarebbe giunto a destinazione entro un mese.
Restava inteso che ufficialmente sarebbe risultato che ciò avveniva di iniziativa della Sanità.
Il Comando Zona Militare era d’accordo su tutto.
Piero si recò al Comando Zona, parlò col Colonnello Comandante, era dei Carabinieri, e da quel telefono rispose che avrebbe preferito restare dove era ora e realizzare la ‘Sezione Staccata’ dell’Ospedale Militare di Trieste.
Quando, tre mesi dopo, Il Generale medico inaugurò tale ‘Sezione’, con tanto di benedizione del Cappellano Militare e con la partecipazione di numerosi invitati, ‘il rospo’ come era chiamato l’omino che comandava le truppe del territorio, il tencol richiamato, ebbe la faccia tosta di attribuirsi il merito di tutto.
Prima di tornare a Trieste, il Generale raccomandò ai medici di essere gentili e disponibili verso tutti i civili, ma di non accettare nulla in pagamento delle loro eventuali prestazioni professionali.
Piero scrisse una lettera entusiasta a Carla, le telefonò preannunciandole una brevissima licenza, che aveva chiesto anche per riportarsi indietro alcuni strumenti chirurgici e ginecologici di sua proprietà. Ma questo non lo aveva detto alla moglie.
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Forse non si era mai verificato in precedenza una promozione per meriti particolari, e la contemporanea conferma di un maggiore della Sanità alla direzione di una Sezione Staccata in un paesino dove erano di stanza armati che non giustificano simili provvedimenti.
E’ vero, però, che pur con le dovute cautele e nei limiti della possibilità, le prestazioni mediche potevano essere estese, gratuitamente, alla popolazione civile, senza però diffondere la notizia per evitare controproducenti revoche. Un’altra cosa era prevista: le donne non potevano accedere all’ambulatorio.
Per la necessaria sicurezza militare, l’ambulatorio e la saletta per interventi d’urgenza furono separati dal resto della struttura. I civili, dopo essere stati identificati al corpo di guardia e aver lasciato un loro documento, dovevano andare nel cortile dove era l’ingresso per la sala d’attesa. Non era ammesso l’accesso a più di tre civili per volta.
Una sentinella armata era a guardia dell’ambulatorio e nel cortile, difesa da sacchetti di sabbia, era stata creata una postazione con mitragliatrice.
Dopo una settimana di licenza, il Maggiore medico di complemento Piero Zocchi tornò al suo posto, accolto con festeggiamenti e abbracci.
Perfino il ‘rospo’ si congratulò e, sotto sotto, insinuò che anche lui aveva messo lo zampino nella promozione.
Grossa millanteria, la notizia gli era stata data ufficialmente il giorno del rientro di Piero.
Era ormai consuetudine che Califfi andasse a trovare Piero in Caserma, o Piero si recasse nello studio del medico condotto.
Califfi gli disse che c’era una signora che, secondo lui, aveva bisogno del ginecologo. Lui non aveva creduto di doverla sottoporre a visita date le sue limitate cognizioni in materia. Non era il caso, inoltre, far andare la paziente a Trieste o a Pola, non molto lontane, in effetti, ma sempre necessitanti di uno scomodo viaggetto.
Piero si dichiarò dispostissimo a fare quello che poteva. Certamente non in infermeria.
Fu stabilito che Piero si sarebbe recato a casa Fantin, dove Isabella viveva con la madre, il pomeriggio successivo.
Califfi non gli disse che era una sua lontana parente, che tra lui e la madre di Isabella c’era stata una storia e che la simpatia non era del tutto tramontata, e si limitò a dirgli che era meglio che lui non ci fosse.
Isabella Fantin era una bellissima donna, alta, bionda, statuaria, dal volto splendido e sereno, arricchito da un sorriso incantevole. Due occhi azzurri che ci si sperdeva dentro.
Viveva con mamma, Olga, nel vecchio palazzo signorile, col piccolo Sauro, il bimbo di tre anni, e Lenka, la domestica. Il marito, Italo, era stato richiamato nella Regia Marina, come tenente di vascello di complemento e imbarcato su di una unità scorta-convogli con base Taranto.
Si scrivevano quando potevano e Tonino le telefonava quando ci riusciva, nelle rare volte che scendeva a terra.
Lenka introdusse Piero nel salotto, e immediatamente entrarono sia Olga che Isabella.
Presentazione, qualche convenevole, e Olga si ritirò lasciando la figlia sola col medico.
‘Allora, signora, in cosa posso esserle utile?’
‘Professore, da qualche tempo ho dei disturbi’ mi sento a disagio”
‘Ma signora, sono un medico e desidero aiutarla. Nessun disagio, per favore.’
‘Grazie.
Vede, professore, come le ho accennato da diversi giorni accuso dei dolori alla parte bassa dell’addome, ho misurato la temperatura ed ho notato alcuni decimi al di sopra della mia normalità, ho un certo senso di astenia e come un malessere generale.’
‘Questi disturbi sono continui o intermittenti?’
‘Non continui. Solo l’astenia mi infastidisce.’
‘Dovrei visitarla, ma prima desidero qualche notizia particolare.
Ha mai subito operazioni chirurgiche?’
‘Mai, dottore.’
‘Malattie importanti?’
‘Le solite dei bambini, con qualche recidiva nelle tonsilliti.’
‘E’ stata necessaria l’opera del dentista?’
‘Non fino ad oggi.’
‘A che età sono iniziate le sue regole?’
‘Verso i tredici anni.’
‘Regolari, dolenti, abbondanti?’
‘Molto regolari, all’inizio un po’ dolenti, poi più nulla. In quanto al flusso, non so come dire, segue una certa curva, sempre la stessa, inizia scarsamente, aumenta il secondo giorno e poi tende a diminuire per scomparire del tutto il quinto giorno.’
‘So che ha un bambino.’
‘Si, professore, Marco.’
‘Disturbi durante la gravidanza?’
‘Nessuno e di nessun genere. Sono stata visitata da un ginecologo a Pola, al quinto mese, su suggerimento dell’ostetrica locale, e mi ha detto che per lui tutto procedeva bene.’
‘Parto a termine? Regolare? Da chi &egrave stata assistita?’
‘A termine e regolare, assistita dalla Signora Gelini, l’ostetrica condotta, su suggerimento del dottor Califfi.’
‘Aborti?’
‘No.’
‘Scusi, sa, ma devo chiederle se ha mai fatto uso di contraccettivi orali, di quelli di cui si parla oggi e che sono allo stadio sperimentale.’
‘Mai.’
‘Ha usato lavande spermicide?’
‘Qualche volta, a base di acido lattico. Per il resto ci siamo affidati alla identificazione dei giorni fertili e qualche volta a contraccettivi meccanici, al profilattico.’
Isabella diveniva rossa e non stava ferma con le mani, mentre diceva ciò.
‘Ha avuto recentemente fastidi nella minzione?’
‘No, professore.’
‘Dovrei visitarla, signora. Una visita generale e una, logicamente, particolare.’
‘Ritengo che dobbiamo andare nella mia camera.’
‘Va bene.’
‘Le faccio strada, professore.’
Isabella si alzò, si avviò alla porta del salone, seguita da Piero, andò nel corridoio e lo condusse nell’ultima camera, quella matrimoniale, arredata con meravigliosi mobili del secolo scorso, di pregiata fattura e tenuti splendidamente.
Piero guardò compiaciuto.
‘Vedo, signora, che in questa casa &egrave tutto molto bello. Complimenti.’
‘Grazie, professore. Cosa devo fare?’
‘Dovrebbe mettermi in condizione di poterla visitare, il ché non mi &egrave possibile fin quando lei indossa questo elegante vestito.’
Piero sorrideva.
‘Che ne dice se vado a spogliarmi in bagno e indosso solo un accappatoio?’
‘Ottima idea, signora. Posso, intento, mettere su quel tavolino alcune cose che ho nella borsa e che mi serviranno?’
‘Certo, professore, faccia pure.’
Isabella andò nel bagno, che era adiacente.
Piero aprì la sua valigetta, trasse un panno bianco, lo stese sul tavolino che aveva liberato di alcune cose ponendole sulla toletta, vi poggiò la busta coi guanti di gomma, un vasetto con una crema, lo stetoscopio, lo sfigmomanometro, alcuni piccoli strumenti ginecologici, una specie di fascia frontale con una lampadina collegata ad una pila.
Isabella riapparve, coi capelli sciolti, avvolta in un accappatoio rosa.
Era incantevole, affascinante.
‘Signora, dovrei pregarla di consentirmi di togliermi la giacca.’
‘Faccia pure, professore, ha portato il camice?’
‘No, signora, non &egrave indispensabile, ma credo che a un certo momento dovrò rimboccarmi le maniche.’
‘Ha bisogno di lavarsi?’
‘Ora no, al momento opportuno userò dei guanti.
Per favore, si sdrai sul letto.’
Isabella eseguì, diligentemente.
Piero le scoprì l’addome e cominciò a palparlo delicatamente.
Com’&egrave logico, Piero era aduso a vedere donne spogliate, di qualunque età, e a lui la nudità femminile era quasi indifferente, mentre lavorava. ‘Quasi’!
Le fattezze di Isabella, il colore della pelle vellutata lo colpirono. Aveva visto migliaia di addomi, pubi, vulve, ma quei ricci dorati lo attraevano.
Ebbe come un brivido, dal quale si scosse subito per rientrare nel suo ruolo professionale.
‘Le fa male qui?’
‘Un po’.’
‘Qui?’
‘No.’
‘Si metta seduta.’
Piero abbassò l’accappatoio, pose lo stetoscopio sulla schiena, auscultò attentamente, a lungo.
Con la costa della mano colpì leggermente i fianchi della donna, sui reni.
‘Duole?’
‘No.’
Si sdrai.
Auscultò il torace.
Che splendido seno aveva Isabella. Non piccolo, molto sodo, roseo con piccole venuzze azzurre, e capezzoli fragola che s’erano visibilmente inturgiditi al delicato tocco delle mani del medico.
Piero misurò la pressione arteriosa.
‘Polmone, bronchi, cuore, reni, fegato, stomaco, mi sembrano perfettamente a posto. Ora, per favore, dovrebbe mettersi di traverso, sul letto, con i piedi sulla sponda, io mi siederò di fronte, lei poggerà i piedi sulle mie gambe e procederò a una visita ginecologica.’
Mentre Isabella, con una certa perplessità dipinta sul volto, assumeva la posizione richiesta, Piero andò al tavolino, mise intorno alla fronte la fascia con la lampadina, ripose la pila in tasca, alzò le maniche della camicia, aprì la busta dei guanti, li estrasse, li cosparse internamente di talco, li infilò, prese della garza e alcuni strumenti, tornò verso il letto, poggiò garza e resto sul comodino, aiutandosi coi polsi portò una sedia vicino al letto, di fronte a Isabella, vi si sedé.
‘Ora, signora, i piedi sulle mie ginocchia e venga un po’ avanti. Per favore, se riesce, prenda un cuscino e lo ponga sotto i suoi glutei’ brava così. Non tema che cercherò di non farle assolutamente male.’
Piero guardò attentamente i genitali di Isabella, si assicurò della consistenza delle grandi labbra, le scostò, osservò l’anatomia della donna. Prese un divaricatore, dal comodino, lo unse con la crema del vasetto, lo inserì dolcemente tra le piccole labbra rosee, lo aprì, abbassò la testa, indirizzò il piccolo fasci di luce dentro, guardò accuratamente. Allargò maggiormente il divaricatore, prese uno strumento che somigliava allo specchietto del dentista, ma più piccolo, lo pulì bene, lo introdusse nella vagina, girò piano scrutando diligentemente. Ritirò lo specchietto, con una pinza introdusse un tamponino di garza, lo fece giungere fino al collo dell’utero, lo tirò fuori, guardò il colore della mucillagine, lo odorò. Chiuse il divaricatore e lo estrasse.
‘Fatto male?’
‘No, professore, &egrave bravissimo.’
‘Adesso deve poggiare i piedi sulla sponda e restare così.’
Si alzò, si avvicinò alla donna, e scostò bene le grandi labbra, vide il piccolo clitoride che vibrava, lo sfiorò appena, introdusse la dita nella vagina e la esplorò attentamente, chiedendo di quando in quando a Isabella, se le provocasse dolore o meno.
Tirò fuori le dita.
Si alzò col busto.
‘Finito, signora, se vuole può rivestirsi.’
‘Si, preferisco, professore.’
Isabella era nuda, bellissima, e non era indifferente a Piero.
Strano, stava quasi eccitandosi per una paziente!

Quando Isabella tornò, un po’ rossa in volto, Piero aveva di nuovo indossato la giacca e rimesso a posto tutto nella valigetta.
‘Vogliamo tornare il salotto, professore? Adesso posso offrirle una tazza di vero caff&egrave?’
‘Grazie, signora, se mi fa compagnia.’
Tornarono nel saloncino, Isabella tirò un cordone e a Lenka chiese due caff&egrave.
‘Allora, professore?’
‘Niente di serio, signora, un lieve risentimento agli annessi, ma in fase di risoluzione spontanea. Capita a volte, per qualche germe che si introduce nei genitali. Basta poco, anche da un indumento intimo, da un pannolino. Magari nello stirare una mano che aveva toccato qualcosa che li conteneva. Nulla di serio. Le prescriverò qualcosa che faccia scomparire tutto e presto.’
‘Dovrà rivisitarmi, professore?’
Piero stava per rispondere che non era proprio il caso, invece’
‘Beh, certo sarebbe meglio. Tra una decina di giorni.’
‘La rivedrò con piacere.’
Lenka aveva portato le tazzine di caff&egrave.
Piero si alzò per accomiatarsi.
‘L’accompagno, professore.
Per ora non posso che ringraziarla, ma, anche a nome della mamma, saremo lieti di averla a cena, una di queste sere.’
‘Con piacere, signora.’
‘Le va bene posdomani?’
‘Benissimo’ salvo eventuali imprevisti professionali. E’ il destino dei medici mancare gli appuntamenti.’
‘L’aspetteremo a qualsiasi ora. Arrivederla.’
Gli tese la mano, con uno sguardo pieno di simpatia.
Questa volta Piero la baciò.
Si, la baciò, non si limitò a un inchini e, come si fa di solito, a far finta di baciare la mano.
E fu un bacio più lungo del normale.
Isabella sentì partire dalla sua mano una scossa che si diffuse piacevolmente in lei, nella testa, nel grembo, fino agli alluci.
^^^
Fuori della Sezione lo attendeva Roselli, agitatissimo.
Come lo vide gli andò incontro, lo salutò.
‘Devo parlarti, professore, &egrave urgente e delicato.’
‘Calma, cosa c’é.’
‘Scusa, vorrei parlarti qui, all’aperto, prima di entrare.’
‘Dimmi Mauro”
‘Alcune Camicie nere della Milizia hanno combinato un casino a Pùlici, a pochi chilometri da qui. Sono andate in un pollaio a’ ‘prelevare” delle galline. Una donna ha gridato ‘al ladro’, sono giunte altre donne e anche un uomo con un forcone. I baldi Militi hanno creduto di battere in ritirava sparando alcuni colpi contro quella gente. E’ venuto un giovane, qui, pochi minuti fa, ha chiesto aiuto. Ci sarebbe un uomo ferito ad un braccio e una giovane donna all’addome. Sembra che la donna stia maluccio.’
‘Dov’&egrave quel giovane?’
‘E’ qui, dietro al Castello, che possiamo fare?’
‘Fatti dire bene dov’&egrave la casa dei feriti, e assicuralo che saremo li tra pochissimi minuti. Tu prepara la moto e prendi l’occorrente per estrarre eventualmente i proiettili dalle ferite. Non dimenticare l’anestetico e i disinfettanti e anche delle fiale di ‘prontosil’ contro le infezioni. Dai.’
Un quarto d’ora dopo il maggiore Zocchi e il sottotenente Roselli erano a Pùlici, poco prima dell’ingresso del piccolissimo paese che sembrava disabitato. Solo davanti a una casa, poco discosta dalla strada provinciale, una donna era sulla porta, e fece loro segno di avvicinarsi.
Il giovane che era andato a chiedere aiuto era tornato in quel momento, sudato e trafelato, dopo una pazzesca corsa in bicicletta.
Anna Mùcici, la ferita, era la sorella. L’avevano messa sul letto, con un panno sulla ferita, poco sopra l’anca sinistra. La ragazza aveva il volto rosso ed era accalorata.
Stano, il ferito, era nell’altra camera.
Piero scoprì la ferita, toccò, prese uno specillo e dopo aver spruzzato qualcosa per anestetizzare la parte, lo introdusse lentamente nella ferita. Per fortuna era poco profonda, il proiettile non doveva aver leso i visceri, ma certamente il peritoneo era stato interessato.
Disse di preparare acqua bollente e di stendere un lenzuolo sul tavolo della cucina.
Seguito da Roselli, andò a dare un’occhiata all’uomo.
Era stato fortunato, solo una ferita di struscio, abbastanza superficiale.
Incaricò Mauro di disinfettare, dare qualche punto e fasciare, poi una iniezione per prevenire complicazioni. Celermente, lui l’aspettava in cucina, al più presto.
Fu lui stesso a prendere sulle braccia la ferita e portarla in cucina dove, intanto, era stato fatto quanto lui aveva chiesto.
La stese sul tavolo, ricoperto d’un doppio lenzuolo.
L’acqua già bolliva nel camino.
‘Per favore, mettete delle pezze bianche, pannolini, o quello che avete in quell’acqua. Poi, tutti fuori, rimanga solo la mamma della ferita ma deve promettere di non parlare e non avvicinarsi al tavolo se non lo dico io.
Intanto, mi aiuti a spogliarla e qualcuno porti due lenzuolini puliti.
Anna fu spogliata con delicatezza, evitando ogni movimento brusco.
Quando fu completamente nuda, Piero sostò un attimo a guardarla. Ad ammirarla, era giovane e meravigliosa.
‘Quanti anni ha?’
‘Ne ha fatti diciotto il mese scorso.’
Rispose la madre.
Anna aveva gli occhi aperti ma si vedeva che soffriva.
Guardò il medico, cercò di sorridergli.
‘Adesso, bella biondina, deve avere pazienza. Cercherò di non farle sentire niente, e di togliere il proiettile da dentro. Chiuderò il tutto e lei starà meglio di prima. E’ sposata?’
Anna scosse la testa.
La mamma intervenne.
‘No, siòr dottor, la sé zovene, ma la gà el moroso.’
Piero pensò ‘sfido che ha il moroso, un pezzo di ragazza come quello, con certe tette da statua greca e un corpo così attraente’. Beato il moroso.
Per due volte, nello stesso giorno, a poca distanza di tempo, era rimasto incantato dinanzi alla bellezza femminile. E anche un po’ eccitato.
Mise un lenzuolino dal mento all’ombelico e l’altro sul pube, fino alle ginocchia.
Roselli aveva finito, era accanto a lui.
‘Cosa farai professore come anestesia?’
‘Credo che dovremo procedere a una lombare a basso titolo. C’&egrave il pericolo di trovare qualche imprevisto. Hai mai praticato una lombare?’
‘No, mai, l’ho vista fare.’
‘Animo, prepara tutto, siringa, fiala, ovatta, alcool.
Lei signora, deve aiutarmi a far sedere Anna sul letto, solo il tempo di una iniezione.’
Quando Anna fu seduta, col fiorente petto scoperto, Piero praticò rapidamente l’iniezione tra due vertebre lombari, tamponò il forellino, vi misse un cerotto. Fece sdraiare la ragazza.
‘Cara Anna, fra poco il suo pancino non sentirà nulla.’
Attese un po’, poi con un ago punse vicino alla ferita.
‘Sente nulla?’
‘No, sior dottor, ma per favore non stia a darmi il lei, mi dia il tu.’
‘Bene, ragazza. Come vuoi.’
Le dette una carezza affettuosa. Guardò Roselli.
Avevano già indossato i guanti e Mauro aveva provveduto a disinfettare abbondantemente la parte con acido picrico.
Piero allungò un po’ la ferita, la dilatò, cercò piano con lo specillo, sentì il proiettile, Non era in profondità, per fortuna. Estrasse lo specillo ed entrò con la pinza. Fu fortunato, afferrò subito il proiettile e lo estrasse facilmente. Non c’era emorragia. Entrò col dito a toccare l’intestino, gli sembrò che fosse in regola. Cucì il perineo, e con punti di seta fece una sutura magistrale, curando che le labbra della ferita combaciassero perfettamente. Garza, cerotto, fasciatura. Volonterosamente aiutato da Roselli.
‘Hai sentito niente, Anna?’
‘No.’
‘Adesso ti riportiamo a letto. Devi stare ferma. Ti darò un antidolorifico e ti inietterò un preparato contro le infezioni.
Adesso ti metteranno una camicia da notte.
Non devi alzarti, se hai dei bisogni da fare, usa un recipiente, nel letto.
Capito?’
Anna annuì.
Domani il dottor Roselli od io torneremo a vederti.’
Roselli si offrì di riportare a letto la ragazza e aiutò volentieri la mamma a farle indossare un lungo e largo camicione da notte.
Anna gli sorrise.
Sull’aia c’era della gente.
Un uomo, grande e grosso, si avvicinò.
Prima non c’era.
‘Scusi sior dottore, sono il padre di Anna. Quando ho saputo sono corso subito..’
‘Perché dove sta?’
‘Nel bosco’ a far legna’
Come sta la tutela?’
‘Sta benissimo, fra qualche giorno ballerà più di prima.’
‘Cosa possiamo darle, sior dottore?’
‘Mi dia la mano, e vada a baciare la sua bella figliola.
Domani uno di noi verrà ad accertarsi che le cose vadano bene.
Buonanotte.
Mauro, andiamo via?
Dai, tanto sei tu che tornerai domani.
Tornarono in paese,
La sera Califfi gli disse che aveva saputo tutto. Che la famiglia di Anna non era tra le più favorevoli al fascismo. Il padre era si nel bosco, ma non per tagliare legna, insieme al fidanzato di Anna. Quest’ultimo si era sottratto alla chiamata alle armi e stava per raggiungere le formazioni titine.
Insomma, Piero era lodevolmente accorso dove richiesta la sua opera di medico, senza domandarsi chi fosse il malato, di che colore di pelle o politico. Califfi gli strinse vigorosamente la mano e gli assicurò che il gesto era stato apprezzato da tutti, salvo che dagli estremisti fascisti, altrettanto sanguinari come i loro nemici comunisti.
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Non fu facile per Piero procurarsi dei bei fiori, ma vi riuscì.
Li fece recapitare a casa di Isabella Fantin il pomeriggio antecedente la cena.
Un biglietto semplice: ‘con i miei omaggi’.
La sera giunse all’ora stabilita.
Isabella era elegantissima, bellissima, con un volto splendente e seducente. Lo accolse con un sorriso ammaliante, e il modo con cui gli porse la mano era un chiaro invito a farsela baciare.
Invito accolto con diligente entusiasmo, e senza alcuna fretta.
Il contatto delle labbra su quella pelle liscia era delizioso.
Le labbra di Piero le davano un leggero brivido.
La mamma, Olga, era anche lei elegante e sembrava quasi la sorella di Isabella. Del resto non doveva aver superato la cinquantina, ed era ancora più che bella.
La promessa delle ostriche di Lemme, fu mantenuta ed abbondantemente onorata, accompagnata da un gradevole vinello frizzante.
Tutto si svolse in un clima di cordialità, con vari discorsi sul momento che si attraversava, sulle difficoltà della zona, sull’estremismo di certi fanatici irredentisti, sulle bande di cosiddetti ‘ribelli’, con tanto di stella rossa sul berretto, nelle cui fila militavano anche delle donne, sul comportamento disdicevole da parte di alcuni ‘militi’, dediti più alla razzia e alla prepotenza che ad altro.
Il futuro non sembrava roseo, anche perché le notizie dai fronti erano tutt’altro che lusinghiere.
Olga disse che era giunto il momento, purtroppo, di abbandonare la terra natia, soprattutto per l’avvenire dei giovani, del piccolo Sauro cui certo il futuro, in paese, non poteva presentare possibili affermazioni.
Dove andare? Dove sentirsi sicuri?
Era duro allontanarsi dai luoghi cari, ma la logica suggeriva di andare dove non esistevano lotte nazionalistiche, divisioni profonde, minacce di vendette.
Era evidente che l’intesa anglo-russo-americana avrebbe fatto di tutto per sconfiggere i tedeschi che, del resto, erano già in difficoltà. Nel contempo, la discrasia tra USA e URSS avrebbe spinto i Russi ad appoggiare i regimi loro simpatizzanti e gli Americani a osteggiarli.
I seguaci di Josiph Broz, detto Tito, volevano la liberazione della loro terra da chiunque non fosse comunista.
Meglio, dunque, distanziarsi al massimo da quei focolai.
Come avrebbero vissuto?
Certamente avrebbero perduto ogni avere immobile e fonte di piccolo reddito.
Olga aveva sempre curato la famiglia, non altro.
Isabella aveva conseguito il diploma magistrale.
Italo, il marito, era laureato in Scienze Economiche e Commerciali, conosceva, oltre l’italiano, il croato, lo sloveno, il tedesco e l’inglese. Si era sempre interessato delle loro proprietà ed era iscritto all’albo professionale di Trieste.
Per lui, forse, non sarebbe stato difficile occuparsi.
Isabella partecipava con aria triste e preoccupata, tanto che Piero propose di cambiare discorso e di parlare delle loro famiglie.
Lui, però, preferiva ascoltare, e accennò pallidamente alla propria famiglia, a Carla, a Paolo jr.
Al termine della cena, dopo il vivo compiacimento di Piero e i complimenti per le squisite specialità che gli avevano fatto gustare, Isabella propose una ‘slivovitza’ in salotto.
Olga si scusò ma disse che preferiva ritirarsi nella sua camera, avrebbe mandato Lenka con una bottiglia della loro riserva casalinga e due bicchierini. Augurò la buona notte, salutò cordialmente Piero, uscì dalla stanza.
Dopo poco Lenka portò quanto ordinatole da Olga.
Sedettero sul comodo divano, Isabella riempì i bicchierini, ne porse uno a Piero.
‘Prosit, professore.’
‘Prosit!’
Il distillato era limpido, forte, aromatico.
‘Questo, professore, &egrave di nostra produzione, lo distilliamo noi.
Tagliamo la testa e la coda e utilizziamo solo la parte migliore.
Lo ricaviamo dalla prugna, sljiva, scegliendo i frutti uno ad uno nel momento migliore.’
‘E’ veramente ottima, non ne ho mai bevuto di simile.
Una serata incantevole, come la bella padrona di casa.’
Isabella sorrise, arrossendo leggermente.
‘E’ molto gentile, professore.
Lo sa che i disturbi di cui mi lamentavo sono scomparsi del tutto?
Non credo che sia già l’effetto dei farmaci.
L’essenziale, comunque, &egrave che non abbia più quei doloretti e soprattutto quel senso di astenia.’
‘Ne sono felice per lei, a volte una visita rassicura il paziente.’
‘Forse, ‘rassicurare’ non &egrave il termine più adatto al mio caso.
Diciamo che in un certo senso mi ha calmata.’
‘In un certo senso?’
‘Si, perché forse mi sono resa conto che tale mio stato &egrave dovuto principalmente a qualcosa che non ha nulla di patologico. Non crede?’
‘E’ possibile.
L’essenziale &egrave che si senta meglio.’
‘Sto bene’ ma un po’ agitata’ uno stato di insoddisfazione vago, generico, indeterminato”
Piero le prese le mani, le tenne tra le sue, si chinò verso lei, guardandola fissa negli occhi.
‘Proprio indeterminato?’
Isabella strinse le mascelle, dilatò le nari, si irrigidì visibilmente.
‘Lasciamo stare”
‘A me può dire tutto, il medico &egrave un confessore laico legato allo stesso vincolo di segretezza.’
Isabella non ritirò le sue manine.
‘Scusi, ma non &egrave facile ammettere certe cose.’
Piero si chinò ancor più, le sfiorò il dorso di una mano con le labbra.
Lei, con l’altra, gli carezzò il volto, teneramente.
Piero le cinse le spalle, l’attirò a sé.
‘Venga qui, Isabella, &egrave normale per una donna giovane e viva come &egrave lei che la solitudine divenga un tormento.
Una carezza, a volte, guarisce più di mille medicine.
La comprendo, anche io sono solo, lontano da ogni affetto, da tutto.
Lo spirito ha bisogno di sentire che qualcuno ci &egrave vicino, ci vuole bene.
Il corpo ha bisogno di essere sostenuto, alimentato, soddisfatto nelle sue esigenze. Tutte le sue esigenze.’
La carezzava dolcemente sul viso, ne sentiva il tepore, ne percepita il turbamento che andava trasformandosi in eccitazione.
Anche lui era eccitato.
Isabella lo guardò, con gli occhi pieni di lacrime, un’espressione estatica e nel contempo alquanto dolorosa.
‘Non vorrei che lei facesse tardi”
‘Giusto, vado’ e grazie”
Prese le mani le baciò entrambi nelle palme.
Si alzò.
Sull’uscio, Isabella gli tese ancora la mani, lo fissò.
‘Tornerà a trovarmi?’
‘Certo.’
‘Quando?’
‘Quando desidera.’
‘Allora, a domani sera.’
^^^
Mauro Roselli disse a Piero che sarebbe andato a vedere come stava la ragazza ferita.
Piero annuì, senza parlare.
Quando Mauro fu sulla moto, Piero gli raccomandò di non correre troppo, non solo per la strada, ma anche con la ragazza.
Roselli salutò, smanettò, partì.
Anna era ancora pallida, ma persino più bella nel languore non del tutto superato. Non aveva febbre, si era fatta pettinare, aveva voluto indossare una camicia da notte ricamata, ed era col capo sorretto dai cuscini posti dietro la schiena.
Lo sapeva che Maturo sarebbe tornato. Lo attendeva.
In casa c’erano solo donne.
Mauro scese dalla moto, si scrollò la polvere, tolse il giubbotto di tela e i guanti e mise tutto sulla sella, tenne solo l’elmetto che levò entrando in casa.
Andò nella camera della ragazza.
Anna gli sorrise.
‘Come va, signorina?’
‘Abbastanza bene sior dottore, ma mi chiami Anna.’
‘Vediamo un po’.’
Fece cenno alla mamma di uscire e chiudere la porta. Aprì la borsa che aveva portato con sé, prese un flacone con l’alcol, se ne versò un po’ sulle mani per disinfettarle, si avvicinò al letto della ragazza, e delicatamente la scoprì. Sollevò la camicia, ispezionò intorno alla medicazione, la toccò leggermente. Nessun segno di infiammazione, non era più calda del normale.
‘Non deve tenere le gambe distese, se riesce deve sollevare le ginocchia. La aiuto io.’
Fece tutto con molta attenzione. Erano sodi e lisci i polpacci, e così le cosce che spostò quasi carezzandole. Il grembo, nudo, era un prato aureo che nel folto dei riccioli d’oro custodiva il roseo del sesso di Anna.
Uno spettacolo incantevole.
Mauro riuscì a sfiorarlo, senza insistere.
Rialzò la coperta, avvicinò la sedia al letto, si sedette, prese una mano della ragazza tra le sue.
‘Andiamo molto bene, tra due giorni si potrà alzare un po’, qualche passo, poi in poltrona, e tra una settimana sarà pronta per il suo fortunato moroso.’
‘Ma no go’ moroso, sior dottor. E poi, perché sarìa fortunato il mio moroso?’
‘Mi sembrava di aver sentito la mamma che diceva che lei era giovane ma aveva il moroso. Comunque sarebbe fortunato con una bella figliola come lei.’
‘La mamma dice così a tutti i ragazzi per paura che i me infastidisca’ E non dica che sono una bella figliola, chissà quante donne ha visto, vede”
‘No, Anna, sei proprio una gran bella ragazza, e proprio perché ne ho viste tante di donne, come medico, che posso dirlo. Scusi, distrattamente le ho dato il ‘tu’.’
‘Va bene, sior dottor, va bene il tu, e grazie per il complimento.’
‘Facciamo così Anna, ti darò il ‘tu’ se anche tu farai lo stesso con me. E’ vero che ho dieci anni più di te, ma non farmi sentire vecchio. Va bene?’
‘Ci proverò, sior dottore.’
‘Mi chiamo Mauro.
Non &egrave, però, che qualche moscone che ti gira intorno si ingelosisce?’
‘Né moscone, né altro. La mamma le ha detto, sono ‘zovene’, e resterò così fin quando non conoscerò mio marito.’
‘Ah’ ho capito.’
‘Allora, facciamo rientrare la mamma?’
‘Non si disturbi’ scusa’ non star a disturbarti, avrà certamente qualche cosa da fare’ devi andar via subito?’
La mano di Anna, tra quelle di Mauro, si mosse come per una carezza.
‘No, ma fra poco dovrò essere in caserma. Sono di servizio.’
‘Verrai ancora a vedere la ferita?’
‘Verrò a vedere te’ ed anche la ferita”
Si chinò, tolse una mano da sopra quella bianca e liscia di Anna e la baciò.
Anna lasciò sfuggire un lieve lamento.
‘Ahi!’
‘Scusa, &egrave la ferita. Basta una piccola contrazione dell’addome, deve ancora rimarginarsi bene.’
Mauro la guardò teneramente, abbozzò una lieve carezza sul visetto di Anna, che gli trattenne la mano, sorridendogli felice, la salutò, uscì.
Salutò la mamma, la rassicurò sulla salute della figliola, rimise il giubbotto contro la polvere, l’eletto, i guanti. Salì in moto, sfrecciò via.
Era proprio bella quella ‘zovene’.
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Quasi mai &egrave una, sola, e chiara, la ragione dei nostri comportamenti.
A ben pensarci, persino gli istinti, gli impulsi, non sono sempre uguali. Per lo meno nella loro intensità. Le scelte, poi, dipendono dal momento.
Si sceglie un cibo piuttosto che un altro, quando si può farlo.
Ricordiamo Pinocchio, dapprima schizzinoso e poi la fame lo indusse a mangiare buccia e torsoli della frutta.
L’assetato, nel deserto, si getta avidamente sulla prima pozza d’acqua che incontra, senza badare a limpidezza e quasi non sentendone il sapore.
Si, il digiuno sessuale di Isabella era certamente una delle ragioni per cui si sentiva sempre più attratta da Piero. Ma bisognava riconoscere che tale richiamo proveniva da un uomo interessante, fisicamente molto piacevole. Forse, anzi certamente, più di suo marito.
Sapeva benissimo che i sempre più frequenti incontri avrebbero portato alla prevedibile conclusione dalla quale si sentiva attirata irresistibilmente, con bramosia, freneticamente, ingordamente.
Le mani di Piero che aveva sentito durante le visite le avevano fatto dimenticare che erano quelle di un medico. Quei toccamenti erano carezze, la necessaria intima esplorazione del suo grembo era qualcosa di voluttuoso.
La femmina Isabella sentiva il fascino del maschio Piero.
Il maschio Piero si sorprendeva sempre più di sentirsi ammaliato da una sua paziente. Eppure ne aveva viste tante di giovani donne, anche bellissime, anche quelle concupite dai loro fans, e irraggiungibili per quasi tutti. Aveva palpato seni e glutei splendidi (alcuni senza aiuto della chirurgia estetica) che la gente rimaneva incantata a guardare, in foto,sugli schermi. Aveva esplorato sessi femminili spalancati di fronte a lui, che facevano eccitare intere platee, in tutto il mondo, al solo intravederli, o immaginarli, in scene che duravano un attimo fuggente.
Piero era calamitato da Isabella.
Si accendeva al solo pensiero di incontrarla nuovamente.
Non riusciva a comprendere se si trattasse d’una fiammata che si sarebbe spenta dopo un primo incontro intimo, o di altro.
Comunque, quella sera sarebbe andata a trovarla.
Desiderava carezzarla.
Ma sentiva un certo senso di ritegno se, per farlo, doveva profittare di una prestazione professionale.
E venne la sera.
Fu Isabella a riceverlo.
Elegantissima, incantevole, con un volto bellissimo, e un vestito che metteva in risalto le pregevolezze del corpo.
Lui le baciò la mano.
Lei gli sorrise, gli sfiorò il volto con un fuggevole bacio. Affettuoso, da amica.
Gli si mise sottobraccio, lo guardò con uno strano sorriso sulle labbra.
‘Come si sente, Isabella?’
‘Benissimo, Piero…’
Ci rimase male, la’ visita sfuggiva’
” vorrei, però, che lei constatasse le mie condizioni”
Piero sospirò, sollevato.
” anzi pensavo di farlo subito’ prima di cena’ tanto ci manca almeno un’ora. Tra l’altro, siamo soli, mamma e la tata sono da zia, ed hanno con loro anche il bambino”
Si diresse verso la sua camera da letto.
Entrarono, chiuse la porta. A chiave.
Piero la guardava con una certa curiosità,non aveva mai chiuso a chiave.
Isabella andò vicino al letto, slacciò il vestito, che cadde per terra, lo raccolse, lo piegò alla meglio, lo mise sulla sedia. Era in sottoveste. Sedette sulla sedia e tolse le calze.
Piero pensò che poteva anche tenerle.
Si alzò, sfilò la sottana che pose accanto al vestito, sbottonò il reggiseno, e, con una certa eleganza, fece cadere sul pavimento le mutandine. Si chinò per raccoglierle e metterle con tutto il resto.
Era magnifica.
Quel chinarsi, poi, fece esplodere qualcosa nella testa di Piero.
E nei pantaloni.
Isabella, s’infilò nel letto.
Guardò l’uomo.
‘Non ti spogli?’
Qualcosa colpì di nuovo Piero.
Poi, lentamente, prese a seguire l’invito di Isabella.
La sua evidente e prepotente erezione lo metteva a disagio.
Isabella lo fissava.
‘Sei bello, Piero, proprio come ti ho sognato.
Vieni.’
Sollevò la coperta, gli fece posto.
Mai, come in quei giorni, Isabella aveva sentito i morsi dell’appetito sessuale, la necessità, non il bisogno, di un maschio; l’ urgenza, l’improrogabilità di averlo. Nel contempo, però, pur in quello strana e sconosciuta fregola non era affatto disposta ad approfittare del primo venuto.
Il suo grembo aveva sussultato al primo incontro con Piero. Le sue mani, pur nella freddezza della professionalità, l’avevano fatto fremere.
Ora erano insieme, in preda al più prepotente dei desideri. Una vera brama.
Non poteva essere solo la prolungata astinenza da rapporti sessuali.
L’attrazione reciproca era violenta, travolgente, impaziente.
Le labbra si unirono appassionatamente, le mani si cercarono, intrecciarono, vollero conoscere ogni centimetri del partner.
I capezzoli sembravano impazziti al suggere goloso, avido, di Paolo. La pelle di Isabella era percorsa dai brividi, elettrizzata.
Non compresero essi stessi come e quando, ma si trovarono avvinti e palpitanti, in un amplesso che non conosceva precedenti.
Meraviglioso, infinito, che coinvolgeva ogni loro fibra, fisica e mentale, in una partecipazione appassionata ed esaltata che nel contempo era anche un totale abbandono. Ognuno all’altro. Desiderio di godere e di far godere. Entusiasmo di donarsi e di pretendere. Astrazione totale dal presente. Spensieratezza somma. Inesistenza del futuro.
Non era ‘una’ intesa, la l’intesa! Incontro di due entità, uniche al mondo, esistenti per incontrarsi. Casi rarissimi, ma a loro era accaduto.
Non si accorsero che gli altri erano rincasati, né del trascorrere del tempo.
Lente, lente, currite noctis equi’
Correte lentamente cavalli della notte…
Come si addiceva loro il verso di Ovidio, pur non necessitando di alcuno dei suggerimenti dell’Ars amatoria.
Sudati, ansanti, deliziosamente spossati, paghi oltre ogni dire, giacquero, supini, dandosi la mano, guardandosi sorridenti, felici, soddisfatti. Increduli.
Solo allora Piero pensò alle conseguenze possibili, probabili, forse certe, derivabili da quei loro amplessi.
Una femmina in quello stato di ‘calore’ ha elevate probabilità di concepire una nuova vita.
Scosse appena la testa. Ci avrebbero pensato al momento opportuno.
Isabella sentiva il suo grembo placato, sazio, soddisfatto, rilassato.
Sì, era stato tutto così inevitabilmente istintivo e travolgente che solo ora rifletteva sul come si erano succeduti gli eventi.
Era impensabile interrompere quella passione che la sconvolgeva attendendo che lui indossasse un profilattico che, tra l’altro, avrebbe dovuto preparare prima, tenere a portata di mano.
Ancora più inconcepibile interrompere proprio nel momento essenziale quella unione voluttuosa e vorticosa.
Per una donna, poi, non c’&egrave niente di più esaltante e premiante, che far germogliare in sé una nuova vita dal seme ricevuto nel meraviglioso incontro con l’uomo che il destino le ha consentito di incontrare.
Un figlio di Piero.
Solo che non era assolutamente opportuno.
Almeno in queste condizioni.
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Anna era completamente guarita.
Mauro, però, seguitava ad andarla a trovare, con maggior frequenza di prima. Lei lo attendeva, uscivano insieme, giungevano anche al piccolo paese. L’essere ufficialmente convalescente (ma stava meglio di prima) giustificava il fatto che si appoggiasse visibilmente al braccio di lui. Quando erano sulla via del ritorno, sulla carrareccia non trafficata, lui le cingeva la vita, e i baci erano sempre più appassionati.
La famiglia di lei lo avevano capito.
Lo sapeva tutto il paese.
Mauro era divenuto il medico di quella gente.
Visitava chiunque ne avesse bisogno, portava anche delle medicine e, se non glielo dicevano loro, non chiedeva il nome a nessuno, specie ai giovani che per l’età sarebbero dovuti essere alle armi.
La popolazione aveva fiducia nel ‘sior dottore’, lo salutava, lo invitava a bere uno ‘sprisso’. Lo considerava uno dei loro fino al punto che, dopo uno scontro a fuoco tra una pattuglia italiana e una formazione di ‘ribelli’, lo invitò a recarsi nel bosco, in una legnaia abbandonata, dove erano alcuni feriti, per fortuna leggeri, tra cui una donna, una bella ragazza.
Mauro si sentiva sereno.
Ippocrate non avrebbe chiesto nulla, avrebbe curato.
Così faceva lui.
Tra lui e Anna l’attrazione aumentava sempre più.
Le carezze divenivano sempre più audaci e bramose.
Anna lo guardava dolcemente, e gli ripeteva che era ‘zovene’, vergine.
Mauro, riuscendo a telefonare a casa, aveva detto che aveva conosciuto una brava ragazza e che la cosa era seria.
Nessun commento da parte dei suoi.
Si decise di parlarne chiaramente ai genitori di Anna.
Non lo aveva detto neanche alla giovane, fu una sorpresa per lei.
‘Si, voglio bene ad Anna e desidero farla mia moglie.’
‘E la porterà via,lontana?’
‘Dove stabiliremo di vivere.’
La mamma si fece il segno della croce.
‘Madona benedeta!’
Comunque la voce fece il giro del vicinato.
Da quel momento,il dottor Mauro Roselli era il ‘moroso’ della Anna.
Anna glielo aveva detto: sarebbe restata ‘zovene’ fino a quando non avesse conosciuto chi l’avrebbe sposata.
Sorrise con occhi lucidi e volto radioso a Mauro.
‘Ti me sposi?’
‘Vuoi?’
‘O, caro, e come te vogio!’
E glielo dimostrò, teneramente, deliziosamente, quando restarono soli in casi.Ognuno aveva qualcosa da fare.
Ma la mamma conservò le lenzuola che recavano la testimonianza della sua ‘prima volta’.
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Gli eventi precipitavano, volgevano al peggio per l’Italia.
Rotta su tutti i fronti; distruzioni interne; capovolgimenti politici. Difficoltà nei rifornimenti, anche alimentari.
Josi Broz, detto Tito, Croato, dopo essere stato in URSS, presso il Comintern, ers rientrato in Jugoslavia ed era divenuto Segretario Generale del ricostituito Partito Comunista Juogoslavo. Ora aveva il pieno appoggio anglo-americano, ed aveva armato delle ben organizzate formazioni per la liberazione dei territori rivendicati dagli jugoslavi.
Le notizie filtravano, sempre più allarmanti.
Un fonogramma urgente trasferì Piero Zocchi all’Ospedale Militare di Trieste.
Quando lo disse ad Isabella, la donna fu presa da una crisi di pianto.
Il mese prima, un ufficiale della Regia Marina, venuto appositamente da Pola, le aveva comunicato, sia pure con le dovute cautele, che l’unità navale sulla quale era imbarcato il marito, era stata affondata. Le condizioni del mare e la situazione tattica non avevano consentito di accertare se vi fossero o meno superstiti, per cui il tenente di vascello Italo Borsi doveva considerarsi ‘disperso’. Si auguravano di avere al più presto notizie sul possibile ‘ripescamento’ da parte del sottomarino affondatore. Nel contempo, una parte degli emolumenti mensili spettanti al ‘disperso’ sarebbero stati corrisposti alla moglie.
Isabella era restata ad occhi asciutti.
Quando ebbe tale notizia, erano con lei Piero e la madre.
L’ufficiale di marina rinnovò speranzose parole di circostanza.
Si accomiatò.
Olga si ritirò in camera sua.
Piero non sapeva cosa fare.
‘Non lasciarmi sola, Piero, ti prego”
Lui l’abbracciò teneramente. Andarono verso la grande poltrona. Piero si sedette, la prese sulle ginocchia, la cullò, carezzandola.
Isabella volle che restasse con lei, la notte.
Si rifugiò tra le braccia di lui, si assopì.
Al mattino, svegliandosi, era nella stessa posizione, non si era mossa.
Lo guardò.
Piero era sveglio.
‘Facciamo l’amore, tesoro. Ti voglio sentire in me.’
^
Quando Piero le disse del trasferimento, lo guardò col terrore dipinto sul volto.
‘Mi lasci! Per sempre’!’
Lastrine a sé.
‘No, tu e il bambino venite con me, a Trieste.’
‘Davvero?’
‘Certo’ se vuoi”
‘Come potrei non volere, significherebbe cessare di vivere.
^
Olga rifiutò categoricamente di allontanarsi dalla sua casa. Non commentò la decisione di Isabella di andare con Piero.
Isabella chiese a Lenka di accompagnarla.
Lenka accettò.
Fecero tutto molto in fretta.
Qualcosa diceva a Isabella che non sarebbe tornata molto presto nella sua casa natia. Raccolse tutto, anche i gioielli, i piccoli ricordi. Vestiti, biancheria’
Quattro grossi bauli e valige varie.
L’autocarro militare caricò tutto e partì prima di loro.
Avrebbero scaricato in Via Fabio Severo, nell’appartamento mobiliato che gli amici gli avevano procurato.
Piero, Isabella, Lenka, il bimbo, li precedettero in auto.
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Stavano per entrare a Trieste.
Piero si fermò a un bar, prese qualcosa per le due donne, telefonò alla Direzione della Sanità Militare. Parlò a lungo, con frasi mozze.
Tornò all’auto.
Era scuro in viso, preoccupato.
Passava uno strillone con dei giornali. Ne acquistò uno.
Le solite notizie, anodine, vuote. Anche quel 5 settembre.
Comunque, gli accenni ricevuti dalla Direzione erano preoccupanti.
Isabella lo guardò.
‘Cosa succede?’
‘Non so se valga la pena fermarsi qui o proseguire.’
‘Proseguire? Per dove?’
‘Tentare di arrivare a Roma. Li mi muovo a mio agio, sia in campo militare che civile.’
‘Perché andare a Roma?’
‘Scusa,ma per il momento non posso dirti altro.’
‘E sei sicuro che ci arriveremo?’
‘Lo spero.
Sull’auto c’&egrave la Croce Rossa; anche sul telone e sulle fiancate dell’autocarro. Dovremmo farcela. Attendiamo l’autocarro.’
Comparve poco dopo.
Piero fece segno di fermarsi
Si avvicinò.
Lo guidava un caporale, a fianco un sergente. Entrambi della Sanità.
Lui sapeva che Papetti, il sergente, era della provincia di Frosinone, dove aveva la famiglia.
Si rivolse al caporale.
‘Di dove sei, tu, caporale?’
‘Di Lecce sono, signor maggiore.’
‘Ascoltate, ho saputo in questo momento che devo presentarmi a Roma, all’Ospedale Militare del Celio. Ve la sentite di arrivare fin là? Forse ci scappa anche qualche giorno di licenza per andare a casa.’
Papetti e il caporale si guardarono.
Il sergente rispose per tutti e due.
‘Certo, professore, a costo di trainarlo noi.’
‘Bene, allora fate il pieno di carburante e vedete se potete averne anche qualche bidone. Io adesso riempio una ‘bassa di passaggio’ che ho nella borsa, dico che anche voi siete stati assegnati a quell’Ospedale. Comunque, Papetti, ti do anche il mio indirizzo di casa e il numero di telefono, ma tu non scaricare nulla, aspetta che arrivi io, se non sono già lì. Questi sono anche dei soldi, spero vi bastino. Buona fortuna.’
‘Stia tranquillo, professore, al massimo domani sera saremo a Roma.’
Stesso discorso all’autista dell’Ardita grigioverde.
Lui disse di essere di Poggio Umbricchio, in provincia di Chieti. Lieto di andare a Roma,non c’era stato mai.
Il problema, ora, era dove sistemare Isabella, Lenka, il piccolo Sauro.
Sarebbero andati direttamente alla Clinica di Viale Angelico.
Poi si sarebbe visto.
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Mauro era a cena in casa di Anna.
Entrarono, improvvisamente, alcuni giovani, in tuta blù, con un berretto di tela dello stesso colore, a visiera, al centro del quale spiccava una stella rossa.
Sul petto di uno, in un quadratino bordato di rosso, due piccole stelle rosse.
Si avvicinò a Mauro, che s’era alzato di colpo, mentre Anna gli teneva la mano.
‘Sono Stano, il fratello di Anna.
L’Italia ha perduto la guerra, ha firmato l’armistizio con le forze alleate. I Tedeschi stanno razziando le caserme italiane; fanno prigionieri i soldati, li deportano.
Il Comando Zona Militare e quello del tuo reparto sono stati occupati da noi.
Molti militari sono fuggiti, sparsi nelle campagne.
I reparti della Milizia fascista sono stati catturati.
Prevediamo disordini, rappresaglie, anche atti di inutile violenza.
Tu, Mauro, sei un medico. Aiutaci,abbiamo bisogno di medici.
Quando tutto sarà finito, te lo prometto, potrai scegliere cosa fare.’
Anna guardava Mauro, ansiosa.
Mille idee, non molto chiare, si affollarono nella mente di Mauro.
Rifiutarsi significava essere catturato andare a finire chissà dove.
Ma accettare significava tradire la Patria?
Forse no, perché i ‘titini’ erano con gli Alleati, e la guerra contro gli Alleati era finita. Perduta.
In ogni caso, non avrebbe tradito il giuramento ippocratico.
Mise la mano sulla spalla di Anna, la strinse a sé.
‘Puoi contare sulla mia opera di medico, Stano! Ma non indosserò alcuna divisa!’
Stano si rivolse ai genitori.
‘Fatelo vestire in borghese, mettetegli al braccio una fascia bianca con una croce rossa.
Noi stiamo attrezzando un pronto soccorso nel casale Gelcich. Abbiamo anche strumentazione chirurgica. Dobbiamo cercare volontari per l’assistenza agli eventuali feriti”
‘Io!’
Era Anna.
‘Dobro, bene, sorella. Tu sai dov’&egrave casale Gelcich, vacci subito con Mauro, appena si sarà cambiato.’
I giovani uscirono, con un cenno di saluto.
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Stano Mucici era uno dei maggiorenti di Rijeka, forse il più importante, certamente il più potente.
Così com’era stato un valido ed energico comandante di reparti combattenti, e determinante nell’evoluzione delle operazioni insurrezionali, era divenuto lungimirante guida politica, equilibrato, sereno, mai fazioso.
Era membro del Parlamento nazionale, e una delle sue migliori qualità era la comprensione delle varie istanze delle genti.
Comprendeva che gli Italiani rimasti in Jugoslavia andavano tutelati, a loro dovevano essere riconosciuti gli stessi diritti degli altri cittadini. Si dovevano evitare le discriminazioni che, tutto sommato, avevano subito gli slavi sotto il dominio di Roma, e soprattutto si dovevano impedire conflitti etnici o religiosi che, invece turbavano le regioni meridionali del Paese.
La sua frenetica attività non aveva favorito il desiderio di formare una propria famiglia, e il suo istinto paterno si riversava sul nipote che era stato battezzato col suo stesso nome, Stano. Figlio di Anna, sua sorella, e del professor Mauro Roselli, primario chirurgo presso il locale Ospedale Maggiore.
Stano era al primo anno di medicina, ma aveva anche un debole per la politica. Il suo sogno era la pace tra i popoli. E cercava in tutti i modi di evidenziare ciò che unisce le genti, minimizzando ciò che le divide.
Aveva appreso dal padre che l’uomo ha bisogno dell’uomo, senza guardare nazionalità od altro. Lui, il padre, medico, non aveva mai rifiutato di curare, sempre con lo stesso scrupolo professionale, chicchessia, cristiano o islamico, serbo, croato,sloveno, macedone, italiano!
La sorella, Marita, lo stesso nome della nonna che riposava nel cimitero del paese natìo, era bellissima, come mamma Anna, forse di più. La prima della classe, la più corteggiata delle diciassettenni.
Si stava preparando per la Cresima.
La sua madrina sarebbe stata Isabella Fantin, vedova Borsi.
Marita sperava di rivedere anche Sauro, allievo dell’ultimo anno dell’Accademia Navale di Livorno.
L’estate precedente, quando Isabella e Sauro erano stati a villeggiare a Opatja, era nata, tra loro, qualcosa di più di una tenera amicizia.
Isabella era sempre una splendida donna. Più attraente che mai. Affascinante.
I suoi modi gentili, affettuosi, il suo irreprensibile comportamento avevano anche avuto la meglio sulla comprensibile diffidenza iniziale di Carla, la moglie di Piero.
Dopo qualche tempo dal fortunoso ritorno a Roma, Piero aveva detto allamoglie di aver incontrato una sua paziente che aveva curato per gravi disturbi quando era in Istria. Si era trasferita a Roma, quella signora, unitamente al piccolo bambino e alla tata, appena in tempo per sfuggire l’inferno che si era scatenato in quelle terre.
‘Sai, Carla, vorrebbe far visitare il figliolo da un pediatra. Un controllo. Ti sarei grato se potessi visitarlo tu.’
‘Quando vuoi,basta che me lo faccia sapere per rendermi disponibile.’
Fu il primo incontro tra Isabella e Carla.
Sauro godeva ottima salute.
Lenka sembrava l’angelo custode di madre e figlia.
Carla rimase colpita dalla bellezza di Isabella, ma lei parlò con un certo distacco del ‘professore’ pur essendogli grata perché grazie alle sue cure era tornata a vivere, che ogni sospetto le cadde. Del resto, con l’attività del marito non poteva essere gelosa d’ogni bella donna che lui curava.
Carla non volle assolutamente farsi pagare la visita.
Il giorno dopo Isabella le telefonò, per ringraziarla ancora e per chiederle se poteva permettersi di inviarle uno strudel fatto in casa, una sua specialità.
Carla disse che non doveva disturbarsi, ma alle insistenze della donna finì con l’invitarla a portarlo di persona. Sabato pomeriggio era abbastanza libera. L’attendeva nella loro villetta sull’Appia.
Isabella abitava dall’altra parte della Città, sulla Cassia, un appartamento, nuovissimo, in un villino quadrifamiliare.
Piero era riuscito a farla assumere nell’amministrazione di una prestigiosa clinica, la Excelsior, nome che sembrava più adatto a un albergo o a un cine, ma che diceva tutto, sempre più in alto, e che si attagliava perfettamente all’eleganza del luogo, al trattamento, alle cure prestate. Del resto era anche la clinica dove operava Piero, specie le donne in carriera, le VIP. Tra lo stipendio, la pensione del marito, alla memoria del quale era stata decretata la concessione di una medaglia d’argento al Valor Militare, e qualche po’ di rendita derivante da alcuni titoli, se la cavava benissimo.
Le visite di Piero erano avvolte dalla massima cautela e discrezione.
Piero era tornato alla sua attività privata.
Finita la guerra era stato congedato.
Era sempre in ascesa, professionalmente, tanto che aveva lasciato l’ospedale e stava pensando di realizzare una propria clinica, sia ginecologica che pediatrica.
Ne parlò con Carla.
Era perfettamente d’accordo, ma osservò che ci volevano cospicui capitali e persone capaci di gestirla amministrativamente, oltre che sotto il profilo medico.
Fu proprio lei a suggerire il nome di Isabella.
‘Credo che Isabella sia la persona adatta, &egrave intelligente, equilibrata, ed ha certo acquisito un’ottima esperienza in materia.’
Piero rispose che aveva avuto veramente un lampo di genio.
Ne avrebbe accennato a Isabella.
Due sere dopo,a cena, Piero riprese il discorso.
‘Sai, Carla, Isabella &egrave disponibilissima. Non solo, ma si &egrave detta che sarebbe felice se potesse entrare nella proprietà della clinica. Lei ha un po’ di soldi da parte”
Carla fece un significativo gesto con la testa.
‘So che non se la passa male, economicamente, ma non immaginavo che disponesse di capitali d’una certa rilevanza, perché lei sa benissimo cosa costi rilevare una struttura già esistente e ammodernarla.
Io credo che dietro di lei ci sia il misterioso padre del suo secondo figlio, Benedetto, l’uomo di cui non ha mai voluto parlare.’
‘Anche io credo che sia così.’
Fu la settimana successiva che Piero tornò a casa con aria sorniona.
Chiamò Carla, la fece sedere sulle sue ginocchia.
‘Ascolta, tesoro.
Ci si presenta un vero colpo di fortuna.
L’Excelsior, la clinica, &egrave in vendita.
E’ una s.r.l. e quindi basta rilevare il capitale corrispondere l’avviamento che richiedono e che non &egrave poco.
Però, con quello che abbiamo in titoli e azioni, e con un certo intervento bancario, ad un tasso ottimo, ce la possiamo fare.’
‘E Isabella?’
‘Anche questo ti stupirà.
E’ disposta, anzi desidera, parteciparvi al dieci per cento che, comunque, &egrave una bella cifra.’
‘L’uomo ombra!’
‘Deve essere così.
Io avrei pensato di conservare il nome, di acquistare qualche strumentazione all’avanguardia e di lanciarmi, anzi di lanciarci, nell’avventura.
45% a tuo nome, 45% a me e 10% a Isabella. Anzi, lei pensa di intestare la quota a Benedetto che curerà lei fino alla sua maggiore età.’
‘Solo a Benedetto? Non anche a Sauro?
Vedi che sono soldi del padre di Benedetto,dell’uomo invisibile?’
Piero alzò le spalle.
‘Avrai un reparto pediatrico tutto tuo, e vorrei che tu sviluppassi maggiormente il settore neonatale. Io penso, invece, alla procreazione assistita.’
‘Ci riusciremo?’
‘Sono sicuro di sì, e copriremo ogni impegno economico in pochissimo tempo.’
‘Che ruolo avrà Isabella?’
‘Ma’ io penso che come Direttrice Amministrativa se la caverebbe benissimo.’
‘OK
E che dio ce la mandi buona.’
Piero le batté affettuosamente la mano sulla natica.
‘A me già l’ha mandata buona!’
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Benedetto lo chiamava ‘zio Piero’, come Sauro.
Quando Isabella si accorse di essere incinta fu invasa da un sentimento confuso: era bellissimo avere un figlio da Piero; sarebbe stata di nuovo mamma; ma tutti sapevano che era vedova’ cosa avrebbe detto a Sauro’ e Piero come si sarebbe comportato?
Era stato dieci anni prima.
Sauro era ancora piccolo, era alla prima media. Lo avrebbe capito?
Quando lei gli chiese cosa avrebbe detto se fosse nato un fratellino o una sorellina, Sauro la guardò negli occhi.
‘Figlio di zio Piero?’
Isabella annuì, in silenzio, con gli occhi pieni di lacrime.
Sauro seguitò a fissarla.
‘Ma a me, vorrai sempre bene?’
‘Certo, tesoro.’
Lo abbracciò.
‘Come adesso?’
‘Più di adesso. Tu sei l’uomo di casa, per sempre.’
Sauro si strinse a lei.
‘Sono contento,mamma.’
Piero sembrò felicissimo.
‘Come lo chiameremo?’
‘Col nome che merita, ‘Benedetto’!’
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PERSONAGGI
Zocchi Paolo uff.postale Maria sposa di Paolo
Cesare, parroco
Piero, ginechirurgo (figlio di Paolo)
Moretti Carla sposa di Piero, pediatra
Paolo jr figlio di Piero

Corelli, il gran medico
Roselli Mauro sten medico
Magnani, sergente
Califfi Mario, medico condotto
Fantin Isabella figlia di
Olga
Borsi Italo, marito di Isabella
Sauro, figlio di Isabella e Italo
Lenka, cameriera dei Fantin

Gelin, ostetrica
Mucici Anna, la ferita
Stano, il fratello
Marita, la madre
Mirko, il padre

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