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Diario in fondo al baule

By 21 Ottobre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ il più grande edificio della vecchia strada pedemontana, una volta il corso principale della città.
Edificio fatto e rifatto. L’ultima volta nell’ottocento, ed ha conservato solo l’imponente portone ad arco, in pietra scalpellata, e il cortile interno con, in un angolo, la cisterna piovana, accanto ad una porta che, si dice, si apra su un lungo budello che condurrebbe sino ai profondi scantinati del Castello. Quello sul monte.
Ora, la stretta strada dove sorge &egrave solo un richiamo per il turismo, con le sue caratteristiche case abbarbicate alla roccia. L’edificio, infatti, al secondo piano, un piano molto alto, ha internamente un giardino ricavato su un piccolo pianoro della montagna.
Vi aveva abitato nonno Paolo, nella sua adolescenza, ed anche dopo, quando si era sposato. In quel giardino sulla roccia ha giocato mio padre, che rincorreva i gatti, i polli, i conigli che vi allevavano.
Avevo in mente di tenerlo per andarci di quando in quando, ma poi ho deciso di pensarci. Intanto, lo avevo ispezionato attentamente, dal solaio alla cantina, e mi ero soffermato a guardare i mobili antichi, artigianali, fatti con cura e precisione. I soffitti a trave, i pavimenti in cotto, a cera rossa. I Lunghi balconi sulla viuzza sottostante.
Poche cose, nel solaio. In un canto, una porticina grezza. La aprii. Solo un vecchio baule, pieno di giornali vecchi, dischi a 78 giri, e un quaderno, con la foderina nera, lucida, le pagine bordate di rosso.
Una scrittura minuta e precisa, con l’inchiostro appena sbiadito dal tempo.
Sulla prima pagina, a mezza altezza, nel centro, a stampatello: Diario di Paolo.
Sedetti vicino all’abbaino, su uno sgabello, cominciai a leggere’.
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Oggi, ‘ marzo.
Giorno molto importante della mia vita.
Non so perché, ma ho la sensazione che non si cancellerà mai dal mio pensiero, dai miei ricordi.
Devo confessare che tutti i miei non frequenti rapporti sessuali sono stati, fino a ieri, solo con quelle che eufemisticamente vengono chiamate le ‘professioniste dell’amore’. Chi opulenta e materna, chi giovanissima e piena di attenzioni. Tutte tecnicamente molto soddisfacenti. Ma soddisfazione di breve durata. Un appagamento del momento, un necessario svuotamento delle seminali. In breve tutto &egrave sempre tornato come prima. Peggio di prima.
Preparavo il primo esame universitario. Studio a casa, e mi reco nella città sede della Facoltà di quando in quando. Qui, dove vivo, non c’&egrave Università.
Elena abita di fronte, in una specie di ‘basso’. Lei, la madre, i due piccolissimi figli, Mariella e Tonino. Il marito, Emilio Frossi, é in Belgio, a lavorare nelle miniere. Si ripromettono di mettere da parte un po’ di soldi, di farsi una casetta, appena fuori dell’abitato, e lui ha il sogno di aprire una bottega artigiana per la lavorazione del rame.
Elena ha avuto Mariella a diciassette anni, Tonino a diciannove. Ora ne ha venti.
E’ una bella bruna. Non molto alta, con un personale che non mostra affatto le sue maternità. Ha tette tonde e sostenute, fianchi appetitosi, e un sedere veramente stimolante. Non &egrave che si riesca a vedere troppo del suo corpo, ma quando sale sulla scala, si china, alza le braccia’ &egrave tutto un incanto armonioso di forme.
In effetti mi piace. Moltissimo.
Ho azzardato qualche fugace libertà. Mi ha guardato con un aria strana, non di rimprovero, ma che non ho ben compreso. Certo che le deve pesare la mancanza del suo uomo.
E’ sempre allegra, dinamica.
Viene la mattina, presto, aiuta a rassettare la casa, nell’acquisto delle compere quotidiane, nel bucato, nello stiro.
Io rimango spesso a guardarla, incantato. La spoglio con gli occhi. Credo che lo sappia, ed ho la sensazione che non le dispiaccia.
Ho sempre cercato il modo per infilarmi tra lei e un mobile, una parete, per sentire il calore del suo corpo, il suo profumo inebriante. Mi sono premuto a lei, al suo seno, ai suoi fianchi. Non può esserle sfuggito il mio desiderio, perché la gonfia patta dei pantaloni si &egrave soffermata sui suoi glutei, ha insistito tra essi. Le mani hanno sfiorato, e qualche volta palpeggiato apertamente, le sue rotondità.
In quei momenti, mi guarda, impallidisce, dilata le narici, gli occhi le fiammeggiano, si guarda intorno, mi sorride, a aspetta che mi allontani.
Tutto ciò fino a questa mattina.
Domenica, ore otto.
Mio padre, fuori, in missione per conto dell’Amministrazione Statale per la quale lavora. La mia sorellina, sei anni, nella sua cameretta, a dormire. Sara, la seconda moglie di mio padre, la mia quarantenne matrigna, buona e tenerissima, a messa.
Io a letto, già sveglio.
Elena entra nella mia camera che &egrave quasi al buio.
Indossa il suo solito grembiule nero.
La camera &egrave calda, il riscaldamento funziona benissimo.
Si avvicina al mio letto.
‘Sei sveglio?’
‘Si.’
‘Fatti più in la.’
Ritengo che voglia sedersi sulla sponda del letto, per porgermi la tazzina di caffé, come fa ogni tanto.
Mi guarda fisso. Non ha niente in mano.
Improvvisamente, sbottona il grembiule, lo lascia cadere, alza la coperta, s’infila nel letto. Nuda!
Mi sembra di sognare.
Come l’ho sognata tante volte, e la fantasia ha alimentato sogni eccitanti.
La tocco. E’ lei, sono sveglio.
Apre la giacca del mio pigiama, rapidamente mi sfila i pantaloni. La mia erezione &egrave immediata, incontrollabile.
Mi spinge giù, supino.
Non riesco neanche a vederla bene. Allungo la mano. Ecco le sue tette turgide, che ho sempre vagheggiato’ e questo &egrave il cespuglio del suo pube’ il suo sesso, caldo e umido’
Non ci posso credere’
In silenzio, senza parlare, si mette a cavalcioni, sostenendosi sulle ginocchia, prende il mio glande, lo porta alla sua vagina, ci si impala lentamente, con un lunghissimo oooooh
E’ passionale, calda, voluttuosa.
Sento che sta appagando un desiderio a lungo represso. Di più: una necessità, una impellenza fisiologica.
Il suo sesso caldo accoglie il mio fallo come un guanto morbido e vivo. Lo fascia, lo stringe, lo strizza, golosamente, ingordamente. Se ne sta saziando’
Palpita e sussulta, il grembo &egrave attraversato da lunghe ondate frementi, sta godendo, follemente, impulsiva, libera da ogni paura, sta spegnendo la sua arsura’ deliziosamente’
Ho sempre vagheggiato di avere Elena, l’ho bramata ‘
Ora &egrave realtà, e più incantevole d’ogni aspettativa, immaginazione.
La sua cavalcata aumenta di intensità, diviene veemente, focosa, comprendo che sta raggiungendo il traguardo, il respiro é sempre più affannoso, il seno sobbalza, lei suda, i capelli sembrano percorsi dall’elettricità, mugola, geme, sempre più forte’.
‘Paolo’. Paolo’. Paaaaoooooloooooooooooooo!’!
E’ travolta, sconvolta, da un orgasmo che quasi le fa perdere i sensi’ Apre gli occhi, mi guarda. Il suo volto &egrave estatico, rapito. E’ bellissima’
Nel momento in cui il mio seme irrompe in lei, si abbatte su me, mi bacia in bocca, bramosamente, la sua lingua guizza, saetta, mi cerca’
‘Non resistevo più, Paolo, non ce la facevo più’ Sei magnifico, splendido”
Le carezzo la schiena.
‘Grazie, Elena, Grazie, sei meravigliosa.’
‘Grazie a te, tesoro’ grazie a te’ Ora devo andare. Lei sta per tornare.’
Si leva dal letto, prende le sue cose é sparisce.
Torna poco dopo.
‘Devi alzarti, amore’ le lenzuola vanno cambiate prima che si accorgano”
Recavano la testimonianza evidente di un incontro indimenticabile.
Mi sono alzato in fretta.
Ha raccolto il tutto.
Prima di allontanarsi, mi bacia ancora.
‘Dalle sei di questa sera, quando esco da qui, sarò a casa di mia cugina Antonietta. Lei &egrave fuori, mi ha lasciato le chiavi’ ci resterò fino alle otto e mezzo”
Quell’episodio, inatteso e improvviso, ha trasformato il desiderio, che ho di lei da tempo, in smania, brama, impazienza.
Quando hai conosciuto qualcosa più dolce del miele’
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Stesso giorno, notte.
Sara &egrave a letto. Anche Lucia, la mia sorellina.
Non posso andare a dormire senza annotare quanto &egrave accaduto.
Accertandomi di non esser visto, sono uscito, alle diciotto, e sono andato alla casa della cugina. In fondo alla scesa, subito dopo la porta in pietra che una volta segnava il limitare dell’abitato. Una delle ultime case. Poi, la campagna.
Elena era dietro la porta. Aprì. Sgattaiolai dentro.
Mi abbracciò, si strinse a me, mi baciò appassionatamente.
Era acceso il camino.
L’ambiente tiepido.
Lei era raggiante. Indossava una leggera vestaglia di flanella, che non aveva neppure abbottonato. Sotto si scorgeva una sottoveste rosa.
‘Sei venuto, Paolo’ sei venuto’ grazie”
Non avevo mai visto un volto esprimere tanta felicità.
E la trasmetteva a me, eccitandomi come non mai.
Sono andato sul vecchio sofà, l’ho condotta con me, l’ho fatta sedere sulle mie ginocchia. Ci siamo baciati. Ho carezzato il suo seno. Ho sentito che era nudo, al di là della sottoveste, sono sceso a carezzarle le gambe, ho infilato la mano sotto la stoffa. Nuda.
La seta deliziosa del suo grembo. Il tepore umido delle grandi labbra. Ha dischiuso leggermente le gambe’ sono andato oltre, con le mie dita frementi e curiose. Il suo piccolo clitoride s’&egrave eretto di colpo. Ho sentito il bagnato della sua vagina. Ho cercato in lei. Fremeva, sobbalzava.
Mi sono alzato, con lei sulle braccia, l’ho deposta dolcemente sul divano. Mi guardava, curiosa, stupita, non sapeva cosa volessi fare.
Mi sono inginocchiato di fronte a lei, ho sollevata la sottoveste, ho tuffato la testa tra le sue gambe, con la lingua assetata della sua lingua, che l’ha penetrata, frugata.
‘Cosa fai, Piero! Cosa fai”
‘Ti bacio, amore”
‘Là?’
‘Non vuoi?’
‘No, no’ non l’ho mai fatto’ cosa fai?’
‘Ti mangio? Vuoi che mi tolga?’
‘No’ no’. Amore’ sei bravo’ non sapevo”
Le ho succhiato il clitoride, sono entrato e uscito dalla sua rorida vagina, la lingua l’ha esplorata a lungo, soprattutto in senso circolare’ Sentivo che ansava, gemeva, sobbalzava’
‘Oddio’ oddio’ Paolo. Stengo venenn, si, mo’ vengo’ siiiii.’
Il piacere la faceva parlare in dialetto.
Afferrò i miei capelli, strinse la testa a lei, agitando convulsamente il bacino.
‘Adesso, amore’ ti voglio adesso’ subito”
Mi sono alzato, spogliato. Messo di fronte a lei che, intanto, s’era denudata del tutto. Le ho alzato le gambe, poste sulle mie spalle. Di fronte, lo spettacolo magnifico del suo sesso rosa e stillante. L’ho penetrata con lentezza, fino a quando &egrave stato possibile. Ho cominciato a stantuffare, sempre lentamente, uscendo quasi del tutto, e poi rientrando. Aveva gli occhi sbarrati, mi guardava con le narici dilatate. Il ritmo &egrave cresciuto sempre più, scandito dal suo gemito sordo e prolungato, accompagnato dall’ondeggiare del suo bacino, dal palpitare del grembo.
Stava per avere uno impetuoso orgasmo, lo ebbe, squassante. Non mi fermai. Dopo qualche secondo di rilassamento, la vagina tornò a contrarsi, stava ricominciando all’acme della voluttà. Sussurrava il mio nome, tra un gemito e l’altro, voltando la testa a destra e manca’
‘Paolo’. Paolo’.’
Ecco, stava per essere sommersa di nuovo, e questa volta &egrave stata duplice la irruzione: il suo irrefrenabile orgasmo e la invadenza del mio seme.
Siamo restati così, per un poco, Poi ci siamo riassettati, ma sempre nudi.
‘Vieni, Paolo, dietro la tenda c’&egrave un letto”
Era ampio, morbido, con grosse lenzuola. La tenda fu aperta. Il calore del caminetto era delizioso.
Ho preso le coperte del letto e le ho trascinate sul pavimento, vicino al fuoco. Ci siamo distesi sopra.
Ha preso a baciarmi, carezzarmi, a lungo, dappertutto.
Quando ha sentito il ripristinato vigore del mio sesso. Mi ha guardato maliziosamente, e salita su me e si &egrave impalata, con maestria.
E’ stato ancora più bello.
Intanto, s’era fatto tardi.
Ci siamo dati una pulita sommaria, rivestiti.
Mi ha accompagnato all’uscio.
‘Sei insuperabile, Paolo’ mi fai impazzire’. Morire”
Ci siamo baciati.
‘Ciao Elena.’
‘Ciao’ speriamo vada tutto bene”
‘Cio&egrave?’
‘Non abbiamo usato nessuna precauzione, ma non potevo. Ti volevo così. Speriamo bene.’
Mentre risalivo verso casa, solo allora, pensai che eravamo giovani, e lei aveva già dato prova della sua fertilità!’
^^^
Oggi, giugno’
La nostra storia va avanti, sempre con la massima cautela.
Cautela del tutto inutile.
Elena &egrave andata dalla ‘mammana’.
E’ quello che sospettava: &egrave incinta!
Noi siamo sempre più presi, l’uno dell’alto. Incontenibilmente.
Sembriamo conigli impazziti. Dovunque e comunque. Ogni momento e ogni occasione &egrave buona. Non ce la lasciamo sfuggire.
Lo immaginavamo che, prima o poi poteva capitare.
Ed &egrave capitato.
Strano, ma il più preoccupato sono io.
‘Pensa, Paolo, tuo figlio!’
‘Si’ ma come fai con tua madre’ i tuoi parenti’ i vicini”
Non so perché ma non ricordai suo marito.
A farsi ricordare ci ha pensato lui.
Un mattino, molto presto, un signore, compunto e gentile, &egrave andato da Elena e le ha comunicato che il marito era rimasto vittima di un incidente in miniera. Le chiedeva se, come sollecitato dalla comunità belga, potevano tumularlo insieme agli altri compagni di sventura: belgi, turchi, slavi, italiani. Nel caso, la Società Mineraria avrebbe provveduto al viaggio della famiglia, per le esequie.
Elena, consigliatasi con la madre e la sorella del marito (lui era orfano dei genitori) accolse il desiderio del riposo nel monumento comune, e rinunciò al viaggio. Come avrebbe potuto, con due bambini piccoli. (Non parlò, logicamente, della gravidanza.) Al funerale sarebbe andata la cognata e col proprio marito.
La informarono anche di una certa indennità e della pensione che avrebbe ricevuto in Italia.
In un certo senso, quella disgrazia evitava certe imprevedibili conseguenze.
Rimaneva il problema della pancia, che andava sempre più evidenziandosi.
La mamma se ne &egrave accorta, Elena si &egrave confidata con lei. Ora, la mamma mi guarda e scuote il capo.
Non so cosa fare.
Elena si &egrave licenziata, da noi.
Ha detto che vuole trasferirsi in un paese vicino, coi bambini.
Da noi verrà, Addolorata, la madre, una vigorosa quarantacinquenne.
Non ho idea di come andrà a finire.
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Oggi, agosto’
Elena &egrave andata a vivere in un piccolo paese, a mezza costa della montagna.
Paese di una vecchia zia del marito, che lei aveva visto solo il giorno delle nozze.
Aveva scritto una lettera, a zia Agnese, raccontandole la scomparsa di Emilio, e che lei era restata sola coi due bambini, e in attesa di un altro. Aveva mendacemente detto che era il ricordo del marito, lasciatole nell’ultima breve licenza trascorsa con lei, a marzo’! Avrebbe voluto ritirarsi in un posto tranquillo’
Zia Agnese, sola, e senza figli, la invitò ad andare da lei. Ne sarebbe stata felicissima, considerava una nipot, la moglie del povero Emilio, avrebbe fatto da nonna ai bambini. Lei era molto legata alle suore, che gestivano anche l’unico asilo del paese, era un po’ amica di tutti, e le assicurò che l’ostetrica condotta era bravissima e l’avrebbe assistita al momento del bisogno.
Elena non attendeva altro.
Caricò ogni sua cosa sul camioncino traballante di un vicino, vi salì lei e i suoi figli, salutò Addolorata, la madre, che la guardava scuotendo la testa. E andò ad abitare nella grande casa della zia di Emilio.
Erano i primi di luglio.
C’eravamo salutati con un lungo insaziabile incontro.
Il suo stato non aveva affievolito in nessun modo la sua passione, la sua dedizione.
Ormai, i bimbi mi chiamavano zi’ Paolo.
Il problema era come incontrarci ancora.
Elena, con la sua sbrigliata fantasia, raccontò a zia Agnese che un giovane ‘signorino’, l’aveva molto aiutata, dopo la disgrazia, e l’aiutava ancora, generosamente. Era tanto premuroso e lei, non poteva nasconderlo, aveva scoperto che non era insensibile a quel baldo giovane.
‘Sapete, com’é, zia Agnese. Sono giovane anche io e non sono fatta di ferro, poi’ questa solitudine mi fa tanto sentire bisogno di tenerezza, di premure’ anche Mariella e Tonino gli vogliono bene’ lo chiamano zio!’
‘Ho capito, figlia mia, ho capito’ ne sei innamorata?’
Elena annuì col capo.
‘Si, zia.’
‘Credi che ti sposerà?’
‘Lo spero, &egrave cos’ buono.’
‘E accetterà i tuoi figli, che tra poco saranno tre?’
‘Ne sono certa, me lo ha detto.’
‘Allora, figlia mia, che Dio vi benedica.’
‘Posso farlo venire a trovarmi?’
‘Sicuro, sicuro”
Elena non gli aveva detto della pensione, né della liquidazione, e le aveva fatto intendere che viveva anche grazie alla generosità di questo giovane. Di Paolo.
E così, vado a trovarla.
Frequentemente, specie ora che sono libero da impegni universitari.
Mi fermo a dormire da loro. Ufficialmente nella cameretta d’angolo, ma quando Agnese é andata a letto, Elena e il suo crescente pancione vengono a rifugiarsi tra le mie braccia, e il mio sesso si rifugia nel suo, sempre caldo, accogliente, palpitante.
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Oggi, ultimo di novembre’
Sono passati mesi.
Ho trascorso più giorni con lei che a casa.
Sara, indubbiamente, ha capito tutto, e fa finta di credere che io vada a casa di un amico, a studiare.
Lo ha fatto credere anche a papà.
Pancione enorme, quello di Elena, ma lei sembra immutata. Solo il seno più gonfio, e fianchi leggermente arrotondati. Il volto &egrave più bello che mai, soffuso di una luce incantevole.
La levatrice ritiene che l’evento dovrebbe verificarsi tra pochi giorni, ai primi di dicembre.
Lei &egrave quasi morbosamente attaccata a me.
Vuole fare l’amore, sempre.
Io, dietro lei, sento le sue stuzzicanti rotondità sulle mie ginocchia, le palpo delicatamente il seno, infilo il mio fallo, sempre pronto e voglioso, tra le sue natiche. Lo prende dolcemente, con le dita, lo conduce all’ingresso della sua vagina rorida e fremente, e gode come una matta. Tanto che temo che quei sussulti possano farle male.
Mi chiama, mi invoca’
‘Mi senti, Paolo? ‘. Mi senti’, sono tua’. Tua’ Tuaaaaaaaaaaaaa!’
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Oggi, gennaio’
Non &egrave che non abbia avuto niente da annotare, ma le cose si sono susseguite con una rapidità sconcertante.
Elena, il 5 dicembre, ha dato felicemente alla luce ‘come usa dirsi- uno splendido bimbo: capelli scuri, occhi come carboncini, paffutello. Meraviglioso.
Mi ha guardato.
‘E’ nostro figlio, Paolo, tuo figlio.’
E’ entrata zia Agnese.
‘Hai visto quanto &egrave bello, Paolo?’
Si voltò ad Elena.
‘Allora, Paolo &egrave qua. Me lo vuoi dire come lo chiamerai? Credo come il tuo povero marito, no?’
‘No zia. Si chiamerà Teodoro?’
La vecchia la guardò, stupita, sorpresa.
‘Teodoro?’
‘Si, dono di dio. Perché questa creatura &egrave proprio un dono del Signore.’
‘E come fai a sapere che significa quello che hai detto?’
‘E’ stato Don Mario, quando gli ho spiegato che quella maternità era speciale.’
‘Lui ha proseguito: si &egrave un vero dono di Dio, si dovrebbe chiamare Teodoro. Ed io lo chiamo così. Paolo gli farà da padrino. Lo battezzeremo
E lo abbiamo battezzato.
Intanto, Agnese, s’é fatta scrivere un telegramma da Don Mario, e lo ha spedito ai suoi parenti, lontani cugini del povero Emilio. In America, negli Stati Uniti, a Hibbing, nel Minnesota.
Hanno subito risposto, inviando i loro cari auguri a Elena e al piccolo Ted. Hanno spedito cento dollari ed hanno telegrafato che vorrebbero conoscerlo. Perché Elena, coi bambini, non si trasferisce da loro? Hibbing &egrave un centro importante, &egrave chiamata La Iron Capital of the Wordl, la capitale del ferro.
Elena ha voluto festeggiare il battesimo di Teodoro con una scopata ‘la prima post partum- che non immaginavo potessero esisterne di tale portata. Una? ma che dico? Si arrese solo quando, malgrado la mia età, e il mio interminabile desiderio di lei, la natura disse che ci voleva un po’ di tregua.
‘Si, Paolo, ma le tue labbra e le tue mani sono sempre vive’carezzami’. Baciami”
La mattina, allattò Teodoro.
Restò seduta sul letto, col magnifico e turgido seno scoperto, mi guardò.
‘Che pensi, devo andare in America?’
‘Cio&egrave lasciarmi.’
‘Si ma solo per poco’. Anzi, perché non vieni anche tu?’
‘Non precipitiamo le cose, pensiamoci.’
In quel momento mi &egrave balzata in mente un’idea.
Devo informarmi.
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Oggi, febbraio’
Sono andato alla mia facoltà, e all’Ambasciata degli USA.
A Hibbing c’&egrave una delle migliori facoltà di ingegneria degli Stati, rinomata in tutto il mondo. Se supero gli esami d’inglese, potrei iscrivermi all’equivalente del triennio italiano. Io sto finendo il biennio, sono in regola con gli esami, ed ho una votazione lusinghiera. Non solo. Conosco abbastanza bene l’Inglese. Inoltre, con un esame di abilitazione possono riconoscere la validità degli studi USA anche in Italia e, quindi, conseguire l’abilitazione professionale.
Del resto io voglio fare l’ingegnere, e, in ogni caso, avrei scelto la metallurgia.
Ne parlai a casa, logicamente senza accennare che sarei andato con Elena.
Mi dissero che era una cosa che si poteva fare. Loro mi avrebbero parzialmente sostenuto economicamente.
Scrivemmo ai Frossi di Hibbing.
Risposero che sarebbero stati lieti di averci con loro. Inoltre, uno della famiglia insegnava a quella Facoltà.
In ogni caso, non posso partire prima di luglio.
Ne ho accennato ad Elena.
E’ scoppiata in singhiozzi, rideva e piangeva.
‘Staremo insieme, Polo. Io ho la mia pensione, me la faccio spedire li. Saremo una famiglia. Vuoi? Vero che vuoi?’
‘Certo, amore, certo.’
E cercai di consolarla, ma lei conosceva un solo modo per essere rincuorata, confortata, deliziata’ A me piaceva molto. Solo che non era proprio il caso che restasse di nuovo incinta.
Mi rassicurò. La mammana le aveva dato certi sciacqui’
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Qui il Diario aveva due pagine bianche.
Riprendeva con una scrittura che sembrava del tutto differente. Solo in alcuni tratti ricalcava quella precedente.
Non erano molti i fogli annotati.
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La data?
Che importanza ha?
Che significa il tempo?
Quanto ne &egrave trascorso dal momento che ho nascosto questo quaderno in fondo al baule, nel solaio.
Non &egrave che lo abbia dimenticato. Come potrei?
E’ che tutto si &egrave svolto come in un film avventuroso. Un po’ sul genere western, ma di quelli che non vedono la vittoria dei ‘nostri’. Purtroppo.
Devo riordinare le idee.
Devo cominciare da quando, armi e bagagli, siamo partiti per Hibbing.
Minnesota.
Siamo stati accolti affettuosamente, e siamo rimasti loro ospiti per diversi giorni. Nessuno ha mai chiesto quale futuro ci proponevamo.
Mi hanno aiutato a inserirmi in Facoltà
Elena aveva una certa somma. La liquidazione e il risarcimento per la morte del marito.
Non molto lontano dal O’Brian Lake, trovammo una casetta, carina, adatta al caso nostro, e facemmo il conto che, anche dopo arredata, ci sarebbe rimasto ancora un piccolo gruzzolo.
La sua pensione, direttamente dal Belgio, in US $, era più che sufficiente. Lei, inoltre, ha trovano un part-time presso la comunità cattolica, ed io mi arrangiavo con ripetizioni di matematica e soprattutto di Italiano, ai figli dei nostri connazionali nati là.
I bambini crescevano. Scuola delle monache, nursery per Teodoro.
Notti fantastiche tra me ed Elena.
Ero riuscito a vincere la sua ritrosia e farle accettare la ‘spirale’.
Ottima la facoltà, io ce la mettevo tutta.
Insomma, le cose stavano andando per il meglio.
Scrivevo regolarmente a casa, anche per ringraziare di quanto trimestralmente mi inviavano.
Engineering degree’ master, invito dalla Hibbing Steel Co, come process engineer.
Avevamo pensato di sposarci. Volevo prima parlarne coi miei, magari andare tutti in Italia.
Elena sprizzava gioia.
Ormai era nostro intendimento, almeno per ora, rimanere a Hibbing. Poi si sarebbe veduto.
La riunione al M.C., Mother Club, &egrave stata l’inizio della fine.
Avevano organizzato un ‘charter’ per andare a Buffalo e di li, in pullman, a visitare le Niagara Falls. La prospettiva elettrizzò i ragazzi. Ted, il più piccolo, aveva quasi sei anni. Figurarsi gli altri. Prezzo favorevole. Tutto a posto. Si partiva al mattino, si tornava il pomeriggio successivo.
Il vecchio e glorioso DC3, era adibito alle gite familiari.
Mi avevano telefonato, entusiasti, non solo i ragazzi, ma la stessa Elena.
‘Ti raccontiamo tutto questa sera.’
‘OK, vengo in aeroporto ad aspettarvi.’
‘Ti amo, Paolo’tanto.’
‘Anche io!’
Annunciarono che l’arrivo era ritardato per cause atmosferiche.
Poi dissero che il volo era stato cancellato.
Telefonai a Buffalo, dissi che ero della Hibbing Tribune.
Risposero che il DC3 era regolarmente decollato, ma che dopo un po’ avevano perduto il collegamento’.
Mi sentii come colpito da un fulmine. Ed avevo ragione di esserlo.
Solo dopo diverse ore, a notte alta, a noi che attendevamo ansiosi e nervosi, dissero che c’era stato un atterraggio di fortuna’ poi parlarono di qualche ferito’ quindi di qualche perdita umana, finché ‘ed era quasi giorno- che si sperava in qualche supersite’
Finalmente la verità.
L’aereo era precipitato dopo pochi minuti dal decollo, con i serbatoi pieni. Un immenso rogo’ pochi rottami, fusi, contorti’ rari resti irriconoscibili di corpi orrendamente cremati.
Non ho mai saputo, né voglio sapere, cosa ci fosse in quelle quattro bare che abbiamo seppellito nel cimitero di Hibbing.
Ho deciso di tornare in Italia.
Ne ero partito sette anni prima.
Poco più di ventisette anni, e mi sentivo un vecchio.
Mio padre, come al solito, in giro per lavoro.
Mi ha accolto Sara, tenera, dolce, affettuosa.
Per lei gli anni non sono mai passati, quasi quarantotto e sembra una ragazza.
Mi ha abbracciato, baciato, carezzato.
Ha detto che lei aveva sempre saputo tutto e che, a un certo momento era stata perfino gelosa di Elena’
L’ho guardata, sorpreso’
‘Si, Paolo, gelosa. Eri e sei un bell’uomo, e sentivo come se Elena ti avesse sottratto a me’ Comunque sono profondamente addolorata per quanto &egrave accaduto’ lo so’ sono frasi fatte’ parole inutili’ ma tu sei giovanissimo, bello, in gamba’ devi rifarti una vita, lo devi”
E il suo abbraccio fu più che affettuoso. Appassionato.
In quel momento ero debole, avevo bisogno di tutto, di affetto, di coccole, di amore’
Erano più di due mesi che non pensavo ad una donna, come se fossi asessuato’ e Sara era una donna, una bella donna, attraente, invitante. Mi stavo eccitando.
Sara mi disse che Agnese era andata via, s’era trasferita dalla cugina, in un paese vicino. Ora, ad aiutarla, c’era un’altra donna, una ragazza, figlia di emigrati dalle Filippine, piena di buona volontà, ma oggi, domenica, era libera.
Mia sorella era in Irlanda, per frequentare un corso di Inglese.
Insomma, eravamo soli. Mancava poco alle dodici.
Io avevo sulle spalle un lungo viaggio: Hibbing-Minneapolis-Chicago-Roma, poi tre ore d’auto per giungere a casa, ero partito poco dopo mezzogiorno del giorno precedente. Avevo dormicchiato, ma sentivo la necessità di una doccia.
Sara mi disse che, intanto, lei avrebbe allestito il pranzo, sperando che tutto fosse di mio gusto, ricordava perfettamente le mie preferenze.
Era quasi l’una del pomeriggio, quando Sara mi disse che era tutto pronto. M’ero asciugato, sbarbato, messo abiti puliti. Sandali, pantaloni, T-shirt. Andai nel tinello dove di solito consumavamo i pasti. Tavola apparecchiata col solito buon gusto: tovaglia candida, bicchieri scintillanti, posate, piatti; tutti perfettamente a posto. Nella caraffa, vino bianco, colore dell’oro, quello che mi piaceva.
Sara era splendida, elegante nel semplice abito a portafoglio.
Feci veramente onore all’ottimo pranzetto e mi complimentai con quella dolce signora che, secondo la legge, era la mia matrigna.
‘Spero che non ti dispiaccia, Paolo, ma ho inviato il tuo curriculum, a diverse società siderurgiche, ed &egrave arrivata anche qualche risposta.’
‘Come al solito, sei previdente e premurosa. Brava, grazie.’
Mi avvicinai a lei e la baciai sulla guancia. Mi carezzò il volto, ricambiò il bacio.
Continuai, chiedendole cosa dicevano le lettere di risposta, mi disse che le aveva lasciate chiuse, erano indirizzate e me.
Si alzò, le andò a prendere.
Le aprii, le scorsi rapidamente. Molte erano interessanti, ma quella che mi colpì fu l’offerta di una Compagnia Europea di ricerca nel campo della siderurgia, che voleva dedicare massima attenzione alla tecnologia dell’acciaio, e sapeva delle ricerche avanzate nel Minnesota e in particolare di Hibbing. Avevano in programma di aprire una rappresentanza in Italia. Lavoro interessante, retribuzione lusinghiera, ampie possibilità di sviluppo di carriera, in un vasto orizzonte.
Ne parlai con Sara, si disse pienamente d’accordo.
Forse il pranzo, il vinello delizioso, la lunga astinenza, ma mi accorgevo che stavo guardando Sara con sempre maggior interesse. Non l’avevo mai vista così bella, così dolce. Era proprio un gran bel pezzo di donna, e i venti anni che ci separavano ‘ed erano tali perché lo sapevo, ma non perché la differenza si notasse- erano più uno stimolo che un ostacolo.
In me, in fondo, c’&egrave sempre stato il ‘mammone’.
La ringraziai ancora per l’ottimo pranzo, mi alzai e dissi che, forse, era meglio andare un po’ a letto.
Mi avvicinai a lei, l’abbracciai. Sentii le belle tette sul mio petto, e il suo grembo che aderiva strettamente a me. Scesi con le mani lungo la schiena, fu istintivo afferrarle i glutei e stringerli a me. Deliziosi, sodi. E quel ventre certamente palpitava, lo sentivo sussultare. La mia eccitazione era certamente percepibile, perché mi sembrò, addirittura, sentire la mia patta aderire alle sue grandi labbra. Ma forse era solo fantasia. La eccitazione, però, era realtà.
Ci sciogliemmo lentamente, molto lentamente, mi guardò con occhi lucidi, seducenti, appassionati, invitanti..
‘Va, caro. Fra un po’ ti porto il caffé.’
Andai nella mia camera, mi spogliai, indossai il pigiama, mi infilai sotto le coperte.
Dopo qualche minuto, apparve Sara. Un vassoio, due tazzine’ ma c’era qualcosa di nuovo’ ah’ sì’ era in vestaglia’
Sedette sul bordo del letto. Mi misi a sedere. Mi porse la tazzina, prese la sua, cominciammo a sorseggiare il caffé’
Quand’ebbi finito, pose la mia tazzina sul vassoio, accanto alla sua, si alzò, andò a mettere il vassoio sulla mia scrivania, tornò vicino a me, scostò un po’ la coperta. La guardavo, sorpreso, curioso’ ma solo per un attimo’ lasciò cadere la vestaglia sul pavimento, apparve in tutta la sua sfolgorante nudità’ come’ sì’ come Elena’ allora’. La prima volta! Non la immaginavo così bella, attraente, non credevo che a quella età una donna potesse essere così attraente, con forme scultoree, meravigliose: seno prospero e sodo, ventre piatto, glutei tondi e sostenuti, gambe perfette’ e un triangolo scuro e ricciuto che non avevo mai visto di eguali.
Stavo ancora con gli occhi spalancati, che era già al mio fianco, sorridente e con un volto che sembrava trasfigurato dalla passione che traspariva dalla sua espressione, dai suoi occhi, dalle sue labbra carnose che quasi si avventarono sulle mie, mentre la lingua, golosa e vogliosa, era in cerca della mia, la lambiva, vi si intrecciava’ Ero al colmo dell’eccitazione’ quando le nostre bocche si separarono, corsi al suo seno, ai suoi capezzoli turgidi, li baciai, succhiai’ lei chiudeva gli occhi, rovesciava la testa indietro’ intanto, lentamente, era salita su me, a cavalcioni, sostenendosi sulle ginocchia, aveva preso il mio glande eccitato e lo aveva avvicinato al suo sesso, ecco alla sua vagina rorida e palpitante, si impalò con dolcezza’ il mio fallo si sentiva accolto da un morbido e tiepido guanto di velluto che lo stringeva, carezzava, strizzava’ e fu una cavalcata entusiasmante’ accompagnata dai suoi gemiti crescenti, dallo scuotere incantevole del seno, fin quando fu percorsa da un lungo incontenibile brivido, e si abbatté su me, scossa da un orgasmo travolgente, interminabile’ stava per terminare’ per rilassarsi’ ma l’irrompere violento del mio seme la rianimò. Strinse il mio sesso in un modo che non avevo mai provato, lo munse, voracemente, voluttuosamente’
Giacemmo così, sfiniti, ansanti, sudati, ma infinitamente appagati’
‘Sei meravigliosa, Sara”
‘Sei qualcosa di straordinario, Paolo, al di là d’ogni immaginazione’.’
Si mise supina. Sgusciai da lei, ma l’eccitazione non mi abbandonava’. Anzi’
Carezzai il suo petto, il suo ventre, il cespuglio bagnato tra le sue gambe, sentii le grandi labbra come gonfiarsi al contatto con le mie dita, i morbidi peli divenire quasi ispidi’ il clitoride era ardentemente eretto, vibrante’ come toccai le piccole labbra, ebbe un balzo’ afferrò il mio fallo’ lo stringeva e carezzava’ Come comprese il mio desiderio, alzò le ginocchia, si poggiò sui talloni, mi invitò con la manina a salire su lei, e poggiare il glande vicino all’indomita vagina, e mi accolse protendendo il bacino, incrociando le gambe dietro la mia schiena, stringendomi freneticamente a se’
Fu una perfetta sincronia, come fossimo amanti da sempre’ e questa volta, guardandoci negli occhi, sapemmo raggiungere insieme il massimo del piacere, ancora una volta travolti nello stesso gorgo splendido e inebriante.
E la cosa non finì li.
Sara era un’amante tenera e deliziosa.
E ci incontrammo anche dopo la decisione di mettere su famiglia’ fin quando la lontananza, il tempo, non trasformò la nostra bellissima storia in dolce ricordo’
Non mi sono mai sentito colpevole, in nessun modo, verso nessuno. Neanche verso mio padre’
Credo che seppellirò questi appunti nel fondo del baule’
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Rimasi così, col diario aperto sulle gambe, e lo sguardo perduto nel vuoto. Cominciava a far scuro.
Non sapevo se rimetterlo al proprio posto, portarlo con me o ché’
Lasciarlo lì, no! Nessuno doveva leggerlo.
Portarlo con me: dove? Perché?
Lo presi, scesi nell’appartamento, nel salone col caminetto, accesi un po’ di legna, bruciai il diario, accuratamente, assicurandomi che non ne rimanesse traccia alcuna.
Spensi la brace rimasta.
Sono uscito. Ho chiuso l’uscio.
Sono tornato a casa mia.
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