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Racconti Erotici

Dietro la lente fotografica

By 4 Aprile 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

“non pensarci” diceva una parte della sua mente, mentre fissava il soffitto della stanza d’albergo “&egrave successo e basta, non ti arrovellare sul come o il perché”.
Già, facile a dirsi, o a pensarsi, ma all’atto pratico, non gli riusciva. Era uscito come tutte le mattine di lavoro, cautamente ottimista di portare a casa un risultato decente, un lavoretto di modesta portata ma onesto e ben curato.

Non tutti nascono o divengono grandi fotografi, e per ora (il ‘per ora’ ci teneva sempre a specificarlo per scaramanzia) a lui non era ancora capitata la grande occasione. Portava avanti la sua passione a metà tempo, professionalmente, con attenzione, nel suo piccolo, alla fine, era un bravo mestierante.

“faccio del mio meglio, e questo ha già una dignità” diceva con un sorriso le poche volte che qualcuna di quelle bellezze si dimostrava minimamente interessata all’uomo dietro l’obbiettivo. “lavoro, mi mantengo con ciò che amo, nella sua modesta portata”.
Era fatto cosi. Innocuo. Come molti altri, lavorava in tutto quel mondo dell’immagine che non ha grandi nomi eppure esiste. Le fotografie delle pubblicità, dei cartelloni, dei volantini, dei cataloghi, qualcuno di anonimo le scatta, qualcuno di anonimo le impagina, qualcuno di anonimo viene fotografato.

Eppure quella modella, quell’abito, porterà ad una scelta, una preferenza, verrà visto da tutti… Molto più di lui. Lui non era un Grande Fotografo Famoso. Lui non era un principiante. L’uomo dietro l’obbiettivo era modesto, cortese, poco calcolato dalla massa di modelli, modelle, oggetti, animali, case, che gli passavano davanti.

Non era nessuno con cui flirtare, ammiccare, scopare per un lavoro, una raccomandazione o altro. Non era nessuno con cui litigare, discutere, odiare. Innocuo.
E così a fine lavoro, saluti cortesi, e nessuna delle persone con cui aveva passato l’intera giornata, di fatto, si ricordava di lui.

“mangi qui, o conosci un posto?” era stata la prima frase che lei gli aveva rivolto quando bello studio fotografico avevano chiamato un paio di tecnici per la pausa pranzo.
Lui si era riscosso dal passare gli scatti sullo schermo per controllare un paio di luci, e l’aveva guardata.

Voglio dire, diversamente da quanto stava facendo dietro le sue lenti fotografiche da ore.

Lei lo guardava sorridendo, sistemandosi i capelli neri in un codino alto, il costume da bagno del photoset intuibile sotto la camicetta rosso scuro e sopra due seni sodi. Garbatamente lei attese un istante prima di ripetere la domanda, le labbra rosso vermiglio come da esigenze di trucco.
“Jesť tu, alebo viete ak’koľvek miestny?” chiese lei, con una lieve titubanza nella voce. Lui ne fu sorpreso e deliziato. Non sentiva la sua lingua da molto tempo.

“era da una vita che non sentivo…” balbettò lui, mentre lei metteva le mani nei jeans attillati. Le maniche arrotolate, una sua alzata di spalle, la facevano sembrare terribilmente sensuale e così ordinaria.
“spero che la mia pronuncia non sia cosi orribile” sbuffò divertita lei. “dai, andiamo a mangiare.”
Non aveva saputo opporsi.

Era passato cosi un intero weekend lavorativo, con lei e le altre, per l’uomo dietro l’obbiettivo. Ma di tutte, solo lei gli chiedeva dove pranzasse, da dove venisse, solo lei sembrava accorgersi dell’uomo dietro l’obbiettivo. Fino a insistere, quella Domenica, perché uscisse con tutte e tutti loro per festeggiare la fine del lavoro.
“io… Io di solito non sono invitato, come devo…” confessò fissando il pavimento del camerino, mentre lei sistemava la borsa.
Lei lo aveva guardato, increspando le labbra tumide in un sorriso.
L’uomo dietro l’obbiettivo, senza obbiettivo davanti, era di bassa statura, un poco corpulento, capelli disordinati e abbigliamento ordinario. Tendeva a passarsi le mani tozze tra i ciuffi della chioma cosi spesso che alla fine ogni pettinatura era impossibile. Non si era neanche rasato quella mattina.
Non era sciatto, era solo l’impersonale, ignorato, fotografo. Quello dietro allo scatto, quello senza nome.
“vai benissimo cosi” disse lei. Timido ed innocuo.

Erano usciti con tutti gli altri, ma non si era riuscito ad aprire. Tutti quei ragazzi parlavano di serate fuori, lavori, locali, nomi più o meno famosi, e lui… A chi importava.
In realtà aveva bisogno di parlarne. Non lo faceva mai.

E li, era successo. Aveva parlato a lei, accompagnandola al bancone del locale a prendere ancora da bere. E lei lo aveva ascoltato. Aveva annuito alle sue sensazioni, aveva confessato di sapere cosa provasse. Gli aveva preso la mano, dicendogli solo “andiamo nel mio albergo.”
“ok” aveva risposto lui. Si era trovato avvolto nel suo abbraccio, tenero, appena dopo la porta della camera.
Lo aveva baciato teneramente, il suo primo bacio dopo anni. Lo aveva spinto nel letto, e cavalcioni su di lui lo aveva cominciato a spogliare.

Nessuna delle fotografie di quei giorni poteva eguagliare gli sguardi che lei lanciava da sopra il suo membro, che riscopriva la sensazione di essere dolcemente ingurgitato. Ma era quando lei, nuda e bellissima, si era fatta scivolare il sesso dentro la sua calda e umida alcova di piacere, che imperiosa e dolce si era erta su di lui cominciando a muovere il bacino, che lui cominciò a chiedersi come fosse possibile.
Come fosse possibile che sopra di lui, l’ignorato uomo dietro l’obbiettivo, danzasse lentamente lei, gli occhi socchiusi assorta nelle sensazioni provate e da far provare, la pelle candida lievemente indorata dalla luce dei lampioni in strada, i seni sodi che sussultavano un poco ad ogni fitta di piacere, accompagnata da un piccolo mugolio. Le lunghe dita della mano che poggiavano le punte dei polpastrelli sul suo petto, ferme e decise, imperiose nel loro sottolineare che in quel momento lei e solo lei conduceva, si donava, coinvolgeva, possedeva, danzava.

Gli faceva dono di sé, bella e incredibile, e lui da fotografo avrebbe voluto immortalarne ogni istante, prima che le sensazioni del sesso gli facessero pensare di godersi il momento e basta, senza congelarlo in un’immagine.

La passionalità di lei, il suo corpo caldo, i seni floridi in cui affondare il viso, l’avevano trascinato nel mare del piacere e non si era fatto nessuna domanda per il tempo successivo. Quanto tempo era che non assaggiava il frutto polposo di una donna? Quanto tempo era passato, ma a giudicare dagli urletti di lei non si era scordato di come fare?

Era una donna intensa e diretta. “non ti dò il culetto perché non abbiamo niente per lubrificare” sussurrò in una risatina mentre si poneva con il fondoschiena alzato sul bordo del letto, lasciando correre le fantasie di lui di averla cosi, arrendevolmente sottomessa. “ma altrimenti mi ispiri fiducia, lo farei.”

Forse era una di quelle che poi, quando ti addormenti, ti intascano tutti i soldi e scappano. Forse no. Forse era il suo sogno per una notte.
Non voleva chiederselo.

Erano passate un paio di ore sicuramente, ma anche qualcosa di più, e mentre l’uomo dietro l’obbiettivo fissava il soffitto della camera chiedendosi i motivi della sua nottata, lei usciva dal bagno, sistemandosi una maglia bianca con qualche decorazione geometrica sulle maniche, prima di afferrare il borsone da viaggio.

Era erotica, sensuale, assoluta, l’aveva preso e si era donata a lui senza legami o reconditi scopi. Si era concessa, possedendone cuore, mente, membro, per qualche ora.

L’uomo dietro l’obbiettivo per qualche ora era stato davanti alla lente focale della sua immaginazione. Si era sentito, per una volta, protagonista.

Era quella la risposta?
“perché io?” chiese lui, intuendo che la stesse per perdere, mentre lei si scostava una ciocca di capelli neri dal viso e si dirigeva verso la porta, con il borsone in spalla. “Chi sei, perché hai fatto questo? Perché, Viktorie?” chiese lui, quasi disperato.

Viktorie sorrise con un piccolo sbuffo, prima di aprire bocca e rispondere.

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