Skip to main content
Racconti Erotici

Eros

By 13 Aprile 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Finalmente il giorno tanto atteso &egrave arrivato.
Sono spaventata, ho paura, provo un’ansia e un’angoscia che a tratti mi troncano il respiro.
Sono terrorizzata, benché continui a ripetermi che non ce n’&egrave motivo.
Ieri sera mi sono preparata a dovere: il silképil ha strappato i peli di troppo, uno ad uno, dalla mia pelle, provocandomi un leggero dolore, e poi arrossamento. Solo da quel momento sono stata consapevole che sarebbe successo davvero.
Oggi sono qui, a lottare contro la paura, e a chiedermi se non sia meglio tirarmi indietro.
Vince l’orgoglio. Così, all’ora stabilita, sono nel luogo dell’incontro.
Lui &egrave leggermente in ritardo. Impegni imprevisti lo trattengono ancora. Mi suggerisce, per ingannare l’attesa, di bere un caff&egrave.
Scelgo di fare due passi intorno all’isolato. Gli incontri pomeridiani regalano spesso un bel sole come contorno, e ne approfitto per cercare di calmarmi.
Quando rientro, lui &egrave pronto.
Due parole di cortesia, e poi la definizione dei dettagli, con calma ed educazione. In certe situazioni &egrave bene non lasciare troppo al caso: lo sappiamo entrambi, e teniamo bene il ruolo.
Mi libera dei vestiti di troppo. Lo agevolo.
Ci siamo.
Come sempre, quando sono in ballo, danzo al massimo delle mie potenzialità. Nel tempo della battaglia non c’&egrave spazio per esitazioni o ripensamenti.
Lui inizia divinamente, riuscendo a farmi sentire contemporaneamente indifesa, vulnerabile, e padrona della situazione. Mi rilasso. Mi piace, questa fase iniziale, in cui nulla &egrave davvero ancora accaduto, eppure tutto viene preparato per l’inevitabile. E’ come un tempo sospeso, in cui qualcosa, “dentro”, sceglie se aderire a quanto sta per succedere.
So esattamente quello che voglio.
Sono eccitata.
Quando &egrave il momento, lui apre il cassetto, sceglie il… “guanto”, e lo indossa chiudendo gli occhi, in un gesto lento e consapevole, come se stesse contemporaneamente recitando in silenzio una preghiera. O un suo analogo.
Il suo gesto mi manda letteralmente fuori di testa. Tutto, tutto vale la pena di essere vissuto, per il solo piacere di assistere a quell’istante così personale, che in ogni caso sta per riflettersi su di me come un’onda di energia fortissima.
Mi sciolgo. Mi arrendo.
Le sue mani su di me, che finalmente mi sfiorano come desidero, che finalmente si muovono sicure, mi calmano e mi strappano un: “Oh, sì…” mentale, che mi predispone al piacere in arrivo.
La realtà, purtroppo, &egrave ben diversa. “Va bene, così?”, mi chiede. “No, non va bene”. Si interroga, ci pensa, capisce.
Si ferma.
Ovviamente: si ferma.
Si alza.
Si sfila il guanto.
Si allontana.
Il castello magico crolla di colpo.

Lo conosco poco. Abbiamo parlato, questo sì, ma non sono riuscita a cogliere la sua essenza. So che non &egrave cattivo. So che non gli interessa fare del male senza scopo. So che ha il ghiaccio, negli occhi, al posto del fuoco che ben conosco. So che ho avuto l’impulso di allontanarmi da lui, l’unica volta in cui si &egrave manifestato.
Ma sono testarda. Voglio farlo, qui ed ora.
Rimango.
Resto calma. Non lo raggiungo. Sto perfino zitta, al mio posto, benché lui sia a portata di voce. Non voglio alterarlo più di quanto non sia già.
Ritorna.
Si controlla. Non &egrave calmo, ma si controlla.
Bene.
Gli chiedo se ha preso tutto. Sì. No. Ecco, manca ancora qualcosa. Si alza, va a prenderlo, torna.
Ricominciamo.
Ricomincia.
Ma, con tutte queste interruzioni, adesso io ho male. Mi fa male. Ascolto il dolore, senza fermarlo. Ascolto il dolore, e mi ricordo di dover fare un bel pensiero. Penso all’amore, penso all’amicizia, penso alla gentilezza.
Lui continua. Penso alla sofferenza – non &egrave poi così difficile, viste le condizioni in cui mi trovo -, penso alla concreta capacità di alleviare la sofferenza. Prego di imparare a farlo, per gli altri, ma sul momento principalmente per me stessa.
Nel perdermi nei miei pensieri, istintivamente chiudo gli occhi.
Ora lui c’&egrave solo attraverso il tatto, il contatto con la carne, le sensazioni che mi provoca. Il dolore si sta facendo meno intenso, più accettabile. Prendo un respiro profondo.
Ma non &egrave finita. Anzi, &egrave appena iniziata, anche se ancora non lo so.
In un misto di curiosità e di paura, vorrei guardare quello che mi sta facendo, vorrei piazzarci gli occhi, sull’arnese che mi sta entrando nella carne.
Ma &egrave in una posizione tale da impedirmi di godere dei particolari, con la vista.
Inoltre, si &egrave appena spostato leggermente. Questione di angoli, di millimetri, forse. Quanto basta perché il dolore torni a farsi sentire imperioso.
“Accidenti”, penso, ma non mollo. E mi concentro sulla gioia, che in quel momento ha un nome, un cognome, un viso sorridente, e due occhi che splendono nei miei. &egrave un ricordo talmente vivido e preciso, che &egrave come se gli fossi realmente accanto.
Infatti il dolore scema. E mi permette di fare l’ultimo passo, quello più difficile. Lasciarlo entrare dove, prima di oggi, non ho mai voluto. Dove, checché se ne dica, la sofferenza &egrave molto più mentale che fisica. Nell’ “inclusività” totale. Là dove la non-discriminazione &egrave completa.
Lì dove mi trovo ora, la lotta &egrave con la mente. Il corpo segue, il corpo si adatta, il corpo accetta e accoglie… Solo dopo che la mente ha dato battaglia, ha faticato, ha pianto, ha urlato, ha sofferto… E alla fine ha capito di doversi arrendere. Cedendo.
La vivo così: come se stessi lottando contro molti nemici. Nomi, visi, storie, alcune incredibilmente simili, altre diverse; alcune che non hanno lasciato traccia, altre segnate a fuoco nella memoria, altre ancora che appartengono ad un tempo che non &egrave ancora… Ma che verrà.
Tutte sono presenti in quel momento, mentre lascio che sia, mentre lo lascio fare, mentre mi scava dentro, mentre la pace che finalmente percepisco nella mente si riflette anche più giù, e mi permette di godermi quello che penso sia l’ultimo atto. Un gran bell’atto, a dirla tutta.
Poi lui si toglie un attimo, come ad ammirare la sua opera sul mio corpo vivente, sul mio respiro accelerato, sul battito alterato del mio cuore. So che &egrave lì, vicinissimo a me, ma provo vergogna, e abbasso lo sguardo.
Cerco parole adatte da pronunciare, ma mentre le sto ancora cercando, lui ricomincia daccapo.
Sono stupita. Non capisco.
Decido comunque di lasciarlo fare. Seguo il suo percorso, stavolta.
Lo seguo, lasciando ogni resistenza.
Adesso lo ascolto, nella sua gestualità. Mi adatto ai suoi movimenti, trovo la lunghezza d’onda giusta, e mi stupisco di quanto tutto sia più facile, più scorrevole, più naturale. Succede addirittura che io pensi a qualche leggera variazione sul tema, e che lui subito dopo si adatti al mio desiderio, come se il silenzio fosse più chiaro di molte parole.
Mi piace.
Mi piace molto.
Me la godo.
Mi godo decisamente tutto quanto, fino in fondo, fino alla fine.
Compreso il suo leggero massaggio, dopo.
Compreso il suo amico che, a cose fatte, si affaccia sorridente, chiedendo in modo gentile: “Com’&egrave andata?”.
Lui tace, rientrato nel suo ruolo. Stanco, forse.
Io mi apro in un sorriso entusiasta: “Benissimo!”.
L’amico se ne va.

Lui si alza, si dà una veloce sistemata, si allontana.
Lo raggiungo. Si sta passando una mano sugli occhi. Sì: &egrave stanco. &egrave il suo lavoro: lo sa, lo sappiamo entrambi. Ci ha messo tutto quello che poteva metterci. Ma probabilmente oggi &egrave stata una giornata impegnativa. Forse per lui non &egrave ancora finita, chissà.
Con calma discutiamo di soldi. “Quanto ti ho detto che sarebbe stato, quando ci siamo parlati?”.
‘Dimmi tu adesso quanto vuoi, a me andrà bene”.
Stabilisce la cifra. Non sono dell’ambiente, ma mi pare decisamente equa. Non ho nulla da obiettare.
Lo pago con quello che ho nel portafoglio. Mi dà il resto.
Sono così felice…
Lo guardo negli occhi, per dirglielo. Lui ricambia lo sguardo con aria interrogativa.
Vorrei fermarmi, chiedergli come sta, sapere di lui…
Ma sono in imbarazzo: non so che cosa si aspetti, e soprattutto non so che cosa voglia.
Così lo saluto ed esco. Curando, stavolta, di non esporre al sole la parte che ancora brucia.
Ho le endorfine a mille, gli occhi che brillano, e una fantastica sensazione di benessere in tutto il corpo.
E capisco, senz’ombra di dubbio, che quello appena fatto non sarà il mio ultimo tatuaggio.
Grazie, Vlad.

Leave a Reply