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Racconti Erotici

FULMI NI A CIEL SERENO

By 22 Ottobre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Dedicato, se e quando lo leggerà, a Xilia che dal suo Olimpo femminile ha abbassato lo sguardo su uno ‘normale’ come me che, avendo a che fare con una donna, ne apprezza la testa,quasi sempre più pronta e duttile di quella degli uomini nelle soluzioni, ma non dimentica ciò che sta dentro le sue mutandine. Istinto primario senza apparenti conseguenze perché credo che il fare sesso sia effetto e non causa.

Cominciamo dall’oggi o quasi. Mi è capitato di accompagnare a casa un ragazzino che se l’era probabilmente fatta addosso. Nonostante tre giorni di finestrini aperti, l’odore di merda non accennava a dileguarsi. Così mi sono comprato un profumatore per auto da sistemare nella cabina del pickup. Un aggeggino elegante carrozzato Pininfarina. Prima sembrava un cesso pubblico usato da maleducati, ora invece il salotto di un postribolo. Un’ottima occasione per fare dell’auto ironia su come sono ridotto se basta una miscela di essenze per indurmi a pensieri lascivi e conseguenti irrigidimenti tra le cosce. In fondo la cosa può anche essere blandamente eccitante, una specie di salto all’indietro quando andavo in auto al lavoro percorrendo una quarantina di chilometri fantasticando erotiche lascivie. Però cosa accadrà se nel bel mezzo di questa mia esaltazione erotica una donna mi chiede un passaggio?

Rossa di capelli, tipico esemplare dei figli di una certa borghesia, ceto medio credo si dica ora, ai tempi in cui si cantava (e lo cantavamo spesso anche noi durante i nostri trasferimenti in macchina o negli spuntini serali dopo la gita) ”Felicità ti ho persa ieri e ti ritrovo già, una canzone il suo posto prenderà”. Io sposato con figli e lei la ragazza del mio abituale compagno di arrampicate e spesso la terza della cordata. Allora un vulcano sempre in eruzione, ora, suppongo, tornata nei ranghi del suo ambiente originario. Conservo ancora alcune sue lettere, fogli strappati dai suoi quaderni di appunti universitari, nelle quali mi parlava del suo affetto per i miei figli e mia moglie, ma mi diceva pure della sua voglia di me. C’erano anche altri segni, abbracciamenti e stringimenti violenti da parte sua come quando si gioca tra bimbi. Mi era evidente il significato del suo atteggiamento, ma li avevo sempre considerati gesti senza seguito, fine a sé stessi. Poi un pomeriggio, con la benedizione del suo ragazzo (ho il vago sospetto che sapesse come sarebbe andata a finire), andammo noi due soli ad arrampicare. Col senno di poi, avrei dovuto notare una strano brillare dei suoi occhi, ma non fu così perché non avevo mai considerato di fare sesso con lei, quindi mi prese, la parola è senz’altro appropriata, alla sprovvista. Stavo riponendo l’attrezzatura prima di tornare alla macchina quando velocissima e silenziosa la vidi sfilarsi maglietta e pantaloni rimanendo in mutande, un paio di ridicoli slip con stampati tutta una serie di cuoricini e pupazzetti che ti saresti aspettato in una bambina. Non portava reggiseno e le sue tette coniche avevano i capezzoli che ricordavano i cannelli d’un imbuto. Fu in queste condizioni che si buttò su di me per mettermi a nudo i cazzo. Non pensai nemmeno per un attimo di sottrarmi a questo imprevisto e le bastarono pochi colpi di mano per farmelo venire duro e, scostando quel suo strambo indumento, a ficcarselo dentro la sua figa più che predisposta all’introduzione pompando come un pompiere esagitato. Non so quanto andò avanti così. Mi sembrò che le bastassero pochi secondi per godere di un orgasmo mugugnato e violento all’esaurirsi del quale si ‘ricompose’ mentre il mio uccello tra i monti si ammosciava insoddisfatto sui coglioni doloranti. Tornando a valle, non mancai di farle presente che mi spettava un diritto di replica, ma la mia ‘violentatrice’ troncò subito il discorso con un secco e volgare rifiuto. In fondo me l’ero meritato, avrei dovuto afferrarla per i capelli e ficcaglierlo di forza in bocca facendomelo spompinare a dovere: son sempre stato un debole o, se preferite un idiota lento di riflessi. La cosa tuttavia un seguito ce l’ebbe, ma di tutt’altro tipo e molto spiacevole per me. Però non ha nulla a che vedere con quanto sopra.

Un altro episodio anch’esso di tanti anni fa e cominciato in una palestra di roccia. Una mia collega di lavoro, molto più giovane di me, mi chiese un giorno se la portavo ad arrampicare che le sarebbe piaciuto provare. Così combinammo. Era un pomeriggio di sole e lei mi raggiungeva sorridente ad ogni sosta la sua maglietta blu umida di sudore che non nascondeva per nulla la forma dei suoi piccoli seni dalle punte irte e sbarazzine. Di vista la conoscevo da tempo, la vedevo sul treno che prendevamo alla stessa ora e già allora trovavo molto armoniosa la forma del suo culo sopra un paio di belle gambe snelle e ben in vista per la moda delle gonne corte. Finì come era logico finisse: abbracciati a strusciarci ed a baciarci. Avrei desiderato altro, ma lei mi disse: ‘Non adesso, tra qualche giorno” ed non mi rimase che ‘consumarmi’ nell’attesa. Fu così che giunto finalmente il momento, e non perché avessi ingannato il tempo con masturbazioni in suo onore, mi ritrovai per la prima volta in vita mia (ero poco più che quarantenne) con il cannone che non funzionava ed una conseguente silenziosa e malinconica rinuncia. Mi ci vollero altre due o tre volte per riprendere il ritmo abituale. Poi furono sere e notti piene di erotismo allo stato puro fino a che non fu lei a chiedermi garbatamente di rallentare la frequenza. Aveva tutte le ragioni, non ho un gran ricordo di quel breve periodo che ora considero vuoto di sentimento. Andò molto meglio in seguito col sesso diventato un elisir distillato da sensazioni comuni e amicizia.

Rimaniamo ancora tra i monti, luoghi dove ho passato tanta parte del mio tempo. Lei, decisamente bruttina, aveva girato l’Europa ed anche un pezzo di Asia facendo l’autostop. Il suo aspetto fisico non l’aveva difesa ed aveva corso il rischio di essere violentata sulle strade della Turchia. Così aveva deciso di smettere di trascorre così le sue vacanze. Ci era capitato più d’una volta di trovarci soli a passare la notte in qualche baita o bivacco e questo aveva certo alimentato la sua fantasia e, devo ammetterlo, un pochino anche la mia. Capita sempre e sono immaginazioni a sfondo erotico che si dimenticano quasi all’istante. Poi un giorno ci sorprese un grosso temporale estivo e fini che, forzando un poco la porta, ci rifugiammo in un alpeggio vuoto. Infreddoliti e bagnati, senza possibilità di fare un po’ di fuoco finimmo per stenderci in un angolo coprendoci con della paglia e delle coperte sbrindellate e sozze che erano rimaste lì. Dopo poco eravamo appiccicati l’uno all’altro come se avessimo predisposto l’avvenimento con io che la palpavo di sopra e disotto i vestiti zuppi, il mio membro durissimo che premeva sulla sua pancia e lei che collaborava al massimo. I brividi di freddo che continuavano a percorrerci accelerarono forse il mio orgasmo. Venni copiosamente dentro le mutande mentre la mia compagna stava quasi certamente apprestandosi a sbracarsi per farsi montare da me. Una scena ed un finale squallidi che segnarono l’inizio di una serie di nostri incontri che avvenivano quando il caso ne dava occasione. Bastava che l’avvisassi per telefono qualche ora prima e lei si rendeva disponibile annullando ogni altro impegno preso. In fondo era rimasta un’ingenua, la maestrina che era andata a scuola dalle suore. Non si rese mai conto che le mie erano eiaculazioni precoci generate dall’aspettativa di vederla togliersi quelle mutandine nere che indossava, credo, per l’occasione e non un tirami indietro per non violare del tutto la sua verginità. Mi raccontava che era già stata con altri, ma in un modo che si capiva che stava mentendo, che io ero il primo. Lo faceva pensando che io non volessi violare la sua integrità vaginale che peraltro avevo nonostante tutto violato. Mi chiedeva di passare un’intera notte con lei, ma io sapevo che era un desiderio magari anche mio ma decisamente impraticabile. Mi sussurrava che il mio cazzo era simile ad un bocciolo di rosa con la sua cappella purpurea che spuntava dal prepuzio ed io le ero grato del suo ‘estro poetico’ mentre me lo baciava a fior di labbra. La mia colpa fu di averla lasciata nelle sue illusioni da adolescente, di non averla strapazzata e penetrata con le mani in ogni suo orifizio, di non averglieli insalivati con la lingua per farle valutare gli effetti. Il nostro rapporto evaporò come una pozzanghera al sole ed ora, se la vedo mi tengo a distanza e mi domando se mi riconosce, se si ricorda ancora di me.

Bionda, le guance fresche e rosee, la figura prosperosa dell’olandesina con cuffietta e zoccoli delle operette di prima metà novecento. Eppure aveva un nome che ricordava la nera Madonna dei suoi luoghi. Ben al di sotto della maggiore età lei, poco più che ventenne io. Per un sottopassaggio della ferrovia a fermarci con l’auto ai bordi di una stradina campestre. Le prima due volte era sembrata voler soppesare le sensazioni del nostro amoreggiare, ma poi era diventata disinvolta ed era lei stessa cercare quei gesti che all’inizio io le avevo quasi imposto. Non ho conosciuto altra donna così spontanea e sincera nel godere dei piaceri delle manovre erotiche, così limpida nel manifestare appagamento del suo orgasmo. Accoglieva il mio pene tra le sue cosce come si accoglie un amico carissimo con cui si vorrebbe restare sempre insieme, lo bagnava con gli umori della sua passera eccitata e gratificava d’un sorriso soddisfatto e compiacente il mio sperma quando le inondava il ventre e le mani. Il ricordo d’un vissuto lontano e bellissimo che mi fa desiderare di incontrare almeno una volta ancora questa mia amante di troppo pochi incontri. Anche se sono passati molti anni e le nostre gioventù sono lontane, la vedrei con gli stessi occhi e le darei ciò che a causa della mia inesperienza non le ho dato allora, certo che lei farebbe altrettanto. No, non è che il tempo ha inzuccherato il ricordo., mi ha fatto semplicemente vedere ciò che in gioventù non vedevo.
Non è solo questo a renderla unica. C’è pure che io in una di quelle sere le diedi la sua prima lezione di guida. Andò così. Ci eravamo al solito fermati al bordo di un campo, però durante il giorno era parecchio piovuto. Al momento di tornare scoprimmo che l’auto si era impantanata nel fango e non c’era verso di rimetterla in carreggiata. Non potevo certo dirle di darmi una spinta e farla inzaccherare di terra melmosa. Mi venne dunque l’ispirazione di mettere lei alla guida e di fare io da facchino. Accettò di buon grado la mia proposta pur facendomi presente che non aveva mai guidato. ‘Poco importa’ le dissi io ‘t’insegno l’indispensabile.’ Sistemai lo sterzo nella giusta posizione, lei si sedette al posto di guida ed io le dissi di premere con i piedi i pedali della frizione e dell’acceleratore. Le spiegai che doveva premere leggermente sull’uno mentre mollava l’altro non appena avesse udito il mio comando. Misi la prima e accesi il motore attraverso il finestrino aperto e poi andai dietro la macchina e spingendola le urlai: ‘Vai!’, cosa che la mia ‘guidatrice fece con prontezza. Fu solo allora che ci accorgemmo entrambi che se sapeva come partire non sapeva come fermarsi. Mentre le gridavo ‘Molla tutto!’ sperando che il veicolo si fermasse da solo, la vettura lentamente abbandonò la mota del campo, attraversò il viottolo, tranciò sul lato opposto gli alti cespugli erbosi che contornavano un contenitore di cemento cilindrico alto più di un metro e di pari diametro ed alla fine, tornata sulla carreggiata, si fermò. La sua istintiva bravura nel manovrare il volante evitò benché io minimo danno. Riprendemmo i posti che ci spettavano senza una parola di commento e lei non sembrava per nulla impressionata. Come non ricordare una simile creatura, eccezionale nella sua calma e serenità, con affetto e un pochino di rimpianto per averla completamente persa di vista?

Mi fermo perché comincio ad essere stufo e stanco; non so se continuerò. Tu mi hai detto. cara Xilia, ‘Continua così.’ Non so e se ho continuato e non so se e quando leggerai quanto ho scritto. Mi permetto di filosofeggiare un poco. La frase di cui sopra la si dice a che ti chiede informazioni ed è sulla giusta strada, oppure la si rivolge come ordine o incitamento ad un subordinato. Ben diverso dal continuare insieme. Sta lì come un muro di separazione, un addio e non un arrivederci, un prendere gratis quello che capita senza dare nulla in cambio, un vai per la tua strada e non interferire nella mia, un mi stai simpatico, ma non m’interessi. Sbaglio?

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