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Racconti Erotici

Gli stessi nostri pensieri

By 21 Gennaio 2020Giugno 17th, 2020No Comments

Ho risposto all’annuncio con poca partecipazione, talmente con un limitato disinteresse e con un marcato distacco, senza nessuna spassionatezza, perché non adoro né riverisco in linea generale questo genere d’impicci né d’ingombri, ma la curiosità adesso è sovrabbondante, esorbitante è addirittura l’interesse, abnorme è ugualmente la voglia di comportarmi e d’agire, osservandomi inevitabilmente da un’altra originale quanto sconosciuta prospettiva. Non mi sono mai incasellata in una categoria, come non mi sentirei di classificare né d’inquadrare qualcuno, che ne so, nella tipologia degli spettatori dei film o dei soffiatori di naso, tanto meno mi sento di ridurre a un ordine o una specie quelle come lei. 

“Accetto tutte le intenzioni, raccolgo tutte le proposte, accatasto e vaglio le offerte persino quelle più fantasiose e principalmente stravaganti. Coraggio, non temete, fatevi avanti se la pensate così come me. Grazie per l’attenzione, Benedetta”. 

All’appuntamento vado in maniera poco truccata, poiché ho la sensazione che il trucco con loro non funzioni, che non abbia la dovuta finalità, dato che non sono uomini che li puoi confondere e imbrogliare con niente, dal momento che lei conosce bene e padroneggia il mestiere e perciò mi scoprirebbe subito. Mi trovo davanti a un palazzo con i vetri riflessi della periferia, mi vedo contenuta, lineare, semplice e per di più sobria con le scarpe basse da studentessa senz’orecchini e soltanto con un lieve accenno di rimmel sugli occhi. La gente mi passa accanto puntandomi addosso certi sguardi impressionati e stupiti, che immagino si noti il mio ingannevole e menzognero aspetto, forse espongo presentando l’idea di qualcosa di momentaneo e di provvisorio che non m’appartiene né mi compete, in altre parole è come vedere una suora in minigonna, oppure un militare in divisa con i capelli da punk pitturati. 

Credo e ritengo opportuno, che il fondotinta sulla pelle lasci una traccia indelebile allorquando è portato abitualmente. Io mi guardo nel palazzo con i vetri a specchio e mi vedo con questo viso insolito, giacché sembro un fungo lavato con la candeggina, sennonché tra l’ondeggiare confuso della folla, che da lontano sembra un’imponente danza disarmonica, distinguo intravedendo in maniera spiccata una sagoma vestita di color rosso. Ecco, sì, adesso la vedo: ha i capelli corti e neri, gli occhiali, visto che indossa un impermeabile rosso leggero, è magra, ha un viso amabile e grazioso dai lineamenti affilati e mi sorride subito, dato che gli estranei mi guardano sbalorditi e meravigliati, figuriamoci lei che già sa tutto. 

“Benedetta, sono qua” – pronuncia lei a voce alta, indubbia e sicura con un sonoro timbro acuto un po’ fuori ruolo per l’occasione. 

Io balbetto il mio vero nome storpiandolo, sono leggermente impappinata, lei non capisce, però non insiste, è una femmina ammodo e garbata, dato che continua a sorridere in maniera spavalda, temeraria e un poco ironica. Io non mi smuovo dalla mia postazione mentre la guardo incantata, la sua pelle è olivastra ma chiara, il naso è affilato, un po’ lungo però regolare, le sue labbra né carnose né sottili scoprono dei piccoli denti distanziati e bianchissimi. A ben vedere è veramente adorabile e graziosa questa Benedetta, ventisette anni d’età, trenta al massimo: 

“Andiamo?” – esordisce lei, come se già avesse un’idea ben custodita e un’iniziativa in serbo per conto suo. 

La mia macchina è parcheggiata lontano, devo ospitarla subito oppure attendere nell’intimità? Subito dopo sguardi profondi, carezze complici e strette? Che cosa prescrive l’educazione e il garbo in questi casi specifici? Lei nemmeno a dirlo m’agguanta lestamente per mano trascinandomi, dando così inizio alla conoscenza più approfondita, perché in maniera baldanzosa e smargiassa m’annuncia: 

“Dove hai la macchina?” – e punta subito in direzione, poiché la sua mano al presente è calda, morbida e asciutta, direi sicura. 

“Parti, dai muoviamoci, perché so già dove andare” – enfatizza lei in maniera spicciativa ed energica. 

Lei è veloce e abbastanza risoluta, in quanto m’indica in modo intraprendente e sciolto un complicato labirinto di strade e di stradine, che io non saprei mai da che parte riprendere. Io sono alquanto soffocata e soppressa dall’emozione, giacché non collego la spina della razionalità al cervello, per il fatto che adesso funziona solamente l’area subcorticale. Dopo quasi una mezz’ora ci troviamo nel percorrere la rampa d’una stradina in salita, perdura un po’, ma alla fine ci ritroviamo in un bellissimo spiazzo circondato da enormi pini. Adesso siamo in alto e sotto di noi si dispiega la città, capoluogo indecifrabile e misterioso di donne curiose, incostanti, indiscrete e mutevoli come me, che dopo una serie d’amori deludenti, d’affetti frustranti e di passioni misere, si ritrova immancabilmente a rispondere a certi appelli e a certi richiami rimasti in sospeso nel tempo: 

“Dai, non scendere dalla macchina, il panorama lo conosciamo già” – m’annuncia lei ridimensionando frettolosamente l’argomento. 

Lei ha in quell’istante una voce improvvisamente abbattuta e monotona, io non faccio in tempo a guardarmi intorno, che vedo sullo spiazzo un gran numero di macchine appostate nel buio che ogni tanto c’indirizzano dei lampeggi intermittenti: 

“Sono i soliti, che poi vogliono lo scambio. Lasciali perdere, ignorali che subito dopo smettono”. 

Io la guardo in viso, in quanto ha come un velo d’afflizione, d’infelicità e di mestizia che le scende sugli occhi. Al momento è strana, diversa dal solito, perché evita di fissarmi direttamente, m’apre frattanto la camicia ma soltanto d’un bottone poggiandomi sul collo la sua mano asciutta e appassionata, io mi trattengo, però non posso fare a meno di vibrare leggermente per quel repentino quanto gradito contatto: 

“Sei sensibile ed emotiva, presumo che tu sia molto ricettiva e alquanto delicata”. 

“E tu?”. 

Io mi meraviglio per quella domanda, dato che non era nei programmi, per il fatto che io volevo soltanto capire che cos’avessero in mente quelle come lei, solamente appurare e in definitiva verificare che fossero preda degli stessi nostri pensieri, in quanto giammai avrei ipotizzato né postulato un minimo contatto fisico. Senza guardarmi con gli occhi, lei si sfila laboriosamente l’impermeabile dalla testa senza nemmeno sbottonarlo, ha una maglia nera leggera un po’ trasparente, non porta nulla di sotto, poiché non ne ha effettivamente bisogno. Là dentro s’intravedono dei seni di media grandezza, a dire il vero incredibilmente duri ed eccezionalmente sollevati, mai intravisti in una donna che abbia passato l’adolescenza, appresso solleva la maglia fino al collo, ha una pelle bruna e compatta, i capezzoli sono scuri, l’areola è tesa, leggermente gonfia e lucida, la parte centrale rilevata è più olivastra. Lei ha un seno magnifico, intatto, conico e perfetto, dal momento che starebbe perfettamente ben inserito dentro una coppa di champagne: 

“Ti piaccio?” – esordisce lei, fissandomi svenevolmente in modo lezioso e garbato in quella circostanza. 

Io non so proprio che cosa dirle né manifestarle, certo che mi piace, come m’attrarrebbe indubbiamente una modella su d’un giornale, un quadro di Degas o una femmina grassona di Botero, nulla d’inconsueto né di strano. Capita perfino al mare di vedere donne magnifiche seminude e con ciò? – rimugino dentro me stessa, decisamente avvinta e per di più attratta e indiscutibilmente coinvolta. 

“Dai, aggiunge lei” – sogghignando e riprendendo ad accarezzarmi il collo, strizzandomi nel contempo l’occhio, facendomi ben sperare. 

In quel preciso atto distinguo perfettamente i suoi capezzoli rapprendersi, fino a diventare incurvabili, ostinati e allungati. Adesso sono lucidi e quasi neri, talmente rigonfi che puntano tenaci e inflessibili verso l’alto, perché così appoggiati sullo splendore intatto e olivastro della pelle, sembrano francamente due serpentelli neonati pronti a guizzare via. Io non resisto, combatto ma desisto, tenuto conto che ha un effetto che mi tronca irrimediabilmente il fiato, per il fatto che il cuore mi batte energicamente nel petto poiché sembra voler uscire, percepisco distintamente il viso diventare paonazzo, adesso mi devo controllare un poco, devo dominarmi, cerco di sovrastare il tutto di fronte a quella prorompente imminenza. Chi sono? Non mi capisco più, perché qualcosa di me che sguscia via, che si dilegua, sgattaiolando e svignandosela dalla mia coscienza, per il fatto che ho una smania terribile addosso e un’inedita inquietudine che mi sovrasta, padroneggiandomi, ergendosi potente, depredandomi e saccheggiandomi in ultimo implacabilmente le membra. 

Questo è il mio corpo, una centralina pulsante d’esaltazione e di completo fermento, la sede principale martellante e fremente degl’impulsi, la il bottone e la dimora guizzante dell’incitamento, in quell’occasione mi butto in avanti e afferro quel seno malleabile, lo abbranco e lo lecco con bramosia, me lo sorbisco con concupiscenza tra le labbra e la lingua, in quanto sento la sua femminilità dilatarsi allungandosi in una consistenza sempre più dura ma gommosa, che adesso odora di miele, di muschio, di resina o di tutto quest’insieme di fragranze inedite a me sconosciute. Nel mentre giro la lingua intorno a quella deliziosa sporgenza viva, sempre più nera e sempre più umida, la mordo leggermente e finalmente sento Benedetta gemere sommessamente, come se solamente allora si ricordasse d’essere ancora attaccata, devota e unita a quel corpo. 

Io chiudo gli occhi, fino a sentire uno spasmo dolente e diffuso nel basso ventre e allora la frugo giù, affondo le mie dita in quel delizioso e odoroso pertugio che s’allarga in modo cedevole, poiché è colmo e canicolare di fluidi, liberando svisceratamente nel contempo le mie viscose e abbondanti secrezioni nello stesso istante. Benedetta viene strepitando il suo lascivo e vizioso ingabbiato piacere, pochi secondi dopo pure io svisceratamente la raggiungo, attorcigliandoci appassionatamente in maniera impudica e oscena in quell’impetuoso e frenetico mulinello dei sensi, mentre anch’io con il mio poderoso e triviale fragore strillo, celebrando in conclusione il mio nerboruto, lussurioso e vigoroso orgasmo. 

Le mie dita apprensive s’inoltrano ancora, sono desiderose e frettolose, s’intrufolano ansiose e impazienti nella sua intima cavità, sprofondando in un nulla che ha l’essenza completa e l’odore totale della beatitudine, la fragranza del paradiso e l’effluvio del tripudio totale. In seguito ci buttiamo all’indietro alla fine indebolite e immancabilmente sfinite sui sedili con la testa sgombera e vuota, godendoci magnificamente appieno quegl’intemperanti e lussuriosi sfrenati quanto libertini e festaioli istanti. 

Ambedue ci godiamo questi carnali, sbrigliati e smodati attimi più che possiamo, perché dopo quest’incantevoli, ammalianti e allettanti lascivi palpiti, lasceranno ben presto il posto agli assilli, alle beghe, ai grattacapi, ai pensieri e alle preoccupazioni giornaliere, perché ahimè queste ultime, faranno rapidamente in fretta a ripresentarsi accanitamente e ostinatamente, riproponendosi con regolarità in modo inevitabile. 

{Idraulico anno 1999} 

 

 

 

 

 

 

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