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Intimità

By 14 Dicembre 2018Giugno 28th, 2020No Comments

Cap.1

“Ciao Roby!” grid’ Luana rientrando a casa. Intanto si sfilava le scarpe tacco 10 che l’avevano sostenuta. Oramai non reggeva pi’. Tutto il giorno impegnata in promotional mix. Su e gi’ tra il marketing chief ed i clienti; continuamente impegnata in brainstorming e customer-briefing per sviluppare le strategie migliori di vendita delle miriadi di prodotti che la sua multinazionale doveva pubblicizzare.

Gambe e piedi gonfi. Dalle sette della mattina alle nove di sera diventa una tortura stare in piedi con quei trampoli. Non erano poi esagerati, ma non poteva farne a meno per rendere pi’ slanciata la personcina. Non raggiungevano il tormento del tacco dodici, ma anche cos’ non ce la faceva. Una corsa continua, da quando ti alzi, la mattina, a quando ti vai a seppellire nel letto, la sera. Rifiat’ di soddisfazione. Si sentiva meglio lontano dall’ufficio, ma non poteva negare che per lei fosse come una droga. La mattina seguente avrebbe ripetuto la stessa trafila con rinnovato entusiasmo e, soprattutto, grinta.

Butt’ le chiappe del culo sulla poltrona e sospir’, massaggiandosi le caviglie. Un’altra giornata era passata.
“Robyyyyy….!” chiam’ lamentosa, senza avere risposta.
“Cavolo di uomo…!” sbott’. Che cazzo d’importante stava facendo per non salutare neanche. Eppure la giacca era all’attaccapanni, le scarpe slacciate giacevano in un angolo della stanza…”Quante volte devo dirti – abbass’ la voce sfumando in un non detto – di non…”. Avrebbe voluto rimproverargli di essere disordinato, pretendendo che riponesse le calzature al posto giusto, nella scarpiera. Ma l’evidenza le balz’ agli occhi: le due d’collet’ che s’era sfilate dai piedi giacevano al centro della stanza a distanza, fra loro, di un metro e mezzo una dall’altra. Sembravano due navi che stavano affondando, adagiate di lato sul pavimento. Le raccolse, insieme a quelle di lui.

Sbuff’, and’ al guardaroba; le poggi’ sul ripiano posto in basso, sotto i vestiti. Passando davanti, la specchiera le fece un fischio. Si sofferm’, rimirandosi; si riavvi’ i capelli, aggiustando il garbo. Carina, s’…; un po’ troppa ciccia sui fianchi; il sedere a mandolino…Beh… non proprio, forse un po’ abbondante. D’altronde anche la Merkel…! Sorvol’, canticchiando.

“Dove staiii?” – benedett’uomo,mai che si trovasse al posto giusto. Aveva un po’ di astio nei suoi confronti. Non che fosse giustificato, perch’ riconosceva la sua bont’ d’animo; era remissivo, servizievole; troppo, forse. Mai a contraddirla, come dovrebbe fare un vero uomo…! No, non voleva dire questo. Neanche che lei fosse un’attaccabrighe. Anzi era molto comprensiva, generosa anche, specialmente al lavoro, ma quell’uomo l’esasperava. Non era stato sempre cos’.

Si sedette sulla cassapanca un attimo a pensare. Gi’ non aveva neanche la forza di pensare. Si sentiva confusa. Sospir’ rumorosamente e si trascin’ in camera da letto. Il rumore dell’acqua che scorreva nella camera attigua l’accolse. Ecco dov’era! Sotto la doccia, in bagno. “Quante volte t’ho detto che devi usare l’altro bagno, nella camera di servizio!” gli grid’ attraverso i vetri opacizzati dal vapore dell’acqua calda.

La doccia si schiuse quasi subito, vomitando fuori nuvole di nebbia bollente. L’acqua fu chiusa. Dopo un attimo di esitazione un essere allampanato, magro come un chiodo, gocciolante, con i capelli attaccati al cranio che denunciava l’inizio di una incipiente calvizie, apparve al dissolversi del vapore acqueo che l’aveva preceduto come per sfuggire a una forzata compagnia. Lo sbirci’ in tralice, quasi di sfuggita con un certo senso di ripulsa.

L’uomo cerc’ affannosamente di ingraziarsi le simpatie della sua interlocutrice con un sorriso ebete che si espanse sulla faccia. “Mi dai l’asciugamano alla tua destra, per favore?” chiese. Gli lanci’ l’asciugamano. “E copriti!” lo riprese, gettando un’occhiata traversa al minuscolo ingombro che gli si affacciava tra le gambe, come un pulcino bagnato. Era quella l’inconscia causa del suo livore!

Era una donna forte, sana, di ventisei anni…, e che diamine! Proprio a lei doveva capitare un pistolino piccolo a tal punto da non arrivare a soddisfare gli intensi appetiti sessuali che la sua et’ pretendeva di soddisfare. Si sentiva frustrata nelle sue aspettative. Eppure lui era alto.. s’, non era un “maciste”, ma… comunque, sembrava… E che ne poteva sapere lei, prima… ! Quando ha scartato la caramella era gi’ sposata.

A chi doveva calpestare la testa? A sua madre! “Devi arrivare al matrimonio pura e illibata!” era l’imposizione. E lei, stupida, l’aveva ascoltata. Meglio le ragazze di oggi che se ne fanno mille di pippe prima di scegliersi il cannolo che d’ pi’ gusto! Eppure, quasi mai restano soddisfatte… Vero ‘ che il troppo storpia. Uff, questa stupida saggezza popolare! Quante amiche le raccontavano le misure dei loro “ganzi”, non che fossero solo mariti. E quante , dopo, rifiutava la “merce” per un motivo o per un altro… “Libert’ va cercando… Anche se non ‘ quella politica, come intende il poeta.” e ridacchi’.

Ormai la frittata era fatta e doveva tenersela. Trasse un respiro profondo dal petto, attraverso la gorgia che finiva nel rigonfiamento dell’inizio di doppio mento, trovando cassa di risonanza nelle guanciotte piene che si ritrovava. Intanto si spogliava lentamente, distraendosi da questi pensieri funesti.

L’armadio a specchio la seguiva in tutte le sue operazioni, attirando la sua attenzione, e: ora le trovava un foruncolo, ora un neo che non ricordava di avere, finch’ non arriv’ a scoprirsi il seno. Le piaceva quel seno piccolo ma ben tonico. Non ‘ da tutte averlo cos’. Beh, certo se fosse stata un po’ pi’ magra sui fianchi… Ma a lei non interessava. Si sentiva bene cos’! E chi la sfotteva perch’ sembrava grassa …che andasse in malora!

Si gir’ verso il letto, quando sent’ un soffio caldo umido sul collo seguito da un bacio. Roby! Decise di prenderselo cos’ com’era quell’unico uomo che aveva a disposizione. Con una mossa di Seoi-Otoschi lo fece volare davanti a s’, rovesciandolo pancia all’aria sul letto, il loro tatami! Non conosceva lo judo, ma fu talmente ben fatta che il trentacinquenne avversario rest’ stordito e indifeso, nudo, col piccolo pene che s’era inturgidito tra le gambe e che, preso in contropiede, ora minacciava di crollare miseramente.

In un attimo lo immobilizz’, bloccandolo in un Kesa-gatame prima di salirgli sopra. Non che lui si tirasse indietro, perch’ gli faceva piacere quella sorta di angheria a cui lo sottoponeva la sua donna. Solo che lei era un po’ violenta quando prendeva l’iniziativa; ed era sempre lei a prenderla. Luana, Nan’ per gli amici, avrebbe voluto che fosse l’uomo a corteggiarla prima di arrivare al dunque, ma sapeva che se l’avesse lasciato fare sarebbe finita in un desolante nulla di fatto.

Se lo ficc’ tra le gambe approfittando dell’inturgidimento del membro. Ora poteva iniziare la cavalcata all’amazzone. Dettava legge, sia in tempo che in profondit’. Se lo fece scivolare per tutta l’esigua lunghezza, purtroppo, fino alle palle. L’importante era che le strofinasse la clitoride e che la penetrasse il giusto. Si agit’, si mosse, fino a che non lo sent’ eiaculare con un caldo flusso che le bagn’ la guaina interna del condotto, la vagina, insomma. Croll’ sul corpo di lui, agitandosi freneticamente in conseguenza dell’orgasmo in corso, fino ad esaurire le spinte in un “Ooohhhh!” liberatorio.

Lui s’era gi’ acquietato. A lei non restava che smontare, lasciando il cavallo allo stato brado, ed emise il solito sospiro: “Ah!” – che voleva dire: “Fosse durato di pi’…!”. Roby dormiva di sasso.

Lei stette un po ‘l’, sdraiata, immobile, le braccia sotto la testa, ascoltando i battiti del suo cuore che si riassestavano, lo sguardo perso dietro i puttini che mostravano le loro nudit’ sul soffitto. Il respiro tranquillo di Roby cominci’ a darle ai nervi. Si alz’; silenziosa, infil’ le babbucce col pon-pon bianco che erano accanto al letto e sgattaiol’ in bagno. Chiuse la porta con cura, evitando ogni rumore. Illumin’ la specchiera, allungando la mano verso il sensore dei faretti a led.

La luce si diffuse sul retro dello specchio, rimandando la sua immagine. Gli angoli pi’ lontani della stanza restarono in penombra. Si ammir’, girandosi da tutti i lati. Si piaceva, anche nelle parti pi’ “piene”. D’altro canto ventisei primavere non mentivano. Si tocc’ il nasino un po’ largo. Le dava l’aspetto di una maialina. Si palp’ ben bene. La pelle era vellutata come una pesca.

Avvert’ uno strano calore che le saliva dall’utero al cervello. Non era ancora soddisfatta! Prese da un cassetto l’astuccio che conteneva il suo prezioso “coniglietto”. Lo deterse con l’apposito detergente e poi si sedette, cos’ com’era, completamente nuda, sulla chaise-longue in doghe di legno fissata nella vasca da bagno trasparente. Sotto il suo peso la sedia ondeggi’ leggermente. Il pap’, architetto, gliela aveva fatta montare per impreziosire il bagno, accollandosi le spese, da bravo pap’, naturalmente.

Allungata sulla poltrona cominci’ ad accarezzarsi con il fallo in elastomero color carne, fornito di un corpo grosso e lungo che simulava il rilievo delle vene di un pene in erezione e sporgeva di venti centimetri almeno dal palmo della mano. Era sormontato da un cono robusto: un glande maschile eccitato. Alla base del corpo dell’attrezzo si innestava una forma pi’ piccola, che poteva sembrare un coniglietto all’erta, con le orecchie allungate in alto. Serviva egregiamente a strofinare la clitoride durante la penetrazione vaginale del fratello maggiore, cogliendo due “piccioni” con una fava o, meglio, un piccione con due fave.

All’interno del marchingegno biglie rotanti assicuravano, elettricamente, il massaggio delle pareti vaginali durante la progressione, mentre il glande, ruotando anch’esso, avanzava e stimolava il recondito, famoso punto “G”. La vibrazione del “coniglietto” poteva essere variata in sette modi differenti e permetteva, contemporaneamente, di titillare il clitoride e simulare il passaggio di una lingua, rasposa al punto giusto, sulla parte voluta, assolvendo ai compiti del cunnilingus di un robusto maschio da monta.

Distesa sulla sdraio da bagno che l’accoglieva nella concavit’, sostenendole la spalla, mentre le gambe si adagiavano nella parte leggermente rialzata, in modo da risultare sollevate rispetto al bacino, chiuse gli occhi, iniziando la sua galoppata nel mondo della fantasia. Il sibilo sommesso del vibratore cominci’ a ronzare, come un’ape in cerca del miele. L’immagine che si profil’ fu quella del suo capo, un giovane uomo sulla quarantina, vigoroso, vitale, sempre pronto a sostenere ed incitare i suoi dipendenti sul lavoro.

Lo ammirava! Aveva delle idee geniali che risolvevano tutti i problemi. Se avevi delle difficolt’ nella gestione del cliente, interveniva lui a salvare la situazione. Era un esempio, da imitare. Stava apprendendo molto, lavorando a stretto contatto con lui. E lui l’apprezzava per la sua capacit’ di adeguarsi alle situazioni, evitando tutti i conflitti che in un ambiente di lavoro si verificano facilmente. Lo stimava ed era stimata.

Ma non lo vide sotto quella luce. Le salt’ subito in mente una situazione scabrosa. Un giorno stavano esaminando insieme un brief di lavoro. Lei seduta al computer; lui gli era alle spalle, in piedi. Stavano discutendo sull’opportunit’ di una data strategia di vendita, rapportandola al cliente, quando lui volle mostrarle un indice sullo schermo e si avvicin’ alla sua spalla, proprio mentre lei si spallava leggermente sulla sedia. L’inguine di lui entr’ in contatto con la spalla di Nan’.

L’incontro fortuito caus’ il touch-in sulla camicetta di seta di lei. L’occhio di Gianfranco, il chief-manager, scese dal desktop alla operatrice, verso la camicetta sottostante. In quel momento il primo bottone sul petto s’era sbottonato e lasciava intravedere il disegno del seno a coppa di champagne. Una stupenda attaccatura che faceva immaginare pi’ del dovuto. Fu in quel momento che lei avvert’ immediatamente un ingombro considerevole contro la sua spalla, di una durezza invitante.

Si scostarono entrambi come se si fossero scottati. Senza interrompersi, Gianfranco si gir’ e continu’ a teorizzare il comportamento del cliente, mentre cercava di indurre alla ragione la “bestia” che sbuffava in lui. Lei, dopo una lieve esitazione, riprese a rispondere al capo. Gianfranco Concluse in fretta: “Nan’, senti, dobbiamo rivederci nel pomeriggio. Tu apporta le modifiche nel senso che ti ho detto rispetto sia ai volumi di vendita che alle disponibilit’ di rifornimento dei magazzini in modo da commisurarli alla richiesta di mercato. Ciao dolcezza!” e abbandon’ la riunione che si stava rivelando scottante. “Com’era duro!” ricord’ Nan’; non lo scordava pi’. Ogni tanto lo immaginava che le ballonzolava davanti, provocante, bellissimo!

Ne sognava la dimensione. Si vedeva mentre approcciava quel membro virile. Prov’ il desiderio di prenderlo in bocca e succhiarlo. Accost’ il vibratore alla bocca e cominci’ a leccarlo sulla punta del glande. Era morbido, tenero nella sua grossa consistenza. Sembrava di pelle umana. L’aveva preso in bocca tante volte al maritino, ma mai lei aveva avuto un effetto cos’ esaltante da portarlo alla durezza che stava vanamente inseguendo. Vibrava fra le labbra, mentre la sua mano correva ad impugnare il grilletto che strabuzzava l’occhio fuori dalla patatina. Cominci’ a masturbarsi, mentre si passava lentamente il vibratore sulle mammelle, intorno ai capezzoli. Sentiva salirle la febbre, mentre le guance si imporporavano. Scese ancora lungo l’addome, mentre l’altra mano pescava nel “vel dulcedo” con movimenti rotatori sempre pi’ intensi.

La clitoride, arrossata, inizi’ a risentirsi. Quasi le doleva per l’eccesso di stimolazione che riceveva. Ma Nan’ continu’ imperterrita nei suoi disegni. Ormai erano forti le contrazioni orgasmiche. La lasciavano senza fiato. Aveva la sensazione di dovere rimettere, invece, subito dopo l’afferrava l’estasi agognata. Le sembrava che, da qualche parte, dovesse uscirle anche l’anima, mentre ondate di piacere si susseguivano, iniettandosi mel cervello. La mano diventava insicura, tramava, a reggere il vibratore.

Ansimava; prima mugolii contratti, silenziati dal desiderio di mantenere per se il piacere di quel momento senza che altri intervenissero a rompere le scatole; poi rantoli soffocati, rauchi, prolungati, come di una gatta in fregola. Era tutto suo quel godimento! Stravaccata sulla sdraio, le gambe aperte accoglievano il siluro che le perforava l’addome, mentre il coniglietto le zompettava allegramente sulla minuscola asta della turgida escrescenza, appollaiata sula voragine dell’ostio vaginale.

Il sibilo del’apparecchiatura elettrica andava avanti, sommesso, da dieci minuti e pi’ e la portava a variare da una condizione di desiderio estremo di penetrazione ad uno di soddisfazione immensa, dal digrignare i denti e storcere la bocca, ad affannare, affrettando la respirazione, come se stesse per partorire. Le pareva di essere investita da getti di colore che le turbinavano intorno: gialli, rossi, magenta che poi divenivano blu, nero per ridiventare rosso purpureo, scarlatto e via nell’infinita gamma del desiderio; mentre fiammate improvvise le bruciavano le vene. Si contorceva sulla chaise-longue, nel tentativo di provare ogni recondito angolo della sua vagina.

Gli occhi chiusi, stretti nel godimento, la fronte imperlata di sudore, le sembrava di grondare sangue da quella voragine che le si apriva fra le gambe, tant’era il calore ricco di umori che le scorreva sulla mano. Non poteva trattenersi dallo spingere l’attrezzo sempre pi’ in fondo in cerca del Paradiso dei sensi. Click, fece l’interruttore quando aument’ la potenza di spinta al massimo.

Ora s’ che ballava! Non riusciva a trattenersi. Fu quasi scaraventata dal suo stesso incontrollabile impeto contro la spalliera: Si agitava spingendosi in avanti e indietro, mentre l’asta la penetrava e il peduncolo leporide le spatolava la cuspide conica del minuscolo glande. Stravolta, non poteva fare a meno di guardarsi allo specchio che la sovrastava, rimandandole tutta la cruda bellezza di un corpo nudo di un candore abbagliante, ai suoi occhi, che si dannava alla ricerca del piacere estremo.

Era calamitata da quello spettacolo di rude potenza: un involucro eburneo dalle fattezze eccitanti che si dimenava, incuneandosi nella vagina, mentre l’altra mano stringeva alternativamente le mammelle, ora una ora l’altra. Sembrava votata alla sofferenza di una mungitura prolungata che assicurava il godimento forsennato.

Una scarica di adrenalina le attravers’ le membra. La scintilla part’ dal cervello per propagarsi in ogni molecola del corpo, scendendo fino agli alluci. Vibrava in ogni fibra, aspettando che la catarsi si compisse purificandola dall’eccitazione che la faceva smaniare. Non capiva pi’ niente, mentre una luce accecante l’avvolse. S’irrigid’ come se avesse ricevuto una scossa da 3000 volt.Poi tutto divenne nero. Si abbatt’, schiacciata, senza fiato, sulle doghe della sedia elettrica.

Quando si riprese, non si rendeva conto di quanto tempo fosse trascorso. Un forte sospiro di soddisfazione, la scosse.
Dopo aver affannato per una decina di minuti in un crescendo di sussulti e scossoni, mentre si profanava da sola la vagina con l’aiuto energico del suo facilitatore orgasmico, il sex toy, era iniziata l’orgia di rantoli rauchi, quasi afoni per raggiungere cos’ l’acme del piacere, ch’era profuso abbondantemente con eiaculazione di liquido vaginale.

Restava estasiata da quel flusso a getto intermittente che le procurava uno sdilinquire dei sensi ad ogni polluzione, “come se fosse sperma”, gli aveva detto il marito, che di eiaculazioni se ne doveva intendere, impressionato e intimidito dalla sua peculiarit’. Certo che se avessero partecipato ad una gara di lancio dell’eiaculato, lei avrebbe vinto abbondantemente, mentre la lumachina di Roby, dopo il primo getto di qualche centimetro, si accasciava sbavando sperma come un vomito di siero scivoloso che si appiccicava sulle sue pareti del membro, ridotto a lumicino dal termine della rapida penetrazione. Era la sua disperazione!

Ora subentrava la calma, i lineamenti distesi. La pelle aveva acquistato una luce diafana, quasi trasparente. Era stanca. Socchiuse gli occhi e, con la destra, apr’ il miscelatore dell’acqua; d’altronde quella era una vasca da bagno. Senza spostarsi dalla sedia si adagi’ meglio. Apr’ le gambe, mentre la cascata polverizzava sul suo corpo, carezzandola gradevolmente e avvolgendola in una nube di caldi vapori. La luce bluette conferiva ancora maggiore trasparenza alla sua pelle, conferendole l’aspetto marmorizzato di una Venere di Canova.

“Magari!” pens’ guardandosi allo specchio di fronte “Fossi una statua! Lontana dagli affanni di tutti i giorni…”Ma non volle pensarci. Era contenta cos’: con la sua patatina che le apriva lo scrigno delle gioie che desiderava. S’, certo, se il maritino avesse collaborato… Basta! Voleva crogiolarsi nella pace dei sensi raggiunta, finch’ ce n’era. Al diavolo il resto. Si accarezz’ mentre il getto diventava pi’ consistente. Sent’ che la pelle era liscia e compatta sotto la mano, come un uovo sodo.

Si sparse sul corpo il sapone liquido di Marsiglia e palp’ in profondit’ le turgide forme. Entusiasta, s’inorgogl’, esaltandosi. Fu come un lampo. Le balz’ in mente la imponente bellezza del magnifico uccellone di cui aveva potuto soltanto saggiarne la consistenza sulla sua spalla. Cerc’ di cancellare nuovamente quell’idea. Voleva restare ancora nel limbo in cui era sprofondata grazie al suo “Coniglietto”. Quella sera le bastava cos’.

Chiuse il miscelatore della vasca; si alz’; si stir’. Era insonnolita dalla pluriforme attivit’ sessuale delle ultime ore; per non parlare del bagno che l’aveva sospinta verso il nirvana assoluto. Si asciug’ tamponandosi col grande asciugamano rosa, infil’ la vestaglia, spense la luce ed entr’ in camera da letto.
Roby russava alla grande. Non ci fece caso, tant’era l’abitudine, si stese dall’altro lato del letto e si addorment’.
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