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Racconti Erotici

Predatore d’amore

By 27 Aprile 2020Maggio 16th, 2020No Comments

E’ ancora possibile ai giorni nostri annoiarsi? In un mondo con così tanto da fare è sì possibile, ma non accettabile e ammissibile: ci comportiamo in modo da rifiutare e denigrare la noia quando subentra nella nostra vita, adoperandoci subito in qualcosa di poco conto da fare per scacciarla. Ma non è sempre stato così, in realtà. Un tempo i bambini inventavano giochi e attività stravaganti proprio guidati dalla loro noia. E così, una canna di bambù poteva diventare una spada; due mollette incastrate tra loro si trasformavano in una pistola. Tutti strumenti funzionali a creare storie, giochi o simulare ciò che facevano gli adulti. In quest’arte d’arrangiarsi e d’ingegnarsi, la noia non era da concepire come un nemico d’abbattere, ma più come un amico che incoraggiava a sviluppare idee creative. Oggi il rimedio universale si chiama iPhone, Smartphone, iPod, iPad e Tablet. Il bambino non ha più il permesso d’annoiarsi perché altrimenti disturba; viene così messo a tacere, buono e tranquillo nel suo passeggino, facendolo giocare con lo smartphone o mostrandogli i cartoni animati dal tablet. Gli adulti possono così tornare a fare le cose dei grandi e i bambini imparano come combattere la noia in modo malsano e poco utile sul lungo termine.  

 

Debora si stava scervellando, da quando la sorella minore aveva deciso di lasciarle a casa il figlio piccolo, che avrebbe ripreso una volta la sera uscita dal lavoro. I suoi amici d’un tempo non erano più allietanti, divertenti e spassosi come prima e lei sentiva il momento di cambiare gente da frequentare, anche se sotto sotto stando a casa, per lei rappresentava pur sempre una base sicura, per non correre rischi ed evitare d’affrontare l’ignoto. Questa proiezione però, era l’ennesimo modo per fuggire dalla realtà. Tutte le energie dedicate a mantenere viva la lotta, tra una situazione familiare e una che rappresentava la novità e il vivo interesse, tenendo quest’ultima a bada per non affrontare il cambiamento, la svuotavano completamente lasciandola inevitabilmente priva di energie. Come se non bastasse, quel giorno, pure la sua infaticabile e fedele compagna di lavaggi ci aveva messo del suo lasciandola ingannata e voltandogli le spalle.

 

Debora era furibonda, era decisamente inviperita, perché era la quinta volta che chiamava il servizio tecnico d’assistenza da due giorni, per poter riparare la sua lavatrice, ma nessuno si faceva vivo nonostante le ripetute richieste. Le avevano promesso un intervento celere che doveva avvenire in giornata, eppure le cose si complicavano intricandosi e il tempo dell’intervento inevitabilmente s’allungava. L’ammasso di panni da lavare era esorbitante, tutto accatastato in modo abnorme che giaceva dappertutto, in cantina, nel ballatoio, nel bagno. Debora era prostrata, avvilita e disanimata. Verso le otto di sera, quando non ci pensava più, ecco che suonarono alla porta, era l’operaio specializzato che le faceva visita per effettuare l’aggiustatura fuori dal suo normale orario lavorativo. Debora lo fa accomodare, lui inizia la riparazione, lei dopo gli domanda se gradisce qualcosa da bere, lui annuisce con un sì e nel mentre le espone:

 

“Signora, ci vorrà un po’ di tempo. Dovrò sostituirle la cinghia, l’elettrovalvola, il termostato e la pompa di scarico, quest’ultima e seriamente danneggiata, credo che tornerò domattina presto. Se vuole però, potrebbe acquistarne una nuova, ci sono ottimi modelli ampiamente scontati” – gli espone lui, dando una rapida occhiata per l’intervento che dovrà compiere.

 

Debora ascolta con attenzione, valuta e acconsente, chiede l’importo che dovrà corrispondere per la messa in opera e irrazionalmente appoggia un braccio sopra la spalla dell’operaio specializzato. Lei cerca di stuzzicarlo, lui non resta indifferente, perché tutti i muscoli della zona sono in agitazione, finché Debora non toglie il disturbo rientrando verso la cucina, perché subito dopo ritorna divulgando con buonumore:

 

“Senta, le dispiace se ci sediamo un istante per conversare? Le offro frattanto qualcosa da bere?”. Lui le esprime piena sintonia e frattanto s’accomodano sul canapè situato al centro del soggiorno.

 

“Avrò bisogno di almeno due ore, dovrò smontare diversi pezzi, occorre del tempo. Le garantisco che in ogni caso la lavatrice rinascerà, sarà come nuova, un vero gioiellino” – le ribadisce il tecnico rincuorandola.

 

“Molto bene signor Leandro, sono veramente deliziata. M’ha fatto un eccellente favore, l’intervento che ha compiuto è stato un apprezzabile e lodevole sostegno da parte sua. Mi dica un poco della sua vita, mi descriva le sue giornate, la prego” – mi svela Debora piuttosto interessata e partecipe.

 

Io non esito né tergiverso più del dovuto, in quel frangente sono alquanto amichevole e comunicativo, poiché le espongo in breve tempo i ritmi e gli avvicendamenti del mio modo di vivere, Debora fa nello stesso modo palesandomi che non si è mai maritata, ha però coabitato, tuttavia non ha dissipato l’aspettativa né perso la fiducia per una novella storia, anche se la faccenda le appare ogni giorno più complessa e ingrata. Il nostro dialogo non ha più la spontaneità né il brio di poc’anzi, Debora sta decrescendo, si sta stancando, ciò nonostante lo stiamo facendo tutti e due in modo conscio, mentre io tento di badare al rimontaggio dei pezzi per vedere se il processo è andato a buon fine. M’accosto alla presa di corrente e avvio la lavatrice, alla fine l’intervento sembra abbia funzionato, il sistema è più performante di prima, mi giro verso Debora che si trova nei miei paraggi e la osservo che mi squadra in maniera coinvolta, ottimista e radiosa:

 

“Fantastico signor Leandro, eccellente messa a punto, bravissimo” – mi ribadisce lei toccandomi intenzionalmente un braccio.

 

Io mi sento soddisfatto, ho adempiuto nel migliore di modi risolvendo quel cruccio e quella preoccupazione che l’attanagliava, le ho restituito un modesto favore, la lavatrice funziona bene, e adesso credo debba andarmene in quanto non ho altro da fare. Appena mi drizzo per raccogliere gli strumenti, Debora è là di fronte a me in piedi che mi squadra in modo provocante, con un’occhiata indagatrice e sondante che aveva in soggiorno, lei m’esamina, m’analizza esplorandomi l’anima intensamente, è determinata, non si deconcentra e non ha indecisioni. Io  non reggo più, la mia bocca è vicino alla sua, infine la incontro, la sfioro con le labbra, malgrado ciò non mi distacco, le bacio le guance, lei mi lascia fare, non si ritrae, tutt’altro, accoglie ben volentieri la lusinga, io viceversa devo soddisfare la mia impetuosa e indomabile eccitazione, tento di placarla sfiorandola con le labbra dovunque, sul collo, sulle guance, sulla bocca, inseguo il suo desiderio, quando sono certo della disposizione le bacio le labbra con forza, cerco la sua lingua con la mia, la rincorro dentro la bocca semiaperta, e la trovo inibita, scarsamente determinata nel farsi assaporare, perché è solamente quando avverto le braccia attorniarmi il collo che percepisco la sua distinta trasformazione. Al momento mi sta aspirando la lingua, le mie labbra, m’addenta, mi pigia, dopo si scosta, perché stringendomi con passione mi enuncia con intensa pienezza e con gradimento:

 

“Ti voglio Leandro, ti desidero tanto. Io ti amo, non posso farci nulla”.

 

Non c’è altro d’aggiungere. Il silenzio è il padrone incontrastato dei gesti, è il maestro lampante delle parole non dichiarate, giammai sussurrate, l’inquietudine che danneggia svigorendo i sensi, il sangue che irriducibile e insubordinato strangola le arterie, e quel cuore come un cannone che batte in modo perfetto il ritmo: è incantevole, radicato e sgargiante, veemente, vigoroso, la smisurata partecipazione d’amore, dello slancio e della voluttà. Sì, non c’è dubbio alcuno, per questo, uomini abbienti e benestanti, dotti, saggi e luminari, scrittori e idealisti, umanisti e grandi sapienti, hanno annientato fortune colossali demolendole, hanno vergato espressioni inconcepibili e mirabolanti, hanno riempito pagine inesauribili e immortali per questo grandissimo sentimento, che tutti possiamo provare con modi diversi per intensità diverse, ma è invero il cibo di vita più a buon mercato che possa alimentare, nutrire e sfamare le nostre anime.

 

La testa è inclinata dal lato opposto al mio, la bocca che mi sta chiamando dentro le mie labbra, la mia spasimante si lascia distendere, perché s’abbandona volentieri sul canapè, intanto che le sue gambe si dilatano per permettere l’attorciglio con le mie. Bramerei avere la vitalità del rimatore più esperto, per poter descrivere le sensazioni e rappresentare le emozioni, ma in verità non c’è molto tempo, la passione ha invero i suoi tempi, le sue ciclicità, perché bisogna prenderne atto. Debora è coricata sotto di me, mi squadra in maniera luminosa, fiduciosa e persino eccitata, è disponibile, senza riserve, io mi chino su di lei, le bacio il collo mentre le accarezzo le gambe. La mia mano s’inerpica verso le cosce, la mia bocca è incollata ai suoi seni, le apro la camicetta, lei m’aiuta con i bottoni, la sfilo dalla gonna sollevata fin quasi alla vita, mentre mi scosto le osservo le gambe, i fianchi, i seni, ancora poco protetti dal reggipetto, la mia mano le accarezza l’inguine cercando un accesso verso la sua deliziosa e pelosissima fica come una donna d’altri tempi, larga e spessa che mi fa sragionare, peraltro ben tenuta e curata come piace a me, da dare i numeri. Debora si solleva quasi di scatto per liberarsi degl’indumenti, durante il tempo in cui mi schiaccia sopra il canapè.

 

Io la lascio fare, lei è in piedi vicino a me, si libera della gonna, adesso con il reggipetto e le mutande poco trasparenti. Debora desidera farsi squadrare, farsi ambire, in quanto si propone per lo spettacolo mettendo in moto tutta la sua passione, della quale può esser capace una donna quasi sessantenne. Debora si libera con lentezza del reggipetto, delle mutande, ma non si mostra definitivamente, si copre con le mani, sorride, io la osservo sorridendole e manifestandole che è davvero incantevole e leggiadra. Lei si china su di me, io cerco di toccarla, ma deve spogliarmi e così mi toglie le mani davanti. Dopo mi slaccia la cintura, m’apre la chiusura lampo sollevandomi in ultimo la maglietta.

 

Io sono indaffarato nello svestirmi mentre la sento già decisa sul mio cazzo, lo ha trovato già pronto e umettato, compatto così come i suoi capezzoli, con il glande che implora un grembo accogliente, ma avverto prima la sua bocca, la sua lingua, il leggero succhiare, io cedo al gran piacere e mi distendo lasciandola fare. Debora si prodiga in modo splendido con la mano ritmando leggermente, mentre la bocca e la lingua mi stanno succhiando e leccando, assaporando senza trascurare nulla. Io paziento ancora, mentre cerco d’accarezzarle i seni, la testa, il collo, le spalle e sento che devo fare la mia parte, Debora non si ferma, mi sente gemere di piacere e la sua eccitazione è forte e possente, d’altra parte come la mia. Io l’affronto distogliendola dal mio cazzo, cerco d’attirarla su di me, mi sollevo per facilitare l’opera, mentre la sto baciando sul collo, sulla bocca, con voracità, la succhio e la stringo, mentre lei si lascia assaporare aggiungendo:

 

“Vieni Leandro, corichiamoci sull’arazzo, ti prego” – m’invita lei, mentre s’abbandona sulla soffice trama visibilmente euforica e ben predisposta.

 

La mia mano adesso la fruga, la sua fica è molto intrisa di secrezioni, il clitoride prospiciente protesta richiedendo soddisfazione, la sento dura con i polpastrelli, le piccole labbra la proteggono poco fra le cuciture del solco. Lascio il posto alle labbra, mentre le mani le accarezzano le gambe, le apro le cosce per succhiarla meglio, Debora si solleva per facilitarmi l’accesso, adesso la sua pelosissima e deliziosa fica è là davanti a me, s’offre, m’accoglie, vuole l’amplesso completo. Io le succhio il clitoride, lecco le carnosità della piccola fessura, sento il suo intimo fluido che m’inebria, me ne cibo ancora, i gemiti sono grida, mi lega la testa con le cosce, mi stringe con le braccia, affonda le unghie sulle spalle e sul collo implorandomi in modo fervido e lussurioso:

 

“Sì, ecco così, agguantami, dammelo tutto, mettilo dentro, scopami Leandro, voglio godere, voglio sentire l’orgasmo che mi squassa, non resisto più”.

 

Difficile e irriconoscente non esaudire, ingrato non concedere, vorrei prolungare quell’invocazione, farla indugiare perché la trepidazione e la fame del godimento le amplierebbe l’orgasmo, sarebbe quello il mio intimo e confidenziale riposto benessere, il mio personale orgasmo. In amore però, i tempi non si decidono prima, non ci sono dettami né regole o programmi, metodi o sistemi: il piacere deve essere adeguato e attinente al momento. Io mi distendo sopra di lei, cerco la posizione, i sessi non hanno bisogno di presentazioni, si trovano facilmente, impregnati, pronti e accoglienti, lei è più esuberante e spumeggiante di me. M’incuneo amabilmente, mi ritraggo un poco, cerco il corretto appoggio delle mani, delle gambe, l’accollo del mio con il suo pube, per il ritmo prorompente che ne segue. Cerco il suo tempo, di lato, a fondo, mi ritraggo, poi più deciso, più forte lo stimolo, il dolce su e giù ha trovato la regola, adesso le bocche si cercano, le lingue s’assaporano senza riguardi, la frenesia incede, i muscoli si tendono, il vigore delle spinte è fortissimo, il crescendo dell’accelerazione è cadenzato dall’apprensione dei gemiti e dall’affanno dei movimenti:

 

“Ti prego Leandro, non fermarti, non smettere, ancora, spingi, continua, sei bravissimo, sbattimi, sì, che meraviglia”.

 

“No, gioia mia, sta’ rilassata. Gustati il tuo piacere, io ti regalerò quello che chiedi, te lo darò tutto, fidati” – le manifesto io entusiasmato e acceso, mentre Debora aizzata e accalorata più che mai si blocca un secondo appena, freme, e gemendo di gusto strepita il suo poderoso, libidinoso e travolgente orgasmo dimenandosi, è davvero incantevole, è bellissima.

 

Io l’incoraggio e l’esaudisco, perché mentre la sto guardando, pure io subito dopo non resisto più e sborro dentro di lei la mia intima e candida corposa essenza, riferendole che è una donna favolosa, incredibile e tenerissima come poche. Dopo rimango ancora dentro di lei, non è facile l’estrazione, Debora mi sta fasciando ancora, con meno forza, ma senza il suo benestare non riesco a liberarmi, lei è una donna focosa e passionale, me ne accorgo da come mi stringe, intanto che in maniera eloquente ed espressiva mi manifesta:

 

“Caro Leandro, è stato meraviglioso, sono senza parole, è stato molto energico e trascinante, davvero possente. Sono svigorita, tuttavia mi sento assai appagata, rimani da me ancora un poco, desidero apprendere il tuo rilassamento”.

 

Questi vocaboli buttati là di getto in un baleno, con i sensi in tregua e le palpitazioni che stanno diminuendo d’intensità, mi scardinano la mente e mi sconquassano le viscere, mentre le espongo:

 

“Debora, sono senza parole, sei una donna molto prodiga e splendida, sei una donna magnanima e liberale, veramente prorompente e stuzzicante. E’ stato meraviglioso, sono estenuato, ma molto soddisfatto”.

 

In seguito mi tiro indietro sdraiandomi accanto a lei, con la mano lungo il fianco che cerca senza fretta la sua. Attualmente commentano e giudicano unicamente i nostri corpi, perché non c’è bisogno di parole, il ringraziamento e l’omaggio sono reciproci. Regalarsi piacere in amore è il normale avvicendamento delle emozioni provate prima, la naturale alternanza, per quanto impetuose le emozioni, le tentazioni, i desideri, i peccati, altrettanto demolente l’amplesso, il compenso dei sensi per il piacere della quiete successiva, che vorremmo non finisse mai. Successivamente m’abbandono a un leggero torpore, senza pensieri, ancora sospeso tra la concretezza e l’immaginazione, m’accascio sul canapè m’appisolo all’istante.

 

Debora è accomodata sul canapè con gli occhi sbarrati che scruta il vuoto, un leggero sorriso sta bramando di non scordare quel piacevole piacere appena vissuto, ma è solamente una piccola tortura che le nostre fantasie ci procurano quando siamo rilassati, senza pensieri e molto tranquilli.

 

“Senti Leandro, io non ho problemi, posso accoglierti senza problemi, se vuoi restare il posto c’è, pensaci”.

 

“Ti ringrazio tanto Debora per il tuo cortese proposito, però devo rientrare. Ho la mia quotidianità e i miei impegni, devo osservare le mie mansioni”.

 

Detto questo però non mi spiccio, mi rivesto a rilento, senza proferire nulla, non voglio apparire un tagliaborse di passione, un ladro d’amore, perché desidero ripresentarmi vivamente da questa calorosa, deliziosa e amabile creatura, anzi, le domando se verrà lei da me, perché avrei intenzione pure io di mostrarle qualcosa della città di Raffaello Sanzio, di Luciano Laurana, di Francesco Puccinotti, di Donato Bramante, di Timoteo Viti, di Federico Barocci e di altri grandi di cui sono figlio. In seguito Debora m’accompagna alla porta, nel piazzale mi ringrazia in modo affettuoso e sentito per la provvidenziale riparazione della lavatrice, mentre con una condotta espansiva, risoluta e aperta mi proclama:

 

“L’amore invece lo rivoglio ancora, il più presto possibile. Ti adoro tantissimo Leandro, mi sto affezionando, non posso farci nulla. Non dimenticarmi. Proviamo a dare un seguito a questa giornata, seriamente”.

 

“Cara Debora, l’identico effetto c’è l’ho pure io nei tuoi confronti, contaci. Il medesimo attaccamento lo provo pure io per te, ci rivedremo ancora, stanne certa. Ci risentiremo per telefono. Di nuovo, adesso ti saluto”.

 

Io gli dò l’ultimo bacio e m’allontano verso il piazzale degli autobus, con le strade adesso quasi deserte, sono le sei del mattino, gli operatori ecologici cominciano i servizi, i bar si stanno organizzando per un’altra giornata di turisti, i lampioni riflettono i loro bagliori sul Palazzo Ducale e sugli altri palazzi del centro storico, l’alba è quasi prossima, io cerco di sbrigarmi, i pensieri ritornano alla creatura dolcissima che ho appena lasciato, osservo un cane al guinzaglio d’una ragazza che la strattona, perché ha intravisto un gatto nascosto sotto un’autovettura  in sosta.

 

Discendo in fretta lungo il corso principale e sono subito dentro la mia autovettura, adesso m’adagio per un attimo e m’osservo nello specchietto retrovisore, sono visibilmente stanco, avrei sonno, tuttavia decifro in faccia la globale pienezza e l’integrale soddisfazione per quell’avventura vissuta: era forse una peripezia? Una plausibile storia? Un’intimità da non perdere?

 

Debora cara, al presente fai parte dei miei intimi e reconditi pensieri, mentre esco dall’autorimessa il giorno sta nascendo, uno straordinario giorno, ricco di speranze e costellato d’avvincenti novità.

 

{Idraulico anno 1999} 

 

 

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