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Racconti Erotici

L’avvocatessa e il presidente – Vecchi racconti di ErosItalia

By 3 Giugno 2022No Comments

Mi chiamo Sandra, sono un avvocato e non ho ancora superato i 30. In tribunale ho conosciuto il giudice P. e sua moglie, una coppia un po’ avanti con l’età, intorno ai 50 anni. Un giorno la moglie mi ha invitato a passare una giornata a casa loro. Da voci di corridoio ero venuta a conoscenza della loro frenetica attività sessuale e così, incuriosita di vedere ciò che poteva succedere, ho accettato. La casa era rinascimentale, imponente e discreta. Per accedervi si doveva passare in un vicolo privato. Tutte le luci della grande casa erano spente. Avevo suonato al cancello che si era aperto e richiuso automaticamente. Attraversato un roseto, dopo qualche gradino, avevo suonato alla porta di bronzo. Dopo qualche istante, era venuta ad aprirmi Gina P., era vestita di cuoio nero, gli slip avevano una chiusura lampo di argento, i seni erano compressi in un bustino con le coppe tagliate per lasciar uscire i capezzoli. Le unghie e le labbra erano laccate di rosso vivo. Sembrava piuttosto una dominatrice di un bordello ed era molto più attraente del mattino in ufficio, in tailleur e camicetta. “Entra Sandra. Qui non sono più vostro onore ma la Padrona, è chiaro?” Il grande ingresso del pianterreno era pieno di statue di drappeggi e di quadri, non c’erano lampade accese, mi sentivo inquieta ma anche eccitata. Gina aveva spinto una porta semi nascosta e io l’avevo seguita giù per una stretta scala di pietra. Scendemmo in un seminterrato e il fresco si fece sentire. Eravamo sbucate in una vera sala di tortura. Dal soffitto pendevano delle corde, degli anelli e delle fruste. Ai muri erano fissate delle croci con bracciali chiodati di cuoio. Gina aveva fatto sibilare un nerbo di bue: non ero per niente tranquilla. Avevo urlato vedendo un uomo nudo messo in croce. Dal suo lungo corpo magro coperto di peli grigi, avevo riconosciuto il presidente P. Indossava un cappuccio di cuoio con delle aperture per gli occhi e per la bocca. La base del sesso eretto era stretto da un alto elastico che gli circondava anche i coglioni. Gli organi tumefatti violacei erano molto grossi. Il glande gonfio di sangue sembrava sul punto di esplodere. L’apertura del meato si spalancava come una piccola bocca e il prepuzio era livido sotto la pressione. Dei segni di frusta gli zebravano il petto e le cosce. E così i P., terrore del tribunale e pure di una certa età, nell’intimità si comportano come dei pazzi perversi. Gina mi aveva sfiorata con la punta della frusta: “Spogliati. Levati tutto, sbrigati!” Mi ero tolta gli abiti sotto gli occhi del presidente. Palpandomi i seni e le chiappe, Gina spiava le sue reazioni. Dato che non si muoveva, mi aveva fatto dondolare il culo e il petto dandomi dei colpi col nerbo di bue. “Ti piace, eh? È ben fatta. Speravi di fartela uno di questi giorni nel tuo ufficio…? Anche questa senza dar troppo nell’occhio!” Il presidente, con le braccia e le gambe stirate dolorosamente, aveva borbottato una frase incompressibile. Il suo uccello mi affascinava, la rigidità e il colore lo facevano sembrare scolpito in un marmo violaceo. Avevo una gran voglia di toccarlo, mi ripetevo incredula: “È il presidente P. in persona e mi offre l’uccello!”
Quando Gina mi aveva passato una mano sul sesso le avevo bagnato le dita. “Fai bene a essere eccitata, Sandra” “Sì, padrona” “Vai a fare un pompino a mio marito. Ti aspetta con impazienza. Sotto tortura, mi ha confessato che ti aveva notata, in tribunale.” Gli occhi del presidente brillavano, terrificanti nelle loro orbite di cuoio. Ansimava quando mi misi in ginocchio davanti a lui. Avevo respirato il suo sudore. La traspirazione gli rendeva appiccicosi i peli delle ascelle e del sesso. Dal meato socchiuso affiorava dello sperma chiaro. Al primo contatto, l’uccello aveva sussultato andando a colpire il ventre con un suono sordo prima di tornare in verticale. Avevo aspirato il glande, deliziata. Mi riempiva quasi tutta la bocca ed era caldo come una pietra al sole. Facevo tutto il possibile per ingoiare completamente l’uccello, ma era troppo lungo. Il glande mi urtava la gola e ci versava delle gocce salate. Sotto le mie dita i coglioni erano diventati duri come uova di gesso. Gemeva sotto le mie succhiate e i miei sfioramenti. Avevo dimenticata Gina. Godevo sentendo in mio potere quell’uomo onnipotente. Avevo cacciato un urlo quando lei mi aveva dato un colpo col nerbo di bue sul culo. Gli occhietti neri mi minacciavano. “Non mi va che si faccia godere mio marito voltandomi la schiena. Altrimenti avresti dovuto succhiarglielo anche tu a quattro zampe sotto la sua scrivania, per avere un avanzamento.” Mi aveva fatta alzare mettendomi la frusta inarcata sotto il mento. Mi aveva sfiorato i seni coi suoi quando mi aveva fatto alzare le braccia per fissarmi dei bracciali di metallo ai polsi. Non si radeva sotto le ascelle e i riccioli neri luccicavano di sudore. Mi chiedevo con ansia che punizione mi stava preparando mentre mi bloccava le caviglie. L’avevo scoperto in fretta, poi aveva tirato una corda e mi ero trovata sollevata. Dondolavo a un metro dal suolo, con le braccia e le gambe tirate, come un’amaca fra due pali. “Mi fa male, padrona” “Chiudi il becco, stronza! Odio le sporcaccione che girano intorno a mio marito e che mi lasciano da parte.” Mi aveva frustato i seni, il culo e il sesso. I colpi non erano molto violenti, sembrava che volesse scaldarmi le parti sensibili piuttosto che farmi male. Non ero mai stata punita in quel modo e mi aveva invasa una nuova eccitazione. Sentivo una tensione nei nervi che solo un orgasmo completo avrebbe potuto placare. Supplicavo Gina di farmi godere, ma non mi dava retta. Rossa e tutta sudata nel completo di cuoio che la strizzava, continuava a darmi colpi sulle zone sensibili. “Tutte uguali, queste giovani avvocatesse. Sempre lì a cacciare le tette sotto il naso di mio marito, a dimenare il culo e a bagnarsi nelle mutandine per eccitarlo.” Inginocchiandosi fra le mie cosce, Gina mi aveva osservato la fessura spalancata. Parlava con voce sorda, come fra sé e sé: “Ah, come mi piacciono le fiche di tutte queste bimbe. Sono fresche, succose, si aprono, si bagnano e vogliono farsi sempre riempire.” Parlava in fretta, in preda a un’intensa eccitazione. La sua bocca si muoveva sulla mia fica. Sentivo il suo fiato tiepido sulle carni, tra i peli. Sottolineava il contorno delle labbra, delle ninfe e del clitoride con la punta della frusta. Affondandomi la lingua nella fessura mi aveva aspirato le secrezioni con un rumore di suzione. Mi faceva male dappertutto ma il dolore mi esasperava la voglia di godere. Soprattutto perché il presidente, con la testa china, mi fissava il sesso. Gina l’aveva apostrofato: “Ti lustri la vista, eh? sporcaccione dei miei stivali! Ti piace la sua fica?” Mi aveva infilato il nerbo di bue nella vagina e l’aveva fatto girare. Con gli occhi vicinissimi alla fessura, osservava le mie reazioni intime. “Si contrae, si dilata, si bagna e aspira! Si danno tante arie con la loro toga, ma appena hanno qualcosa nella fica, si contorcono come vermi!” Mi aveva sbattuto la vagina a tutta velocità, producendo degli sciacquii. Infilzandomi, mi pizzicava il clitoride, i capezzoli e l’ano. Mi aveva portato sull’orlo dell’orgasmo. Stavo per venire da un momento all’altro e la incitavo con voce rauca: “Oh, Gina, padrona, continui, sì, ancora!” Lasciandomi il nervo di bue infilato in vagina, si era allontanata dirigendosi verso un tavolino e si era versata una vodka in un bicchiere. Mi guardava da lontano con ironia, bevendo a sorsetti. Era spaventoso, il mio ventre era una sola contrazione dolorosa. Dondolavo in aria senza potermi toccare il sesso, né stringere le cosce per scatenare l’orgasmo. L’avevo supplicata, singhiozzando: “Padrona la prego, non mi lasci così, devo godere! Presto, non ne posso più!” “Qui gli ordini li do io, piccola!” Ci aveva indicati, me e suo marito, legati e gementi, con gli occhi fissi uno sul sesso dell’altro. “La piccola sporcacciona e il vecchio caprone! Avete voglia di fare delle cose davanti a me. Sono io che vi eccito, tutte le vostre parti intime gonfie, lì……” In preda a una bizzarra eccitazione andava dalla mia vulva all’uccello di suo marito, titillandoli, masturbandoli, sfiorandoli con la frusta, raccogliendo le secrezioni, mescolandole fra le dita, annusandole. “Delle troie e dei porci, ecco cosa si trova dappertutto. Mi eccita!” Piazzata tra me e il presidente gli aveva strizzato il glande e tendendo il braccio mi aveva infilato le dita nella vagina. “Lo senti passare il fluido, Sandra?” “Non so, mi fa male il ventre, sono tutta gonfia.” “Adesso piscerai per il presidente; lui le adora le piscione. Le fa salire sulla sua scrivania per berle.” Mi aveva incollato il bicchiere vuoto sulla fessura. “Dai Sandra, da bere per il presidente” “Non posso, sono troppo contratta” Mi aveva frustato in mezzo alle cosce. “Dai, è un ordine!” Siccome facevo no con la testa, mi aveva affondato in gomito nella pancia, facendolo andare su e giù. “È tutto pieno lì dentro. Riempi ‘sto bicchiere” Mi era sfuggito un grido di dolore. Una vampata di bruciore mi percorreva il basso ventre e il sesso. La piscia era uscita a brevi getti e sentivo il bicchiere che si riempiva rapidamente. Una volta pieno, Gina l’aveva tolto e avevo finito di svuotarmi per terra. Ritta sulla punta dei piedi, aveva passato il bicchiere schiumante sotto il naso del presidente. “Hai sete, Attilio?” Lui aveva aperto la bocca e lei aveva versato. Il presidente aveva deglutito a sorsi, poi si era strozzato, tossendo e risputando tutto. Dato che si rifiutava di bere di nuovo, gli aveva buttato il resto in faccia, sulla maschera di cuoio. La mia piscia gli era colata sui peli del petto. “Scendi di lì, vecchio pagliaccio, ti innaffio di nuovo. Sono piena anch’io.” Dopo aver slegato i lacci che gli trattenevano i polsi e le caviglie, Gina l’aveva aiutato a fare qualche passo. Mentre si sfregava i muscoli indolenziti, lei lo aveva fatto sdraiare per terra sulla schiena, scavalcandolo, aprendosi la chiusura lampo degli slip ed esibendo il sesso. Compresse dal cuoio, le carni intime si erano gonfiate e avevano assunto una tinta violacea. Le secrezioni le avevano appiccicate e lei le aveva separate con due dita. Il clitoride irritato dardeggiava. L’aveva inumidito con la saliva per calmare il bruciore. Mi aspettavo che pisciasse in bocca a suo marito, invece, accovacciandosi sulla sua pancia, gli aveva innaffiato l’uccello. La violenza del getto faceva tremare la colonna. “Adesso puoi incularla, quella puttanella!” Manipolando le mie corde, mi aveva immobilizzato a quattro zampe per terra, col culo ben aperto. Il presidente si era immediatamente incollato a me, ansimava e dava colpi di reni. Gina gli aveva dato una frustata sul culo, ma questo non gli aveva impedito di continuare. Non era più in sé, Gina l’aveva colpito di nuovo. “Non aver fretta, sembri un cane su questa ragazzina” Dopo avergli spalmato l’uccello di vaselina gli aveva appoggiato il glande sul mio ano che teneva aperto con due dita. Quando era penetrata la punta arrotondata, mi aveva fatto molto male. Era come se mi avessero infilato un ciottolo con un bastone. Avevo gridato, ma le mie grida eccitavano il presidente che sembrava sempre più febbrile. Mi soffiava dei rantoli rauchi nelle orecchie e mi sfregava la maschera di cuoio fradicia di piscio sulla guancia. “Ah, questa cagna ne ha voglia, questa troia!” La sua eccitazione era così intensa che aveva finito per comunicarmela. Il mio ano si era allargato emanando delle secrezioni e con grande vergogna avevo sentito degli sciacquii nel culo. L’uccello si infilava fino alla radice e i peli mi punzecchiavano in mezzo alle chiappe. All’idea di svuotarmi l’intestino e di insozzargli l’uccello, la mia eccitazione era aumentata ancora di più. Grondavo sudore, tutto il corpo mi tremava a ogni schiocco delle sue cosce secche sulla mie. I seni mi ballavano e Gina mi pizzicava i capezzoli facendoli girare. Mi stiracchiava anche il clitoride. Provavo dei turbini di emozione inaudite, la vista mi si annebbiava e gemevo come una bestia. Guidato da Gina, il presidente andava e veniva con sempre maggiore violenza nel mio culo. Lei lo incitava con voce isterica: “Più forte! Inculala più forte! Chiede solo quello, sta sbavando” Al culmine dell’eccitazione li avevo insultati: “Dai porcona, masturbami più forte! E tu, bastardo, inculami a fondo! Ce la fai ancora, alla tua età? Sfondami se ci riesci, stronzo.” A queste parole avevo sentito l’uccello inarcarsi nel culo, percorso da spasmi violenti, ma stranamente non avevo sentito gli schizzi di sperma. Mi aveva morsicato il collo grugnendo, con l’uccello affondato in me fino ai coglioni. Mi aveva infilato le dita nella fica aprendole come se volesse lacerarmi. Avevo avuto un orgasmo così violento che mi era sembrato di svenire. Ero stupita che il presidente non fosse venuto; Gina mi aveva liberata e mi aveva fatta rotolare per terra. Si era sdraiata sulla schiena spalancando le cosce e si era tirata addosso il marito mezzo stordito. Appena la verga era scomparsa nella vagina aveva fatto saltare con un gesto preciso l’elastico che gli stringeva i coglioni. La mia eccitazione mi aveva fatto dimenticare la presenza di quel dispositivo. In quell’istante avevano lanciato tutti e due un grido che era risuonato sotto le volte. Svuotandosi dello sperma il presidente era percorso dalla testa ai piedi da scosse elettriche. Con le mani sulle ginocchia, spalancata, Gina riceveva il geyser in fondo alla vagina. Il godimento trasformava il suo volto, addolcendole i lineamenti e facendola sembrare più giovane. Eravamo rimasti a lungo prostrati, poi il presidente si era trascinato fuori dalla stanza. Gina tutta zucchero e miele, si era sbarazzata della sua tenuta da dominatrice e mi aveva offerto un bicchiere di vodka. Mentre lo sorseggiavo, lei si era attaccata alla bottiglia. Lo sperma di suo marito le colava sulle cosce. Mi aveva fatto capire con uno sguardo che voleva che la leccassi. L’avevo fatto, risalendo fino al sesso e lei aveva goduto incollandomi la bocca sulle mie mucose irritate a sangue. Prendendomi per mano mi aveva portata in camera sua. Abbiamo passato una buona parte della notte sul suo letto a baldacchino a bere vodka e a lesbicarci. All’alba mi fece riaccompagnare a casa nella mia macchina da un autista in livrea. Nel mio letto piombai in un sonno profondo.

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