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Racconti Erotici

L’ISOLA DELLE NOVERCHE

By 27 Dicembre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

L’Isola delle Noverche era poco più che uno scoglio, in mezzo al Mare del Nord.
I marinai la conoscevano appena: ne avevano sentito parlare nelle leggende che si raccontavano nelle taverne del porto, tra un bicchiere di rhum e una partita a carte.
I rimorchiatori e le navi più grandi passavano molto al largo di quella specie di isolotto, come se i comandanti avessero temuto di incorrere in chissà quale cupo sortilegio, avvicinandosi troppo ad esso.
Ad ogni modo, quel solitario luogo, dimenticato in mezzo ai flutti, spiccava per la presenza di un collegio diroccato, dove nell’Ottocento portavano le giovani promesse spose, affinché trascorressero le vane estati lontano dalle tentazioni del mondo e potessero rimanere fedeli ai loro futuri mariti. Le sorvegliavano delle vecchie dai capelli canuti, crespi, tagliati male e sovente scarmigliati sul volto; le anziane erano quasi sempre vestite di nero, ignoravano le buone maniere e si mostravano alquanto scorbutiche nei confronti delle graziose collegiali, della cui venustà erano segretamente invidiose.
Le giovani passavano le estati miti tenendosi per mano, facendo delle brevi passeggiate all’aria aperta, vicino alle rocce o lungo la piccola spiaggia, dove crescevano le betulle e i faggi, le cui fronde ospitavano i passeri e gli storni
che da secoli abitavano l’isolotto.
Nel collegio c’erano pure delle maestre, che insegnavano il latino e le buone maniere. Di tanto in tanto, nella rada deserta si fermava qualche battello, giunto soltanto per portare il vitto e la posta: era quello l’unico legame tra gli abitanti di quel luogo e il resto del mondo conosciuto.
Non c’erano uomini sull’isola. Vi si incontravano soltanto donne, dai volti giovanili e dolci, o dai lineamenti arcigni e cupi, segnati dall’inesorabile passare degli anni.
Isabelle era una delle collegiali e, al pari delle sue compagne, l’avevano promessa sposa: si sarebbe dovuta maritare il 2 settembre dell’anno successivo. I suoi parenti non volevano che conoscesse le gioie furtive del mondo e incontrasse sguardi virili che non fossero quelli del suo promesso sposo. Per questo, avevano deciso di farle passare tutto il tempo che la separava dalle nozze tra quel luogo solitario e la casa natia.
– Isabelle, un futuro tranquillo di sposa ti attende ‘ le dicevano le vicine. ‘ Le gioie del matrimonio ti aspettano! Oh, quanti baci, quanti accoppiamenti al lume di candela, quante coccole, quante noie ti attendono! Chissà come sarai felice nel giorno più bello della tua vita!
Isabelle era scozzese. Durante quel soggiorno sull’Isola delle Noverche, i paesaggi selvaggi della Scozia passavano vaghi dinanzi agli occhi suoi: erano visioni del passato, che confinavano col pianto e le facevano presagire il futuro, nel quale volavano le upupe silvestri e le tortore ripetevano il loro canto roco.
– Io non voglio sposarmi ‘ mormorava un giorno Isabelle al vento, mentre agitava forte il suo cappellino di paglia, per salutare un’amica lontana. ‘ Nessuno riuscirà mai a farmi sposare chi non amo!
Una volta, una delle vecchie osò picchiarla e mancarle di rispetto. Tutto questo accadde soltanto perché lei era bella, tanto, tanto bella.
Ricordo che ella si dava alle gioie clandestine dell’autoerotismo sotto le fronde leggere delle betulle, nelle prime ore del meriggio, allorché nessuno poteva vederla.
Dovete sapere che nell’Isola delle Noverche la vita era triste e veniva scandita soltanto dalle voci delle vecchie e dal suono cupo della campana arrugginita, racchiusa nel campanile magico, che stava in cima alla collina.
Poi, improvvisamente, Isabelle svanì. Dicevano che fosse fuggita con un pescatore dalla barba bianca, giunto nell’isolotto in cerca di un approdo.
E vennero le nubi dell’autunno, ad avvolgere le ultime scintille dell’estate che svaniva, insieme al volto della fuggitiva che aveva osato amare.

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