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Racconti Erotici

L’OCCASO DI UNA LUCERNA

By 17 Marzo 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

CAPITOLO PRIMO

E’ silenzio.

I gabbiani bianchi si alzano in volo, rapiti dal vento, dal gelido vento d’inverno.

La città bianca si &egrave addormentata per sempre, carezzata dalla schiuma del mare. Come quel giorno, in cui brillava di perla.

Tutti i fiori sono morti.

Ed ecco, quel tristissimo incanto di fuoco bacia le torri, cupe cupe, i tetti, le fredde betulle, fantasmi, oh, sì, fantasmi, nel vento.

Ah, folate d’azzurro! Bianche, come le sue magiche spiagge d’argento, spazzate soltanto dalla bufera.

E mi ricordo di un volto, quel volto’ Lo riscopro, sopra il suo mare ricoperto di ghiacci, tra le nuvole candide, i lunghi capelli infuocati che brillano, nel sole di stella.

Visioni!

Una lacrima di cielo scende dalle pupille tristi, si tuffa nella schiuma d’avorio, scompare.

Quel giorno, lei e suo padre erano insieme, nel grande bosco di betulle e passeggiavano verso le rocce.

Ma la bella aveva le lacrime agli occhi, pensando alla morte, e alle mille infelicità che le riservava la vita’ Presagi!

Sì, perché il giorno prima, quel fantasma nero nero, che tutti conosciamo, l’aveva inseguita urlando, urlando, la falce in mano’

Il vecchio giudice suo padre la abbracciò, e carezzandole i bei boccoli scarlatti, le diceva con voce bambina:

– Un giorno, quando io non ci sarò più, sarai tu a portare la mia toga’

Erano soli sugli scogli, folate di tormenta li toccarono, in quell’istante che valeva tutta la vita.

– Oh, papà, no, io non voglio che tu muoia! ‘ disse la bambina.

E venne un’onda, fredda, tanto, tanto fredda, dal mare, la schiuma bianca li avvolse, li avvolse, li avvolse’

Povera Elke!

La sua infanzia fu triste.

Tutti erano crudeli versi di lei, soltanto suo padre le voleva bene, e pochi altri. Era sempre sola, a guardare il mondo con quei suoi grandi occhi turchini, che scintillavano come i ghiacci, nella luce fredda del Nord.

Tutti le raccontavano le fiabe. Belle o brutte che fossero, lei le ascoltava sempre’

Ma fu la Strega del Mare a narrarle quella più triste, un giorno!

L’infelice era sola sulla spiaggia, spazzata dal vento freddo. Fino ad allora, non aveva conosciuto la vera tristezza!

Ricordo quel gelido istante’ Oh!

La Strega aveva appoggiato le sue mani sulle spalle della fanciulla e la accarezzava con i suoi artigli, parlandole di morte!

– Ah, Elke! Nessuno ti ha mai raccontato la verità, eh? Davvero secondo te la vita &egrave piena di gioia? Non sai che esiste la malattia, l’agonia, la morte? E gli uomini sono nati per soffrire e per morire, per nient’altro!

E le mostrò la vita, la sua vita’ La partenza, le lacrime, il destino! Un treno, che partiva, il suo corpo, roso dalla malattia, un letto bianco, la morte, orrore!

Orrore!

Il corpo dei mortali, nelle tombe, i cimiteri, le sofferenze per sopravvivere, arrivava il vento, dissolveva ogni cosa, nella povere, tutto questo, in un lampo.

– Ricordati’ Io sono tanto buona, ih ih! Tanto, che ti ho permesso di vedere il futuro prima che accada’ Io sono l’unica che non dice le bugie!

Questa voce io rammento, e quell’immagine stregata: la perfida che abbracciava la fanciulla, sull’estremità del molo, mentre le parole sue svanivano nei muggiti del mare tempestoso.

E quell’ombra nera si dileguò nella luce spettrale di un giorno d’inverno’

Fu allora che l’infelice pianse!

Fatalità!

– Oh, ma allora, nessuno, no, nessuno &egrave felice, a questo mondo!

Questo sussurrava la fanciulla.

Ella ormai cominciava a conoscere tutte le cose della terra’ Una per una, le sapeva chiamare per nome.

E io mi ricordo anche la prima volta che aveva parlato col vento, oh, sì, col vento’ Gigante buono, dalle mani fredde!

Si erano incontrati sulla spiaggia, bianca di neve’

Lei aveva chiuso gli occhi.

E fu come se il buon vecchio le appoggiasse le mani sulle spalle, carezzandole i lunghi capelli di porpora, mentre le sussurrava dolci fiabe negli orecchi.

– Oh, chi sei tu? ‘ gli chiese la fanciulla.

Ed egli le rispose’

– Io sono il vento, amico dei boschi e del silenzio’

E le disse anche di non aprire gli occhi, di non cercare di guardarlo, perché altrimenti il sogno sarebbe svanito.

Elke sentì di nuovo quel vecchio sibilo di fuoco, lo sentì forte, mentre accarezzava le betulle, le distese d’immenso, il mare.

– Oh, sì! Forse, solo tu mi sei amico! – gli disse.

Le aveva sempre fatto malinconia la vecchia segheria, fin dal primo giorno che l’aveva vista.

Grigia grigia, le mura un po’ sconnesse, sembrava una casa del pianto!

E lei, sì, aveva pianto, guardandola!

Le erano giunte le grida volgari degli operai, che aveva osservato attraverso i vetri rotti.

Lavoravano il legno. Oh, quanta fatica! E poi’

E poi, l’infelice assistette a una disgrazia’ Rammento i suoi occhi, che bruciavano di lacrime! E in quelle fiamme di tristezza, il volto di un uomo, travolto da una delle macchine, un urlo, il sangue!

Tutto questo svaniva così, in quelle pupille azzurre, come nel sogno di un mare dalla schiuma di ghiaccio!

– No, non voglio tornare mai più in questo luogo! ‘ gridò l’innocente, nascondendosi il volto tra le mani.

E le avevano raccontato che c’era un posto, non tanto lontano, dove nascevano gli unicorni. Lì, si potevano guardare e toccare, sì’

I suoi occhi sognarono quel luogo di fate, prima ancora che ci andasse.

Oh, io non lo so se fu sogno oppure realtà, ma dal mare freddo ella vide venire verso di sé un unicorno, bianco, oh, così bianco’

La luce era gelida e triste, in quell’istante, in cui Elke, come in una fiaba, cavalcò il destriero fatato.

– Oh, qual &egrave il tuo nome? ‘ gli chiese lei.

E la voce sua si perdette, come in una sfera di cristallo, la stessa che forse racchiudeva quell’immagine.

La criniera bianca dell’unicorno ondeggiava al vento, così come i bei capelli lunghi di lei.

Fu come fuggire, nell’immenso. Ricordo le palpebre ancora socchiuse della bambina, dalle quali sfuggì una triste lacrima!

E ne vennero tante, da quel giorno, tante, fredde, fatte soltanto per solcare quelle guance di candore!

– Tutti sono perfidi e crudeli’ Nessuno ci vuole bene, a questo mondo! E la gioia &egrave solo un sogno!

Queste le sue parole’ Io me la ricordo, era salita sulle rocce, sotto, nell’abisso mortale, muggiva il mare in burrasca’

– Elke’ Vieni, vieni da me! Sono la Strega del Mare, l’unica che ti vuole bene! La senti la mia voce? Sono venuta a prenderti, così resterai con me e non piangerai più! Ih ih ih ih! Vieni… Ancora un altro passo, poi, volerai giù, giù, giù!

La fanciulla piangeva’ Oh, quant’era tetra la voce perfida che le parlava, soffocata dai muggiti dei flutti!

– Vieni, vieni da me!

Ricordo quell’istante come se fosse un lampo’

Cielo, l’infelice precipitava dalle rocce, giù, nel baratro! E sentivo la Strega, sghignazzare!

La bella era caduta come un angelo, forse, per non riaprire mai più i suoi occhi!

Ma il Cielo non volle che li chiudesse, per sognare per sempre, no, non volle! E fu così che li riaprì.

Ricordo che nella mente sua non passavano che pensieri tristi, vaganti, freddi, come le nevi tristi dell’eterno inverno.

Rivedo quei suoi lunghi capelli, volare al vento, alle sue spalle, la gelida, gelida spiaggia delle fate.

E odo la voce sua, che gridava tristezze!

– Oh, no, no, no! Dio non esiste! Dio non esiste’ E fantasmi di morte abitano questo mondo!

Il suo volto pallido’ Le fredde sabbie, che volavano nella tormenta’ Il sole che brillava come una stella dei ghiacci, nel gelo dei suoi occhi!

– Nessuno ci ama, a questo mondo’

Il mare spumeggiante, le torri della città, imbiancate di nevi, le betulle, ove sibilava la tormenta, i cieli, dipinti di fuoco, e il suo volto, quel volto!

– Dio non esiste’

Questo ricordo’ Parole di morte, nella bufera.

E la bufera venne, grande e forte, come tutti gli anni. Abbracciava i cieli dalle nuvole d’oro, per tingerli di perla’

I vecchi del paese la aspettavano da tempo. Dicevano, sghignazzando, che arrivavano i fantasmi, i diavoli, a portare via i fanciulli.

E già la prima neve era venuta. Aveva tinto di candore le guglie della grande cattedrale gotica, i tetti delle case, le strade tristi’

Oh, sì!

La fanciulla, ignara di tante leggende, passeggiava sola soletta per le strade della città, tutta frettolosa, perché aveva visto le nuvole nere, che arrivavano, correndo nel cielo cupo.

Fu allora che incontrò il fantasma!

Aveva un volto brutto brutto, con un naso enorme e le cicatrici su entrambe le guance, la bocca irta di denti, per divorarla, dei lunghi artigli, per graffiare, era tutto vestito di nero, il perfido, e voleva avvolgerla in quel suo manto color carbone, per portarla via con sé.

– Buh!

Era lo scherzo di un vecchio, che, togliendosi la maschera innanzi alla bambina, si mise a sghignazzare. Ma ella pianse, pianse!

Pianse, e fu come se la neve che cadde fosse fatta delle sue lacrime, e se il vento fosse lo stesso che devastava il suo cuore straziato.

CAPITOLO SECONDO

Quegli occhi brillarono ancora, ma di gelido inverno’

In essi, brillò la tristezza delle usanze, in onore degli d&egravei del Nord’

C’erano tanti uomini, lungo la spiaggia, ghiacciata e bianca, spazzata dal vento.

Portavano le ghirlande, i rami d’acero e di betulla, la legna delle foreste, i capelli delle fanciulle, in ricordo degli antichi culti.

Erano uomini dalle lunghe barbe bionde, vestiti di nero.

Poi, arrivava un’onda spumeggiante dal mare, li avvolgeva’ Tutto questo, nella visione di un istante, che scintillava nei suoi occhi di smeraldo!

Occhi di ghiaccio, che brillavano forse per il pianto!

Ricordo che tremava tutta sola, sugli scogli, le sue pupille racchiudevano l’immenso.

Tutto era grigio, quel giorno.

– Ma tu piangi’

Chi, chi mai aveva potuto sussurrare quelle parole? Io lo so. Oh, sì, sì, era vero, in quegli occhi di perla era incastonato un segreto di lacrime!

– Ma tu piangi’

Una mano amica le carezzava i lunghi capelli, che avevano i riflessi del cielo.

Elke abbassò dolcemente e appassionatamente le palpebre, mentre qualcuno la sfiorava con l’ultimo fiore rubato ai ghiacci.

– Ma tu piangi’

Uno stormo di albatri, che si levavano in volo, bianchi, come le nevi sotto un sole di stella’ La sabbia di perla, sollevata dal vento’ Un sussurro di fate, strappato all’inverno.

Questo, questo ricordo, e quel volto!

E niente più.

Le dee del mare avevano custodito un nome sino a quel giorno, prima di permettere alle onde incantate di regalarlo alla memoria degli umani, con le loro voci bianche.

Da quella data, i due amici non si separarono più fino alla fine.

– Qual &egrave il tuo nome? ‘ gli chiese una volta Elke.

Ma egli non le rispose, perché non portava altro nome che Tristezza. Oh, sì, voi non sapete che il povero fanciullo camminava appoggiato ad una stampella di legno!

– Allora, ti chiamerò Mare, perché tutto ciò che brilla in te, mi parla di lui.

Così disse la giovane ingenua.

Rammento che un giorno entrambi erano molto spaventati, perché avevano visto il fantasma, quello che tutti temevano.

Stavano abbracciati l’uno all’altra, sulla sabbia fredda’

I gabbiani bianchi si levavano in volo, come in una nuvola triste e grande, avvolgendoli, così!

I lunghi capelli di porpora di lei parevano legarli insieme, o forse, incatenarli.

Tutto questo, in un istante’

Ma erano soltanto fanciulli, soltanto fanciulli.

E lui, il Mare, le raccontava le sue storie di balene bianche, di sirene dalle chiome d’oro, di grotte, in cui urlavano i giganti incatenati, di troll’

Le sussurrava negli orecchi.

Ed ella restava seduta talvolta sul suo scoglio bianco, tutta sola, a guardarlo di lontano, mentre il vento d’inverno le scarmigliava i bei capelli e faceva volare il suo lungo manto turchino.

Sembrava la figlia del sogno.

Forse, invece, era una fata, capace di avviluppare entrambi nei suoi incantesimi lunari.

– Arrivederci per sempre!

I due amici si salutavano così ogni giorno.

La neve bianca ricopriva spesso le spiagge fredde e i tetti delle case del villaggio, ma una giorno ne venne tanta, tanta, che’ oh!

E io li vidi, insieme’

Giocavano a tirarsi palle di neve, sulle rocce.

– Prendi!

– Adesso ti faccio vedere io! Pam! Pam!

Poi, Elke aggrediva allegramente il suo amichetto, e ruzzolavano, ruzzolavano, ruzzolavano.

– Cattiva!

Mi sembra di vederli, attraverso i vetri appannati di una di quelle vecchie case, mentre il fuoco brucia nella stufa e s’ode il vento che picchia agli usci.

Ma qualcun altro li vedeva, allora.

Sento di nuovo quella voce di tenebra, odo ancora una volta quel cupo sghignazzare! Cielo!

Una lunga chioma canuta’ Un volto rugoso rugoso’ Un vestito color carbone, un corpo scheletrico, appoggiato ad un bastone ricurvo!

Forse, era lei, la megera di cui già vi ho parlato. Ma io non posso ricordare quelle immagini senza che mi venga in mente una lunga ombra nera, di fantasma!

Elke e il suo amico nulla sapevano, nulla, se non lunghe trecce di porpora e occhi che serbavano i cieli dell’immenso.

E lui diceva di volerla vendere’ Uh!

Sì, voleva vendere quegli occhi di smeraldo, quel volto d’alabastro, ingenuo e felice!

Oh, quanto, quanto potevano valere quelle guance rosse, quei capelli di fuoco, quelle mani di bambola? Quante monete d’oro, quanti scherzi, quanti sogni?

Quanto?

– Avanti, signori, al migliore offerente’ Chi offre di più? Chi mai?

Ella lo guardava ridendo, divertita e triste a un tempo’

– Lei? Come dice? Aggiudicato!

Doveva veramente valere molti soldi. Ma quanto l’avrebbero pagata?

Io lo so’ Ma certamente, non avrebbero usato una moneta comune: soltanto stelle bianche del cielo, azzurro di mare, fiori sbocciati in mezzo ai ghiacci e meraviglie d’inverno.

Un giorno, ella si finse una fata, figlia del cielo, i lunghi capelli di stella. Fata disperata, fata triste, perché Tristezza aveva dipinto il suo bel volto di mesto candore.

Sì, era diventata una meravigliosa incantatrice, ma soltanto per salvare il suo amico dalla malattia e dalla morte!

Ricordo che gli occhi suoi scintillavano forte in quel momento, dinanzi al mare burrascoso e freddo’

Teneva in mano la sua bacchetta magica, fatta di legno di betulla, mentre il suo amico quasi piangeva.

Desiderava compiere un incantesimo, sì!

– E d’ora in avanti, non avrà più bisogno della sua stampella di legno, per camminare!

Queste le parole magiche, dette con una voce che fremeva quanto il mare spumeggiante!

Parole di stella’

Ricordo che la triste fata lo toccò con la sua bacchetta magica’ Poi, più nulla.

E correvano insieme, correvano insieme verso il destino, rapiti dal vento, nella bufera’

Entrambi erano spaventati a morte, perché avevano visto il Fantasma Bianco, il Fantasma Bianco’

Eppure, ridevano, oh, sì!

Ricordo che però c’era un’ombra nera, un’ombra nera, dietro di loro, e li inseguiva veramente.

Qualcuno sghignazzava e la sua immagine lugubre lugubre si rifletteva sul gelo delle nevi’

Una voce ripeteva i loro nomi, li ripeteva sempre, mentre fuggivano, fuggivano, per gioco, forse, o per presentimento.

Era il vento’

O forse, un’anima, che li chiamava alla morte.

E quegli occhi di cielo, pieni di stelle, si riempivano sovente di pianto.

– Se muori tu muoio anch’io, non ci separeremo mai! Mai! Mai! Te lo giuro’

Così gli aveva detto Elke, in un impeto di tristezza.

Ella non sapeva che in realtà, il suo, era un presentimento.

Ricordo che una volta andarono insieme in un luogo pericoloso; lei aveva fatto un brutto sogno, quella notte, e non voleva venire.

– Torniamo indietro’ Torniamo indietro, finché siamo in tempo!

Il mare muggiva forte sotto di loro, si vedevano spruzzi di schiuma bianca, che a tratti li raggiungevano, li toccavano, gelidi, come le mani del destino.

Faceva tanto, tanto freddo’

– Stringi forte la mia mano! Stringila forte!

Così gli diceva Elke, perché lui non poteva camminare bene. Tutto inutile!

S’udì come una voce nera, sghignazzare, ridere, ripetendo i loro nomi’ Il fragore della bufera quasi la soffocava, rendendola ancora più cupa.

Ho tanta paura che fosse lei, la Strega del Nord, che Elke aveva incontrato un giorno, sì!

Cielo!

Il fanciullo inciampò. Non ebbe scampo, no, non ebbe scampo!

E quegli occhi disperati lo videro precipitare giù, sì, precipitare giù, come un angelo, troppo sfortunato per saper volare.

Mentre lo vedeva affondare senza speranza, nell’acqua, Elke credette di sentire di nuovo la sua voce, che la chiamava, dicendole, gridandole di aiutarlo.

Ma un’altra, più nera, la soffocò!

Ricordo soltanto quegli occhi, quegli occhi, pieni di ghiaccio, e quel suo grido, terribile, bianco, disperato.

Povera sconsolata!

Il tuo amico &egrave morto’ E’ morto, per sempre.

CAPITOLO TERZO

Le grandi torri nere della cattedrale gotica brillarono in quegli occhi, così come vi arse il fuoco dei gelidi tramonti, il correre delle stagioni, dei mesi, degli anni!

Vi arsero mari tempestosi, grida d’addio, pianto!

Quante, quante volte la bella dovette salutare per sempre persone amate, che se ne andarono, per non ritornare mai più!

Quante volte le tornò in mente quella frase, del caro padre, che, avvolto nel suo vestito blu, dai bottoni dorati, le diceva:

– Quando io non ci sarò più, sarai tu a portare la mia toga’

E il destino vinse, forte e triste, come la schiuma bianca del mare’ Vinse, sì!

Vinse, vinse, vinse! Rammento quei grandi occhi di donna, in cui volavano i gabbiani, e brillava il deserto grigio, fatto di sabbia fredda e rovi’ Rammento quella voce, che gridava:

– Oh, forse, davvero, davvero non vale la pena di esistere!

Tutto questo, travolto dalle brume fantasma, che salivano dal mare e tutto, tutto avvolgevano nel gelo.

– Vedo i cavalli bianchi della felicità, passare veloci davanti ai miei occhi’ Oh, ma non si fermano, no, non si fermano per me, per prendermi in groppa!

Parole di tristezza!

C’erano dei suoni di pianoforte, invisibili e malinconici, che si spandevano da una della case della città.

Uno sconosciuto suonava, e le sue note volavano nell’aria, rapite dai venti dei ghiacci.

Gli ippocastani bigi vivevano di quelle musiche sperdute.

E c’era anche un veterinario triste, che aveva i capelli bianchi e durante tutta la sua vita non aveva visto altro che disgrazie.

Curava i cavalli’

E c’era anche lei, Elke, diventata ormai un giudice giusto e misericordioso, che non credeva ad altro che ai suoi occhi! Quante immagini! Quante immagini, una dopo l’altra, si susseguivano davanti a lei, così’

Aveva incontrato il veterinario ed erano amici tristi’

E lui le raccontava di tristezze!

Una notte l’avevano chiamato, sì, una notte di bufera’ C’era un animale morente, alla fattoria.

E l’avevano fatto entrare nella stalla, ma non c’era più niente da fare. Un cavallo sbraitava e sbraitava’ Cielo!

E le raccontò degli urli, dei nitriti disperati di quella povera bestia.

Sì, perché l’avevano colpito con una forca, accidentalmente, e il sangue ricopriva la paglia fresca.

Tutte le cure erano inutili. La ferita era profonda e infetta’ Alla fine, avevano dovuto ucciderlo, affinché smettesse di soffrire!

Mi sembra ancora di sentire l’eco di quel colpo di fucile. Che suono sordo, disperato! Che scoppio!

Elke quasi pianse, quando lui glielo raccontò, perché tutto questo le suggeriva pensieri lugubri’

– Oh, davvero tutti gli animali e le piante della terra sono nati e vivono per soffrire!

Questo sussurrò, nascondendosi il bel volto dietro un fazzoletto, ornato di trina bianca.

Un giorno avevano portato davanti ai suoi occhi un orfano, sconsolato, e quasi in lacrime.

Non aveva fatto niente di male!

Tutti, però, in quel tribunale dove si applicava la legge violenta, lo guardarono con severità.

E la povera Elke sapeva quale doveva essere il suo compito triste’ E per questo quasi piangeva come quel poverino!

Alle sue spalle c’era un cartello grande, tutto dorato, che diceva che davanti alla legge tutti sono uguali.

Ma non era vero! No, non era così, purtroppo!

L’orfano aveva perduto sua madre e il feroce patrigno lo accusava di essere stato lui a farla morire.

– No, io non posso pronunciare una condanna ingiusta’

Questo diceva la giovane giudice, tra sé’ Ma ella sapeva, oh, sì, sapeva che avrebbero ucciso anche lei, se non l’avesse fatto.

Elke sognò di abbracciare l’innocente’ E con la sua lunga toga nera lo avvolgeva, lo proteggeva dalla ferocia degli uomini!

– No, non permetterò a nessuno di farti del male!

Così gli diceva, consolandolo con le sue carezze.

Illusioni!

La condanna venne presto pronunciata, da quelle labbra che avrebbero preferito morire piuttosto che fare questo.

Elke chiuse i suoi occhi’

Ma non vide che tristezze!

Perché le si presentava sempre davanti il volto dell’orfano, che piangeva, prima che lo giustiziassero!

E la chiamava, la chiamava, la chiamava, sempre, sempre, sempre!

Poi, si alzava un fucile, freddo freddo’

Un grido’

– No, non uccidetelo, cani! Non uccidetelo, uomini malvagi, figli del Male!

Poi, quello sparo. Un angelo incolpevole cadeva al suolo, senza vita.

La povera sconsolata diceva così, dentro di sé, ma inutilmente, inutilmente.

Per anni ebbe quell’immagine davanti agli occhi. Un fanciullo, addormentato profondamente, tanto profondamente, giaceva sulla neve, pallido pallido, un fiore azzurro tra le labbra.

Oh!

Un’altra volta, portarono al cospetto della giudice una vecchia crudele ed arcigna.

Aveva i capelli lunghi e grigi, era sdentata, sogghignava spesso e guardava la povera Elke con due occhi terribili.

Oh, sì, sì, sì!

Quella vecchia era colpevole, tutti sapevano che soleva uccidere i fanciulli, nelle notti di luna piena. Lo faceva per passatempo.

Perfida!

Pensate che aveva imparato persino ad ululare, come un lupo famelici.

Elke la incontrò da sola a sola, una volta, forse; fu un incubo.

– Se mi ucciderai, un giorno rivedrai i miei capelli bigi e le mie rughe, perché verrò a prenderti, per portarti via con me, ih ih ih!

Così le diceva la megera, grattandole la zucca con gli artigli.

Poi, la vecchia prendeva per i capelli la povera infelice, come se avesse voluto onorare la sua promessa in quello stesso istante!

La povera serva della legge desiderava tanto condannarla a morte, sì!

Ma non poteva farlo!

Rivedo quell’aula grigia grigia, con quel cartello tutto dorato, appeso al muro, che diceva ‘DAVANTI ALLA LEGGE SONO TUTTI UGUALI’, Elke, con la sua toga nera, in lacrime, davanti a lei, la vecchia, che sghignazzava, sghignazzava, i capelli dritti dritti’

Aveva vinto!

E rammento anche quel mare tempestoso e freddo, che brillava sempre negli occhi della protagonista della nostra storia.

La gelida schiuma, i muggiti, il silenzio’

E quel grido:

– Oh, no, davvero la giustizia non esiste a questo mondo!

Poi, più nulla.

Più nulla, nel gelido deserto del Male.

E riscopro così il colore di quegli occhi, quando, forse per la prima volta, scintillarono.

La schiuma bianca, i gabbiani, il vento d’inverno, che innalzava la sabbia, parlava di nevi’

Un abbraccio!

Elke si lasciava avvolgere dal lungo mantello di lui, mentre abbassava le palpebre e si abbandonava al sogno.

E non so, oh, davvero io non so se tutto questo fu visione oppure no.

Tanto accadde, in un istante.

E rammento la voce possente e giovane di un uomo, che con il sole che brillava nei suoi occhi, diceva:

– Ah, c’&egrave, ci deve essere qualche cosa per cui vivere!

Vennero gli albatri bianchi, venne il vento di bufera’ E tutto avvolsero, nel loro candore triste!

E me li ricordo, mentre passeggiavano insieme, tenendosi per mano, sulla spiaggia deserta e fredda, deserta e fredda’

Allora, il manto di una strega buona li avvolgeva nell’immenso.

Nient’altro.

Niente, più di questo.

E le pupille grandi di Elke scintillarono forte, tanto, tanto forte’ Scintillarono del suono delle sonate, che le veloci mani di lui scolpivano nel silenzio.

Scintillarono, al pensiero dell’addio, che doveva sorprenderli un giorno, quasi furtivamente.

Scintillarono, come i cavalli bianchi che correvano, correvano al galoppo lungo la spiaggia del Nord, le lunghe criniere al vento, tra i ghiacci e le nevi fredde.

Scintillarono per sempre!

Oh!

– Amore mio, non lasciarmi più’ – gli disse la bella, con voce piena d’affetto.

E nella mente sua si riaffacciava come un fantasma il ricordo del povero storpio, che un tempo l’aveva amata, e poi aveva perduto la sua vita davanti agli occhi di lei.

Tutto questo, mentre una voce cupa cupa pareva risvegliarsi dentro l’animo suo, minacciosa come l’ululato della bufera, perfida, come il gelo.

Era una voce terribile.

– Morirai!

Questo Elke udì, tra le lacrime. Questo la sorprese, mentre quasi stava per toccare la felicità. Ebbe la sensazione di precipitare in un abisso.

– Morirai! Ih ih ih!

E quel muggito si smarrì, poi, nel cupo e tremendo ululato di una tormenta, pronta a venire, e a tutto avvolgere, nei suoi manti di gelo.

Oh, che cosa, che cosa significavano quelle parole? Che ne sarebbe stato della povera piccola e del suo amore? Chi, chi mai l’avrebbe consolata, se non quella carezza amica sulla guancia, e quell’abbraccio, al quale era ormai avvezza, come all’acqua cristallina che dissetava le sue belle labbra?

Faceva freddo’ I tetti delle case erano bianchi’ Qualche finestra lontana era illuminata e brillava di luce vaga. Una fanciulla aveva acceso una candela, che ardeva come un’illusione, nella notte.

Due mani bianche accarezzavano un volto e lo stringevano forte.

Dei singhiozzi, soffocati e languidi, riempivano il silenzio.

E niente più.

CAPITOLO QUARTO

Ricordo di un castello grande, cupo cupo, costruito sulle rocce, a picco sul mare di ghiaccio.

E quando c’era burrasca, tutto, lì, faceva paura.

Elke abitava con lui, in quel luogo solitario, da quando s’erano giurati eterno affetto, sì. Perché ormai, nessuno dei due poteva vivere senza l’altra. E di tanto in tanto, quelle antiche mura tradivano delle note di pianoforte.

Adesso vi svelerò un piccolo segreto: il compagno della bella era un giovane studente del conservatorio di K’

Oh, come sapeva suonare bene! Che note meravigliose traeva dal suo strumento! Sembrava una musica di paradiso, che scendeva sulla terra dall’alto delle stelle, su di un sentiero dorato.

– Oh, sarò felice, ora? Lo sarò mai, a questo mondo?

Mi sembra di riascoltare la sua cara voce, smarrita nel fragore del mare’ Povera Elke!

No, non era sola.

Perché un giorno, mentre saliva il vecchio scalone di legno, sentì qualcosa di più lugubre di un semplice scricchiolio’

C’era burrasca e tutto faceva paura. Improvvisamente, si levò quella voce di strega, che disse:

– No, non mi sono dimenticata di te, ih ih ih! Ti ricordi di me? Sono io, la tua amica fedele! Non ti lascerò mai sola’

Elke pianse! Sì, perché aveva capito che avrebbe incontrato di nuovo quell’essere crudele, che abitava dentro di lei!

Fu come per caso, quel giorno’

La luce era triste e fredda, lì, sulla sabbia gelida, sospinta dal vento. Lei aveva chiuso gli occhi suoi, sperando che fosse il suo amato Johannes, ma’ oh!

– Sì, sono io! Ah! Ah!

Quegli occhi celesti si aprirono, ma fu soltanto per fissare quelli grigi di un fantasma, tutto nero!

– Mi hai riconosciuta, allora! Io sono l’unica che ti vuole bene’ Ti conosco dall’infanzia! Ih ih ih!

Una mano rugosa rugosa accarezzava quel volto di fata, era fredda, come la morte, fatale, come il castigo.

– Celebreremo con il sangue la nostra fratellanza! Sì, con il sangue! Ormai siamo come sorelle’

Rammento una nuvola bigia, un grido, quegli artigli, e poi’ Ah!

Quando Elke rialzò le sue lunghe ciglia, per lei fu come risvegliarsi da un incubo. Scoprì una cicatrice bianca sul suo volto’

Chi era stato? Chi mai?

E il suo amico, carezzandole le belle trecce, se ne accorse, se ne accorse’ Allora, cominciò a prometterle la morte di chi aveva osato tanto, perché qualcuno le aveva strappato il sorriso e la felicità &egrave di tutti, diceva.

– No’ Un fantasma mi ossessiona’ E la vita non &egrave che tristezza! Davvero, oh, davvero non vale la pena di soffrire un solo istante’

– Elke, ucciderò con le mie mani colei che osò toccarti!

Elke fuggì il suo abbraccio e, come richiamata da una voce misteriosa, scese le rocce dinanzi al castello.

– No! ‘ gridò Johannes.

Lui cerco di salvarla e la inseguì, a braccia aperte.

Troppo tardi, troppo tardi!

L’infelice inciampò, e fu allora, fu allora che la morte sfiorò di nuovo le sue membra.

– Elke! Afferra la mia mano! Afferrala, Dio!

– Non ti sento’ Non ti sento’ – sussurrava lei. ‘ Cosa dici? Non ti sento’

Fu salva per miracolo, ma ascoltò una promessa triste: qualcuno le aveva giurato di ritornare presto da lei.

Ed ella si incamminava tutta sola per le strade della città, sotto le grandi torri gotiche che pesavano come macigni sul suo cuore.

Le vie erano polverose e bianche.

Il vento freddo spazzava via con sé ogni cosa, polvere e morte’

Gli occhi della sconsolata si alzarono ad un tratto, e videro un fanciullo triste, magro e pallido.

Si reggeva su di uno sgabello di legno e teneva un violino tarlato fra le braccia, traendone dei suoni commoventi e toccanti, sì!

Non aveva né padre, né madre, né fratelli, e i suoi occhi pieni di gelo chiedevano soltanto uno sguardo.

Nessuno si curava di lui.

– Oh, davvero ogni gioia arde e muore a questo mondo! ‘ sussurrò la bella, avvolgendosi nel suo mantello. ‘ Povera anima errante, ti compiango!

Ella aveva fatto un sogno, davvero, sapete? Ma aveva sognato cose terribili, difficili da raccontare, che l’avevano quasi fatta piangere.

Si era trovata tutta sola, chiusa in una torre, in mezzo alla bufera, che entrava, sibilando, attraverso le fessure.

– Oh, dove sono? Dove sono mai?

C’erano tanti corvi intorno’ Erano neri come la pece e gracchiavano.

Gracchiavano, forte, forte, tanto, tanto forte, che’ Oh, quasi l’assordavano!

– Andate via! Andate via!

Queste parole ripeteva l’infelice, cercando di tapparsi le orecchie con le mani candide.

Ma loro non se ne andavano. Qualcuno l’aveva rinchiusa lì dentro per sempre e le parlava di morte con una voce che faceva tremare i muri.

– Elke’ Ih ih ih! Mi conosci?

Ella teneva chiusi i suoi occhi, ma era inutile!

L’aveva capito: quello era il suo futuro, il suo inenarrabile futuro, chiuso cabalisticamente dentro a quell’immagine bianca e minacciosa a un tempo.

– Vattene! Vattene! Lasciami in pace!

Si risvegliò agitando le mani, inconsapevole e triste.

Camminava tutta sola sul prato, ormai grigio, lungo il sentiero che portava verso il bosco di betulle.

C’era una bruma grigia grigia che avvolgeva le cose, tutto sembrava addormentato e maledetto.

I suoi occhi credettero di vedere dei fantasmi, mascherati da alberi, che si muovevano nel vento freddo.

Sì, erano fantasmi, avvolti nei loro mantelli bigi, e forse, la inseguivano.

No, no, no, niente di tutto questo, sembravano come impazziti. E lei li guardava’ Erano fatali.

Sembravano disperati, perché piangevano la morte della loro sorella più grande, quella che li aveva cresciuti e nutriti.

Sì, piangevano la morte di una strega.

– E’ morta’ La nostra cara amica &egrave morta, per sempre!

Illusioni’

Ma Elke credette ai suoi occhi e corse via, con il cuore spezzato; sì, fuggì, piena di paura, senza volarsi indietro.

La mano del destino la spingeva lontano, lontano, forse, dove lei non voleva andare. E aveva l’impressione che le facesse vedere tante cose malinconiche.

Stava davanti a una tomba, grigia grigia, e maledetta’ C’era un uomo vestito con una tonaca nera nera, un cero acceso in mano.

Il vento di gelo non riusciva a spegnere quella fiamma!

– Cielo! Oh, dove sono mai? Dove sono capitata?

Ella, in realtà, già sapeva.

Aveva le lacrime agli occhi’ Un mantello bigio la avvolgeva; alzò lo sguardo, intravide quello del suo Johannes.

Era al funerale della strega morta. Il vento e i boschi erano disperati per la sorte della loro amica e promettevano vendetta. Il mare ululava crudele.

Il suo amore la guardò negli occhi, o almeno così le parve. Cielo, le diede uno schiaffo!

– Sii felice! Sii felice! Sii felice per questo!

Parole di fuoco, che morirono nel vento, mentre una voce si alzava dal silenzio, un suono giungeva alle soglie del dolore e le varcava, sì, qualcuno rideva, sghignazzava.

Io non so, oh, non so davvero se Elke visse quei momenti nella realtà della sua vita.

Ma ricordo che la sconsolata giudicò, e la costrinsero a giudicare come se non vi fosse alcun Dio.

Mi sembra di vederla come in sogno, mentre correva via, avvolta nella sua toga nera nera, divorata dalle fiamme’ Sì, sì, sì, le fiamme crudeli, del rimorso.

Passeggiava insieme ai suoi amici, ai suoi compagni, dinanzi al tribunale cupo, dove tanto spesso si condannava a morte.

Tutti erano avvolti nei loro manti color carbone. Lei, però, piangeva.

Sì, perché sapeva che i compagni suoi erano diavoli! Ed era come se il vento, sollevando mucchi di polvere grigia, li avvolgesse in un sortilegio, mentre arrivava la bufera dalle mani bianche, per portarli tutti via con sé.

Elke fuggì, fuggì da quell’istante.

L’avevano costretta a fare del male, a fare tanto, tanto male, a una innocente.

La spalla del suo caro non poteva consolarla.

E lei gli parlò di follie!

Me li ricordo insieme, sulla scalinata, dinanzi al vecchio castello. Il mare era in tempesta’

– Il giorno in cui morirò, voglio che tu mi deponga sull’acqua gelida del mare, senz’altra coperta che il cielo turchino ed i suoi astri.

Così gli diceva.

– Sì, perché le mie mani non sono degne della terra e i miei indumenti hanno toccato la carne della Figlia del Male.

Le parole sue risuonavano cupe e terribili, come un’eco minacciosa.

– Cielo! Giurami di farlo! ‘ disse Elke.

Ma poi, vide che gli occhi di Johannes scintillavano di collera.

– Ti giuro sulle acque del freddo mare che non un solo sussurro donerò più a te, colei che uccise ogni gioia del suo animo! ‘ rispose lui.

La bella aveva infranto la loro promessa: non dire una sola parola che ricordasse la morte. Se ne ricordò soltanto in quell’istante!

Ormai, era troppo tardi. Fuggì.

Era come se udisse la voce degli alberi e delle torri’ La voce del mare e della sabbia fredda’ La voce della neve, che mai s’inteneriva in quelle terre!

– Ahahaha! Dove vai, tesoro? Oh, ti hanno fatto piangere’ Ih ih! Chi &egrave stato? Che cattivo! Uh, soffri? Ih ih ih!

La deridevano.

Lei, intanto, correva tra gli alberi spogli e freddi… Le sue pupille non vedevano che pianto. Tutto questo, nel silenzio gelido di un istante.

– Elke’

Una voce nera la chiamava, era la voce nota, di un tempo.

E fu come un presagio’ Fu come se le raccontasse del giorno della sua morte!

Vedeva davanti a sé una specie di spettro, vestito con un camice bianco, sì’ C’era anche una macchina grigia, che sembrava costruita dalla morte, tanto faceva paura.

Un uomo abbracciava una donna, in lacrime!

Si sentiva un rumore triste e qualcuno sghignazzava, felice di quell’evento. Oh, sì, qualcuno godeva di tanto dolore.

La sconsolata non aveva mai pensato tanto intensamente alla morte, prima d’allora. E fu soltanto allora che quel mostro le apparve, in tutta la sua disperazione.

– Hai visto? Hai visto come sono? Ih ih ih’

Così si sentiva dire.

E c’era lei, Elke, in quella macchina, oltre i vetri grigiastri, sì, in quell’inferno, fatto di strumenti meccanici e ferro.

C’era lei, sì.

I fiori della morte le sbocciavano intorno, uno ad uno, le parlavano, le sussurravano tristezze che non si sarebbero potute dire neppure all’uomo più crudele della terra.

Il vento freddo le scompigliava i bei capelli rossi, che però in quel momento sembravano quelli di una moribonda.

Era come se le mani fredde, vizze e grigie di una vecchia la toccassero, ma lei non si voltò, no, non lo fece, perché aveva paura.

– No, non può esistere alcun Dio’ Perché se davvero esistesse, non ci costringerebbe a soffrire, a morire’ E la violenza e la morte dominano tutti gli animali della terra! I crudeli uccidono i più indifesi, senza che nessuno intervenga per difenderli!

Le parole sue volavano come capinere nel vento di bufera.

Lacrime fredde uscivano dagli occhi suoi, per poi diventare ghiaccio.

Tutt’intorno era morte e inverno.

Fu un istante.

Si era adagiata al suolo e aveva chiuso i suoi occhi, come morta, sì, come morta’ Un tappeto, molle, preparato dalla natura, stava sotto il corpo suo. Un velo nero la ricopriva, lasciando scoperto il suo volto bianco.

Il suo volto bianco, soltanto!

Un rumore lontano le parlava, un rumore cupo, come quello di un carro, tirato da cavalli neri, che trasportava una vecchia, con molte bare lugubri.

Tutto questo era passato’ Ora, la sconsolata giaceva sola, sulla sabbia bianca, il mare di ghiaccio davanti a lei. Le sue palpebre erano socchiuse, forse, per sempre.

Una mano candida le accarezzava i capelli, che parevano quelli di una morta.

Un raggio di luce lontano squarciò il grigio deserto.

Impossibile guardarlo.

– Il dolore e la morte’ – sussurrava Elke. ‘ Il dolore e la morte, per sempre!

E cadde, addormentata e triste.

Gli avvoltoi volavano nel cielo, in cerchio, spargendo nell’etere tranquillo i loro versi secchi, tenebrosi. Un’ombra silenziosa si dileguava, nel vento.

Le betulle del Nord sussurravano, no, anzi, raccontavano fiabe lugubri.

Dall’uno all’altro capo della spiaggia, dall’uno all’altro capo della selva, s’udivano le voci dei cavalieri erranti, in sella ai destrieri invisibili del mistero, giunti per fare da scorta a colei il cui nome non poteva essere proferito.

CAPITOLO QUINTO

Era come se una cosa nera cavalcasse lungo le sabbie bianche e fredde’ Sì, come se cavalcasse, attraverso quelle spiagge battute dalla bufera, ricoperte di neve!

Era una fattucchiera, dai neri manti.

La seguivano i suoi aiutanti grigi, vestiti con lunghe tonache dai colori cupi; tenevano in mano ceri bianchi.

E la perfida parlava ai venti.

Civette lugubri volavano tutt’intorno, regalando all’immenso i loro versi, che parlavano di mistero.

Il mare muggiva, come se, all’improvviso, avesse voluto restituire i suoi morti.

E venne una nube, che tutto avvolse nel suo grigiore, venne una nube, che tutto rapì, tutto sconvolse, nelle sue nebbie.

Sì, nelle sue nebbie, fredde, gelide ed eterne!

Elke sognò questo’ E quando si risvegliò, fra le braccia del suo Johannes, non credette alle tristezze dei suoi occhi.

– Ma dunque’ Dimmi, dimmi, che fu tutto un incubo! Un sogno di pianto, che si dissolve come le nubi di bruma, tra i raggi bianchi del sole d’aurora’

Ma non era Johannes, no, colui che la stringeva in quell’istante, bensì il veterinario triste, di cui già vi ho parlato, venuto per parlare di malinconie.

Era così lugubre, nella sua giacca verde con bottoni dorati’ Elke si appoggiò a lui, che aveva le mani fredde.

Eppure, le sembrava di sentire la musica di pianoforte del suo Johannes’ Sì, le sembrava di sentire quelle note allegre e romantiche insieme, che l’avvolgevano, volandole intorno.

Forse, chiese ai cavalli bianchi di portarla via con sé, ma nessuno, no, nessuno la ascoltò.

Nessuno, no!

I fiori e le margherite di primavera le parlavano, le foglie delle betulle, le sue betulle, le sussurravano favole.

I fili d’erba la supplicavano di non calpestarli, di non farlo, no, perché non volevano essere uccisi.

I passerotti volavano di ramo in ramo, come prima della neve, o del Settembre.

Questo le sembrava di percepire con i suoi sensi incantati, sì’

E fu così che svenne, quasi improvvisamente, davanti al suo amico veterinario.

Il vecchio pianoforte giaceva addormentato nei suoi silenzi, semplici, ed eterni’ Aveva suonato per l’ultima volta. L’ultima volta, per sempre’

Aveva suonato per l’ultima volta. I muri avevano tremato, ascoltandolo. Oh, sì, sì, sì, era stato come se avessero pianto insieme a lui, gioito insieme a lui, di quella forza che animava le mani e la mente, e quelle dita, che correvano sui tasti bianchi e neri.

Ma ora, non più.

La vecchia era sopraggiunta improvvisamente, come di sorpresa. Non l’aveva chiamato. Con le sue mani fredde era venuta ad abbracciarlo, sul suo letto bianco.

Elke ritorno al castello e lo vide’ Gli occhi suoi seppero, senza che fosse necessario che qualcuno glielo dicesse!

Una luce bianca penetrava dalla finestra dai vetri appannati, era tragica e fredda.

Il suo amore era immobile e morto, indosso portava il suo ultimo abito’

Nessuno sapeva come fosse successo, no, nessuno, nessun mortale poteva rivelare quel mistero.

Tutto era accaduto così, improvvisamente, senza che l’istante desse tempo all’istante, senza che l’alba sussurrasse al tramonto.

Ricordo che la sconsolata ebbe un incubo, o forse, furono soltanto i miei pensieri a dipingere quell’attimo.

Stava tra le tombe, e una ad una, le incendiava’

Teneva una torcia accesa tra le mani sue, e le fiamme divoravano le lapidi, divoravano le bare, una ad una, una ad una, sì, così.

Voleva che le rendessero la felicità perduta.

Voleva che le ridessero le gioie fuggitive di un tempo, quelle che la morte le aveva rubato, per sempre!

E i capelli suoi sembravano essere diventati di fuoco, le mani sue erano fuoco, i suoi vestiti erano fuoco.

Tutto bruciava intorno a lei, e di tristezza!

Le fiamme ardevano nelle tenebre, come in un inferno.

E sembrava di udire la voce cupa della Strega del Mare, sì, la voce della perfida, che passeggiava lì intorno, a cavallo dei suoi destrieri color della notte, passava, feroce, come se avesse voluto portarla via con sé.

– Ah, piangi, amica mia? Piangi, poverina? Ih ih ih ih! Vedrai, vedrai, anche tu non durerai molto, la tua vita non sarà poi troppo lunga!

C’era un vecchio battello, che passava sul fiume, avvolto nelle nebbie; tre teste, tre volti si sporsero, rugosi, ornati di chiome canute’ Erano l’Incubo, la Vecchiaia, il Dolore.

La Strega del Mare parlò ancora alla sua vittima.

Oh, sì, le parlò davanti allo specchio dorato, decorato di stucchi, dov’erano scolpite figure armoniose ed astratte’

Sì, perché quel mattino, quando la bella vi si specchiò, non fu se stessa, che vide, bensì il volto della fattucchiera.

– Sì, sì! Sono io, tesoro!

– Vattene, maledetta’ Che tu possa restare per sempre prigioniera di questo specchio! ‘ disse Elke.

– Oh, no, no! Chissà! Forse, quella che tu ora mi auguri, sarà la tua sorte!

Ed era come se la perfida cercasse di afferrarla, per portarla con sé dentro lo specchio, per incatenarla per sempre a quell’immagine.

– Ascoltami, io ti sono amica’ Ti ricordi, quando, da bambina, ti svelavo i segreti della vita? Ti ho detto forse qualche bugia? No, cara, ti ricordi? E adesso ascolta bene quello che ti prometto’ Ih ih ih!

Ma la bella non la lasciò finire e ruppe lo specchio, che andò in frantumi.

Eppure, tutt’intorno ancora sbocciava la primavera, che di fiore in fiore spandeva i suoi olezzi.

Era come essere protagonista di un sogno, per la sconsolata.

Oh, sì, sì, sì, perché per un attimo, le nuvole grigie del cielo si erano dileguate, allentando la loro morsa di gelo.

La luce del sole penetrava il grigiore triste, illuminava tutte le cose e faceva sorridere la vita intorno a lei, Elke.

La vita’

E i suoi grandi occhi pieni dei colori del Nord scintillavano forte, tanto, tanto forte, come magicamente. Quanti tulipani! Quante gemme sbocciavano!

Le sembrava che Dio si fosse risvegliato in quell’istante, per guardarla!

Era uno di quei rari sprazzi di felicità che capitavano di rado nella vita. Le pareva che tutta la luce bianca del sole fosse per lei, creata per lei, soltanto.

Fu un istante.

Perché il cielo subito si richiuse e tutto precipitò di nuovo nell’ombra.

Le parole del vecchio giudice suo padre le risuonavano sempre nella mente, sempre, sempre, sempre’ Le sentiva all’alba, non appena apriva gli occhi, e al tramonto, quando socchiudeva le palpebre per essere rapita dal sonno.

Intorno a lei stavano degli uomini malvagi, che non amavano la vera giustizia.

La bella faceva sempre quell’incubo’

Stava nella sua grande aula di tribunale, era con i suoi perfidi colleghi, che le stavano attorno, vestiti di nero come corvi, con i capelli lunghi, canuti e grigi; parevano abbracciarla, ma dal loro abbraccio non sarebbe uscita viva.

Ridevano.

Sghignazzavano, sì, perché si divertivano a condannare gli innocenti, a far torturare chi non c’entrava nulla, e ad assolvere i bugiardi.

E quella vecchia scritta dorata luccicava forte, anche se nessuno la rispettava più’

‘VOR DER GESETZ SIND ALLE GLEICH’.

Alla fine, la divoravano, ringhiando come dei lupi, perché lei era l’unica, l’unica buona, fra tanti cattivi, l’unica, che ancora credesse nella giustizia.

Le era capitato di incontrare il vecchio padre in sogno’ Ma erano troppo, troppo lontani, per toccarsi, le loro mani bianche e le loro braccia si protendevano invano nell’immenso.

Erano così distanti, che’ Oh!

Fra loro c’era il mare, quel mare azzurro e freddo, pieno di ghiacci, che bagnava le spiagge innevate dove Elke era cresciuta e vissuta.

C’erano i sortilegi del destino, incarnatosi in una maga malvagia, dal volto di vecchia.

Lui stava su uno scoglio lontano.

Il mare era tempestoso, troppo, troppo forte e crudele, perché anche soltanto il pensiero umano potesse valicarlo.

– Papà!

Questo, il grido della nostra bella.

Ma il fragore lo soffocò. Ad un tratto, venne un’onda gigantesca, la schiuma bianca dei flutti coprì il volto del vecchio, fu come se lo travolgesse, sì, sì, fu come se lo travolgesse.

– Non piangere per me! Bambina mia, non piangere per me!

Parole tristi, gridate per l’immenso.

La nostra amata Elke aveva bisogno della carezza del suo Johannes, che però più non poteva consolarla. Il suo amore se n’era andato, sì!

E non si sarebbero mai più potuti abbracciare, sulla terra!

Oh, no, no, no! Il ricordo dei dolci baci diveniva improvvisamente fiele, a questo pensiero’

Una volta, lei e il suo amore avevano sperimentato le gioie della carne. Era accaduto come per caso. La cara giovane si era fatta trovare senza veli vicino ad una delle grandi statue che ornavano la loro dimora dorata.

Aveva posato per il suo uomo, soltanto per lui, per la gioia e il piacere dei suoi sguardi!

Era rimasta immobile non so per quanto tempo. Johannes le stava davanti, la contemplava. Poi aveva cominciato a solcarle la bella pelle con le mani, irsute, eleganti, dolci.

Erano le stesse con cui suonava tanto bene!

Lei sussurrava di piacere, sospirava, le belle labbra semiaperte, carnose e rosse.

– Johannes, Johannes’

Non si stancava mai, no, non si stancava mai di ripetere il suo nome. Apparteneva a colui che amava’ Era come se delle note di pianoforte, magiche, li circondassero, in quegli attimi di piacere ingenuo.

– Johannes, Johannes’

Elke era rimasta nuda a lungo, davanti a lui, con indosso soltanto le sue scarpette rosa, col tacco a spillo, e una giarrettiera d’egual colore, intorno ad una coscia. Oh, voi non sapete, no, non sapete quanto aveva gradito sentirsi sfiorare dolcemente i capezzoli grandi e rossi, da quel tocco che la faceva gioire!

Oh, sì, gioire, fremere di felicità e piacere!

Poi, avevano acceso il fuoco insieme.

Anche lui si era tolto i suoi veli. Si ricordava di come fossero rimasti in piedi, stretti, avvinghiati l’uno all’altra. Erano un corpo solo, un’anima sola, un fuoco solo, un amore solo.

– Johannes, resta con me per sempre! Non lasciarmi, no, non abbandonarmi’ Ti amo tanto, tanto!

Oh, Elke, Elke, ti ricordi?

I suoi baci e le sue carezze ti facevano morire. Eri sola col tuo tesoro, con la tua unica felicità. Il rumore della pioggia, o forse, della neve, vi giungeva da lontano. Sembrava un incantesimo.

Avevi cominciato a sospirare e a godere, insieme. La sensazione accarezzava la sensazione, il bacio sussurrava al bacio, la pelle sfiorava alla pelle, il sospiro parlava al sospiro, l’anelito, all’anelito.

Era piacere, fatto di capezzoli bagnati, di parole soffocate, da un brivido di carne toccata dalla carne, che ti correva lungo la schiena nuda.

– Sì, sei mia, soltanto mia! ‘ diceva Johannes. ‘ Il tuo corpo e la tua anima mi appartengono’ Come le tue braccia nude e bianche, che stringo e carezzo, in questo istante.

Mentre Elke rivedeva tutte queste cose, si accorgeva che una nuvola d’argento avvolgeva il bel volto del suo amato, che a poco a poco svaniva, così, fatalmente, senza che le loro mani potessero toccarsi.

– Johannes, Johannes!

La bella lo chiamò ancora una volta, inutilmente.

Non si sarebbero abbracciati mai più! Non avrebbero mai più ballato insieme! La terra fredda le aveva strappato colui che amava, per portarlo via con sé.

E gli occhi di lei, pensando questo, si riempirono di lacrime.

CAPITOLO SESTO

Ed era come se ogni notte, la vecchia Strega del Mare venisse a sussurrarle qualcosa negli orecchi’ A lei, che più non era una bambina.

– Dimmi, tesoro, lo sai dov’&egrave tuo padre, ora? Lo sai? Io ti dico sempre la verità, di questo puoi stare certa’ La vita te lo dimostra!

E le parlava di un gran carro, tirato da cavalli neri.

Un carro, che correva nel cuore della notte, condotto da un cocchiere con una livrea grigia.

Nessuno sapeva dove portasse, quel carro, no, nessuno lo sapeva! Passava per lugubri strade, dove la luna giocava a fare il fantasma con gli alberi spogli e i rovi’ Dove non s’udiva che il verso cupo della civetta!

– Dimmi, tesoro, lo sai, eh, lo sai dove porta quel carro? Lo sai che chi vi sale non può ritornare indietro, no, non ritorna più, perché nessuno può scampare a raccontarla!

Erano parole di dolore e di tristezza, eppure, era la verità, Elke lo sapeva.

– E i cavalli galoppano forte’ Chi vede quel carro sarà rapito a propria volta e portato lontano, non potrà più parlare a nessuno’ Nelle notti di tempesta il cocchiere bussa alla porta e conduce il prescelto via con sé!

Era il carro della morte.

***Mi risveglio un giorno di primavera, le tortore bianche mi volano intorno, nei raggi di un sole radioso***

***E mi spuntano le ali, ma fatte d’immenso, per volare l’aria di luna, piena degli olezzi della festa***

***Di un pianto di perla mi circondo, forse, per girare forte, attorno al mondo, sì, proprio tutt’intorno***

***Oh, per me, le campane non suoneranno di nuovo a morto***

La sconsolata ebbe questa sorta di visione, sogno dei suoi occhi, in un mondo che più non la abbracciava.

E correva, correva forte, giovane come era stata da fanciulla, insieme con il suo Johannes, che più non avrebbe rivisto.

Ad un tratto, apparivano le torri e le guglie della città, come avvolte da un mantello di fiori bianchi.

La mano sua stringeva quella di lui, ma, quasi all’improvviso, cominciò a non sentirla più, e quel volto amico scomparve, diventando polvere, polvere, polvere, dissolta dal vento freddo.

– Johannes! Dove sei? Dove sei andato? No! No! No’

E si scopriva, come moribonda, a chiamarlo, invano’ Invano!

– Tornerò un giorno a prenderti con me’ Ricordati di non pensarmi, perché, altrimenti, la mia voce non ti regalerebbe che promesse di morte!

‘Tornerò un giorno a prenderti’ sussurrava tra sé la bella, mentre gli occhi suoi fissavano il mare turchino, dalle magiche schiume bianche.

E fu in quel mentre, sì, in quel mentre, che io vidi brillare in quelle pupille la soluzione di tutti i problemi dell’esistenza.

Brillava, nei suoi occhi di smeraldo.

Ed era fatta delle onde di un mare freddo e immenso, della schiuma tempestosa dei flutti, che eternavano il loro sortilegio senza fine schiantandosi contro gli scogli, facendo sentire la loro voce, che raccontava i misteri della vita, in una lingua incomprensibile.

Era fatta di nevi bianche, che ricoprivano le sabbie.

Era fatta del sussurro malinconico della bufera, che parlava agli abissi gelidi.

‘Tornerò un giorno a prenderti’ sussurrava sempre la nostra bella.

Stava seduta su uno scoglio’ Fu allora che decise di regalare al mare una cosa sua, come un anticipo del suo corpo, che un giorno, forse, senza vita, avrebbe abbandonato alle sue onde fredde.

Sì, fu allora che gli regalò una ciocca dei suoi lunghi capelli scarlatti’ Sì, scarlatti’

Aveva fatto un sogno triste’ Una di quelle vecchie locomotive a vapore, nera nera, il fumo grigio che saliva nel cielo’

Nubi di corvi che volavano intorno, disegnando nell’aria come delle lacrime bianche, che coprivano la luce del sole’

C’era tanta nebbia grigia, c’erano le brume, che tutto avvolgevano nei loro manti di fantasma.

Il treno correva veloce, passavano le case, le città, dalle grandi torri, i boschi di faggi spogli.

Tutto era triste.

E lei, lei soltanto stava affacciata al finestrino, i lunghi capelli che volavano nel vento, nella velocità fredda, come in una visione, il silenzio la avvolgeva, tetro tetro.

I corvi le parlavano.

Raggruppati in grandi stormi, le raccontavano la vecchia favola, di un’anima rapita per un lungo viaggio, e mai più ritornata da quel paese lontano, chiamato il Paese dei Morti.

Una lacrima, un addio’

Poi, più nulla.

– Oh, morte, sei tu? ‘ sussurrava Elke.

Ma non era la vecchia mesta e crudele che si immaginava sempre. Aveva due occhi azzurri e immensi, due braccia grandi, per avvolgere nell’affetto.

Era vestita di turchino e di smeraldo.

– Oh, morte, quanto sei buona per me’ E forse, per tutti noi!

E le parlava, si parlavano, entrambe erano racchiuse nel sogno, così’

– Oh, fa’, fa’ che questo istante possa durare per sempre!

– Elke’ Io sarò qui, con te, ogni qualvolta lo vorrai, con le mie braccia io ti cingerò dolcemente, affettuosamente, per sempre’

Aveva sentito la voce di suo padre, che rideva, e le parlava di felicità, di eternità’ Le diceva di non piangere, di non piangere, di non piangere, no, no, no’

Cullata da quelle parole, Elke aveva chiuso gli occhi suoi, ma soltanto per riaprirli, dolcemente, tanto dolcemente, sulla spiaggia, innevata e bianca, innevata e bianca’

– Papà, sei tu, venuto per risvegliarmi da questo torpore soave? ‘ sussurrava Elke. ‘ Tenera &egrave la morte, per noi miseri mortali’

‘Oh, papà, se solo tu potessi essere davvero qui!’ sussurrava la bella.

E le sembrava che il mare triste sollevasse una delle sue onde azzurre, soltanto per avvolgerla nell’immenso e portarla via con sé, lontano, lontano, nell’infinito, dove forse la attendeva il vecchio giudice dalla barba bianca, che le spalancava le braccia e la chiamava.

– Vengo, vengo, vengo!

E gli occhi suoi scintillavano di luce triste. Aveva pianto. Il mare le si mostrava in tutta la sua vastità, bianco e freddo, come un mantello, pronto ad avvolgerla nei suoi veli d’affetto.

Le pareva che lui, oh, sì, lui, non si stancasse di chiamarla’

– Figlia mia, vieni da me, che io possa abbracciarti!

Ma le loro mani non potevano toccarsi’ L’immenso e le profondità li separavano sempre.

– Oh, papà, sapessi quanto &egrave dura la vita sulla terra! Nessun Dio può confortarci, nessuna parola d’affetto, nient’altro, se non il mare, il gelo, la neve e le bufere!

Corse, corse lungo la spiaggia, povera ragazza, i gabbiani le volavano intorno, come a festa, come dopo un sogno, spezzato per sempre, per sempre, per sempre.

– Ho fatto un testamento ‘ sussurrava Elke. ‘ L’ho regalato al vento, all’oceano tempestoso, al freddo, eterno, del mistero’ Oh, papà, vieni, accoglimi presso di te, fra le tue braccia!

Aveva abbandonato le sue membra immobili alle forze della natura. Poi, venne un’onda, tanto, tanto fredda, che la travolse’

Elke aveva poi riaperto i suoi occhi, forse, per l’ultima volta.

– Dopo ‘ mormorava ‘ non diverrò che uno degli infiniti granelli di sabbia che ingombrano le spiagge fredde’

Aveva sentito una voce lontana, cupa cupa e terribile. Era quella della strega, che moriva negli abissi dei mari glaciali.

Sì, fu allora che lei si voltò, e vide per la prima volta l’Uomo di Legno’ No, non ne aveva mai visti, prima di allora, e gli chiese che cosa fosse, perché non poteva, no, non poteva riconoscerlo.

– Uomo di Legno’ Dove sei? I miei occhi ancor cisposi di sogno non ti vedono’

Giocava con lei, che però ancora non si era accorta di avere dinanzi a sé un essere capace di piangere e soffrire.

– Oh, davvero tu sei triste? Che cosa, che cosa mai ti fecero gli uomini?

– Oh, no, non un uomo, ma una strega fu, a incatenarmi, per sempre!

Aveva appena nominato quel nome, ed era già come se un nero manto, color dei corvi, li avvolgesse entrambi, simile a un maleficio infausto.

– Sì, forse, tu mi sarai amico’ E non voglio perderti! ‘ sussurrò la bella.

– Noi due però non potremo mai vivere insieme: tu lo sai, io abito nel paese del sogno’

– E’ vero’ Ma anche tu non sai che io sono come morta al mondo!

Sì, morta, per tutto il mondo’

Rammento la povera infelice, abbracciata all’Uomo di Legno, e tutto questo accadeva, mentre una nuvola fredda li avvolgeva’. Sì, freddissima, ed eterna.

Scomparvero.

Elke gli aveva chiesto di portarla via con sé, lontano, dove la cattiveria degli uomini non poteva arrivare.

Quando i miei occhi socchiusi si riaprirono, videro un mostro crudele.

La Strega del Mare, o forse, il suo fantasma, vagava sulla terra. Tremavano la sabbia e il vento al suo passaggio.

Nuvole di polvere si levavano a destra e a manca, mentre la sua veste nera toccava il mare, e i suoi lunghi capelli grigi svolazzavano. La bufera aveva rapito il suo copricapo color carbone.

Parlava ai corvi’ Sì, uno ad uno, li faceva appollaiare sul suo braccio, per raccontare loro una storia maledetta. Era come se li incaricasse di portare a termine uno dei suoi malefici.

Elke e l’Uomo di Legno andarono lontano, forse, là dove nemmeno il pensiero poteva giungere.

Egli la condusse sulla sua isola triste, in mezzo al mare freddo’ Lì, non c’erano che rovi spogli, alberi morti, fiori appassiti e vizzi, racchiusi nel gelo.

L’Uomo di Legno abitava in una capanna, fatta di paglia; tutt’intorno, non v’era che il mare gelido, che moriva sugli scogli, e pareva volersi divorare quell’isolotto indifeso da un momento all’altro.

– Oh, davvero tu abiti qui? ‘ chiese Elke.

– Sì, ma non chiedermi il nome dell’autrice del sordido maleficio che mi imprigionò.

– Tutti e due abbiamo perduto chi ci stava accanto, per causa sua’

– Qui, non abitano che corvi e morte’ Solo il gelo, l’oscurità e il grigiore abbracciano la terra fredda, perché il sole non spunta mai da dietro le sue nubi’

Era un paese triste, triste, come un Averno.

Ed ella rimase con l’Uomo di Legno, perché era suo amico e le aveva giurato fedeltà eterna.

Sì, fu un giorno, un giorno, in un lampo freddo e terribile, sì, fu allora, che in un raggio di sole spettrale le apparve nuovamente il volto del vecchio padre, morto’

– Davvero, figlia mia, non c’&egrave niente per cui vivere’

Questo le sembrò di udire, mentre una lacrima le solcava il volto, pieno d’immenso.

Elke non sapeva dove fosse, ancora non l’aveva ben compreso’ Fu una voce stregata a rivelarglielo: era sull’Isola dei Morti.

Fu là, sì, sull’Isola dei Morti, che poté fermarsi a sognare il volto perduto del padre, e quello dell’amato Johannes’

L’Uomo di Legno, intanto, era scomparso.

E le parve di abbracciare un fantasma, quel giorno, su uno scoglio, quando prese a correre verso l’ombra di colui che aveva amato, ma prima di raggiungerla, tutto disparve davanti agli occhi suoi.

Venne un’onda, che rapì quell’immagine triste da davanti ai suoi sguardi!

– Amica mia, tu non sai, ma il volto dei morti non ha immagine’

Queste parole cabalistiche, piene di mistero, le furono sussurrate da una voce che assomigliava a quella del suo lui, ma molto lontanamente.

– Oh, dove sono? Dove sono capitata? ‘ mormorava la bella.

Tutti le giravano intorno, tutti. Erano i volti degli amati, degli odiati, della perfida Strega del Mare, fantasma della sua infanzia, le vecchie torri della città, il passato’

Alla fine, più nulla’ Un’onda gigantesca dell’oceano, il freddo oceano del Nord, venne e la travolse’ Elke galleggiava sulla schiuma bianca, tra fiordalisi tristi, come una perla, sull’acqua, gli occhi chiusi, le palpebre cucite da un filo d’argento, era fredda, come neve.

Si risvegliò di soprassalto. Tutto era triste, anche i tenui raggi di sole che, sfiorandole le guance morbide, le avevano reso la vista.

Si ritrovò sola, a parlare con l’ultima persona amica che le restava, dopo tanto tempo: il veterinario.

Le sembrava di passeggiare con lui sotto i tigli ormai spogli, mentre dei cavalli correvano, galoppavano, liberi, intorno a loro’ Nel vento si nascondevano le voci amiche, le voci dei morti, oh, sì!

Amico mio, non lasciarmi anche tu’ Questo sembravano sussurrare gli sguardi ingenui di Elke.

E lui, lui le parlava della morte degli uccelli, sì, che dopo un volo libero nel cielo, cadono e s’addormentano per sempre al suol!

Ella si aggrappò forte al suo braccio.

– Figlia mia, tu non sai’ Ma noi tutti, noi tutti siamo fantasmi, a questo mondo!

Non lo sentiva più. Cielo, lo stringeva, ma era come se il buon veterinario triste, dai capelli bianchi, svanisse, trasformandosi in cenere, al vento.

Era scomparso come un’anima bianca davanti ai suoi occhi. Pianse’

– Oh, davvero, davvero tutto &egrave niente a questo mondo!

Questo sussurrò la bella, guardando la mano fredda e invisibile della brezza, che rapiva le foglie morte.

Si ricordò improvvisamente di una fiaba, appartenente al passato, che però le parve di vivere in quell’attimo’

C’era una volta un fuoco ed una stufa tutta arrugginita, c’era anche lei, Elke, che amava tanto guardare le fiamme, quando bruciavano tanto forte.

Forse, quel vecchio gigante incandescente le era amico, si diceva sempre.

Oh, aveva una bocca talmente grande, che non gli sfuggiva proprio nulla, si divorava tutto, sì, lasciando solo cenere grigia.

Ma era un famelico infido’ Ah, Dio solo poteva prevedere i movimenti di quelle braccia ardenti, che rapivano ogni cosa e non la lasciavano più.

Che paura faceva il fuoco della stufa!

Eppure era il suo vecchio compagno, da sempre, da quando spirava la tramontana e la neve cadeva sulle zolle fredde della terra.

Forse, poteva parlare, oh, una volta, alla bella parve proprio di udire una strana voce, che proveniva dalla stufa’

– Vieni, piccola mia, vieni qui, ti voglio raccontare la mia storia, come sono nato’ Su, dammi la mano, avvicinati, ih ih ih!

Che accento cupo avevano quelle parole!

Oh, la nostra ingenua non sapeva che, in realtà, al suo infido amico sarebbe tanto piaciuto divorare anche lei, sì.

– No, non ho freddo, grazie, sto bene qui’ Dimmi, ti ascolto, non serve che mi avvicini.

– Oh, sei proprio sicura? Davvero? Uh, senti che mani fredde’ Tu tremi, hai i brividi, vieni, vieni, non aver paura, non ti mangio mica, ih ih ih!

– No’ Non voglio!

– Dammi la mano, giocheremo insieme! Oh, sì, tu me la darai, un giorno, e allora ci divertiremo tanto, davvero! Ma per adesso voglio che tu sappia che io sono un vecchio amico dei ceppi e degli infelici!

– Davvero?

– Sì, il buon Dio mi ha mandato sulla terra perché ne facessi fiamme, ahahaha!

Quella voce cupa faceva venire i brividi, come quella del vento gelido, che accarezzava Elke, rimasta lì, vicino alla finestra dal vetro infranto.

Eppure le avevano detto tutti quanti che il fuoco non poteva parlare, no, no, no!

Le avevano detto, più e più volte, che era tanto pericoloso stargli troppo vicino, anche se non poteva succedere quello che accade nei peggiori incubi.

Ma il fuoco sussurrava sempre alla povera giovane.

Oh, e le diceva di sentirsi molto solo e triste, chiuso dentro quella stufa nera, che gli faceva tanta malinconia!

Perché non veniva a liberarlo?

Se l’avesse fatto, l’avrebbe sicuramente abbracciata, ma voi ben potete immaginare quanto potesse costare una stretta data da quelle braccia senza compassione.

Ahim&egrave!

La nostra amica aveva pietà di quel suo amico tanto cupo e invido e gli dava da mangiare, sempre, sempre, sempre.

Oh, e una volta’ Una volta, non c’era più legna, il fuoco stava morendo, meglio così, meglio che il vecchio gigante si spegnesse, per una volta.

Ma la bella non volle, no’

Tanto gli voleva bene, che andò a prendere uno dei suoi migliori soldatini di legno, uno di quelli con cui giocava da piccola.

Oh, quel giocattolo era tanto bello, sapete? Era tutto colorato di rosso e di blu, con la divisa, la sciabola al fianco e il copricapo militare. Sembrava dicesse alla sua padroncina:

– Non gettarmi nel fuoco!

Ma l’ingenua non volle sentire ragioni, la sua amicizia era troppo forte, tanto, che non accettava di veder morire così il suo compagno di giochi.

E così gettò il suo soldatino alle fiamme, per nutrirle, sì, proprio così!

Fu allora che la raggiunse una vociaccia nera nera. Sembrava che qualcuno sghignazzasse. Era lui, vecchio marpione, che si risvegliava e prendeva vita.

– Grazie, piccola cara, grazie, ahahaha!

E il soldatino di legno moriva così, tra le fiamme, che lo divoravano, e a poco a poco lo trasformavano in cenere grigia.

La bella guardava, guardava, guardava’

E aveva le lacrime agli occhi, sapete? Perché mai visione più crudele l’aveva molestata prima, neppure nei suoi incubi!

Cielo!

Mi vengono tanti brividi, a raccontarlo, ve lo giuro, davvero.

– Grazie, amica mia, spero che mi nutrirai sempre così, che mi darai ancora molte cose buone da mangiare, molti bocconi saporiti, ih!

Quella volta, la bella scappò via spaventata.

Aveva ucciso il suo soldatino, pensava, aveva ucciso il suo soldatino, davvero, l’aveva ridotto in cenere!

E una notte, il vecchio babbo aveva fatto a pezzi una sedia a dondolo di legno, perché non c’era più legna, no, non ce n’era più.

Era la sedia preferita da Elke.

E il fuoco ne aveva fatto un sol boccone!

L’aveva divorata insieme a una bambolaccia rotta, che non serviva più a nessuno’ Ma in quel momento era sembrato di udire la voce delle povere creature di legno, mentre le fiamme le assalivano:

– Pietà! ‘ dicevano. ‘ No, non farci male! Non mangiarci! Ahi! Che abbiamo fatto di brutto in vita nostra? Risparmiaci la vita! Pietà! No! No! Mamma’

Pareva di sentirle piangere, sì!

Ma il fuoco era senza pietà.

Oh, di che essere cattivo era diventata amica la nostra Elke! Quanto si pentiva di avere fatto amicizia con uno così.

E mi ricordo di una notte fredda fredda, in cui si vedevano le stelle d’argento nel cielo, lontane lontane, sì!

Lo sapete cosa succedeva? Lo sapete?

S’udiva la voce di sua madre, che la chiamava, la chiamava, cercandola dappertutto’ Ma la bella non si trovava, no, non si trovava più!

Oh, buon Dio, dov’era andata? Dove? Io non so’

– Figlia mia, dove sei? Dove sei? Rispondi alla voce di tua madre, che ti vuole tanto bene! Rispondile!

Ma lei non rispondeva più.

E il fuoco avvampava forte, tanto forte, pareva un mostro dell’inverno, che abitava lì, nella stufa enorme e grigia, sì.

– Figlia mia, non giocare a nasconderti! Qui c’&egrave qualcuno che piange, se non ti trova!

La povera madre piangeva già, ahim&egrave!

Intorno a lei c’era un silenzio di gelo’ E sembrava di sentire qualcuno che sghignazzava, nascosto tra le fiamme, oh, buon Dio!

– Figlia cara, sei cattiva se fai così’ Fai piangere la tua mamma, sì!

La voce della disperata si spegneva, a poco a poco, come una musica triste triste, come qualcosa di troppo malinconico, per poter essere raccontato.

E tutto, intorno a lei, era così azzurro, così freddo’ Si vedeva il cielo, attraverso la finestra, e’ Oh!

Io tremo, al solo pensarci, ma se quella notte la nostra Elke fosse rincasata presto presto, prima del solito, quando non c’era ancora nessuno, in casa?

Cielo!

E se il suo amico fuoco le avesse detto di stare tanto, tanto male, di sentirsi la febbre alta e la morte vicina?

Forse, lei gli aveva creduto’

E se il perfido le avesse detto di aver bisogno della sua mantella, per riscaldarsi? Se le avesse sussurrato di togliersela e di dargliela, come già aveva fatto con il suo soldatino di legno?

Sì, poteva essere andata così!

E se la bella se la fosse veramente tolta?

E se il fuoco avesse allungato la sua mano incandescente incandescente, dicendo:

– Vieni, vieni più vicino’ Oh, non ci arrivo, sai? No, proprio non ci arrivo’ Aspetta, voglio farti una confessione: io sono tanto innamorato di te, e muoio dalla voglia di darti un bacio sulla bocca’

– Mamma dice di non avvicinarmi mai troppo alla stufa’

– Oh, ti giuro, non ti faccio niente, sai? Io ti amo’ Ardo d’amore per le tue labbra scarlatte, vorrei solo accarezzarle’ Sii mia amica, dammi la mano, non ci arrivo, dammi la tua giacca, già ne tocco la manica’

Cielo!

E poi, se Elke avesse avvicinato la sua bella bocca rossa, se si fosse lasciata accarezzare i capelli e prendere il braccio, se il suo pericoloso amante si fosse messo improvvisamente a sghignazzare e a divorarla, dicendo:

– Ah, ti ho presa, adesso!

Io non voglio pensarci.

Mi vengono i brividi, sapete? E ho freddo, perché la paura mi raggela le vene.

Mi piacere guardare il cielo e le sue stelle. Sono tanto, tanto belle, così belle, che’ Oh!

La giovane aveva sognato questo con me. Tutto era durato il tempo di un sospiro. Poi, lei si era ricordata di non avere più né un padre, né una madre’

CAPITOLO SETTIMO

Un sussulto le attraversò il corpo. Aveva visto un uomo incatenato, mentre lo conducevano verso la prigione della torre’ Era stata lei stessa a condannarlo a morte, ingiustamente. E le era parso di scorgere anche quella creatura nera, la Strega del Mare.

Ricordo che una nuvola di corvi color della pece le volava intorno, gracchiando, gracchiando, gracchiando.

La testa le girava tanto, tanto forte.

– Andate via, andate via’ – gridava, agitando le braccia con affanno, per cacciarli.

Ma una voce le parlò. Era stata lei, la perfida, a mandarle i corvi, per avvilupparla nei suoi malefici.

Poi, Elke la vide di nuovo, nello stormire di quelle ali nere’ Era vecchia e aveva i capelli grigi, portava un lungo manto e le fiamme la divoravano, sì, la divoravano!

– Sono venuta a dirti che ti porterò lontano, dove tu nemmeno immagini! Uh, poverina, rimpiangi il caro padre, il caro amante! Ma non sai? Non sai? Chi muore viene distrutto per sempre e non li rivedrai mai più! Chi muore diventa cenere e lo stesso accadrà di te, ih ih ih! Ti ho mai mentito? No! Li rimpiangerai inutilmente! Inutilmente! Inutilmente’

La voce sua svanì nell’eco. Elke vide un grande treno, uno di quei vecchi treni, avvolti nel fumo della locomotiva. Era venuto per portarla via con sé, lontano’

Vide il suo mare e le sue spiagge, forse per l’ultima volta, sì!

Il destino la rapiva, improvvisamente.

Io non so dove la condussero. E una volta le parve di rivedere il suo Johannes, come se le fosse ancora accanto, sì, ancora accanto.

Era autunno e una luce sinistra penetrava tra le fragili foglie dei faggi ormai spogli. Passeggiavano insieme’

– Tu forse non sai, ma una parte di me &egrave ancora viva dentro di te’

Questo le sussurrava. Cercava invano di regalarle una carezza. Ad un tratto, un raggio di luce le mostrò il volto di lui, forse per un’ultima volta. Ma era un volto rugoso e tetro, come divorato dalla morte.

Cielo!

Eppure, quando riaprì gli occhi, conservò un dentro di sé un’impressione lieta di quell’istante, come un dolce ricordo. Nel suo cuore serbava ancora qualcosa di suo’

Le venne in mente di quando avevano fatto l’amore sotto la betulla antica, alla luce del sole di mezzanotte. Raggi rossastri fendevano le nubi e un’aurora vaga avvolgeva le foglie minute delle conifere.

I guerrieri del Nord erravano nel silenzio, con le loro spade dorate e vermiglie in mano’

Quella volta, Johannes era entrato in lei con forza. Nessuno li aveva visti, se non il destino. La femmina aveva gridato, sentendolo spingere forte nel suo ventre, oh, sì, aveva urlato, di piacere, come potevano gridare gli uccelli del bosco.

L’amplesso era durato a lungo, sì, a lungo. Non era stato soltanto un lieve sfregamento di corpi e di pelle, o un insieme di sussulti e di palpiti, ma molto di più.

La donna aveva stretto a sé il suo uomo con le sue braccia nude, e i suoi seni grandi si erano ricoperti di foglie. Era stato come se tutti gli dei del piacere si fossero degnati di salutare i due amanti e di benedirli con i loro scettri, fatti d’oro, rubini e voluttà.

Johannes era stato un po’ violento e le aveva morso le labbra. Ma alla sua amica era parso che quella fosse una benedizione celeste, in grado di accendere ancor più la sua passione.

Tanto, che gli aveva dato un bacio insanguinato, là dove lui era più virile.

Rammento di come un suono d’arpa aveva accompagnato quell’accoppiamento fatale.

L’uragano era stato forte, indicibile, ardente, come quel sole di mezzanotte, inaspettato, che sapeva del mistero delle linci, delle betulle e dei versi cupi dei gufi del Nord.

Così era avvenuto il concepimento di quell’essere’

Allorché s’accorse di essere incinta una lacrima di felicità le sfiorò le guance. Oh, voi non sapete, ma il destino l’aveva portata in un paese grigio grigio, dove c’erano vecchiaia e morte’ Non c’erano che vecchie e tutte la prendevano in giro, ih ih ih!

Il sogno però toccava i suoi istanti.

Ma ecco, ecco, che vide la Strega del Mare, in un lampo funesto.

– No! ‘ gridò la bella. ‘ Non ti permetterò di portarmi via l’ultima persona cara che mi resta! L’ultima, prima della fine!

– Ti ho mai mentito, tesoro? Un figlio può diventare la cosa peggiore che ci sia’ Dammi retta, sbarazzatene! Altrimenti dovrò farlo io. Lascia che sia io ad aiutarti, su! Ahaha!

Elke camminava sola lungo il mare triste e freddo, dalla schiuma bianca, come il ghiaccio. Era vicina agli scogli d’avorio.

Giunse accanto a uno strapiombo, si trovava in un punto elevato e deserto, dove il vento sibilava con tutta la sua forza.

Faceva freddo. Ma ancor più fredda fu la voce di colui o colei che le parlò. Era nera.

– Sono venuta a prendermi il tuo bambino’ Sì, hai indovinato, sono proprio io! Adesso ti getterò giù, sulle rocce, anzi, sarai tu a gettarti, non avrò nemmeno bisogno di costringerti’

– Vattene! E’ l’ultima cosa cara che mi &egrave rimasta! Dopo, non avrò più niente!

– Ma tu già non hai che niente, ih! Vuoi bene a tuo figlio? E allora non gli permetterai di venire in un mondo dove regnano la cattiveria e la morte! Vuoi che pianga un giorno come piangi tu ora? Eh, rispondi! Tu lo sai, ti sono sempre stata amica, fin da quando eri bambina!

Non ascoltarla, Elke! Non ascoltarla! Eppure, quella voce già era riuscita a guadagnare l’anima sua.

– No, non farò come dici, anche se forse non vale la pena di sognare, a questo mondo! Non avrei più niente, dopo questo’

La Strega del Mare era nel vento di morte che le alitava intorno alla bella. Ed era forte, tanto, tanto forte, quanto neppure si può immaginare.

Elke socchiuse i suoi occhi per un attimo, ma non poté sognare. Vide il suo bambino che giocava lungo la spiaggia fredda e si divertiva a gettare rami secchi alle onde e alla schiuma bianca.

Poi, arrivava la megera, la perfida.

– Fuggi da lei, figlio mio’ Non ascoltarla! Corri! Corri! Corri’

Ma non poteva sentirla, ella s’era messa a correre, per salvarlo, ma era troppo, troppo lontana da loro.

La fattucchiera l’aveva preso per il braccio e lo portava via con sé!

Inutile gridarle di non fargli del male, di restituirlo alle sue braccia!

Una nuvola di sabbia bianca avvolse la Strega del Mare e il fanciullo, proprio nel momento in cui l’infelice madre stava per arrivare e strapparlo a quelle grinfie.

Una oscura risata echeggiò nel rumore triste delle onde tempestose.

– Ridammi mio figlio!

Elke rialzò le ciglia di soprassalto. Gridava ancora. Stava immobile, sdraiata sulla sabbia fredda, ricoperta di neve. Era la stessa che aveva sognato.

Il vento le accarezzava teneramente i capelli e le inaridiva gli occhi vitrei, come quelli di una morta.

– Tu vuoi troppo bene a tuo figlio per fargli del male e lasciarlo vivere in questo mondo!

Queste erano le parole minacciose che le risuonavano sempre nella mente.

I miei occhi videro delle cose terribili, che forse non vi dovrei raccontare. Perché la Strega del Mare non concesse un solo istante di pace alla sua nemica!

Aveva deciso di farla morire insieme con il suo bambino’

E rammento che le due stavano abbracciate nella lotta: il nero manto della perfida avvolgeva il corpo mortale della bella.

Cielo!

Ad un tratto’

Ad un tratto, fu come se la morte avesse voluto rapire entrambe, portandole via con sé, per sempre, sì, per sempre!

Perché le vidi ruzzolare sulle rocce, e sotto, sotto di loro, il mare freddo, dalla schiuma di ghiaccio, allargava le sue braccia per avvincere entrambe.

Ma una sola della due poteva morire, perché la strega non era che un fantasma, dai capelli canuti e dagli sguardi gelidi.

– No, non ti permetterò di distruggere quella parte di Johannes che vive ancora in me! ‘ fu l’ultimo singhiozzo di Elke.

In quel momento le parve di ricontemplarlo, era come se fosse venuto a prenderla’ Oh, sì, era lì, davanti a lei!

– Sì, sei qui, per portarmi via per sempre dal mondo dei malvagi! Vivremo nella felicità insieme a nostro figlio! ‘ mormorava la folle.

Il suo Johannes era lì davanti a lei. C’era anche il suo vecchio padre, il buon giudice dai capelli bianchi, venuto per abbracciarla.

La bella teneva sempre gli occhi chiusi e sembrava morta, le membra abbandonate al vento, era come addormentata, tristemente e dolcemente.

Tutto scintillava intorno, come se stessero tutti insieme su di un oceano di tranquillità.

Il vecchio suo padre l’aveva presa tra le sue braccia.

Lei riaprì gli occhi in quell’istante, una lacrima bianca le sfuggì dalle palpebre, le solcò le guance candide. Era stata la gioia a strappargliela.

– Oh, papà! Sapevo che saresti venuto! Non mi hai lasciata sola, nella morte ‘ sospirava Elke. ‘ Sei venuto a prendermi, così, staremo sempre insieme!

– Sì, sempre insieme’

Era proprio lui, il suo caro papà, l’aveva presa in braccio, la portava via con sé, le avrebbe voluto bene per sempre, per sempre, per sempre’

La risvegliò la voce maledetta della strega, e la sensazione gelida che le diede la sua mano rugosa, mentre la toccava con ferocia.

– No, no, no! ‘ sogghignava la perfida. ‘ Ti piacerebbe che la morte fosse questo? Ma la morte &egrave dolore e nulla! Credimi! Nulla! Nulla! Ricorda che i vermi divoreranno le tue viscere, come quelle di tutti i mortali! Questo, nient’altro, &egrave la morte! Io, io ti sono amica! E le fiabe che ti hanno raccontato da bambina sono illusioni, inventate dagli uomini, per raddolcire il loro destino inesorabile!

La strega, parlandole, aveva appoggiato le sue mani rugose e grigie sulle spalle della bella e le andava così accarezzando malinconicamente i lunghi capelli.

– Ti sei mai chiesta perché i morti non ritornano e non ci dicono che a questo mondo non vale la pena di soffrire? Se fossero ancora vivi, nonostante il decesso del loro corpo, chi, chi mai ci potrebbe separare dai nostri cari, che starebbero sempre con noi?

Elke piangeva, mentre la megera le parlava in questo modo.

– Dimmi, tu credi forse all’esistenza di un Dio? Ah, ma quali elementi te lo lasciano supporre? Forse, basta desiderare una cosa, basta sognarla, per averla? Guarda, guarda quante cattiverie accadono a questo mondo! E Dio lascia che accada tutto questo, permette che separino la madre la figlio e che assassinino l’innocente! Anche se esistesse un Dio simile, difficilmente si potrebbe credere nella sua bontà!

Elke sapeva tutto. Erano le domande che l’avevano assillata durante l’intera sua esistenza, fin da quando i suoi occhi si erano aperti sulle fredde spiagge del mondo.

– Forse Dio lascerebbe che tu soffrissi tanto, se fosse vivo? Se non fosse un sogno? Eh? Rispondi’ La morte &egrave la fine di tutto’

Il ghigno della strega si smarrì nel fragore del mare tempestoso. Lacrime di perla inondavano le guance della povera ragazza, sì!

Perle, fatte per sciogliersi nel blu, e svanire, dolcemente, così.

L’amata immagine di Johannes le apparve ancora, ancora ed ancora, mista al luccichio dei flutti, freddi e tranquilli. E lei lo guardava’

– Salva nostro figlio! ‘ le sussurrava la voce di lui. ‘ Salvalo, perché le mani dei malvagi vogliono toccarlo! Nulla al mondo può sconvolgere la bellezza della vita!

Nulla, nulla’ Ma Elke lo sapeva, era tutto un sogno.

– Se ucciderai nostro figlio, l’ultima parte di me che ancora vive nel tuo cuore morirà insieme con lui!

Questo il grido che le giunse, ma la bella pensava che chiudere quegli occhi prima che si aprissero poteva essere bontà.

– Io gli voglio bene come ne volli a te! ‘ mormorava lei. ‘ Ora che abiti le stelle potrai tenerlo accanto a te ogni giorno’ Qui, non avrebbe che lacrime!

Elke piangeva.

Le stille del suo pianto non potevano toccare l’animo della Strega del Mare, la cui perfidia doveva durare per l’eternità.

L’infelice era rimasta avvolta nei suoi sortilegi e non desiderava altro che la morte, ormai.

– Figlio mio, no, non permetterò che ti facciano del male! ‘ gridò, accarezzandosi il ventre.

E il grido suo risuonava del fragore dei mari in tempesta, del gelo delle bufere, del fuoco del sole all’occaso, delle lunghe notti d’inverno. Risuonava del verso dei corvi, del volo triste delle tortore, della neve bianca sulle tombe, del fruscio del vento fra i rovi e le betulle spoglie.

– Sì, sì! ‘ esultava la strega. – Sì! Finalmente segui i consigli di chi ti vuole bene!

Elke fremeva di tristezze. Disse:

– Verrò da te, amore caro, presto, tanto, tanto presto, porterò con me nostro figlio e nessuno più potrà separarci! Nessuno più!

E la voce sua si smarrì nuovamente, in quella del mare triste.

– Oh, davvero, se Dio esistesse, non vorrebbe che mio figlio venisse in un mondo fatto di odio e di morte, di sofferenze crudeli! Veniamo, Johannes, veniamo, papà, oh, sì, sì, staremo sempre insieme!

Negli occhi suoi non brillava più che la morte. Nel paese c’era una cattedrale desolata, con un campanile tanto alto da toccare il cielo, con la guglia tutta nera, lugubre lugubre.

Lei aveva deciso di andare lassù, di salire lassù’ Tutt’intorno s’era fatto grigio, si erano levate le brume, che avvolgevano la torre.

Sembrava di sentire le voci dei morti, le voci dei fantasmi, che la chiamavano, la chiamavano, la chiamavano.

Elke aveva stretto forte la mano della strega, che la faceva correre su per le scale strette e buie, sghignazzando.

Alla fine arrivò su, in cima; più in alto, c’erano soltanto le stelle.

– Ti voglio bene, figlio mio ‘ sussurrava la bella, forse, nei suoi ultimi istanti.

– Su, che aspetti! Diventerai cenere, cenere, cenere! Perché questo mondo e tutte le cose non sono che polvere’ Ahahaha! Liberati della vita e del dolore! Uccidi! Non hai vissuto che per morire, e in ogni tuoi istante sei stata toccata dalla morte. Liberati di lei, abbracciandola! Ih ih!

Le nebbie salivano cupe e tenebrose, avviluppando quell’immagine nel loro sortilegio. Cielo! Alla fine, non vidi più nulla, perché tutto venne avvolto dal mistero.

Elke non morì, ma pianse.

Aveva deciso di andare via da quel mondo fatto soltanto di cattiverie e dolore, voleva fuggire, fuggire, fuggire.

Nella cittadina c’era una fabbrica grigia grigia, con delle ciminiere tanto alte, che quasi toccavano il cielo, e spandevano intorno il loro fumo lugubre lugubre, che copriva il sole.

La luce non riusciva quasi mai a fendere quelle nubi.

La bella, un giorno, volle entrarvi. Di nascosto, vide tanti operai, avvolti nelle loro tute da lavoro, con le maschere sul volto, per non respirare il gas. C’era tanto rumore, lì intorno; era giorno, ma sembrava mezzanotte.

Ella era pazza’

Aveva preso a vagabondare tra gli impianti arrugginiti e tristi, quando vide un uomo e gli corse incontro’ Era chino sul suo badile, spalava carbone’

– Johannes! Sì, sei tu, sei tornato, per me!

Questo, il grido suo.

Risero. La schernirono, perché suscitava soltanto l’ilarità di tutti.

Le sue pupille non vedevano più che ombre, oramai, perché la perfida Strega del Mare abitava dentro di lei, il suo fantasma si era impossessato delle sue membra e poteva farne ciò che voleva.

Le avevano raccontato di una storia triste, che l’aveva commossa… Un povero giovane aveva perduto entrambi i genitori ed era stato costretto ad andare a lavorare in fabbrica.

Gli avevano messo indosso una tuta di amianto e lo facevano lavorare con i gas, o trasportare sacchi di materie tossiche sulle spalle.

Tutti lo trattavano duramente.

Ogni giorno si vedevano arrivare allo stabilimento dei vagoni e bisognava scaricarli; si diceva che erano carichi di materiale radioattivo, ma il padrone aveva sempre negato questo, lui, che si arricchiva sulla pelle dei suoi operai.

Il povero giovane era addetto a tutte queste mansioni; lo sventurato stava sempre in fabbrica e non vedeva mai lo splendore del sole.

No, non lo vedeva mai, perché dalle ciminiere usciva un fumo nero che oscurava qualsiasi raggio di luce!

Un giorno, si ammalò.

Gli era venuta una cosa strana sulle mani, che a poco a poco si impossessava di tutto il suo corpo. Gli avevano detto che non era niente, ma se voleva vivere più a lungo doveva prendere delle medicine terribili.

Morì.

Ma al suo funerale nessuno andò, nessuno pianse, perché quando muore un povero, al mondo non interessa.

Nella grande fabbrica gli uomini erano trattati come animali, sì!

CAPITOLO OTTAVO

Una notte, Elke fece un brutto sogno. La strega era venuta e le aveva portato via il bambino che teneva in grembo.

E le aveva promesso tante cose tristi, sì!

– Ricorda bene la storia che hai udito, perché un giorno farai la stessa fine di quell’operaio, sì, proprio la stessa, identica fine! Creperai, come un cane, senza nessuno che ti voglia bene!

Elke dovette piangere molto, anche per altre cose, che le accaddero poi. Mentre passava avvolta nella sua lunga toga da giudice sotto i grandi portici del tribunale del Paese della Morte, le parve di essere diventata il diavolo in persona, sì!

Era stata davvero crudele, quel giorno, perché non aveva fatto prevalere la giustizia, bensì il male.

Avevano incarcerato un povero lavoratore della fabbrica, l’avevano portato davanti a lei, legato, ammanettato e tenuto stretto dalle guardie. Le aveva chiesto di vedere la luce, sia pure per un solo istante, per poter morire in pace. Oh, sì, nella vecchia prigione negavano persino i raggi del sole!

Lei non aveva esaudito questa preghiera’

Perché da tanto tempo, il sole non splendeva più nel cielo del Paese della Morte!

Tanto, che nessuno più si ricordava come era fatto.

La strega le fece di nuovo visita, il suo fantasma non la abbandonava mai. Venne, sì, e fu per dirle delle parole terribili.

– Lo farai nascere? Ma sappi che diventerà uno degli operai della grande fabbrica, i padroni lo prenderanno a frustate! Vivrà tra il fumo nero delle ciminiere e il fuoco delle caldaie, respirerà come uno spettro i vapori dei gas’ E alla fine, morirà piangendo, perché a questo mondo si nasce per morire!

E le mostrava il futuro terribile del figlio suo, ma la bella non voleva crederci, no, non voleva!

– Dimmi, amica mia, vuoi davvero vivere? Un giorno il tuo corpo non sarà più che una carcassa, non ti darà che tormenti! E tu supplicherai la morte di venire a prenderti!

Tutto era grigio, intorno a loro, come il fumo delle fabbriche, il dolore senza speranza.

– Gettati tra le mie braccia, ora, subito! ‘ riprese la perfida, allargando il mantello. ‘ Fallo, finché sei in tempo, e ti condurrò nel Nulla, dove non c’&egrave affanno! Gettati, con tuo figlio nel grembo, ed io ti salverò, sì, ahahaha!

Ma Elke piangeva, sussurrando:

– Johannes, dove sei? Vieni a salvarmi, vieni a salvarmi, ti supplico!

Eppure, ella sapeva in cuor suo che non le avrebbe risposto mai.

Oh, sì!

Era venuto a prenderla, era venuto a prenderla, la faceva salire su di una carrozza bianca bianca, tirata dai cavalli del destino’

– Dimmi, &egrave vero che adesso nessuno ci dividerà mai più? ‘ chiese lei.

Tutt’intorno era stellato e freddo, ma la bella non provava brividi, no, adesso che la persona amata le stava accanto.

Elke volle sognare, ma la risvegliò una campana che suonava a morto, sì!

Aveva abbassato le palpebre per pensare alla sua gioia, che poi, un fremito di dolore uccise fatalmente.

– Sì, &egrave questa la verità! ‘ disse. ‘ I miei cari sono morti per sempre e nessuno li risveglierà più! Si vive per morire, e quando la morte viene, distrugge ogni cosa!

E la stava distruggendo, in quegli istanti, in cui una luce fredda la avvolgeva, facendo brillare i suoi occhi di ghiaccio.

La sconsolata stava immobile sulla terra fredda, ed era come se, frammento dopo frammento, atomo dopo atomo, il suo corpo e la sua anima cadessero in frantumi.

Più nulla’

Morire così come si &egrave vissuti, nel mistero di un istante, nel silenzio infranto, per sempre.

E venne per la sconsolata il momento di mettere al mondo il proprio figlio.

Ma ella avrebbe ricordato quel giorno come uno dei più tristi della sua vita, sì! No, non andò felicemente, non poté, come sognava, vedere l’anima del suo Johannes accanto a sé, e, in un impeto di gioia, consegnare alle sue braccia il frutto del loro affetto.

Fu la strega a starle accanto.

Io ricordo come un’immagine sfocata, che corrispondeva all’incubo di Elke, tutto bruciava di dolore, intorno a lei, le fiamme fendevano l’oscurità profonda e non si vedeva che il volto grigio della perfida.

– Ahaha! Sei stata crudele, non hai seguito il mio consiglio! Ma chi non segue i consigli dei saggi, prima o poi se ne pentirà amaramente! Ti avevo detto che se non lo avessi fatto tu, lo avrei ben volentieri fatto io’

Così diceva la fattucchiera.

Cielo! Le portava via il figlio! E lei stava in un lago di sangue, su di un letto bianco, nell’oscurità divorata dalle fiamme!

– Oh, no, no! Non ti separerò da lui! Tornerò con una bella bara nera anche per te, ti ci chiuderò dentro, così smetterai di soffrire anche tu! Ih ih!

Io non so se Elke sognò o visse quell’istante, ma udì una voce, che recitava:

– Vieni, figlio del dolore, a soffrire nel mondo della morte, dove gli uomini si uccidono per il denaro vano, dove la speranza &egrave ombra, e dietro alle gioie si celano gli affanni, supplicherai la Fine e l’Oblio, che vengano a salvarti’

Ma Johannes ritornò da lei, con il loro amato figlio tra le braccia, oh, sì! L’aveva salvato. Le disse:

– Abbi cura di lui, amalo come un tempo amasti me!

– Oh, davvero i suoi occhi brillano ‘ disse Elke ‘ come le pupille di perla che vidi brillare in te un giorno!

E le rendeva, le donava il frutto del loro amore perduto, così, come una volta le aveva donato i suoi abbracci.

Poi, a poco a poco, quell’immagine di gioia prese a dissolversi davanti agli sguardi tristi della bella, che chiamava invano il suo Johannes’

– Oh, che la morte possa inghiottirmi, se tu non resti accanto a me!

Ma il suo pianto era tanto, tanto vano e triste, sì!

Perché nessuno le avrebbe restituito mai le gioie perdute!

Quando riaprì i suoi occhi, teneva il suo ultimo tesoro tra le braccia, era davvero l’ultima cosa cara che le era rimasta. Vedeva le ciminiere grigie, e i corvi neri che vi volavano intorno. Le grandi torri di raffreddamento della fabbrica toccavano il piombo sfocato del cielo. Sentiva le grida degli operai, il rumore degli automezzi e il frastuono delle betoniere. Faceva freddo. Faceva freddo.

Un urlo la riscosse.

Ed ebbe l’impressione che una nuova tristezza, una nuova infelice agonia si risvegliasse, accanto a lei.

La Vecchiaia volle risparmiare il volto della bella.

Un giorno, si erano incontrate, lungo la spiaggia fredda fredda, il cielo ricoperto di nubi faceva loro da mantello.

– Sì, sì! Vieni da me, ahaha! ‘ si era sentita dire Elke.

La sventurata non l’aveva vista in viso.

Due mani scarne si erano posate sulle sue spalle, dei lunghi capelli grigi le avevano sfiorato il volto bianco’

– Ricordati, un giorno, diventerai proprio come me, nulla, nessuno potrà salvarti! E io ti prenderò, ti porterò per sempre via con me!

– Oh, ti giuro, io farò qualsiasi cosa per fuggirti!

– E allora, mi darai la vita di tuo figlio, sì’ Me la darai, o, quanto meno, mi venderai la tua anima! Ih ih ih!

Il vento tagliava l’istante’ L’affetto e l’eterno non erano più nulla per quegli occhi di giovane donna, toccati dalla rugiada del pianto.

– Sì, sì! L’avrai’ – sussurrò Elke. ‘ Ma in nome del Cielo, non uccidere l’ultima felicità che mi resta, quell’ultima immagine di gioia, che ancora brilla sul mio volto!

Ella non credeva di avere un’anima. Per questo aveva venduto quella del proprio figlio! E quando la Vecchiaia l’ebbe lasciata sola, venne il vento d’inverno, fatto di gelido silenzio, e la fece tremare.

Il suo bambino crebbe. La bella pianse molto per quel ricordo triste che, come un fantasma, aveva preso a infestarle la memoria.

Un giorno aveva portato il caro fanciullo a giocare lungo il mare ed era uscito il sole, dopo tanto tempo. Le sembrava che tutto fosse bellissimo’

Oh, sì! E quando un raggio di luce le mostrò il volto dell’ultimo essere che poteva amare al mondo, quando lo vide scintillare in quegli occhi di topazio, su quei capelli dorati’ Oh!

Fu quello il primo istante in cui capì di essere madre.

Le sembrava che Johannes fosse lì, le sembrava che prendesse il suo bambino per mano e giocasse con lui, lungo il mare freddo e spumeggiante, accanto agli scogli.

– Oh, lo sai? ‘ gli disse lei. ‘ Si chiama come te, proprio come te! E nessuno gli farà mai del male! Vivremo tutti e tre insieme in questa luce di fata, oh, sì, per sempre’

La bella volle correre loro incontro, volle chiudere i suoi occhi e credere a quanto le avevano appena raccontato. Chiamava a gran voce il suo Johannes, no, non poteva, non poteva essere morto, no, era ancora vivo, accanto a lei.

Ma quando li ebbe raggiunti, svanirono’ Una folata di vento innalzò un mucchio di sabbia bianca e fredda, che avvolse il fanciullo, mentre la voce della Vecchiaia tuonava dal nulla:

– Ricordi? Mi hai venduto la sua anima perché io risparmi il tuo volto!

Un brivido percorse Elke in tutto il corpo.

Era rimasta sola con suo figlio, lungo la spiaggia, diventata improvvisamente grigia grigia e tetra, come il peggiore degli inverni.

Lo teneva per mano, per timore che le fuggisse, sì, che le fuggisse..

Le ciglia abbassate, bianca e fredda, come una statua di ghiaccio, gli diceva:

– Non andare nell’acqua! Oh, non andarci, &egrave troppo, troppo fredda! Morirai’

Si fece promettere dal fanciullo l’ubbidienza, ma lui le sfuggì di mano, oh, sì, corse via, urlando, spaventato, davvero’

Aveva visto una strega!

Sì, aveva visto quell’ombra nera che si protendeva sulla sabbia, aveva udito il vento di bufera, che sollevava nubi di polvere e rami di alberi morti. Qualcuno sghignazzava’

– Non andare nell’acqua’ Morirai! ‘ ripeteva Elke, con la sua voce triste.

Quando si voltò, si accorse che in realtà il fanciullo lo aveva fatto. Sì, certo, lo aveva fatto!

E la schiuma di ghiaccio lo aveva avvolto nel suo abbraccio mortale! Forse, era per sempre, forse, nessuno mai lo avrebbe strappato alla sua insidia triste.

Oh, no, no, no, Elke non perdette l’amato figlio, il destino non voleva che ciò accadesse, per il momento: voleva che tutto questo capitasse ben più amaramente, ben più amaramente, sì.

Un giorno, la povera giudice dovette entrare nella grande fabbrica maledetta, la fabbrica del Paese della Morte, dove nessuno andava volentieri.

E il rumore lugubre lugubre delle macchine la avvolse, la avvolse il grido cupo degli operai, il brusio patetico dei prodotti, che uno ad uno uscivano dalle bocche d’acciaio di quelle apparecchiature infernali.

Povera ragazza, doveva parlare con il gran direttore, uomo crudele, che fumava sempre il sigaro e odiava tutto il mondo.

No, non entrò invano in quell’anfratto, perché il destino volle che fosse testimone di un evento tristissimo!

Il grido di un operaio ferito dalle macchine la travolse’

Cielo!

Si chiuse gli occhi con le mani bianche, no, non voleva, non poteva guardare, eppure’ Vide il sangue, mentre la voce della Strega del Mare sussurrava dentro di lei:

– Vuoi che questo accada anche a tuo figlio? Eh? Vuoi che gli succeda questo? Ahahahaha!

Un rumore sordo riscosse la bella e la turbò, tanto che quasi svenne. La macchina, come un mostro, finiva di divorare il corpo dell’operaio che aveva colto.

Una piccola folla si era radunata tutt’intorno’ Quante voci! Quante grida! Tutto inutile.

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