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Racconti Erotici

L’ultimo Chopin

By 25 Maggio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Ho appena smesso di suonare l’ultimo Chopin.
Sospingo lo sguardo oltre la mia finestra dai vetri all’inglese, e vedo il sole al tramonto che tinge di rosso i tetti di Milano. Vedo i grattacieli, e più in là, il Duomo, perso nelle nebbie.
E’ come Parigi.
Ho smesso di suonare.
China sul mio pianoforte, i lunghi capelli rossi che ricadono a cascata sui tasti bianchi e neri, con indosso il mio bel vestitino nero decorato con pizzo bianco, piango.
Ho suonato le ballate più tristi, e poi, l’ultima polacca. So suonare soltanto Chopin. Così come so baciare soltanto con le mie labbra rosse.
I miei occhi si soffermano sui pochi quadri di Ricasso che adornano le pareti rosso cupo della mia stanza. Appoggio la mano sulla tastiera del mio Steinberg & Sons, ne traggo un accordo dissonante, sbagliato.
Forse, &egrave come la vita.
Avrei voluto fare la direttrice d’orchestra. Mi accarezzo le gambe, scendo fino sulle belle scarpe col tacco a spillo rosse, mi guardo le unghie dipinte, mi ripasso il rossetto sulle labbra.
Ripenso alle tristezze della vita, ma anche ai piaceri sfrenati.
Ripenso al mio povero papà, al mio caro fratello, che purtroppo non vedo più da tanti anni, e che però una volta mi stringeva tra le sue braccia, e mi baciava sulla bocca.
Il sole che muore tinge di fuoco le nubi violette del cielo.
Ho delle ciglia nere, lunghe, ma così lunghe e dolci’ Le mie labbra sono socchiuse, come per tirare un bacio.
E’ febbraio.
Poso la mia mano sui miei lunghi capelli rossi, che sembrano di fuoco. I miei occhi azzurri brillano, ma solo per poco. E poi, quella lacrima di perla’
Oh, qualcuno mi abbracci!
Vorrei essere una donna’ ma lo sono già.
Apro ‘Le Figaro’, che ho comperato all’edicola della Stazione, e mi soffermo sugli articoli di cronaca.

‘AMOUR ET COLERE MEURTRIERE HAUNTENT LES BOIS PRES DE ST.YVES-AU-MONT.’

Socchiudo gli occhi. E la mia fantasia vola.
‘Fabrice aveva negli occhi soltanto quello sguardo, il suo sguardo, oramai. La follia animava ogni suo gesto, ogni membro del suo corpo, ogni muscolo delle sue possenti braccia, che egli
osava soltanto per abbracciare la sua Anais. L’avevano fatto mille volte, di nascosto, da quando era successo, quella volta, nel fienile, in un pomeriggio d’estate in cui il vecchio era andato a caccia.
Fabrice aveva giurato di ucciderlo.
E questo faceva fremere di passione e di timore il cuore di lei, ogni volte che le confidava questo folle desiderio.
Sì, voleva ucciderlo, perché una volta che li aveva trovati abbracciati, il loro crudele padre aveva fatto piangere la sua bella e aveva minacciato di separarli per sempre.
– Andrai a Parigi, a fare il soldato! ‘ aveva detto. ‘ Così la smetterai di fare la corte a tua sorella, maledetto!
Queste minacce avevano fatto tanta paura ad Anais, che era corsa via in lacrime, per poi chiudersi nella sua stanza, ad abbracciare le bambole.
Fabrice aveva stretto forte i pugni’
Da allora, i loro incontri amorosi erano stati furtivi e malinconici.
Erano state le notti d’inverno, le stelle della primavera, a vederli insieme.
Rammento di come Anais soleva stringere forte la testa del suo amato contro il suo seno nudo, d’avorio, e di come le labbra di lui ne cercassero avide i capezzoli.
Le mani di Fabrice giocavano con quei lunghi capelli, con quelle vellutate labbra, mentre lei gettava dei sospiri, e a poco a poco gettava al vento ogni suo velo.
Anais aveva le spalle bianche, perfette, le braccia lunghe e le mani fatte per toccare e regalare piacere immenso. E toccava il petto irsuto del suo uomo, mentre lui la spogliava delle belle calze a rete che le adornavano le gambe.
Voleva fare l’amore con lui, voleva fare l’amore con lui’
E lo facevano sempre, sempre, sempre.
Quella volta, andarono al mulino, al calar del tramonto, Fabrice portava in spalla il suo fucile da caccia, perché aveva paura dell’Orco.
– Sei tu il mio mugnaio ‘ gli disse lei.
E gli disse anche che lo voleva dentro di sé, lo voleva sentire pulsare e fremere dentro il suo corpo, desiderava che il seme suo le inondasse il grembo.
Gli promise anche che gli avrebbe dato un figlio!
Ma il vecchio aveva proibito il loro incestuoso amore.
La bella portò la mano di lui sulle sue cosce ormai nude, mentre si sdraiava sulla paglia, pronta a ricevere nel suo corpo l’uomo che amava.
– Ah, quanto ardentemente ti desidero! ‘ gli disse.
Il rumore più forte era quello dei sospiri di lei, che gridava di piacere, e a quella voce si aggiungeva quella del torrente, degli uccelli crepuscolari, delle fronde del bosco, scosse soltanto dal vento del tramonto.
Ah, le labbra rosse di lei, quei corpi nudi, attorcigliati l’uno all’altro, il frenetico entrare ed uscire del corpo di lui da e dentro il corpo di lei, lì, su quella panca di legno, che scricchiolava, scricchiolava sempre.
La ragazza non era più vergine, ma a lacerarle l’imene per la prima volta era stato lo stesso maschio che ora la possedeva di nuovo.
E quando si era sentita penetrare, aveva gridato come la prima volta che lo avevano fatto.
Mentre si sentiva squarciare il grembo da quel pene che entrava e usciva da dentro di lei, piangeva e si lamentava per l’orgasmo crescente, mai, nemmeno con le sue mani, era riuscita a provare tanto fuoco.
Forse, era perché sapeva che era l’ultima volta.
Stringeva forte il corpo muscoloso del suo amato, stringeva forte la sua mano con quella di Fabrice, voleva avere un bambino da lui, voleva fosse lui suo figlio, ah, era come se lo concepisse, era come se lo concepisse!
Ad un tratto, l’uscio si aprì con violenza. E apparve il vecchio, l’Orco, armato di fucile.
Li aveva sorpresi nudi, in flagrante.
Fabrice vide, comprese, infuriò, si staccò da lei, corse al suo fucile. Troppo tardi, troppo tardi.
Il perfido già aveva imbracciato la sua arma, e, con un solo colpo, lo uccise.
Lei allora si alzò per abbracciare il suo amore assassinato, ma il fucile sparò di nuovo, e i due amanti caddero l’uno tra le braccia dell’altra, sul pavimento insanguinato.
Il vecchio, perfido e geloso padre aveva ammazzato i due figli incestuosi.’
Ho appena smesso di leggere.
No, forse, soltanto di sognare.
Mi siedo sul bel tappeto di Persia che adorna il pavimento del mio sontuoso appartamento. Mi raccomodo la scarpina rossa, le aggiusto il laccetto.
Quanto mi sono commossa!
Per un attimo ritorno al piano, bacio uno dopo l’altro alcuni di quei tasti bianchi e neri,deponendovi il segno di porpora delle mie labbra.
Una fanciulla aveva baciato il pianoforte, lasciandogli il segno del suo rossetto.
Ed era come se quella musica, la sua musica, riempisse la stanza.

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