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Racconti Erotici

Norna

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Aveva due gambette magroline, sulle quali correva sempre, curiosa, per cercare, vedere. La chiamavo Impiccetta.
Mi veniva vicino, qualunque cosa stessi facendo, specie quand’ero intento a studiare, seduto alla scrivania. Mi fissava con gli occhioni nerissimi, incastonati come pietre preziose nel suo visetto incorniciato da lunghi boccoli corvini, come si usava, all’epoca. Assumeva un’aria seria, schiudeva le labbra vermiglie, a forma di cuore, mostrando le minuscole perle che le impreziosivano la bocca, e mi poneva i suoi mille perché.
Ascoltava attenta, pensosa. A volte mi diceva: ‘Mi prendi in braccio?’ Poi, avute le risposte, mi dava un bacetto sulla guancia e scappava via.
Ogni tanto mi chiedeva perché (ancora un altro perché!) io fossi così paziente con lei, e rispondessi alle sue infinite domande.
‘Perché ti voglio bene, Norna.’
‘Perché mi vuoi bene?’
‘Perché sei bella, ed anche buona. Sei una brava bambina.’
‘Mi vorrai bene anche quando sarò grande?’
‘Te ne vorrò di più.’
‘Perché di più?’
‘Bene piccino a chi é bambino, bene grande a chi é cresciuto.’
‘E’ per questo che io voglio tanto bene alla mia mamma?’
‘Si, anche per questo.’
‘Tu mi vorrai bene come ne vuoi alla tua mamma?’
‘In modo diverso.’
‘Come ad una sorella?’
‘Tu non sei né la mia mamma né mia sorella, ti vorrò bene, tanto, ma in un modo tutto particolare.’
‘Non dimenticarlo mai.’
E scappava via, per tornare, poco dopo, a mostrarmi la pagina del quaderno, diligentemente riempita con l’esercizio che la maestra aveva assegnato da fare a casa.
‘Sei bravissima, Norna. Sarai sicuramente promossa. Ad ottobre inizierai la seconda.’
‘E’ vero che se tu sarai promosso andrai via da qui?’
‘Dovrò andare lontano, in una grande università.’
‘Io spero che ti boccino. Così non partirai.’
Tirò su col nasetto, mi abbracciò forte, e questa volta i bacetti furono due.

Trascorsero lunghissimi anni. Università, specializzazione, in Italia e all’estero, internato…
Non ero più tornato dove avevo frequentato il liceo, anche perché la mia famiglia s’era trasferita a Padova, già dal mese prima dell’inizio del corso di medicina.
Ero stato nominato, da una settimana, primo aiuto del cardiochirurgo di fama mondiale, e l’indomani sarebbe stato il mio primo giorno di riposo, completamente libero, senza obbligo di reperibilità. Decisi di andare a rivedere i vecchi luoghi dell’adolescenza.
Non avevo più ripercorso l’antica via consolare, ma molti luoghi non erano mai usciti dai miei ricordi. Mi fermai, lungo la strada, al caff&egrave del piccolo paese dove, di solito, facevo una breve sosta, quand’ero in gita con la famiglia. Il locale era stato rinnovato, ma il proprietario, con più anni sulle spalle, era lo stesso.
Parcheggiai nell’ampio ma affollato parcheggio, aiutato dal contrassegno dell’ordine dei medici, e dal custode. Imboccai la vecchia stradina che conduce a Piazza delle Erbe. Mi sembrava di non essermi mai allontanato da li, mi guardavo intorno, come a cercare gli amici lasciati il giorno precedente. Fissavo i passanti della mia stessa età, pensando d’incontrare Quirino, Potenziano, o la bellissima Giulia, Ada, Marcella. Non era cambiato molto. Solo il vecchio, austero caff&egrave, era totalmente trasformato, perdendo i particolari che lo avevano caratterizzato per generazioni.
In quella casa, proprio dietro la fontana, ho abitato per tanti anni. Nell’appartamento a fianco c’era la famiglia Santoni, con la piccola Norna. Già, Norna. Sarà una signorina, ormai. Mi ricordai il loro numero di telefono. Entrai nel bar, inserii la scheda nell’apparecchio, formai il numero. Rispose una voce femminile, allegra, squillante.
‘Pronto? Casa Santoni?’
‘Si, chi é?’
‘Sono Luciano Angarani.’
‘Luciano? Sono Impiccetta, ti ricordi di me?’
‘Norna, ricordo benissimo la bella bimbetta e i suoi perché. Come fai, tu, dopo tanti anni, a rammentarti dello studente della porta accanto?’
‘Si, quello che non mi ha mai inviato una cartolina, e diceva di volermi bene. Dove sei, Luciano?’
‘In un bar, poco distante da te.’
‘Perché non vieni a trovarci. I miei saranno lietissimi di rivederti, e io felicissima.’
‘Posso?’
‘Ti aspettiamo.’
Comprai una scatola di gianduiotti. Le piacevano molto. Andai dal fioraio, quello proprio sotto casa. Ordinai un cestino con i fiori più belli, da portare, subito, alla signora Rosa Santoni. Gironzolai un po’. Forse non dovevo andare da loro, a quell’ora, di domenica, alle undici. Stavo per ritelefonare. Poi, alzai le spalle e mi avviai al loro portone. Schiacciai il pulsante del citofono. Mi rispose Norna.
‘Ti vengo incontro, Luciano.’
S’aprì il portone e sentii scendere qualcuno, a precipizio, con passo leggero. Ero giunto al primo pianerottolo, quando una splendida fanciulla mi si gettò al collo, raggiante.
‘Come sei bello, Luciano! Proprio come ti ricordavo.’
‘ Ma tu sei una signorina mozzafiato. Adesso non posso più chiamarti Impiccetta.’
‘Aspetta e vedrai. I miei perché saranno innumerevoli. Devo rifarmi di dodici anni.’
Le detti i gianduiotti.
‘Che bello! Ricordi ancora che ne vado matta. Sai? In una scatoletta, nel primo cassetto del mio comò, conservo uno dei gianduiotti che mi hai regalato il giorno che sei partito.’
La presi per mano, come quando era piccina, e salimmo, insieme, le scale. Sull’uscio era ad attendermi la signora Rosa, che mi abbracciò con calore.
‘Entra, Luciano, entra. Posso chiamarti Luciano, anche adesso che sei una persona importante?’
‘Non ho cambiato nome, signora, e in quanto ad importanza é lei che me ne vuol dare. Il signor Remo?’
‘Remo é andato a giuocare a bocce, al Circolo. Sarà contentissimo di trovarti qui. Vieni. Tu la casa la conosci, specie quella parte che era il tuo appartamento e che abbiamo unito al nostro. E’ stato sufficiente aprire una porta tra i due ingressi. Andiamo in salotto. Te lo ricordi? I mobili sono sempre gli stessi.’
Norna non mi lasciava la mano. Mi condusse nel salotto, sedemmo sul comodo e soffice divano. Mi si mise sottobraccio. Rosa mi ringraziò per i bellissimi fiori. Disse che andava a preparare un caff&egrave, ci lasciò soli.
‘Allora, Impiccetta, quali sono i tuoi perché?’
‘Perché non mi hai mai pensato?’
‘Ti ho pensato sempre.’
‘Perché non mi hai mai scritto?’
‘Sono un pigrone e, inoltre, non sapevo se avresti voluto ricevere mie lettere.’
Mi guardò, incredula.
‘Sei un imbroglione, anche un bugiardo. La verità é che di me non ti é importato niente. E non t’importa niente. Ricordi quando assicuravi che, una volta io fossi divenuta grande, mi avresti voluto tanto bene?’
‘Lo confermo.’
‘Mah!’
‘Allora, perché sarei qui, oggi?’
‘Ritorno sui luoghi dell’adolescenza.’
‘Anche, certo, ma soprattutto per vedere come é diventata la mia piccola Impiccetta.’
‘Come l’hai trovata?’
‘Un fiore meraviglioso, quello che prometteva di divenire la bellissima bimbetta d’allora.’
‘Adulatore.’
‘Sei veramente bella, Norna. Tu lo sai: te lo dice lo specchio, te lo diranno tutti.’
‘Tutti, chi?’
‘Il tuo ragazzo, gli amici…’
‘Non ho ragazzo, e non parliamo degli amici. Ho solo conoscenti.’
‘Non hai un ragazzo?’
‘No.’
‘Come mai?’
Mi si accostò, come una gattina.
‘Aspettavo te.’
‘Sei sempre la solita burlona.’
Assunse un’espressione seria.
‘Luciano, ho sempre pensato a te. Poi, quando ho iniziato la prima media, ho deciso di tenere un diario, anzi un ebdomadario, dove annotare quello che mi passava per la mente. Sono cresciuta con te. Ti ho raccontato sempre tutto. Anche quello che non dovevo. Ti farò vedere la mia raccolta, i miei quaderni. Ma non devi leggerli, sono confessioni che mi mettono a disagio. Di quando in quando, ci sono impresse le mie labbra. Ho iniziato col rossetto della mamma. Di nascosto, me lo mettevo, e poi baciavo il foglio del diario. Era come se baciassi te. Ricordi i bacetti che ti davo? In seguito, però, hanno assunto un altro significa. Una volta, quando ancora andavo all’asilo, ti chiesi se tu volessi sposarmi. Mi hai risposto di sì, ma che dovevo sbrigarmi a crescere. E crescevo perché tu potessi mantenere la tua promessa. Mi dirai che sono infatuata, fissata. Forse é così, ma come potevo pensare ad un ragazzo, se ho sempre atteso te?’
‘E se non fossi tornato?’
‘Saresti tornato, lo sapevo. Il mio nome é Norna, quello della dea nordica della vita, del destino, che comunica in segreto con gli spiriti, attraverso il nyrn.’
‘Sei bella come una dea.’
‘Dici?’
‘No, constato. Ora che mi hai visto, non sei delusa notando che la realtà é ben inferiore alle aspettative?’
Con civetteria lo baciò sulla guancia.
‘Sempre un po’ falso modesto! Sei bello, elegante, simpatico, sei già ben affermato nella professione, quale delusione? Piuttosto, il crollo d’un castello che avevo costruito in aria.’
‘Cio&egrave?’
‘Oggi sono di fronte alla realtà: ecco Luciano, che ha popolato i miei sogni di bambina, d’adolescente, di ragazza, Luciano che non mi ha mai incoraggiato, ma che aspettavo come il Messia, Luciano che molto probabilmente attraverserà la mia vita come una breve meteora, che questa sera uscirà per sempre dalla mia esistenza, ed io resterò per sempre abbagliata dal suo passaggio. E’ il doloroso risveglio da un sogno.’
Il caff&egrave di Rosa, tardava a giungere.
‘Impiccetta, ho da dirti tante cose, ma non adesso. Possiamo vederci, nel pomeriggio? Andare, come facevamo una volta, a Pratogiardino, o al Bulicame? Allora ti portavo in bici, oggi c’é l’auto. Vuoi?’
Annuì vivamente.
Rosa, con perfetto tempismo, entrò col vassoio che poggiò sul basso tavolino. Sedette sulla sedia, mi chiese se volessi dello zucchero, del latte, mi porse una tazzina.
‘Luciano, tu, logicamente, resti a pranzo con noi.’
‘Grazie, signora, ma non voglio arrecare disturbo.’
‘Nessun disturbo, caro. Sono certa che Norna avrà tante cose da dirti e da chiederti. Lo sai che si é iscritta a medicina, a Roma? Ha detto che voleva fare la stessa tua facoltà. Mi é sembrato di leggere che tu hai un incarico all’Università.’
‘Si, m’interesso degli specializzandi in cardiochirurgia. Una specie di tutoraggio. Spero di vincere una cattedra, almeno come associato.’
‘Così giovane?’
‘Sono trentadue compiuti, signora, e la strada é lunga, specie nel mio campo. Bisogna studiare sempre, e molto, per ottenere qualche soddisfazione.’
‘In bocca al lupo.’
‘Grazie.’
‘Io vado di là, ragazzi, voi seguitate a parlare. Fra un’ora rientrerà Remo, e andremo in tavola.’
Uscì, chiudendosi alle spalle la porta.
‘Vieni qui, Impiccetta, vieni a sedere sulle mie ginocchia, come un tempo. Ora, però, sei una bellissima donna, e la cosa é ben differente. Vieni, se lo vuoi anche tu.’
Norna, mi balzò sulle ginocchia, abbracciandomi.
‘Cosa vorresti dirmi, nel pomeriggio, a Pratogiardino?’
‘Che, anche se non ci credi, sei sempre stata nel mio cuore. Ti vedevo crescere, nella mia mente, e immaginavo come quella bella bimba stava divenendo. Le tue gambette snelle, il tuo visetto, il tuo personalino. Oggi, la fantasia, anche la più ottimista e lusinghiera, é stata superata dalla realtà. Sei bellissima. Viso incantevole, gambe da sballo, un corpo che le pin-up girl t’invidiano. La tua gaiezza di sempre, la tua vivacità. Quello che mi ha commosso, al di sopra d’ogni cosa, però, é la tua tenerezza, la tua dolcezza, é che ora sei sulle mie ginocchia, coi boccoli trasformati in lucidi, morbidi capelli che mi accarezzano il volto. E’ come se non ti avessi lasciato mai.’
Mi si strinse appassionatamente.
‘Anche per me, Luciano. Ma sarà solo il piacere dell’incontro, dopo tanto tempo?’
‘Non credo. E’ una felicità attesa da sempre. Almeno per me.’
‘Non ancora riesco a comprendere se sia un sogno.’
La baciai sulla bocca, dolcemente.
‘E’ un sogno, Impiccetta?’
‘Non lo so, non l’ho mai provato, nella realtà. E’ come nel sogno, ma molto più bello. Cullami, Luciano, come facevi allora.’
La cullai teneramente, col visetto sul mio petto, canticchiando, sottovoce:
‘Dormi, bimba, piano piano,
tra le braccia di Luciano.
Fa la nanna, dolce amore,
fa la nanna sul mio cuore.
Sul mio cuor la tua faccetta,
la faccetta d’Impiccetta…’
Mi guardò con profonda commozione. Poi, gli occhi le brillarono, maliziosi.
‘M’addormentavo così?’
‘Si.’
‘Adesso non lo farei.’
Le scambiò lo sguardo.
‘Neppure… dopo?’
‘Forse, ma in seguito a molti… dopo.’
Mi sfiorò con un bacio.
‘La solita Impiccetta birichina.’
Si sentì aprire la porta di casa, e la voce di Remo, che salutava.
‘Salute, sono tornato.’
Rosa gli andò incontro.
‘Remo, indovina chi c’é?’
‘Dove?’
‘In salotto.’
‘Chi é?’
‘Luciano.’
‘Luciano ?! Finalmente. Norna lo sa?’
‘E’ con lui.’
Norna tornò a sedere sul divano.’
Rosa e Remo entrarono. Mi levai in piedi, andando verso di lui. Remo miabbracciò con trasporto.
‘Come te sei fatto omo, dotto’. Me sembri un professore.’
Rosa lo guardò, con gli occhi lustri.’
‘A Re’, ma lo é professore.’
‘Ammappete, Lucia’, fatte vede quanto sei bello. Nun sai quante vorte t’ha nominato Norna, pensava sempre a te. Dove starà, cosa farà, se ricorderà de me. Eccolo, Luciano, Norna. Mò che dichi?’
‘Che avevo ragione, papà.’
Remo si guardò intorno.
‘Sediamoci, che famo in piedi?’
Ero emozionato, per tanto affetto
‘Come sta, signor Remo?’
‘Me difenno, ma so’ stato male.’
‘Cosa ha avuto?’
‘Robba de core. Così ha detto subito, il dottor Palmeri. All’ospedale m’hanno tenuto un par de settimane in osservazione e cura, Poi é venuto uno specialista. In che cosa, Norna?’
‘In emodinamica.’
‘Sì. M’ha fatto andare a Roma, e m’ha smucinato: coronarografia, angiografia, coi tubicini, li stent. Se dice così, vero, Luciano? Tu, te ne intenni de core?’
‘Papà, Luciano é cardiochirurgo.’
‘E va be’, ma a domannà nun se sbaja, E poi, dopo un po’ de giorni, so’ tornato in ospedale, m’hanno visitato, fatto la risonanza, e m’hanno messo ‘na valvola in una vena. Eccome qua. Pieno de pillole e cerotti, perché er sangue nun se deve da coagulà. Io, ad ogni modo, a bocce ce gioco sempre.’
‘Fa bene, signor Remo, senza, però, affaticarsi. E il lavoro?’
‘Anche quello va bene. Io m’interesso solo della parte finanziaria, bancaria. Per il resto m’aiutano un giovane commercialista e un ingegnere dei trasporti. Adesso, oltre il trasporto delle persone, di materiali e di liquidi, ci interessiamo anche di trasporti speciali. Te devo fa’ vede’ la sede. Volevamo costruirci una villetta, accanto, ma a me piace sta’ nella casa dove so’ nato mezzo secolo fa, dove sto co’ Rosa da ventuno anni. Ma dimme de te.’
‘Adesso sono a Roma.’
Rosa intervenne.
‘Dopo ti dico tutto io, Remo. Adesso datti una rinfrescata. Norna, accompagna Luciano nella camera degli ospiti, fallo mettere a suo agio. Anche tu hai bisogno di passare davanti allo specchio! Fra dieci minuti a tavola. Fidalma ha preparato tutto.’
Uscì con Remo. Norna mi dette la mano.
‘Vieni.’

Dopo il pranzo, magistralmente allestito da Fidalma, secondo l’antica tradizione della Tuscia, e privilegiante una deliziosa e leggera qualità, eravamo passati in salotto, per il caff&egrave.
Remo aveva assaggiato un po’ di tutto, rispettoso della dieta medica e sotto lo sguardo vigilante di Luciano.
‘Bravo il signor Remo, ho notato che é un paziente modello.’
‘Caro Luciano, preferisco fa’ il paziente che l’ex. Adesso, se permetti, vado a fare un riposino.’
Norna si rivolse al padre.
‘Papà, io farei visitare a Luciano il complesso Santrans. C’é sempre qualcuno, vero? Poi faremmo un giretto, come quando mi portava a spasso, per mano o in bici.’
‘Andate, ma se Luciano preferisce fasse ‘na pennichella…’
Mi alzai, per salutare Remo.
‘Veramente, gradirei fare due passi.’
Rosa assentì, senza dir nulla.
Remo si fermò sulla porta.
‘Lucià, te fermi stasera, vero?’
‘Domani alle sette devo essere in ospedale.’
‘Devi da opera’?’
‘Fino a questo momento non é prevista, per me, sala operatoria. Salvo che non mi informino diversamente, tramite il telefonino.’
‘Va be’, ne parlamo a cena. Io vado.’
Norna disse che andava a prepararsi.
Tornai a sedere sul divano.
Rosa disse che sarebbe rimasta lei, a farmi compagnia, e mi si mise accanto.
La ragazza uscì.
‘Come l’hai trovata, Norna?’
‘E’ una ragazza splendida, affascinante, briosa, gaia.’
‘Per me é sempre una bambina, anche se fra due mesi compirà diciannove anni.’
Scosse la testa, pensosa.
‘Io a diciannove anni avevo già sposato Remo. Il geometra Santoni, come lo chiamava mio padre.’
‘Lei sembra la sorella di Norna, signora Rosa. E’ giovanissima, nel fiore degli anni. Io la ricordo sempre così. Sa che passavo ore a guardarla, dalla finestra del cortile, da dietro le tende, mentre lei leggeva, in poltrona, fin da quando aspettava Norna? Avevo sui tredici anni e, seduto alla scrivania, dimenticavo di fare i compiti, incuriosito da quella mammina in attesa. Poi, la nascita della piccola, il mio voler assistere al bagnetto di Norna, a quando lei la fasciava, l’allattava, la coccolava. Ho sentito, subito, che quella bambolina era un po’ anche mia, ed é nata la perfetta intesa tra me e Impiccetta. Forse anche perché così, in un certo senso, ero legato anche a lei, alla mammina di Norna.’
‘Come sei caro, Luciano. Noi ti abbiamo sempre considerato parte della famiglia. Per me sei stato un fratello minore, ed era naturale che ti affezionassi a Norna.’
‘Sono stato un fratello minore. Ora, cosa sono?’
Rosa s’alzò, andò al balcone, si voltò verso Luciano.
‘Non lo so. Non lo so. Ho visto come ti ha accolto Norna. Ne ho scrutato il volto, gli occhi, dopo che era stata qui, a parlare con te. L’ho osservata a tavola, come ti contemplava. Sono preoccupata. Non vorrei che s’illudesse, che soffrisse. Come vuoi che ti consideri? Amico? Non amico? Ancora fratello? O che altro?’
‘Norna non soffrirà, non resterà delusa. Mi dia il tempo di riflettere, soprattutto di sondare i suoi e miei sentimenti, E poi sarà certa della mia amicizia, del mio affetto, della mia devozione.’
Riapparve Norna, elegantissima nel suo abito sportivo.
‘Andiamo con la mia o con la tua auto, Luciano?’
‘Come tu vuoi.’
‘Allora, con la mia. Ma la guiderai tu.’
Guardò la madre e me.
‘Di cosa stavate parlando, siete così seri.’
Rosa la fissò.
‘Parlavamo di te.’
‘Male, logicamente.’
Le detti un’affettuosa pacca sul sedere.
‘Come altrimenti si potrebbe parlare di te, Impiccetta? Andiamo. Signora Rosa, a dopo.’
Uscimmo, andammo nella rimessa, all’inizio della salita. Norna spinse il pulsante, la porta s’aprì.
‘Vieni, Luciano, é questa.’
S’avvicinò ad una spyder, con hard top.
‘Però, si tratta bene la signorina. Un’Alfa super sport.’
‘E’ papà che mi vizia.’
‘Ti trovi bene, a guidarla.’
‘Veramente, per me é un po’ troppo veloce. Non corro mai. Ma fa scena. Guida tu.’
Salimmo in auto, misi in moto, uscimmo lentamente, verso via dell’Orologio Vecchio.
‘Dove andiamo, Norna?’
‘Vuoi vedere la sede della Santrans?’
‘Si.’
‘Allora, va verso Porta Fiorentina, e poi per Via Baracca.’

Il complesso era molto ampio, con rimesse, officina, lavaggio, reparto selleria, la palazzina degli uffici. In un angolo, il magazzino ricambi e rifornimenti e, poco oltre, in un recinto modernamente attrezzato con ogni sistema di sicurezza, le pompe per benzina e gasolio.
Il custode ci salutò, e digitò numero targa e tipo auto, sulla tastiera del computer. Gli estremi erano già inseriti in memoria, e la sbarra s’alzò automaticamente.
‘Parcheggia in quel riquadro giallo.’
Scendemmo, ci avvicinammo alla porta della palazzina uffici. Norna prese delle chiavi dalla sua sacca ed aprì. L’ascensore ci portò al primo piano.
‘Vieni, ti faccio vedere il mio ufficio.’
‘Perché, hai un ufficio?’
‘Certo.’
‘E ci vieni?’
‘Quasi mai. Vieni.’
Il locale era ampio, luminoso, modernamente arredato. Computer, fax, pannello magnetico sulla parete. In un angolo, divano e poltrone, di pelle scura, frigobar, televisione, registratore. Una porta conduceva ad un elegante locale doccia, con tutto quanto serviva.
‘Siedi sul divano, Luciano. Vuoi qualcosa da bere?’
‘Ad esempio?’
‘Anche champagne, o succhi di frutta. In quell’armadietto c’é la macchina per il caff&egrave. Desideri?’
‘Averti sulle mie ginocchia.’
‘Subito!’
E mi si sedette in grembo.
‘Impiccetta?’
‘Si?’
‘Possiamo tenere un discorso serio?’
‘Io sono sempre seria, specie quando mi sforzo di non apparire tale.’
‘Lo so, monella. Ma quanto ti devo dire é importante.’
‘Ti ascolto.’
Si sistemò meglio sulle mie ginocchia, elmi passò un braccio intorno al collo.
‘Norna, sei cresciuta…’
‘Allora?’
‘Cosa dobbiamo aspettare ancora, per… sposarci?’
‘Luciano, non scherzare.’
‘Perché, tu scherzavi quando dicevi di volermi sposare?’
‘Forse, allora lo dicevo senza sapere di cosa parlavo. Sposare te significava starti sempre vicina, ascoltarti, andare a spasso con te…’
‘E adesso, cosa significherebbe?’
‘Vivere con te, per sempre, amarti, avere dei figli da te.’
‘Esatto. Ripeto la domanda. Vuoi sposarmi?’
Balzò in piedi, si mise di fronte, con gli occhi spalancati.
‘Luciano, ti rendi conto di quello che mi chiedi?’
‘Impiccetta, vuoi sposarmi?’
‘Perché ti avrei atteso, allora, per tutta la mia breve vita? Perché sarei andata alla Madonna della Quercia a promettere, come s’usava un tempo, o di Luciano o di nessuno? Lo sai che non ho mai baciato nessun uomo, dopo la tua partenza e prima del tuo ritorno? Dirai che sono pazza. Si, pazza d’amore, dell’amore che ho vissuto solo in sogno. E chi potrei sposare se non te, che mi conosci da quando sono nata.’
Scoppiò a ridere, nervosamente.
‘Da quando facevo pipì sui tuoi pantaloni!’
Mi buttò le braccia al collo, baciandomi perdutamente.
‘Sei la monella di sempre.’
Le detti due affettuose pacche sul sedere, indugiando, però, a carezzarle, con sensualità, le forme sode ed eccitanti.
Mi sussurrò, provocante:
‘Sono cambiata?’
‘Sei sbocciata. Sei un frutto rigoglioso, appetitoso, attraente, stuzzicante.’
‘Saporito?’
‘Mi riservo la risposta.’
‘Non farlo appassire.’
‘Non può accadere, sta appena entrando nella sua precoce maturità.’
Mi serrò con passione.
‘Mangiami, Luciano, mangiami…’
‘Non chiedo di meglio, bambolina.’
La baciai, la carezzai sempre più audacemente, mentre lei s’abbandonava a delizie sconosciute.
Scarmigliata, ansante, mi guardò negli occhi.
‘Andiamo a dire a casa che ci sposiamo.’
‘Subito?’
Si abbandonò ancora tra le mie braccia.
‘Più tardi. Adesso baciami, carezzami.’

Eravamo di nuovo in salotto.
Remo mi chiese cosa ne pensassi dell’azienda, e mi confidò che stava considerando attentamente l’opportunità di ampliarla, eventualmente di trasformarla da SRL a SpA. Rosa seguiva la conversazione, con la massima attenzione. Di quando in quando, guardava la figlia, sul divano, stretta a me.
‘Lo sai, Luciano, che Norna é socia della Santrans? Detiene il 24% del capitale, come Rosa. Il resto, ovviamente, é intestato a me. Almeno per il momento, poi vedremo. Tu che ne pensi che la bimba vuole fare medicina? Io credo che sia una facoltà lunga, pesante, impegnativa.’
Assentii, pensoso.
‘E’ come dice lei, signor Remo. Io suggerirei, invece, di seguire i corsi della International Business School, sono molto interessanti e Norna diverrebbe un prezioso elemento per la vostra azienda.’
Norna si strusciava a me, come un gattino.
Rosa la guardò, con un lieve rimprovero negli occhi.
‘Pupa, gli stai togliendo l’aria, a Luciano. Non vedi che non lo fai nemmeno respirare?’
‘Questo é niente, mamma, se ne accorgerà in seguito.’
‘Che vuoi dire?’
Feci un profondo respiro, misi il suo braccio sulle spalle di Norna e l’attirai ancor più a me. Deglutii.
‘Scusate, ma sono molto più a mio agio quando devo intervenire, in sala operatoria, sotto gli occhi del mio primario. Cercherò di farmi animo, anche perché sono abituato ad agire a… cuore aperto. La piccola Norna, che ho cercato, oggi, dopo dodici anni, e che ho trovato splendida come mai avrei immaginato, e voi, che mi avete accolto con affetto insperato, confermano il mio desiderio, fino a questa mattina vago, di voler trascorrere con lei il resto della mia vita.’
Rosa e Remo guardarono Norna.
‘Non fate quella faccia, io ve l’ho detto ogni giorno, che aspettavo Luciano, il mio fidanzato di sempre, e, siate sinceri, anche voi lo attendevate. Adesso, di cosa vi meravigliate?’
Rosa scosse leggermente il capo.
‘Mi meraviglio che neanche vi siete ritrovati, e già parlate di passare insieme il resto della vita. Che vuol dire, poi, passare insieme?’
Remo intervenne.
‘Già, che significa?’
‘Papà, stare insieme, come marito e moglie.’
‘Senza sposarvi, che sò, in chiesa, al comune.’
‘Questo é un dettaglio al quale si può provvedere.’
Rosa s’inserì.
‘Norna bella, il vestito bianco, la festa, il viaggio di nozze…’
Cercai di riportare il discorso sul terreno pratico.
‘Sicuro, il vestito bianco, la cerimonia. Nessuno vuole sottrarsi a ciò.’
Norna non era completamente d’accordo.
‘Si, ma quanto tempo perdiamo, quanto devo aspettare ancora? Con o senza vestito bianco, Luciano s’accorgerà di come mi presento a lui.’
Remo era attonito.
‘Bimba mia, ascolta, facciamo tutto in due settimane, anche meno, forse. Ma tu, non sei troppo precipitosa? Ci hai pensato bene? Ti sposi e vai a frequentare medicina? Dove andrete ad abitare? Qui da noi c’é quanto posto volete, ma Luciano lavora a Roma.’
Norna era alquanto tesa.
‘Se si tratta di dodici giorni, da aggiungere ai dodici anni, va bene, ma non uno in più. Per gli studi, mi sta bene frequentare la Business School, In quanto ad abitare qui, non se ne parla. Io devo stare con Luciano, giorno e notte. Soprattutto la notte. Qui ci verremo a scroccarvi ospitalità. Luciano mi ha detto che vive solo, in una grande casa, a Via Aldovrandi, con una vecchia governante che l’accudisce. Voglio proprio vedere quanto vecchia.’
Rosa guardava la figlia, cercando di non irritarla.
‘Perché non ne riparliamo domani, con calma?’
‘Per favore, mamma, domani cercate di mettere in moto le cose affinché quest’altro sabato io mi possa sposare. In chiesa mi va benissimo, altrimenti in Comune. Io, intanto, domani andrò a Roma, ad iscrivermi alla Business School, Mi accompagni a Roma, Luciano?’
‘Quando?’
‘Domattina.’
‘Devo prima sentire il professore, altrimenti alle sette, come ho detto, devo essere in ospedale’
‘Il telefono é su quel tavolino. Telefonagli adesso, per favore.’
Quasi come un autom, mi alzai, andai vicino al tavolino, formai il numero, attesi qualche secondo, parlai, sottovoce, con tono cortese, Ringraziai, tornai a sedere sul divano.
‘Bene, vengo a prenderti domattina, alle otto va bene?’
‘A prendermi? Ma tu dormi qui, c’é una camera tutta per te.’
Remo e Rosa assistevano, confusi, a quanto accadeva.
Rosa sembrò come svegliarsi da un torpore.
‘Luciano, resta qui, da noi. Così avremo più tempo, Remo ed io, per chiarirci le idee. Sai, si sta svolgendo tutto così precipitosamente.’
‘Mamma, sono anni che ti dico: appena torna Luciano me lo sposo!’
‘Si, Norna bella, ma una cosa é dire ed altra fare.’
‘Allora, sbrighiamoci e facciamo.’

Norna entrò nella sala da pranzo, già pronta per partire.
Erano circa le otto. Remo e Rosa erano intenti a far colazione, Fidalma entrò per portare del succo d’arancia. Io ero seduto, senza nulla dinanzi. Mi alzai e andai incontro alla ragazza che, incurante dei genitori, mi baciò sulla bocca.
‘Non preoccuparti, Luciano, non ho ancora messo il rossetto. Facciamo colazione?’
Senza attendere risposta andò a sedere, e mi fece cenno di andarle vicino.
Remo, si rivolse ai giovani.
‘Andate con l’auto di Luciano?’
Norna staccò dalle labbra il bicchiere con succo.
‘Si.’
‘Dove mando a prenderti, pupa, per tornare, questa sera?’
‘Non preoccupatevi, o mi riaccompagna Luciano e dormo da Teresa. Vi telefonerò.’
Si prepararono ad uscire.
Norna baciò il padre, abbracciò la madre.
‘Mi raccomando, ragazzi’ ‘disse Rosa- ‘andate piano, state attenti, fate tutto con giudizio. Specie tu, Norna bella, sii giudiziosa.’
‘Come sempre, mamma. Ciao.’

Mentre stavamo viaggiando verso Roma, Norna era raggiante.
‘Ieri mattina, a questa stessa ora, tutto era grigio, intorno a me. Adesso é sorto il più bel giorno della mia vita. Starai molto in ospedale?’
‘Non credo, ma nel pomeriggio devo andare nella clinica del professore.’
‘Fino a che ora?’
‘Alle sette, questa sera, sarò, comunque, libero. Se ti serve l’auto la puoi adoperare. Ricordati di telefonare a Teresa.’
‘L’auto no, preferisco muovermi in taxi. Tu mi accompagni alla Business School?’
‘Certo.’
‘Poi, mi fai vedere casa tua?’
‘Si, é abbastanza vicino alla Scuola.’
‘Bene, così non dovrò fare molto cammino, in seguito.’
Si avvicinò a me e mi baciò sulla guancia. La guardai.
‘Non distrarti, pensa a guidare, adesso.’
Alla Business School, accettarono subito l’iscrizione. Norna aveva portato una copia della maturità, conseguita col massimo dei voti. La informarono che i corsi sarebbero iniziati il primo di ottobre. Cinque giorni alla settimana, quattro ore al giorno.
Risalendo in auto sembrava soddisfatta.
‘Andiamo a casa, Luciano?’
‘Certo. Non é lontana, costeggiamo un po’ di Villa Borghese, dov’era lo zoo, e siamo arrivati.’
‘Chi ti aspetta?’
‘La governante, Franca. L’ho avvisata.’
‘Quando?’
‘Ieri sera, col cellulare.’
‘Perché?’
‘Per non farla preoccupare, visto che non rientravo.’
‘Si preoccupa, per te?’
‘Si.’
‘Perché?’
‘Come una mamma, mi tratta come un figliolo.’

Franca l’accolse con un largo sorriso.
‘Benvenuta, signorina, si accomodi. Il dottore mi ha molto parlato di lei.’
‘Grazie. Ma quando le ha parlato di me, Luciano?’
‘Sempre, sin da quando ero a servizio da loro, a Padova, più di dieci anni fa.’
Franca era una simpatica donna, tra i cinquanta e i sessanta, molto curata nella persona, e naturalmente premurosa, senza essere servile.
‘Se ha bisogno di qualcosa, signorina, le ho preparato la camera che usano i genitori del dottore (ma sa, io lo chiamo Luciano, e se lei lo permette seguiterò a chiamarlo così) quando vengono a Roma. E’ bella, col balcone sulla strada. Forse é un po’ rumorosa, ma ha i doppi vetri, e noi siamo all’attico. Gradisce un caff&egrave, qualcosa d’altro?’
Intanto, erano entrati nello studio di Luciano.
‘Grazie, Franca, non desidero nulla. Lei, logicamente, seguiti pure a chiamarlo Luciano.’
‘Sto preparando il pranzo, signorina, ha qualche piatto particolare che gradirebbe o qualcosa che non le piace?’
‘Mangio di tutto, non si preoccupi.’
‘Allora, servirò alle tredici, perché poi il dottore dovrà uscire. Permesso.’
Mi ero seduto alla scrivania.
Lei mi si mise alle spalle, mi rovesciò la testa, mi baciò con ardore.
Vide il paravento, con dietro il lettino per le visite e, vicine, ai lati, due porte.
‘Dove conducono, quelle porte, Luciano?’
‘Quella di sinistra, allo spogliatoio-bagno, quella di destra al locale dove ho delle apparecchiature.’
‘Quali?’
‘Elettrocardiografo, ecocolordoppler, altri apparecchi per prove da sforzo…’
‘Me li fai vedere?’
‘Si, vieni.’
Mi alzai, la presi per mano e la condussi dov’erano le macchine.
Norna guardò tutto con attenzione. Si fermò dinanzi a un monitor.
‘Cosa si vede?’
‘E’ collegato all’ecografo, e da queste fessure escono le foto.’
‘A colori?’
‘Si.’
‘E cosa si vede?’
‘Se il cuore e i vasi sanguigni sono a posto, o meno.’
‘Come si fa?’
Presi una specie di microfono a cono, unito all’apparecchio con un cordoncino elettrico.
‘Questo, od altro simile, a seconda dell’esame, si poggia sulla parte, si muove, e sul monitor appare la figura dell’organo che stiamo esaminando, Io, in particolare, mi interesso del cuore e dei vasi circostanti.’
‘Si vede il cuore?
Potresti vedere anche il mio?’
‘Certo.’
‘Scrutalo, Luciano. Dentro c’é scritto il tuo nome.’
Lui sorrise.
‘Luciano, fammi il doppler. Si chiama così?’
‘Più o meno.’
‘Su, fammi la fotografia del cuore.’
‘Piccola, devo accendere gli apparecchi, devi sdraiarti su quel lettino. Ci vuole tempo.’
‘Hai fretta?’
‘No.’
‘Allora, fammelo, per favore. Poi ti do un bacetto.’
‘OK, va nell’altra stanza, nello spogliatoio, spogliati e indossa uno dei camici che sono nello scaffale. Sono in custodie di plastica, sigillate.’
‘Devo spogliarmi?’
‘Sicuro, il rilevatore deve poggiare sulla pelle nuda e cosparsa d’uno speciale gel.’
‘Vado.’
Norna uscì.
Accesi gli apparecchi, srotolai sul lettino uno striscia di carta, nuova, impostai il computer coi dati di Norna.
Lei tornò, indossando il camice celeste pallido. Era completamente aperto sul dorso, e appena fermato con un legaccio, sul collo. Si mise accanto al lettino, dov’era uno scalino.
‘Adesso, voltati, che devo slacciare il camice.’
Si voltò, le sciolsi i piccoli legacci, il camice s’aprì, lasciando intravedere forme che la Venere callipigia avrebbe invidiato, spalle perfette, natiche incantevoli. I tempi goliardici avrebbe detto prensili.
Tentai di scacciare il riferimento dal pensiero, e ripresi il self control professionale.
‘Vieni, ti aiuto a sdraiarti.’
La sostenni mentre saliva sullo scalino, e a distendersi sul lettino. Le scarpine rimasero sul pavimento. Spostai il gradino verso il fondo, si avvicinò, le accomodò il camice intorno alle gambe, le fece sfilare le braccia dalle maniche e abbassai quella specie di tunica, arrotolandola sull’ombelico.
Apparve un seno sodo, rigoglioso, spavaldamente proteso, con due capezzoli vermigli, fiorenti, provocanti.
Norna mi guardava con occhi sfolgoranti.
‘Come sta?’
‘Ancora devo iniziare.’
‘Io dicevo il seno. Te lo domando come medico.’
‘Stupendo, alla vista…’
Lo palpeggiai a lungo, con i polpastrelli delle dita, soffermandomi sui capezzoli. Percepii il suo leggero fremere, mentre seguitava a fissarmi, con le mani lungo il corpo, aggrappate alle sponde del lettino.
‘… perfetto ed… eccitabile al tatto. Nessun nodulo. Adesso cominciamo.’
Spensi la luce centrale, lasciando acceso solo un tubicino al neon, nell’angolo basso della parete.
Mi avvicinai a Norna.
Da un grosso tubo feci cadere del gel, sotto la mammella sinistra, lo sparsi leggermente con le dita. Impugnai un piccolo strumento, e cominciai, lentamente, a passarlo dove avevo messo quella specie di marmellata incolore. Guardavo sul monitor, muovevo dei comandi. Si sentiva lo scroscio del sangue nelle arterie della ragazza, poi il pulsare delle vene. Premendo un bottone, facevo uscire delle immagini fotografiche.
‘Tutto perfetto, bimba, ma devi essere un po’ agitata, la frequenza é alquanto più alta del normale.’
‘Sento scoppiarmi il cuore, Luciano, con quel tuo carezzarmi.’
‘Vediamo se é vero.’
Le strinsi il capezzolo, mi chinai a baciarla sulla bocca, inserendole lentamente la lingua tra le labbra. Lo scroscio del sangue aumentò come il rumore d’una cascata.
‘E’ vero.’
‘Mi fai morire, Luciano.’
‘Non ti preoccupare, sono medico.’
Presi della carta speciale e cominciai a toglierle il gel. Piano, con lentezza esasperante, passando anche dove non avevo messo la pomata.
‘Mettiti seduta, voglio auscultarti.’
Lei sedette sul lettino, con le ginocchia alzate.
Le poggiai l’orecchio sulla schiena, la feci respirare profondamente, tossire. Passai sul petto, prima usando il fonendoscopio, poi la guancia, il mio orecchio, le carezzarono le mammelle, titillarono i capezzoli.
‘Distenditi di nuovo. Visto che ci siamo, completiamo l’esame.’
Le tolsi completamente il camice e sparsi il gel sull’addome. Tornai all’ecografia: reni, fegato, ovaie, utero.
Asciugai accuratamente la parte. Norna respirava profondamente, con le nari dilatate, le labbra socchiuse.
‘Abbiamo quasi finito. Alza le gambe e poggiati sulla pianta del piede. Ti aiuto io. Brava, così. Un momento.’
Riaccesi la luce centrale. Andai ai piedi del lettino. Mi chinai, dilatai le grandi labbra, le piccole, controllai il meato urinario, l’ingresso della vagina, toccai appena il clitoride, rigido, che provocò un sobbalzo di Norna. Detti una piccola carezza a quell’incantevole cespuglio corvino. Andai a baciarla.
‘Perfetta dal punto di vista medico, esteticamente sei uno schianto.’
La feci alzare in piedi, le poggiai il camice sulle spalle.
‘Non mi vedevi così da quando facevo il bagnetto. Vero, Luciano?’
L’aiutai a calzare le scarpine, l’accompagnai nello spogliatoio, sedetti, indiscreto, su uno sgabello, mentre lei cominciava, piano, a rivestirsi.
‘Si, Impiccetta, ma adesso é tutta un’altra cosa. Dimmi un po’ ma tuo padre non ha fatto accertamenti del genere?’
‘Si, e li fa anche adesso, periodicamente.’
‘E tu non sapevi in cosa consistessero?’
‘Lo sapevo perfettamente, una volta ero presente!’

Dopo pranzo, mi preparai per andare in clinica. Sarei tornato dopo le diciannove. Norna mi chiese un passaggio, voleva andare in via del Babbuino, in una libreria straniera.
‘Come tornerai, qui?’
‘Col taxi.’
‘Telefona a Teresa e ai tuoi. Di a Teresa che andrai da lei sul tardi, dopo il cinema.’
‘Non preoccuparti.’
La lasciai a Trinità dei Monti, vicino la salita di San Sebastianello. Lei scese verso Piazza di Spagna. Entrò in un elegante negozio di biancheria. Scelse la più bella e cara camicia da notte. Bianca. Uscì, poco discosto c’era il posteggio di taxi, si fece riportare a casa di Luciano.
A Franca, chiese di poter fare qualche telefonata.
‘Si accomodi, signorina, nella camera che lei conosce c’é il telefono. Vuole un t&egrave?’
‘Si, grazie, Franca, ma se chiama Luciano per nome non vedo perché non debba fare altrettanto con me.’
La donna sorrise.
‘Grazie, ci proverò. Si accomodi pure, vado a preparare il t&egrave.’
Norna confabulò a lungo con Teresa, ed anche con la mamma. Rassicurò tutti. L’iscrizione era stata fatta, le cose andavano benissimo. Sarebbe tornata l’indomani, accompagnata da Luciano.
Fu prodiga di sorrisi con Franca.
Appese la candida camicia nell’armadio. Disse che avrebbe riposato un po’. Il letto era invitante, poi, prima di cena, avrebbe fatto una doccia.
‘Per favore, Franca, mi chiami alle diciotto. Potrei addormentarmi.’
‘L’avvertirò per telefono, sia sicura.’

Tornai all’ora stabilita. Lei mi venne incontro, radiosa nel volto, lievemente ma perfettamente truccata.
‘Sei stanco, caro?’
‘No, abbiamo solo esaminato alcuni casi, sulla carta. Il professore é stato gentilissimo e comprensivo. Quando gli ho detto che avrei desiderato accompagnare nella sua città la mia fidanzata, domani, si é congratulato con me, ha espresso il desiderio di conoscerti e mi ha salutato con un chiaro a posdomani! Quindi, libero.
Oggi, l’unica mia… paziente sei stata tu.
Tu che hai fatto?’
‘Si, é stato difficile e penoso essere paziente, mi sentivo soprattutto smaniosa e impulsiva, specie… ma lasciamo perdere. Per ora.
Io ho fatto un acquisto, che poi ti mostrerò, e alcune telefonate. Ah, ho anche fatto una bella doccia a getto.’
‘Tutto a posto?’
‘Per ora.’
‘Adesso hai preso come intercalare per ora!’
‘Per ora.’
‘Capito.
La bimbetta di sempre.
Ora vado a cambiare d’abito. Mi aspetti?’
‘Perché, non posso venire con te?’
La guardai interrogativamente.
‘Va bene, vieni.’
Entrammo nella mia camera da letto.
‘Com’é bella, Luciano.
Grande, luminosa, con un lettone.
E’ morbido?’
Senza attendere risposta ci si sdraiò sopra, vi sobbalzò, si alzò, andò a sedere nella poltrona d’angolo.
‘Soddisfatta della prova?’
‘Per ora.’
‘Ho capito, scusa, vado in doccia.’
Entrai nella porta accanto al comò.
Norna cominciò ad ispezionare minuziosamente ogni cosa, ogni angolo.
Sul tavolino, vicino alla finestra.
Molti libri, qualche fotografia. Scoprì che c’era anche la sua.
Allora, avrà avuto meno di sei anni. La mise bene in evidenza, avanti a tutte le altre.
Tornai in accappatoio. Sotto indossavo solo la biancheria intima.
Preparai una camiciola, senza cravatta, un pantalone sportivo e una giacca, più scura, della stessa foggia. Calze e mocassini. Abilmente, riuscii a infilarsi i pantaloni senza togliere l’accappatoio.
Poi completai il tutto.
‘Sei un po’ viscido, dottore, a me m’hai fatto giacere come mamma m’ha fatto, m’hai… Meglio sorvolare.
E tu hai fatto il contorsionista per non restare in boxer.’
‘Non sapevo che volevi assistere ad uno spogliarello.’
‘Maschilista.’
‘Vieni qui, bimba, da un bacetto a Luciano,’
Mi si buttò tra le braccia.

Cena ottima e leggera.
Norna fu prodiga di complimenti, con Franca.
‘Volete che vi servo qualcosa, in salotto?’
Luciano guardò Norna che scosse la testa.
‘Grazie, Franca, non vogliamo niente, staremo un po’ a chiacchierare, sul divano, e poi andremo al cine.’
‘Se permettete, vado a rassettare la cucina e poi a letto. Buona notte’
La coppia augurò la buona notte e andò a sedere sul comodo divano.
‘Bimba, quando vuoi andare al cine me lo dici.’
‘Io, questa sera, non voglio andare al cine.’
‘Allora, quando vuoi andare da Teresa, dimmelo.’
‘Io non voglio andare da Teresa.’
‘Per dormire?’
‘Voglio dormire qui. Ho pensato a tutto. Vieni.’
Lo condusse nella camera dove aveva riposato. Sul letto era distesa la vaporosa ed elegante camicia da notte, comperata nel pomeriggio. Una nuvola candida, trasparente.
‘Ti piace?’
‘Bellissima, quando la indosserai?’
‘Questa sera.’
‘Chiamo Franca, perché ti prepari il letto?’
‘Io non dormirò in questo letto.’
La fissò, confuso.
‘Dove intendi dormire?
‘Non so se dormirò, in ogni caso voglio farlo tra le tue braccia, nel tuo letto, senza nulla indosso, dopo che m’avrai tolto il diritto d’indossare la camicia verginale.’
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