Skip to main content
Racconti Erotici

Presenza fiammeggiante

By 19 Aprile 2020No Comments

Io cercavo accanitamente e disperatamente da tempo una ragazza che potesse decorosamente sostituire la fiduciaria e galoppina Morena, non più presente da circa un mese, perché essendo fresca di parto per la nascita della sua seconda bimba era in congedo per l’allattamento. Io mi ero interessato anzitempo per un rimpiazzo, indagando per richiedere l’ausilio d’una degna assistente per il mio studio notarile alle porte di Modena. In realtà non c’era l’impellente urgenza, tuttavia tenuto conto della non glorificante mole di lavoro che avevo conseguito fino a quel periodo, in quanto essendo piuttosto giovane, ero ancora agli albori dell’attività, volevo sistemarmi al meglio per coprire quel posto vacante. M’attraeva in special modo l’idea di scegliere progettando con considerazione e accuratezza il mio bottino, per poi giocherellare ripetutamente nel brandirla, dopo lasciarla procedere e in seguito ripigliarla nuovamente, fino a dispensarle la cosiddetta artigliata conclusiva, come compie il gatto con il sorcio nel tempo in cui apprende e dopo lo cattura. Nella mia testa congetturavo già per sommi capi sia la categoria che la qualità di donna che ambivo di far subentrare. Doveva essere di preferenza con la carnagione olivastra, slanciata ma non smodatamente, armoniosa, con delle rotondità discrete ma consistenti.

 

Intorno a mezzogiorno si presentò da me in modo insperato una tale Adalgisa, ventisette anni d’età, un diploma di segretaria d’azienda alle spalle e una laurea in giurisprudenza conseguita nell’università della sua città, Foggia per la precisione, avendo scelto lei stessa vari indirizzi, tra i quali anche quello specificatamente notarile. Adalgisa aveva un grazioso volto adornato da un paio di occhiali con lenti rettangolari e portava dei lunghi capelli corvini. Quella mattinata indossava una camicetta bianca sbottonata, che lasciava presagire a tratti l’immacolato reggipetto, una gonna blu scura e un paio di scarpe nere con il tacco regolare: io non esitai a lungo per comprendere che era lei la ragazza appropriata per l’incarico. Per l’esattezza, invero, io non avevo indicato nessun riquadro pubblicitario né annunci, bensì mi ero mosso anticipatamente, sondando il tipico e il classico passaparola, sortendo in ultimo il vantaggioso effetto della sorpresa.

 

La sua presenza era sobria ed elegante al tempo stesso, aveva una bella timbrica, una voce suadente e pacata, con un apprezzabile fondoschiena e con due belle chiappe in rilievo. Adalgisa replicava alle mie interpellanze con chiarezza e con disinvoltura, anche alle richieste maggiormente intime. Il lineare evento che si fosse lasciata da poco con il fidanzato, m’incentivò spronandomi e caldeggiandomi in modo aggiuntivo, perché le proposi che poteva iniziare dal giorno seguente a praticare presso il mio studio. Nei primi giorni dell’attività, iniziai a sondare tastando il terreno, perché allorquando lei si presentava da me per informarsi del suo compito svolto, io la salutavo costantemente con una manata amichevole e affabile. Successivamente, nel tempo in cui sussisteva qualcosa che non quadrava, le palpate maggioravano di numero, perché io notavo con ingente beatitudine nessuna reazione né contraccolpo da parte sua. Una volta le brandì una mano introducendogliela sotto la mia camicia, invitandola se avvertisse le mie palpitazioni accelerate, poiché Adalgisa fu ugualmente pacata nell’obiettarmi garbatamente con una negazione.

 

La notte, sinceramente, prima d’appisolarmi mi cimentavo immaginandomela frequentemente nuda, considerato che sovente indossava indumenti stretti, tuttavia mi rimaneva impresso solamente il rebus e stampato nella mente l’interrogativo del suo inguine, perché quella viziosa e libidinosa idea di compiere questa mia curiosità, m’attizzava e mi ravvivava smodatamente scompigliandomi irrimediabilmente sia la psiche che le membra. Dopo due settimane di tempo per abbreviare e per ridurre le distanze io l’invitai nel darmi del “tu”, in conclusione le proposi se avesse gradito, non avendo avuto impegni da sbrigare, di restare un sabato nell’ufficio, in quanto sarebbe stata adeguatamente ricompensata e convenientemente remunerata, per ultimare delle faccende indifferibili da trasmettere. Adalgisa assentì, accettando e approvando subito la mia proposta.

 

Nella mansione dello scrivere con la macchina, invece, Adalgisa non era abbastanza ferrata, poiché compiva svariate inesattezze, così dopo averla affettuosamente ammonita e alcune volte delicatamente ripresa, l’intimorii tra il contegno serioso e quello spiritoso e sottile, facendole comprendere che l’avrei penalizzata facendole levare qualcosa di dosso, per ogni svista aggiuntiva di battitura che avrebbe compiuto. In quel frangente lei m’indirizzò uno sguardo eloquente tra il modo castamente sdegnato e quello puramente malpensante, senza proferire però alcunché. Fu così che, alla successiva lettera con delle imprecisioni, lei acconsentì di togliersi l’elegante coprispalla, mentre a quella dopo le indicai le scarpe, che Adalgisa si sfilò senza tante storie. A dire il vero, il pavimento era in tassellato di legno, poiché ebbe unicamente un’esigua titubanza alla terza lettera, allorché dietro la mia precisione, sollevandosi la gonna sui fianchi si sfilò finanche la calzamaglia, dopo alla quarta approssimazione, senza riferirle nulla, iniziai a sbottonarle eccitato la camicetta:

 

“Sta’ attento Vittorio, occhio, potrebbe entrare qualcuno” – ripeté Adalgisa in maniera guardinga, osservandosi attorno sospettosa e puntando lo sguardo verso la vetrata.

 

“Figurati, tranquillizzati Adalgisa, quest’oggi chi vuoi venga qua da noi. Oggi è sabato, non ricordi?” – le enunciai io, squadrandola amorevolmente in viso e rincuorandola.

 

In un batter di ciglia spuntò un sofisticato reggipetto nero, alla lettera susseguente dopo averla osservata, le intimai di sfilarsi pure la gonna. All’istante indietreggiai, sganciai il minuscolo rampino e calai lentamente la chiusura lampo, tirandola giù fino ai suoi piedi: là davanti a me comparvero due natiche scultoree che uscivano irresistibilmente da quelle adorabili mutandine di pizzo nero. Io non ressi, non mi frenai alla lusinga d’affibbiarle un bel morsico alla chiappa sinistra, ammirando quel bel formoso e provocante didietro. Il simbolo successivo che le restituii da scarabocchiare era in francese, in quanto esaminandola sopraggiungere con le mutandine, mi pregustavo già la risoluzione della prova. Gli errori ahimè erano molteplici, poiché stavolta in maniera accentuata e sottolineata le intimai:

 

“Cara Adalgisa, adesso ti spetta. Non puoi sottrarti. E’ giunta l’ora di levarti il reggipetto” – le sentenziai io in modo amorevole e benevolo.

 

“E’ proprio il caso Vittorio?” – mi espresse Adalgisa con un filo di voce, squadrandomi con un’espressione leggermente inquisitoria, ma al tempo stesso scaltra e smaliziata.

 

“Certamente, è un dovere mia adorata Adalgisa, è necessario” – replicai io in modo alacre, premuroso e navigato.

 

Dopo qualche istante di tentennamento Adalgisa se lo sganciò, afferrò le bretelline abbassandole con lentezza. Io rimasi interamente assorto e di stucco nel contemplare quei due perfetti e floridi seni, perché parevano disegnati su misura da come erano inimitabili, tondeggianti e con i capezzoli grossi e appuntiti, un vero schianto, favolosi sul serio. In quel mentre protesi in modo repentino le dita stuzzicandoli a vicenda. Dopo che l’ebbi palpeggiata Adalgisa in modo inatteso mi domandò:

 

“Vittorio, ti va bene così? Ti basta? Ora posso allontanarmi?” – incorporò lei leggermente sorpresa e visibilmente sbigottita da tanta convinta, fervida ed entusiastica irruzione da parte mia.

 

Esaudii accettando a malincuore, mi compiacqui rallegrandomi, non prima d’averle però commissionato un altro monogramma questa volta in tedesco. Tornata da me, mentre Adalgisa avanzava con i suoi seni deliziosamente sobbalzanti, m’apparivano i vagheggi che più volte nelle notti precedenti mi ero sapientemente edificato e abilmente congegnato, facendo assiduamente appello a tutta la mia depravata, focosa e impulsiva immaginazione, finché bruscamente aggiunsi al riguardo:

 

“Sei rimasta indietro cara Adalgisa, dobbiamo rimediare. Non disperarti né avvilirti però, perché t’aiuterò io per completare saggiamente ammodo e convenientemente l’opera lasciata in sospeso” – fu il mio arguto quanto lascivo e faceto giudizio sulla sua personale battitura, rispondendo al suo interrogativo.

 

Appresso mi voltai verso di lei, le collocai le mani su per i fianchi ruotandola delicatamente verso di me, in maniera tale che mi stesse ineccepibilmente di fronte. Di conseguenza introdussi le dita dentro le mutandine e principiai ad abbassargliele senza fretta. Gradualmente m’apparve di fronte un inguine spettacolare, come lo avevo sempre desiderato in una femmina. Adalgisa aveva una fica pelosissima e spessa, una striscia larga e compatta di pelo, che partiva dal pube e terminava giù in basso fino alla zona dell’ano. Io avevo sempre anelato di trovare una donna così villosa, la Provvidenza e il fato sennonché in quella circostanza m’accontentarono. Seguitando a esaminare quel suddetto splendido vigore, finii d’abbassarle le mutandine fino ai piedi. A questo punto allungai le dita e con un movimento alternativo, iniziai a sfiorarle quella foltissima predetta striscia. Ero notevolmente sedotto e affascinato dall’inedita sensazione tattile di morbidezza e dall’armonioso sfioramento che tale gesto provocava. Alla fine la feci girare contemplandole le chiappe, che come la gola d’una vallata imponente non si riusciva a distinguerne la fine.

 

“Adalgisa, ti rendi conto che tu hai una fica spettacolare, rara. Sembra quella dell’origine del mondo del dipinto di Gustave Courbet. Nella sua meravigliosa crudezza, quella fica è carnalmente così viva e pressoché pulsante. Quel quadro è così celebre, che tantissimi turisti l’ammirano, poiché è esposta nel Museo d’Orsay a Parigi. Così è la tua fica cara Adalgisa, per davvero” – le spettegolai io, aizzato, sobillato e suggestionato più che mai, intanto che sragionavo farneticando al pensiero di quella libidinosa visione là davanti ai miei occhi.

 

“Sono consapevole di questo fatto Vittorio, pensa che mi vergogno assai, m’imbarazzo e mi sconcerto tantissimo. Ti dirò di più. E’ dall’età di diciassette anni che la tengo così incolta, selvatica e trasandata, spesso mi guardo allo specchio, mi masturbo e vengo, effettivamente adesso mi piace, con il tempo ho iniziato ad apprezzarla e a rivalutarla. Alcune mie amiche m’hanno riferito che tanti uomini, non tutti comunque, stimano e venerano tanto un folto boschetto come il mio” – mi proclamava adesso Adalgisa, affrancandosi e sentendosi rincuorata da quel cruccio, che forse intimamente l’assillava infastidendola e tormentandole l’animo.

 

“Nessun dramma Adalgisa, a me piaci tantissimo in tal modo. Sei un incanto, un vero portento. Su, avvicinati, per oggi è sufficiente, brava, basta così” – le enfatizzai io, accompagnandola verso uno stanzino dove c’era un modesto sofà.

 

Nel tempo in cui ci trovammo nel mezzo dello stanzino guardandola negli occhi mi spogliai rapidamente pure io. L’eccitazione aumentava, la frenesia e il fermento erano già decollati, sicché m’accostai e la strinsi forte in un avvoltolante abbraccio. Dopo la feci distendere sul sofà e collocandomi in ginocchio mi dedicai alla parte che più m’attraeva di lei. Completato quel gustoso aperitivo esplorando la sua odorosa caverna, mi rialzai in piedi, la feci girare, la baciai e sfiorandole deliziosamente la faccia le sfilai nel mentre gli occhiali, spingendola prudentemente da un lato finendo sul tassellato di legno del pavimento, adoperando due trapunte che utilizzavo in ufficio in caso d’emergenza e di necessità.

 

Eravamo ambedue infervorati e carichi al massimo, sicché senz’esitare né aspettare oltre m’avvicinai a lei collocandole la mano nel mezzo della sua pelosissima fica, facendola immediatamente sobbalzare. Adalgisa mi proclamò se mi fossi lambiccato il cervello, perché m’avrebbe querelato incriminandomi per molestie, ma dopo che le mostrai il cazzo, riferendole che per lei era un graditissimo omaggio, Adalgisa cambiò repentinamente idea: rimase lì carponi guidandomi la mano nella sua irsutissima boscaglia, iniziando a dichiararmi di farla godere, che voleva che le scuotessi il clitoride, che glielo lambissi per bene, che in definitiva finalmente m’appassionassi a lei, coinvolgendo quella sbalorditiva e incantevole fica, assieme a quelle splendide e grandiose chiappe, perché era da parecchio tempo che aveva sete e fame di farsele perforare nonostante non fosse ancora fidanzata, nel tempo in cui la scopavo alla pecorina, sua posizione peraltro preferita.

 

La feci però attendere ancora un istante, poiché la feci virare un attimo infilandole la mia lingua nella sua torrida fica, leccandogliela e facendola sragionare. Per me, era diventata una questione di fondamentale importanza, cercare di farla godere in modo vigoroso dentro quello stanzino, in special modo dovevo riuscire a sborrare gustosamente anch’io dopo averla scopata a dovere. Inserii il cazzo nel suo orifizio anale, iniziai a muovervi, mi collocai quasi sopra il suo culo, e con il cazzo perfettamente perpendicolare imbastii nel trapassarla, sentendola ansimare, intanto che lei anelava di più il cazzo. Non mi fermai, seguitai a calcare giacché le rifilai svariati e risonanti manrovesci sulle chiappe, finché mi disposi nuovamente sul tassellato di legno e ripresi a scoparla normalmente, mentre lei era distesa sopra di me nella posizione dell’amazzone. Adalgisa era scatenata, mi scopava sentitamente il cazzo: io ero diffusamente su di giri, non ne potevo più, tolleravo e pensavo che non avrei sopportato oltremodo di resistere, in quanto il mio cazzo era soggiogato e soverchiato dalla sua confortevole, sorprendente e stupenda fica.

 

Successivamente mi lasciai andare, annunciandole che stavo per assaporare l’apice massimo del godimento. Adalgisa calcò più forte, e iniziò a gemere, spinse in modo ritmico gioendo e venendo come un’ossessa, ripetendomi di sborrarle dentro l’ano. Il mio sperma iniziò a colare dentro di lei, mentre lei ansimava e gemeva soddisfatta. Dopo che riprese fiato, acciuffò la ragionevole prodezza, ripetendomi che al presente voleva provare a scardinare la parte anteriore.

 

Dopo ci collocammo comodi sul sofà, Adalgisa spalancò le cosce e nella posizione della smorzacandela con la schiena rivolta al mio petto, fece scivolare a rilento il mio cazzo nella sua accogliente fica, ripigliando a scoparmi in modo cadenzato e lussurioso. Seguitammo così, fino a quando Adalgisa non proruppe, strepitando in modo fragoroso, possente e fenomenale il suo intimo orgasmo, seguito un minuto appresso dalla mia succulenta sborrata, che si posò diffusamente sulla sua pelosissima fica imbrattandogliela in ogni parte, perché io volevo intenzionalmente sborrare proprio là di sopra su tutto quel soffice e foltissimo pelo.

 

Quando alla fine ci fermammo, svigoriti ed estenuati, abbozzava già a calare la sera, io indugiavo partendo dal suo pube rigoglioso per arrivare ai seni e digradare nuovamente. Intrapresi a chiederle delle sue trapassate esperienze sessuali: mi raccontò degli svariati giochi erotici che eseguiva quand’era al collegio dalle suore, dove era stata ospitata fino agli anni dell’università. Mi narrava che verso le dieci della sera, non appena la sorvegliante, una laica nubile andava via dopo aver effettuato l’ultimo controllo, lei e le altre sue quattro compagne di stanza s’alzavano, accendevano la luce, univano due letti e si sedevano in circolo su di essi. Di solito giocavano a carte, altre volte ai dadi: chi vinceva la mano aveva diritto di spogliare un’altra a piacimento. Si cominciava con un bottone per volta della camicia da notte, poi la si faceva scendere e salire sempre di più per poi, una volta tolta, passare a reggiseno e mutandine che si erano lasciate sotto. La scelta ciò nonostante cadeva il più di volte su di lei, che aveva delle curve che crescevano a vista d’occhio e destavano la curiosità e la meraviglia delle altre. Una volta che una delle quattro fosse stata spogliata completamente, le penalità su di lei consistevano in palpeggiamenti quindi in baci e in leccate. Altre volte la vincente comandava ad altre due di fare l’amore fra di loro, specificando quello che dovevano fare. Una volta la sorvegliante, tornata indietro inaspettatamente, le sorprese e, dopo un iniziale moto di stupore, volle unirsi a loro: furono tutte sbigottite dalla sua eccitazione nel partecipare al gioco e, per giunta, voleva sempre vincere lei per poi fare alle altre tutto quello che voleva, ricorrendo anche alla minaccia di raccontare tutto alla madre superiore. Loro, d’altra parte, scoprirono in lei un posteriore coi fiocchi, che non avevano ipotizzato né sospettato così tondeggiante e si tolsero non poche soddisfazioni. Terminato il racconto Adalgisa lestamente esclamò:

 

“Vittorio, si è fatto tardi, è stato avvincente e unico, direi un’esperienza meravigliosa e indimenticabile. Stasera da me verrà Tiziana, una mia amica di vecchia data, siamo d’accordo così. Giungerà per cena a casa mia. Noi due ci risentiremo lunedì” – racimolando i suoi oggetti personali, facendomi appagata l’occhiolino e guardandomi in maniera entusiasmante.

 

Nel frattempo s’allontanò e uscendo dallo studio mi lasciò le sue mutandine intrise dei suoi stessi abbondanti fluidi, che peraltro non volle più che le restituissi. Nei giorni seguenti io iniziai a portarmele sotto il naso, inspirando a pieni polmoni, inalando la fragranza diffusa, sforacchiante e calcante del suo corpo, come se Adalgisa fosse ancora lì fra le mie voluttuose e lascive grinfie.

 

Il suo concentrato, intenso e perforante effluvio di donna in calore invogliata, aveva impregnato a tal punto il suo indumento intimo, che potei continuare a inebriarmene diffusamente per molto tempo, anche dopo che le nostre strade si divisero, perché con Adalgisa non ci fu più un seguito a livello intimo, in quanto quella che sperimentammo fu la sua prima e ultima scopata con me. Da quel giorno, infatti, non avemmo più rapporti intimi.

 

Dopo il periodo di maternità, Morena ripigliò il suo posto rientrando alle sue mansioni di collaboratrice qual era presso il mio studio notarile, mentre Adalgisa aveva vinto una selezione nella sua città d’origine, a Foggia, rientrando definitivamente nella sua regione d’appartenenza.

 

{Idraulico anno 1999} 

 

 

Leave a Reply