Skip to main content

Prima notte di una puttana

By 23 Luglio 2013Aprile 2nd, 2021No Comments

Capitolo 1: Rosso di sera
Il furgoncino bianco che le aveva portate fin lì si allontanava rapidamente, diventando sempre più piccolo sino a scomparire oltre l’orizzonte. Il sole iniziava a calare, celandosi dietro gli alberi della sterminata campagna circostante, e Briana fissava con sguardo vacuo il cielo al tramonto, tinto d’arancione. Sarebbe stato uno spettacolo bellissimo, pensò, se non avesse dovuto assistervi con la morte nel cuore.
‘Ehi, vieni a darmi una mano a sistemare!’, le intimò una voce autoritaria alle sue spalle.
Si voltò e si diresse, tenendo lo sguardo basso, verso quella donna volgare ed appariscente di nome Gratiela. Briana la trovava rivoltante, ma i camionisti in transito sulla statale non dovevano pensarla allo stesso modo, dato che lei era tra le più redditizie prostitute al servizio di Alfredo. Di per sé era anche una bella donna. Sulla quarantina, alta almeno un metro e settanta, con lunghi capelli biondi, occhi chiari e labbra carnose su un corpo non troppo formoso, ma sodo e abbronzato. Ciò che, però, Briana non riusciva a comprendere era il suo atteggiamento. Lavorava sulla strada da vent’anni e, per come ne parlava, il farsi sbattere da clienti e papponi sembrava addirittura piacerle. La sua lealtà nei confronti di Alfredo e la sua lunga esperienza erano tali che ormai era diventata una sorta di sentinella: l’uomo le affidava le novizie più problematiche per insegnargli il mestiere e per vegliare su di loro fin quando non si fossero rese autonome e non avessero acquisito la pratica necessaria ad evitare i rischi. Briana era una di queste, al suo primo giorno di lavoro.
Le due sistemarono le sedie in prossimità della strada e poi andarono a raccogliere assi di legno, rami secchi e qualsiasi altra cosa con cui avrebbero potuto accendere un falò quando il buio della notte le avrebbe inghiottite e se il freddo avesse intirizzito i loro corpi.
Non passò neanche mezz’ora, che Briana avvertì accostare dietro di sé un grosso camion. ‘Ecco, ci siamo’, pensò. Si voltò di scatto e vide un rozzo conducente sporgersi dal finestrino del lato passeggero ed emettere un sonoro fischio di ammirazione rivolto a Gratiela. Il cuore le batteva come un tamburo. Gratiela si voltò e si avvicinò al camion. L’uomo ruppe il silenzio: ‘Guarda chi si rivede, la mia puttana preferita! Dove ti eri cacciata?’, chiese. ‘Amore! Da quanto tempo!’, replicò, in tono amichevole, Gratiela. ‘Non ho lavorato in questa settimana, ho avuto da fare con la nuova’, continuò, facendo un cenno verso Briana, ‘Ma se vuoi mi faccio perdonare subito’, concluse civettuola. ‘Spiacente tesoro, oggi vado di fretta, sono già in ritardo ‘. Gratiela parve non ascoltarlo, aprì lo sportello del camion e si infilò sul sedile del passeggero, afferrando il membro del camionista attraverso i jeans. ‘Neanche un lavoretto di bocca?’, chiese, facendo scorrere la lingua sul labbro superiore. Sul volto dell’uomo comparve un ghigno. ‘Potevi far solo la puttana tu. Ok, mi hai convinto, lo sai che mi fanno impazzire i tuoi pompini’. Briana era rimasta immobile per tutto il tempo, combattuta tra la repulsione verso quegli approcci e il sollievo per non esserne la diretta destinataria. Per ora, l’inizio della sua carriera pareva non essere ancora giunto.
Vide il camionista scendere dall’automezzo infilandosi le chiavi nel taschino della camicia e recarsi dietro un grosso albero assieme a Gratiela, mentre le impastava vigorosamente il sedere. ‘Tu, sta’ attenta al mio camion’, le intimò l’uomo. ‘Bene’, pensò Briana con sollievo, ‘Almeno non dovrò assistere’.
Le sue speranze, però, si infransero contro l’imperativo di Gratiela. ‘No, deve guardare, altrimenti non imparerà mai. Vieni qui!’. Briana, rassegnata, si avvicinò, mentre l’uomo abbassava i calzoni, estraendo un membro di ragguardevoli dimensioni. Vide Gratiela inginocchiarsi e leccarlo mentre lo impugnava alla base e, con la mano libera, massaggiava il grosso scroto peloso. La donna inginocchiata sputò sull’asta, poi imboccò gran parte del pene dell’uomo e iniziò un lento su e giù. ‘Ohh, sii, succhia troia’, commentò oscenamente il rozzo camionista. Quando fu al massimo dell’erezione, Gratiela fece scivolare fuori dalla bocca il membro, reso lucido dalla saliva che lo ricopriva e, continuando a masturbarlo con una mano, ricordò al suo cliente: ‘Se vuoi l’ingoio sono dieci Euro in più’. Lui rispose fingendo sdegno: ‘Mi prendi sempre nei momenti di difficoltà. Va bene, va bene. Ma continua’. Gratiela imboccò nuovamente la protuberanza dura e carnosa dell’uomo, aumentando il ritmo della fellatio fin quando lo stesso, sul punto di eiaculare, le spinse la testa contro il suo membro, riversandole in gola il suo sperma bollente ed emettendo grugniti e versi degni d’un gorilla più che di un essere umano.
Una volta terminato e tirati su i calzoni, nel tragitto di ritorno Briana notò lo scambio di banconote. Passandole accanto, il camionista la fissò per un istante, poi tentò di afferrarle un seno, ma Briana si scansò impedendo il contatto. Gratiela la fissò con aria di rimprovero, ma fu l’uomo a sdrammatizzare, ridendo sonoramente e aggiungendo, mentre continuava a camminare verso il mezzo: ‘Fa la preziosa la signorina. Tra un paio di giorni torno da queste parti, non prendere impegni perché voglio farti il culo, stronzetta!’. Briana si sentì umiliata e impotente, ma cercò di non scoppiare in lacrime per mantenere un minimo di dignità.
Il volto severo di Gratiela parve addolcirsi e, quando il camion fu ripartito, le si avvicinò e le sussurrò: ‘Non prendertela, molti sono volgari ma non cattivi’. Briana si allontanò, disgustata dall’intenso odore di sperma nell’alito della sua collega.
Il tempo sembrava non passare mai quella sera. Il sole era ormai scomparso e il traffico sull’arteria stradale era diminuito molto. Briana calcolò che passasse un mezzo ogni trenta o quaranta secondi e, ogni volta che sentiva un motore in lontananza, il suo respiro si arrestava e il suo cuore iniziava a battere più forte, per regolarizzarsi solo una volta resasi conto che il veicolo in transito non si sarebbe arrestato al loro cospetto. Dopo tanti spaventi, però, i suoi timori presero forma, identificandosi in una grossa auto scura che rallentò e si fermò davanti a loro. Il vetro si abbassò, e Briana e Gratiela poterono vedere il volto di un uomo sulla cinquantina dall’aspetto anonimo che le fissava. La donna si avvicinò di qualche passo. ‘Che desideri tesoro?’. Gli occhi dell’uomo saltarono rapidamente dall’una all’altra. Briana teneva lo sguardo fisso al terreno e le mani giunte, come se pregasse di cavarsela nuovamente. Il sangue le si gelò nelle vene quando sentì l’uomo pronunciare le sue prime parole. ‘Entrambe’. Gratiela lo guardò con sospetto. L’uomo parve interpretare i suoi dubbi quando aggiunse: ‘I soldi non sono un problema’.

Capitolo 2: Occhi di ghiaccio
L’uomo accostatosi non aveva apparentemente nulla di inquietante. Era un cinquantenne abbastanza giovanile, con qualche chiazza bianca tra la folta chioma scura e un viso normale, somigliante a mille altri. L’unico tratto distintivo erano gli occhi. Di un grigio-azzurro quasi innaturale. Profondi, chiarissimi, volutamente inespressivi. Gratiela avvertì un brivido lungo la schiena nel sentirsi scrutata da lui, una sensazione che non le permetteva di essere del tutto tranquilla. ‘Si nasconde qualcosa dietro quegli occhi. Qualcosa che non mi piace. Tuttavia’, pensò, ‘gli affari sono affari, e il tipo non è neanche male alla fine’. Confortata da questi pensieri si avviò verso l’auto, toccando con una mano la schiena di Briana per indurla a fare lo stesso.
Mentre le due si avvicinavano, l’uomo guardò attentamente la più giovane, poi le chiese: ‘Sicura di essere maggiorenne? Mi sembri piccola’. In sua vece si affrettò a rispondere Gratiela: ‘Tranquillo amore, ha compiuto diciott’anni da qualche mese’. In effetti, Briana aveva una parvenza adolescenziale. La statura ridotta, un volto che pareva di porcellana tanto era bianco e luminoso, i lunghi capelli corvini e la totale assenza di trucco le conferivano l’aspetto di una ragazzina, facendole dimostrare tre o quattro anni in meno di quelli che realmente aveva. ‘Sei molto bella’, aggiunse l’uomo, in tono stranamente educato. Ancora una volta fu Gratiela a prendere la parola: ‘E tu sei molto fortunato, visto che sarai il suo primo cliente. Oggi è il suo primo giorno di lavoro’.
Briana non aveva neanche guardato negli occhi il conducente dell’autovettura. Teneva lo sguardo basso e avanzava con passo lento ed incerto verso il mezzo. Neppure l’apparente gentilezza di quello che sarebbe stato il suo primo cliente riusciva a tranquillizzarla. Considerava ripugnante Gratiela per quello che era il suo modo di vivere, e rabbrividiva al solo pensiero di potersi ridurre come lei. ‘Per un inganno. Mi trovo qui per un inganno. E io sono stata una stupida’, furono le uniche cose a venirle in mente, mentre cercava di trattenere le lacrime.
Giunte in prossimità dell’auto, Gratiela aprì lo sportello posteriore spingendo dentro Briana, delicatamente ma con decisione. Poi, prese posto sul sedile del passeggero. ‘Dove andiamo?’, chiese l’uomo. ‘Prosegui sulla strada sterrata, più avanti c’è una casupola abbandonata mezza crollata. Lì dietro non ci disturberà nessuno’, rispose Gratiela. Il conducente seguì le sue indicazioni, valutando che la destinazione fosse a non più di un centinaio di metri da loro.
Intanto, sul sedile posteriore, Briana aveva preso a tremare come una foglia. Non aveva ancora detto una sola parola. ‘Come ti chiami?’, chiese l’uomo, scrutandola dallo specchietto retrovisore. ‘Briana’, rispose lei, con un filo di voce. ‘Io mi chiamo Filippo. Da dove vieni?’. ‘Romania. Botosani’, replicò la ragazza. ‘Di poche parole, eh?’, incalzò il cliente. Briana non rispose a questa sottile provocazione, si limitò a sospirare in maniera evidente ed inequivocabile. ‘Non farci caso, è solo un po’ tesa’, sdrammatizzò Gratiela, ‘Vedrai che si scioglierà presto’.
‘Ecco, siamo arrivati’, disse l’uomo, dopo qualche secondo di silenzio. ‘Cosa vuoi fare?’, chiese Gratiela, affrettando i tempi. L’uomo la turbava, e desiderava che la loro transazione terminasse quanto prima. Lui la guardò, poi espresse le sue volontà. ‘Tanto per cominciare, potresti fare un piccolo spogliarello alla luce dei fanali’. ‘Te la prendi comoda, eh? Va bene amore. Briana, scendi anche tu, su’, le disse Gratiela, smontando dall’auto. Briana sembrava paralizzata. Sapeva di dover obbedire per evitare guai, eppure il suo corpo non voleva rispondere agli stimoli inviati dal cervello. Il cliente parve accorrere in suo aiuto quando, rivolgendosi a Gratiela, disse: ‘Dalle tempo. E’ la sua prima volta. Inizia tu’. Così dicendo, accese lo stereo e inserì una pendrive nella porta USB dello stesso. Le prime note di una lenta bachata si diffusero nell’aria.
Gratiela si portò qualche metro oltre il cofano anteriore, iniziando a muovere il bacino in una danza sensuale, mentre con le braccia si sollevava i capelli. Lentamente si sfiorò l’addome e i fianchi, facendo risalire il tessuto del top rosa shocking che indossava. Non staccava gli occhi un solo istante dall’uomo che la fissava attraverso il parabrezza. Dopo qualche secondo, sfilò il top e lo fece roteare con la mano sinistra come fosse un lazo, prima di lanciarlo a qualche metro di distanza. Successivamente, si concentrò sul reggiseno. Sempre muovendosi a ritmo di musica, abbassò prima una spallina e poi l’altra. Con studiata lentezza, sciolse il fiocco che teneva legata la fascia dietro la schiena e, mentre l’indumento scivolava in terra, si coprì con un braccio, portando una mano sulla bocca a mimare un finto gesto di sorpresa. Filippo la fissava impassibile, col suo sguardo imperscrutabile. Stringendo appena gli occhi, Gratiela riuscì a scorgere nell’abitacolo Briana. Anche lei la stava osservando. ‘Bene’, pensò, ‘E’ una bella ragazza, ma ha la sensualità di una carota lessa. Almeno così imparerà qualcosa, spero!’.
La donna continuò nel suo spettacolino. Alzò le braccia al cielo facendole oscillare e lasciando interamente scoperti i suoi seni quando il reggipetto cadde in terra. Non erano grossi, tra una seconda abbondante e una terza scarsa, con piccoli capezzoli a indicare che, probabilmente, non aveva avuto figli o, se anche li avesse avuti, non li aveva mai allattati. Le mammelle di Gratiela, malgrado non appartenessero più a una ragazzina, sembravano sode e piene, la forza di gravità non pareva avere effetto su di loro. La donna, intanto, si era seduta sull’erba, sollevando le gambe. Nel mentre, sfilò le mutandine con una mano. Poi, incrociando le gambe, si riportò lentamente in posizione seduta. Le movenze assunte fecero sì da rendere impossibile scorgere cosa vi fosse in mezzo alle sue cosce. Rialzatasi, si voltò di schiena rispetto all’auto e fletté completamente il busto in avanti. In tal modo, la corta gonna, anch’essa del medesimo colore del top, si alzò abbastanza da lasciar scoperta la linea inferiore delle natiche.
Gratiela si rialzò e, voltandosi verso l’auto, si leccò provocatoriamente le labbra, mentre le mani erano impegnate ad abbassare la cerniera dell’ultimo indumento che indossava. Pochi secondi dopo, la gonna scivolò in terra e la donna la scalciò per liberarsene. Ora, era completamente esposta. Il suo monte di venere appariva ben curato, con una striscia di peli biondi che sembrava indicare la via verso il paradiso. Fece una lenta piroetta, mettendo in mostra un sedere alto che sembrava di marmo. Girando, strinse le natiche facendole vibrare. Poi tornò a rivolgersi verso Filippo, sorridendogli.
L’uomo spense lo stereo. Se provava emozioni, riusciva a non farle trasparire in alcun modo. Gratiela era interdetta, ma cercava di non darlo a vedere. Era ben conscia della sua avvenenza e dell’effetto che i suoi atteggiamenti avevano sugli uomini. Ma lui sembrava esserne immune. Senza smettere di fissarla negli occhi, e con il solito tono di fredda cordialità, le chiese di sedersi su uno dei muretti attorno alla casa e iniziare a masturbarsi.
Era una richiesta abbastanza frequente, soprattutto da parte dei clienti più facoltosi, che potevano permettersi di passare più tempo in compagnia delle prostitute rispetto a un camionista o a un pensionato. Gratiela non se lo fece ripetere due volte. Si sedette su un muretto alto meno di un metro e spesso più della metà, avendo cura di mettere sotto di lei la gonna che raccolse prima di avviarsi. Si mise a gambe larghe, leccandosi un dito e facendolo lentamente scorrere verso il basso, nell’incavo tra i seni, sull’addome, lungo il monte di venere. Arrivata alle grandi labbra prese a massaggiarle in circolo con lo stesso dito. Si accorse di essere appena bagnata. ‘Possibile che mi stia eccitando? E’ solo un cliente, ne ho avuti a centinaia. Forse quegli occhi”. Non si capacitava di come Filippo riuscisse a crearle panico ed eccitazione contemporaneamente. Fino ad allora non si era praticamente neppure mosso, non le aveva rivolto una sola parola gentile. Ma lei iniziava ad eccitarsi. E poi, la sensazione di avere già avuto prima quello sguardo fisso su di sé non voleva saperne di abbandonarla. Infilò un dito nella sua apertura. Lo tirò fuori, lo portò alla bocca e lo leccò. Poi lo reinserì, assieme ad un altro, nella sua intimità e prese a stantuffare vigorosamente, avvertendo i primi umori fuoriuscire dalla sua vagina calda e aperta.
Il piacere montava rapidamente. Filippo la scrutava senza muovere un muscolo e senza cambiare espressione. Era al limite. Chiuse gli occhi e aumentò ulteriormente il ritmo.
‘Ora!’, pensò Filippo. Accese il motore, con una sgommata fece una rapida inversione e partì a tutto gas, dirigendosi verso la statale.
Briana ebbe uno scatto, per la prima volta la sua voce risuonò alta nell’abitacolo: ‘Che succede?’. L’uomo non parlò.
Gratiela balzò in piedi, ancora in preda agli spasmi dell’orgasmo insoddisfatto. Tentò di lanciarsi verso l’auto, ma era ormai troppo lontana. Esterrefatta, guardò la luce dei fanali posteriori farsi più flebile.
L’uomo la osservò dallo specchietto retrovisore. Per la prima volta accennò un ghigno di soddisfazione scorgendo la collega della sua passeggera nuda e impotente a decine di metri da loro.
‘Attento!’, urlò Briana con tutto il fiato che aveva in gola.
Un’auto scura come la notte si era frapposta tra la loro vettura e la statale, ostruendo il passaggio. Filippo la vide all’ultimo momento e inchiodò, riuscendo ad evitare l’impatto per una manciata di centimetri.
Un uomo sulla trentina, alto, bruno e bello come il sole, ne discese, tenendo la pistola puntata verso il cranio del cliente delle due prostitute.
Più lontano, Gratiela si rivestì alla meglio e accorse nella loro direzione.
‘Fermo, polizia! Scendi dall’auto con le mani in alto!’.
Per la prima volta, Briana sentiva di voler piangere per la gioia. Forse sarebbe uscita da quell’incubo. Saltò fuori dalla vettura anche lei e si diresse a passo spedito verso l’agente in borghese, seguita da Gratiela.
‘Voi due, montate sul sedile posteriore’, intimò il poliziotto. Briana e Gratiela eseguirono all’istante. Dopodiché l’ultimo arrivato si avvicinò a Filippo, sferrandogli un forte calcio nello stomaco e mandandolo al tappeto, rantolante.
Fatto questo, saltò in auto anche lui e partì a gran velocità imboccando la statale. Briana emise un sospiro di sollievo.
Filippo non poté far altro che battere forte un pugno per terra prima di rialzarsi. ‘Non finisce qui’, pensò, ‘Ci rivedremo Briana, te lo assicuro’.

Capitolo 3: Ombre dal passato
‘Va bene. Fra trenta minuti. Al posto concordato’, furono le uniche parole di una breve telefonata fatta dal poliziotto prima di riporre il cellulare e rivolgersi alle due arrestate: ‘Per chi lavorate?’, chiese perentorio. ‘Non sono cazzi tuoi’, rispose assertiva Gratiela. ‘Coraggiosa. Chissà se continuerai ad esserlo anche in centrale’.
Briana rimase interdetta, guardando lo sguardo imperturbabile di Gratiela nonostante la velata minaccia dell’agente che le scortava verso la più vicina stazione di Polizia. ‘Sembra calmissima’, pensò la ragazza. ‘Naturale, se fa questo lavoro da vent’anni, chissà quante volte avrà vissuto situazioni simili’, concluse.
Il flusso dei suoi pensieri venne poi interrotto dalla voce imponente del bell’uomo che guidava l’auto. ‘E tu, ragazzina? Niente da dire?’. Briana guardò Gratiela con sguardo pensieroso, dopodiché decise di giocare le sue carte e confessò apertamente la sua esperienza. L’ansia che la attanagliava la fece parlare in maniera rapida e talvolta confusa. ‘Io vengo dalla Romania. Mi ha portato in Italia un certo Alfredo. Non conosco il cognome, ma posso descriverlo. Io non volevo lavorare per strada, mi ha costretto’. Poi scoppiò a piangere e, tra le lacrime, concluse: ‘La prego, mi aiuti. Voglio tornare dalla mia famiglia’.
Gratiela guardò fuori dal finestrino, malcelando la sua collera nei confronti della ragazzina piagnucolosa al suo fianco.
Il poliziotto si voltò appena, per guardare Briana con la coda dell’occhio. ‘Alfredo, eh? Cos’altro sai di lui?’. La ragazza, asciugandosi le lacrime con il braccio, prese coraggio e continuò: ‘Non molto. Avrà quarant’anni o poco più. Ha i capelli biondi, gli occhi castani, è abbastanza alto e robusto, ma non troppo’. ‘E’ già qualcosa’.
Al termine del breve interrogatorio, l’auto svoltò per una stradina secondaria e si fermò in una piccola radura. Non v’era granché, solo qualche albero in ordine sparso, quello che sembrava essere parte del muro maestro di un’abitazione crollata e, poco distante, un pozzo ormai murato.
‘Dove siamo?’, chiese Briana. Il poliziotto si voltò verso di lei e, con occhi crudeli, le disse: ‘In un posto dove ti farò passare la voglia di fare la spia, troietta’. A queste parole, Briana si voltò verso Gratiela, scorgendo nel suo volto, che ancora fissava fuori dal finestrino, una smorfia che pareva un amaro sorriso.
‘Ma’ come’ non sei un poliziotto allora’. ‘E tu non sei molto sveglia. Quanti poliziotti hai visto picchiare un reo e lasciarlo sul posto senza arrestarlo?’. ‘Accidenti, è vero!’, pensò Briana, mentre i particolari dello scontro precedente riaffioravano nella sua mente dalla nebbia della concitazione. ‘E allora’ chi sei?’. Gratiela prese la parola: ‘E’ uno dei nostri. Alfredo, spesso, mette alla prova le nuove di cui non si fida. E tu, mia cara, non hai superato l’esame’. Briana era terrorizzata: ‘Ora cosa mi farete?’. Il finto poliziotto le diede una risposta che le fece gelare il sangue nelle vene: ‘Ti metteremo sottoterra, come si conviene alle talpe’.
Nell’udire queste parole, Briana si catapultò fuori dall’auto per scappare, inseguita da Gratiela e dal finto poliziotto. L’uomo arrestò la sua corsa dopo pochi metri, tirando fuori la pistola e puntandogliela contro. ‘Ferma o ti ammazzo subito, puttana!’. La ragazza si bloccò all’istante. I due le si avvicinarono, e il finto poliziotto le diede un manrovescio da farla finire per terra. Dolorante, Briana si sfiorò la guancia colpita. ‘Fermati, Dario!’, gli intimò Gratiela, ‘Non puoi toccarla prima che arrivi Alfredo, lo sai. Resisti, tra pochi minuti sarà qui’. L’uomo, con un gesto di stizza misto a rabbia repressa, colpì con un forte pugno la sua stessa coscia, avvertendo una lieve fitta di dolore, poi guardò nuovamente Briana. Si chinò su di lei e con un ghigno le disse: ‘E’ vero, non posso dartele come meriteresti. Per adesso. Ma posso divertirmi in un altro modo’. Così dicendo si alzò, sbottonò i pantaloni e tirò fuori il suo membro già quasi completamente eretto. Briana lo aveva davanti al viso, a poche decine di centimetri di distanza. Guardò Dario con aria di repulsione. Il suo aspetto angelico stonava col suo carattere crudele e meschino. Briana si sentiva attratta e disgustata al tempo stesso. Tuttavia, il terrore di quella situazione faceva prevalere nettamente il secondo stato d’animo.
Dario si avvicinò ulteriormente. Il suo pene svettava parallelo al terreno, avvolto da peli pubici radi e scuri e puntava decisamente il viso di Briana. ‘Fammi una sega’, le impose. La ragazza sapeva di non avere scelta. Lo afferrò, la sua mano ne ricopriva circa la metà della lunghezza. Iniziò a muoverla lentamente, avvertendo la durezza e il calore di quel membro eretto. Con i polpastrelli riusciva a percepirne le vene in rilievo. In un’altra circostanza si sarebbe eccitata moltissimo ad avere tanta intimità con un uomo così bello, ma non era quella l’occasione.
Dario si godette per un po’ quel lento lavoro manuale, poi pretese di più. ‘Prendilo in bocca. E mettici un po’ di passione, cazzo! Sei frigida o cosa?’. ‘Sono terrorizzata, brutto stronzo!’, gli urlò Briana, dando sfogo alla rabbia che covava in corpo. L’uomo, per un momento, sembrò tendere i muscoli del braccio per tirare un nuovo ceffone alla ragazza. Sotto lo sguardo severo di Gratiela, però, ci ripensò subito, le afferrò i capelli e la spinse violentemente contro il suo pube. ‘Fammi un pompino, così tieni occupata quella boccaccia. Quando arriverà Alfredo pagherai cara la tua irriverenza’.
Briana, rassegnata, dischiuse le labbra. Dario le spinse il pene fin quasi in fondo alla gola e, sempre tenendola per i capelli, iniziò a penetrarle la bocca come fosse una vagina. Briana era scossa da continui conati di vomito a causa di quell’intrusione così violenta. Dopo un po’, il pene di Dario raggiunse il massimo dell’erezione. L’uomo, annichilito dall’orgasmo montante, rallentò il ritmo e lasciò libera Briana di lavorare di sua iniziativa. La ragazza lo succhiò avidamente, passo la lingua tutto intorno al glande, avvertendo il liquido preseminale sgorgare dal pene di Dario.
Quando lui chiuse gli occhi, inarcando appena la schiena, Briana decise di agire. Qualche minuto prima aveva progettato di aspettare il momento in cui l’uomo avrebbe abbassato la guardia, rendendosi, così, vulnerabile. Valutò che era quello l’attimo che aspettava. Serrò la mascella, intrappolando tra i denti la verga che le riempiva la cavità orale. Strinse tanto forte da avvertire rivoli di sangue fluire nella sua bocca. Dario lanciò un urlo agghiacciante, tentò di staccare la testa di Briana dal suo pene ma non vi riuscì. A liberarlo fu Gratiela qualche secondo più tardi, strattonando la ragazza per i capelli e costringendola, per il dolore, a mollare la presa.
L’uomo di accasciò sul terreno. Briana, con tutta l’adrenalina in circolo, si alzò e tentò di fuggire. Nel farlo, diede uno spintone a Gratiela, che cadde all’indietro sbattendo violentemente il cranio contro il paraurti dell’auto e perdendo i sensi.
Briana cominciò a correre, senza voltarsi. Doveva arrivare il prima possibile alla statale. Lì avrebbe avuto qualche occasione di essere soccorsa. Nel silenzio della notte, avvertì dietro di sé i passi rapidi e pesanti di Dario. L’impostore si era alzato e la stava inseguendo. Era più alto e più allenato di lei, presto l’avrebbe raggiunta.
A Briana parve di vedere, con la coda dell’occhio, la sagoma di un’auto scura posteggiata tra gli alberi, a qualche decina di metri alla sua destra. Virò e si diresse verso la stessa. Non sapeva di chi fosse e cosa vi avrebbe trovato, ma la considerò la sua unica possibilità di scamparla.
Iniziò a correre, zigzagando tra gli alberi. Dario le era ormai quasi addosso. Briana riusciva distintamente a sentire tutte le minacce e gli improperi che lui le rivolgeva.
Preso dalla foga, il finto poliziotto non notò i due occhi di ghiaccio che lo scrutavano qualche metro più avanti nella sua direzione. E si accorse troppo tardi della trave di legno che si frappose tra il suo volto e la figura di Briana mentre correva all’impazzata. Il dolore che Dario avvertì fu lancinante, gli sembrava che il suo naso volesse rientrare nel cranio. Fu un secondo che gli sembrò eterno, poi stramazzò al suolo e tutto, per lui, divenne nero.
Briana, avvertito il tonfo, si voltò. Vide Dario lungo disteso per terra e si fermò, arrancando.
Da dietro un albero spuntò Filippo, con uno sguardo più preoccupato che cattivo. ‘Vieni con me, non abbiamo molto tempo’, le intimò. Lei era combattuta. Filippo l’aveva salvata, ma non aveva dimenticato quanto sia lei che Gratiela si sentissero inquiete in sua presenza. Poteva fidarsi?
L’uomo l’afferrò delicatamente per un braccio, il suo sguardo si fece quasi implorante. ‘Sali in macchina, dobbiamo allontanarci subito da qui. Ti spiegherò tutto, te lo prometto’. Briana lo fissò per un istante. Quella sera aveva già subito molte delusioni. Ma aveva bisogno di un’ancora di salvezza, non poteva farcela da sola. Decise di seguire il suo istinto e fidarsi di Filippo.
Dopo qualche secondo, i due salirono in auto e ripartirono. Passarono sul luogo del misfatto di pochi minuti prima, dove Gratiela si stava riprendendo dalla brutta caduta. I due le sfrecciarono accanto, in un istante la oltrepassarono. Lei e Filippo si fissarono negli occhi per un momento. Uno sguardo fugace, ma abbastanza intenso da risvegliare i ricordi della donna. ‘Ma certo’, bisbigliò tra sé e sé, ‘Gwenda’. Restò appoggiata all’auto di Dario, guardando la vettura di Filippo allontanarsi a gran velocità e scomparire nella notte.

Capitolo 4: L’angelo della morte
‘Così sei rumena, eh? Come mai sei venuta in Italia?’. Allontanatisi dalle tetre campagne circostanti la statale e imboccato un più rassicurante e ben illuminato tratto di strada, l’adrenalina in circolo nel corpo di Briana iniziava a scemare, facendo subentrare un piacevole stato di torpore. La luna, alta nel cielo, contribuiva a dare quel tocco di calma e intimità sufficienti ad intavolare un dialogo con il suo salvatore Filippo. ‘Lavoravo in un call center a Botosani, era un inbound per clienti italiani. A dire il vero, avevo iniziato da meno di tre mesi. Orari massacranti e paga da schifo ma, perlomeno, riuscivo ad avere la mia indipendenza’. ‘Capisco. E poi?’. ‘Poi ho conosciuto Alfredo, per puro caso. E’ un amico del proprietario del call center, e ogni tanto veniva a trovarlo lì’. Filippo restò in silenzio, in attesa del seguito, continuando a guidare a velocità piuttosto sostenuta. ‘Iniziò a ronzarmi attorno. Mi faceva complimenti, era sempre carino. Poi, una sera, mi invitò fuori. Ha almeno vent’anni più di me e non è bellissimo, ma era così gentile che ho pensato di accettare. Ha iniziato a corteggiarmi. Sai, fiori, cene, regali. Finché, dopo un paio di settimane, mi ha detto che sarebbe dovuto tornare in Italia e mi ha chiesto di andare con lui, promettendomi che mi avrebbe dato un lavoro nella sua azienda e che così saremmo potuti stare insieme. E poi”. Briana si era bloccata. Poco prima, Filippo aveva avvertito un cambio di tono nella sua voce, come se la ragazza fosse sul punto di scoppiare in lacrime. ‘E poi, arrivati in Italia, ti ha costretta a fare quello che stavi facendo prima’. Briana annuì con un cenno del capo. ‘E’ sempre stato un verme. Illude povere ragazze e, quando sono indifese e vulnerabili, le sbatte sulla strada’. Briana si voltò verso Filippo, notando il suo sguardo sofferente e incattivito nel parlare di quell’uomo malvagio. ‘E’ sempre stato, hai detto. Cioè, lo conosci?’. Filippo serrò la mascella ed inspirò rumorosamente. ‘Avevi promesso di spiegarmi come stavano le cose’, aggiunse la ragazza.
Filippo, convintosi, prese a parlare: ‘Io non mi chiamo Filippo. Mi chiamo Felipe. Vengo dal Brasile anche se, ormai, vivo in Italia da quasi vent’anni. Avevo una figlia, Gwenda, e una moglie, Gilda, che morì per un cancro quando la nostra bambina aveva solo pochi anni. Ho dovuto crescerla da solo, tra mille difficoltà. Più cresceva e più somigliava a sua madre. Da un lato era straziante, perché così avvertivo ancora di più la mancanza di mia moglie. D’altro canto, però, il pensiero che Gilda continuasse a vivere in nostra figlia, mi dava la forza di andare avanti’. Briana era commossa. Finalmente un po’ di umanità in quella notte carica solo di odio e violenza. ‘Poi, dieci anni fa, quel bastardo di Alfredo me l’ha portata via’. ‘Lavora ancora per lui?’, chiese Briana, incuriosita. ‘No, è morta anche lei’. ‘L’ha uccisa?’. Briana era sconvolta. ‘No. Non direttamente almeno. Ma è morta a causa sua’.
Nell’auto calò il silenzio per diversi minuti. Felipe sembrava chiuso nel suo dolore, guardava fisso davanti a sé ma, più che sulla strada, i suoi pensieri sembravano concentrati su un altro mondo. Briana non aveva il coraggio di ribattere o chiedere ulteriori dettagli, atterrita dal triste passato dell’uomo. Poi parlò. ‘Perché hai voluto salvarmi?’. Felipe la guardò per un momento. ‘Perché hai i suoi stessi occhi. Lo stesso sguardo ingenuo ed innocente. Non ho potuto salvare lei. Volevo riscattarmi. E tu me la ricordi così tanto’. ‘Capisco. Ma dove stiamo andando?’, aggiunse. ‘Qui non sarai mai al sicuro, devi tornare a casa. Ti accompagno in aeroporto. Ho un regalo per te nel cruscotto, un biglietto per Bucarest. C’è anche un passaporto finto per farti superare il check-in, so che Alfredo fa sparire i documenti delle sue ragazze’. Gli occhi di Briana si riempirono di lacrime leggendo quei pezzi di carta che aveva preso tra le mani. Il suo sguardo lasciava trasparire riconoscenza. ‘Davvero?’, riuscì a dire, singhiozzando. ‘Non so come ringraziarti!’. ‘Mi basta che tu sia in salvo. E felice’.
Intanto, avevano imboccato un tratto di strada immerso nel verde, un lungo ponte a senso unico e a due corsie, sospeso su una vallata. Di giorno sarebbe stato uno spettacolo da togliere il fiato, pensò Briana. ‘Ma di notte è inquietante’.
Felipe notò un’auto dietro di loro. Provò ad accelerare, poi a ridurre la velocità. L’auto alle loro spalle fece lo stesso, restando alla medesima distanza. L’uomo si insospettì, Briana non tardò ad accorgersi del suo stato. ‘Che succede?’. ‘Credo ci stiano seguendo’. ‘Come? Chi?’. ‘Non lo so. Ma spero di sbagliarmi. Qui non avremmo possibilità di cavarcela, non ci sono uscite né deviazioni’.
Ben presto, i timori di Felipe si dimostrarono fondati. L’auto iniziò ad avvicinarsi sempre più a loro. Briana, guardando dallo specchietto retrovisore, si rese conto di non conoscere il guidatore. Notò, però, sul sedile del passeggero un uomo con una vistosa fasciatura attorno al volto. Nonostante oltre la metà del viso fosse coperta, non poteva dimenticare quell’espressione truce. ‘Dario! Sono gli uomini di Alfredo, ci stanno inseguendo!’. ‘Già’. ‘Corri, dobbiamo seminarli!’. Felipe replicò in tono rassegnato: ‘Non ce la faremo mai. La loro auto è molto più veloce della mia. Per quanto possa accelerare, ci riprenderebbero subito’. ‘Ma come ci hanno trovato?’. ‘Questa zona, purtroppo, è il quartier generale di Alfredo, ha occhi ovunque. Ma è un percorso obbligato per arrivare in aeroporto. Ancora una mezz’ora e saremmo stati in salvo, dannazione’.
L’auto ormai gli era quasi addosso. Dalle manovre, Felipe intuì le loro intenzioni, volevano sorpassarli e bloccargli la strada. Dopodiché, dio solo sa cosa avrebbero potuto fare ad entrambi. Conosceva i loro metodi, e non si trattava certo di uomini molto diplomatici o compassionevoli. Sicuramente avrebbero ucciso sia lui che Briana. Provò ad accelerare a tavoletta ma, come temeva, si rese immediatamente conto che si trattava di un espediente del tutto inutile.
L’auto con i due scagnozzi imboccò la corsia di sorpasso. Alle loro spalle due grossi fari, presumibilmente di un SUV, si avvicinavano sempre più a gran velocità. ‘L’auto di Alfredo’, disse Felipe, ‘Siamo spacciati’.
L’auto con a bordo Dario era, ormai, sul loro fianco sinistro. Il SUV li raggiunse in pochi istanti, occupando la corsia d’emergenza alla loro destra.
Il vetro oscurato iniziò ad abbassarsi e Briana si sorprese vedendo il volto di Gratiela spuntare dall’abitacolo. ‘Ancora tu?’, disse Felipe in tono astioso. Gratiela lo ignorò. ‘Ciao Briana’. La ragazza la guardò, senza replicare. Gratiela aveva come sempre un’aria tranquilla, come se stesse vivendo la situazione più normale del mondo. Briana, per certi versi, invidiava la sua freddezza. ‘Ascoltami bene’, disse, rivolgendosi a Felipe, ‘Quando te lo dico io, inchioda!’. ‘Cosa?’. ‘Fai come ti dico, se non ci liberiamo di Dario e Carmine, vi faranno fare una brutta fine’. Intervenne Briana: ‘Tu vuoi aiutarci?’. ‘Voglio aiutare te, non lui’. ‘E perché?’. ‘Sei troppo buona per vivere in questa merda. Solo ora l’ho capito’. ‘Perché dovremmo fidarci?’, chiese Felipe. ‘Quali alternative avete?’.
La valida obiezione di Gratiela indusse Felipe e Briana a non replicare. La donna si rivolse ancora a Briana, mimando con le labbra qualcosa che la ragazza imputò, in generale, alla difficile emergenza che stavano affrontando: ‘Sta’ attenta’. Poi alzò il tono della voce, per farsi sentire da Felipe: ‘Ora!’. Lui inchiodò come concordato. L’auto di Dario e Carmine continuò a procedere a gran velocità e Gratiela virò immediatamente verso di loro. Lo scontro fu devastante, il SUV impattò sul fianco della vettura degli scagnozzi lanciandola contro il guard rail, che non riuscì a contenerla. Le lamiere della barriera stradale si ruppero e l’auto precipitò nel vuoto della vallata. Si sentì un tonfo che risuonò assordante. Gratiela riuscì a fermare il SUV proprio sul bordo del precipizio, guardò Briana e le urlò: ‘Scendi di lì ora!’.
La ragazza non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni. Felipe ripartì. Nel transitare accanto al SUV lo spinse quel tanto che bastava per far precipitare anch’esso nel dirupo. A Briana non restò che guardare il volto terrorizzato di Gratiela mentre l’auto, in pochi istanti, si inclinò irrimediabilmente e sprofondò nell’abisso.
‘Che cosa hai fatto!’, urlò, isterica, nei confronti di Felipe. ‘Ci aveva salvati!’. Lui replicò gelido: ‘Ti saresti fidata? Era la cocca di Alfredo’. ‘Ma gli aveva preso l’auto, e ha ucciso le sue guardie per salvarci!’.
Felipe non rispose. La sua auto prese a sfrecciare a gran velocità in direzione dell’aeroporto. Briana era sotto choc, incapace di reagire e di elaborare i pensieri.
L’uomo, dopo alcuni istanti, prese a piangere e a parlare. ‘Era la mia bambina. La spiavo quando lavorava, aspettando il momento giusto per salvarla. L’ho vista scopata da un sacco di uomini. Glielo mettevano ovunque, senza un minimo di delicatezza. Ho visto quando la inculavano, e godevano nel farla urlare. La tenevano alla pecorina, le stringevano le tette sospese. Tanti si facevano fare dei lunghi pompini. Le venivano in bocca e la costringevano a ingoiare’. Briana era sconvolta dal linguaggio di Felipe. Tanto più per il fatto che parlasse di sua figlia. Ma l’uomo, senza neanche guardarla, continuò imperterrito. ‘Una volta se la son scopata in quattro sai? Erano uomini più o meno della mia età. L’han caricata in macchina, portata in una campagna deserta e scopata lì, sul prato, due o tre per volta. Alla fine l’han lasciata nuda e piena di sperma dappertutto. Hai idea di quanto sia umiliante per un padre?’.
Briana ascoltò in silenzio, ignara del fatto che quanto aveva sentito fosse solo l’inizio.
‘Quando lo facevamo a casa ero sempre delicato con lei. Ricordo che la prima volta era strettissima. Poi, pian piano, l’ho fatta abituare. Aveva un seno bello grosso, proprio come il tuo’, aggiunse, sfiorando Briana con un dito. La ragazza incrociò le braccia per proteggere le sue mammelle. ‘Le tenevo anche il pelo pubico ben curato. Un piccolo triangolino biondo, come aveva sua madre. E anche il sedere era identico al suo. Abbondante ma sodo. Il tipico bel culetto delle brasiliane’, sorrise.
Briana era disgustata: ‘Tu andavi a letto con tua figlia?’. ‘Finché Alfredo non me l’ha portata via con l’inganno’. ‘Inganno? Ma quale inganno! Te la scopavi e a lei faceva schifo, non te ne rendi conto? Se n’è andata per questo!’, urlò, inferocita, Briana. ‘No! Lui me l’ha portata via! Altrimenti lei si sarebbe abituata a me col tempo! Ma ormai l’aveva plagiata, non potevo agire diversamente’. ‘Che vuoi dire?’. ‘Quella sera, dopo che l’han lasciata in quel prato, mi sono avvicinato a lei per riprenderla con me. Ma non ha voluto. Mi ha sputato in faccia ed è corsa via, con ancora lo sperma di quei quattro depravati raggrumato sul suo splendido corpo. Alfredo l’aveva corrotta, non potevo più salvarla. Così”. Briana rabbrividì, intuendo il seguito. Il pianto di Felipe si fece intenso, singhiozzante. ‘Ho dovuto farlo, non è stata colpa mia. Non era più la mia bambina. Era diventata una puttana insensibile’.
‘L’ha uccisa’, pensò Briana con orrore. ‘Ecco cosa intendeva Gratiela. Ha cercato di avvertirmi di stare attenta a lui’.
Felipe si sforzò di darsi un contegno e, mentre all’orizzonte si stagliavano le luci dell’aeroporto e della pista di atterraggio, riprese a parlare. ‘Ma ora è tutto passato’. Si voltò verso Briana e continuò: ‘Tra poco saremo in volo verso Bucarest e potremo iniziare la nostra nuova vita insieme, mia dolce Gwenda. Finalmente ti ho ritrovata’.

Capitolo 5: Una notte infinita
L’aeroporto era sempre più vicino. Nell’auto regnava un silenzio totale. Un turbine di pensieri ed emozioni avevano investito Briana dopo le ultime rivelazioni. Felipe era chiaramente pazzo, e lei doveva liberarsene prima di salire sull’aereo. ‘Ma come?’.
L’uomo, dal canto suo, sembrava concentrato sulla guida ma, ad un certo punto, la ragazza avvertì una mano posarsi sul suo ginocchio sinistro e risalire lentamente lungo la gamba, spostandosi poi sull’interno coscia. Briana serrò le gambe, cercando di impedire ulteriori movimenti da parte del suo aguzzino. Il suo tentativo, però, risulto vano. Felipe era molto più forte, e riuscì facilmente ad allargarle nuovamente e riprendere il suo cammino.
‘Prima di imbarcarci dovrai cambiarti. Ho alcuni abiti più consoni nel cofano. Questo darebbe troppo nell’occhio’. In effetti, Briana indossava un vestitino rosso corto, scollato e attillato, che lasciava ben poco all’immaginazione e rischiava di attirare troppo l’attenzione su qualcuno intento a partire con un documento falso.
Durante tale constatazione, Felipe non aveva smesso di toccare la ragazza. La parte inferiore del già corto vestitino di Briana, intanto, era ormai risalito fino a lasciare scoperta una parte del perizoma bianco che indossava. La mano di Felipe raggiunse in pochi istanti quell’obiettivo, e prese a massaggiare la vagina della ragazza al di sopra del tessuto dello striminzito indumento intimo.
Quella barriera non resistette molto. Felipe la scostò, esponendo al suo tocco il sesso di Briana e il folto pelo nero che lo sovrastava. L’uomo, senza distogliere lo sguardo dalla strada, prese a giocare con la peluria della ragazza, arricciandola. Briana era ben conscia di non poter affrontare direttamente Felipe. Era più forte di lei e completamente fuori di testa, avrebbe potuto solo giocare d’astuzia. Per il momento, decise di lasciarlo fare.
Dopo pochi istanti, l’uomo iniziò a passare le dita lungo l’apertura vaginale di Briana, premendo appena ma senza penetrarla. Il tocco era deciso ma delicato, e il fiore della ragazza non poté fare a meno di gonfiarsi e schiudersi sotto le attenzioni di Felipe. Briana si stupì nel sentirsi bagnata, ma non riusciva a controllare quell’impulso involontario. ‘Rischio la vita a causa di un folle e mi eccito quando mi tocca? Com’è possibile?’.
Si riscosse dai suoi pensieri quando avvertì la mano di Felipe farsi ancor più audace, ed ebbe un sussulto quando l’uomo, senza preavviso, la penetrò con un dito. Felipe iniziò abilmente a muovere l’indice con ampi movimenti circolari, percorrendo l’intera parete interna della vagina di Briana. I pensieri razionali della ragazza si offuscarono per un attimo. Si lasciò scivolare sul sedile, esponendo ancora di più la sua intimità, e reclinò all’indietro la testa cominciando a gemere sommessamente.
Erano ormai giunti in prossimità del parcheggio dell’aeroporto, ma Felipe non vi entrò. Accostò l’auto nella campagna circostante il muro di recinzione, in un posto nascosto da alberi e cespugli e, complice l’oscurità, virtualmente invisibile dalla strada.
Briana avvertì che si erano fermati. Felipe spense il motore e le luci dell’auto, dopodiché tornò a concentrarsi sulla ragazza, aumentando il ritmo della penetrazione. Briana, per un momento, aprì gli occhi e vide le sue gambe oscenamente divaricate mentre quella mano si insinuava sempre più a fondo dentro di lei. Li richiuse nuovamente, lasciandosi andare al piacere e avvertendo i suoi liquidi iniziare a sgorgare sempre più copiosi e bagnare le sue cosce e il tessuto del sedile. Più godeva e più si sentiva in colpa per la sua depravazione. Eppure, il suo corpo bramava quel contatto e non faceva nulla per sottrarvisi. La ragazza si accorse di gemere in maniera sempre più rumorosa e incontrollata.
Felipe, gratificato dalla reazione di Briana, ormai sotto il suo totale controllo, con la mano libera si slacciò cintura e pantaloni, estraendo il suo membro già duro. Afferrò la mano della ragazza e la portò sul suo pene. La reazione non si fece attendere. Briana lo impugnò e iniziò una frenetica masturbazione, imponendo lo stesso ritmo al quale Felipe stava tormentando il suo sesso sempre più bagnato. Sentire quel palo di carne duro e grosso nella sua mano contribuì ad aumentare ulteriormente la sua eccitazione, tanto da afferrare la mano di Felipe e cercare di distendere il suo dito medio. L’uomo capì la muta richiesta, e prese a penetrarla anche con un secondo dito, con immutata velocità. Briana, sentendosi ancora più piena, lanciò un urlo soddisfatto, poi riprese ad alternare gemiti a gridolini soffocati.
L’uomo, intanto, fece scivolare le spalline del vestito di Briana e, complice i movimenti della ragazza, glielo fece scorrere lungo il busto fino a lasciare scoperti i suoi abbondanti seni, che prese a palpare con avidità. Si chinò poi sugli stessi e iniziò a baciarli delicatamente, fino ad arrivare al capezzolo sinistro. Prese quel chiodino rosato tra le labbra e lo strinse e tirò fino ad avvertire un sussulto misto a piacere da parte di Briana che, intanto, aveva iniziato a muovere il bacino per seguire i movimenti di Felipe.
Briana era completamente fuori di sé. A memoria, non ricordava di essere mai stata così eccitata in vita sua. Felipe, evidentemente consapevole dello stato nel quale versava la ragazza, reclinò il sedile e, un attimo dopo aver smesso di masturbarla, le montò sopra, col suo pene all’altezza della caverna aperta e bagnata che desiderava riempire.
La penetrò in un sol colpo, per tutta la sua lunghezza. Briana strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Al tatto, si era accorta delle ragguardevoli dimensioni di Felipe ma solo ora, sentendolo tutto dentro di sé, si rese conto di non aver mai avuto a che fare con un membro così grosso. L’uomo iniziò a penetrarla ad un ritmo forsennato e a grugnire dal piacere. Le urla di Briana riempivano l’abitacolo.
Fu solo quando l’uomo tentò di baciarla che lei riacquistò un barlume di lucidità. Voltò la testa di lato per evitare il contatto e, sebbene il suo corpo fosse scosso da continui brividi di piacere, Briana si rese conto che, nonostante l’indiscutibile abilità amatoria di Felipe, a livello cosciente lui la repelleva e la intimoriva. Era un mostro che andava fermato e, se Briana in quel momento era estremamente vulnerabile a causa dell’eccitazione che la attanagliava, anche la condizione di lui non doveva essere molto diversa.
Era a un passo dall’orgasmo, e l’eccitazione mista al timore di quello che sarebbe potuto accadere in un futuro piuttosto prossimo, la indussero a un gesto inconsulto ed improvviso. Allungò il più possibile la mano sinistra, riuscendo ad estrarre la chiave dalla serratura del motorino d’avviamento e la conficcò, con tutta la forza che aveva in corpo, nel lato destro del collo di Felipe.
L’uomo non si rese conto di quanto accaduto. Si irrigidì e sgranò gli occhi per l’acuto dolore provato. Di riflesso, diede un altro paio di colpi di bacino, ancora più violenti dei precedenti. Proprio sull’ultimo, Briana raggiunse un orgasmo devastante che la fece tremare e urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. Poi, la sua esile figura venne schiacciata dal corpo di Felipe, che si accasciò senza vita su di lei dopo aver perso una dose letale di sangue dalla rescissa vena giugulare.
‘Oh mio dio, ho ucciso un uomo!’. Il terrore nel realizzare quanto avvenuto la paralizzò. Solo dopo alcuni minuti, quando iniziava a mancarle il respiro per il peso esercitato dalla salma di Felipe, Briana uscì dallo stato di trance nel quale versava. A fatica, riuscì a sgusciare fuori dalla vettura. Con la chiave sporca di sangue riuscì ad aprire il cofano dell’auto e si cambiò lì, in piedi in quella piccola campagna circostante l’aeroporto. Col vestito si ripulì il viso e le mani sporche del sangue sgorgato a fiotti dal collo di Felipe e poi infilò il top giallo, la gonnellina di jeans e le scarpe da ginnastica che trovò ben riposte in una busta.
Pregando che il corpo di Felipe non venisse ritrovato prima della sua partenza, e attraversando con il cuore in gola il check-in nel timore che il suo passaporto venisse riconosciuto come falso, la ragazza riuscì a tirare un sospiro di sollievo solo quando avvertì l’aereo iniziare a muoversi sulla pista e decollare.
Sola e libera a bordo del volo che la riportava verso Bucarest e con il sole che, timidamente, iniziava a far capolino di fronte all’aereo, Briana non poté fare a meno di ripensare all’incredibile catena di eventi delle ultime dodici ore. Aveva detestato Gratiela e lei le aveva salvato la vita. La ripugnava Felipe, ma lui le aveva regalato l’orgasmo più intenso mai provato. Aveva vissuto in poche ore le emozioni più forti e contrastanti possibili. Avrebbe dovuto odiarsi per aver goduto sotto le mani di un folle omicida. Avrebbe dovuto provare orrore verso sé stessa per il cinismo dimostrato nel cruento assassinio di Felipe. Eppure era felice. Felice di essersi salvata la vita e di avere una seconda opportunità. Sorrise al pensiero di Alfredo che la cercava in lungo e in largo per Botosani e benedisse sé stessa per non aver mai precisato ad alcuno che, nonostante fosse nata e cresciuta lì e la sua residenza non fosse mai stata cambiata, ormai da anni viveva a Mioveni, dalla parte opposta del Paese. Poco prima di essere assunta al call center, appena compiuti i diciotto anni, diede fondo ai suoi risparmi per affittare un appartamento nella sua città d’origine e cercare lavoro lì. Il padrone di casa non le aveva mai chiesto da dove venisse e lei, sempre schiva, non aveva ancora legato con alcuno dei suoi colleghi. Neppure ad Alfredo aveva mai accennato nulla, troppo presa dalle attenzioni dell’uomo e travolta dalla passione per articolare discorsi estranei alla loro vita di coppia. Ora, quel dettaglio sarebbe stata la sua salvezza: Alfredo conosceva solo la sua vita a Botosani e nessuno, in quella città, era a conoscenza delle sue vere origini e avrebbe, quindi, potuto dargli indicazioni su dove trovarla. Sarebbe semplicemente scomparsa. E avrebbe ripreso la sua vita da dove l’aveva lasciata appena pochi mesi prima. Forse un giorno avrebbe dovuto fare i conti col suo lato oscuro. Ma si ripeté che non era quello il momento. Si addormentò serena, mentre l’aereo sorvolava a gran velocità le acque dell’Adriatico.

Leave a Reply