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Racconti Erotici

SOLEIL DE PARIS 26

By 4 Giugno 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

La Mercantessa non volle lasciare andare la sua amante. La tenne con sé. Allorché la Rossa cercò di sottrarsi alla sua stretta, si sentì afferrare per i capelli e strattonare. La sua fidanzata non le concedeva pace.
– Vieni qua! ‘ le diceva, sogghignando. ‘ Adesso che ti ho presa, sarai mia per sempre! Lo sai che ti voglio bene’
– Lasciami andare! Lasciami’ – ripeteva l’altra.
– Voglio che vieni con me a casa mia’
I sassi erano freddi, gelidi, ricoperti di neve. Ad un tratto, la bionda prese un ramoscello di rovo e lo appoggiò sulla coscia nuda della sua compagna, facendole sentire le spine sulla pelle.
Uno stormo di passeri si alzò in volo da un cespuglio vicino. Delle impronte di stivali erano rimaste impresse nella neve. Qualcuno stava arrivando.
– Rossa, voglio te e il tuo violino! ‘ esclamò la Mercantessa, ridacchiando e giocando con i capelli di lei. ‘ Lo suonerai soltanto per me, per il resto dei tuoi giorni!
Cielo, la bionda voleva farle male’ Gliene stava già facendo. Posso dirvelo: nella mente sua era passato come una nuvola nera il pensiero di imprigionare la violinista nella sua casa in mezzo al bosco.
All’improvviso, s’udì una fucilata.
– Lasciala o sparo!
Era il gabelliere’ La Rossa lo aveva riconosciuto dal gran cappello a cilindro, che portava sul capo’ Gli corse incontro e lo abbracciò; la canna del suo fucile era ancor fumante.
– Mio salvatore! Quanto mi sei mancato! ‘ gli mormorò la bella, in un orecchio.
Il brav’uomo la prese in braccio e la portò via con sé, così’
La Mercantessa, allora, si allontanò, urlando nella nebbia. Il vento spalancava il suo mantello’ Sembrava un condor, che aveva spiegato le grandi ali e volava via. Ricordo che giunse fino alla cascata e volle tuffare nell’acqua la sua bella testa bionda’
Passarono alcuni giorni. La violinista cercava invano di dimenticare le tristezze della sua esistenza. Rimaneva tutta sola e immobile, lungo la strada, senza far nulla. A volte, si sedeva sulla neve ed aspettava, inutilmente’ Non faceva altro che veder passare i calessi, le carrozze, i carri’ Il rumore sordo delle ruote sul selciato evocava in lei mille ricordi. Lo scalpitare degli zoccoli dei cavalli la faceva sognare e desiderare l’illusione.
Allora, anche uno spazzacamino, che camminava su di un tetto, tenendo in mano una sorta di ramazza, bastava a commuoverla.
Non suonava più da tanti giorni, ormai. Non ci riusciva. I suoi sussurri erravano nel grigiore. Le parve di rivedere il volto del gabelliere, che svaniva nella nebbia. La salutava, agitando piano la sua mano bianca’ Uno stormo di tortore grigie gli volava intorno’ Si vedevano brillare per un istante la baionetta e la canna del suo fucile, poi, più nulla’ Più nulla!
– Il piacere, il piacere, poi, soltanto la morte ‘ mormorava la Rossa, nel suo silenzio, desolato e freddo.
Io non so che cosa significassero, per lei, quelle parole. Forse, erano menzogne caste, fatte come la neve, per il desiderio di una donna.
La Rossa piangeva’
Sì, piangeva, come il suo violino, di un pianto fatto di lacrime appassionate e mute, che tanto assomigliava a quello degli ultimi geli dell’inverno!
Il suo giocoliere era in carcere e loro non potevano vedersi più! Oh, no, non più!
Aveva nostalgia del suo volto decorato e variopinto, dei suoi birilli, della sua allegria, del suo accorto e sapiente balbettare. Desiderava ardentemente la sua presenza, ma non osava confessarlo a se stessa!
La sua mente era affollata dalle visioni dei loro incontri amorosi, tristi e liete insieme.
Sperava che i loro corpi si incontrassero ancora, che quel pene lungo e affettuoso le scivolasse in seno altre mille volte, che le sue labbra potessero toccarlo, sfiorarlo, possederlo, fino a goderne.
Ah, i loro sessi infuocati! Le gambe di lei, che si muovevano, senza trovare pace, su quelle irsute di lui! Poi, un urlo, d’orgasmo, e più nulla’
– Parigi brilla lontana, le sue stelle mi rapiscono ‘ sussurrò la Rossa, trasognata.
Non sapeva quello che diceva.
Il destino si commosse, al punto che volle farle un regalo.
La bella era uscita dall’Accademia degli Orfanelli e camminava, tutta sola, davanti all’Ostello degli Artisti. Canticchiava un’aria malinconica e teneva sottobraccio il suo violino prezioso.
Ad un tratto, si fermò. Aveva sentito il rumore delle ruote di una carrozza, di una carrozza’ Si voltò improvvisamente’ Attraverso i rami spogli degli alberi, nella bruma, vide passare il mistero.
La vettura aveva le porte chiuse a chiave, al posto dei vetri, c’erano delle sbarre. I cavalli andavano al galoppo, li guidava un cocchiere che portava una benda nera su di un occhio e non esitava ad usare la frusta.
Dietro a quelle sbarre, apparve il volto del giocoliere prigioniero’ Portava una parrucca colorata e teneva in mano la sua pistola giocattolo, quella che lanciava coriandoli. Se la puntò alla tempia, oh, Cielo, voleva spararsi, sì!
La Rossa lo vide e provò una stretta al cuore.
– Vi prego, liberatelo! ‘ gridò.
Ella si gettò in ginocchio e pianse, inutilmente!
Le parve di udire il suono della trombetta di lui, quella che aveva tutti i colori dell’arcobaleno. Le sembrò cupo e tristissimo’
Lo stavano trasferendo da una prigione all’altra’ Oh, che cosa mai volevano fargli? Lo avrebbero liberato?
L’infelice lo sapeva innocente’ Ma questo non bastava per intenerire il cuore dei cattivi.
La Rossa non faceva altro che consolarsi con il suo violino. Era l’ultimo amico che le restava. Lo sfiorava con le labbra sulla cassa e torturava le corde coi suoi baci. Le sue mani stringevano l’archetto e lo carezzavano con passione.
Riusciva anche a trarne una melodia leggera, soffocata, vaga.
Era il suono dell’addio.

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