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Racconti Erotici

SOLEIL DE PARIS 3

By 8 Maggio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

C’era una volta nel villaggio una misteriosa sconosciuta, sempre vestita di nero.
Abitava tutta sola nella sua casa nel bosco, che era bianca, aveva il tetto spiovente e le inferriate alle finestre.
Accadeva sovente che i gufi e le civette si posassero su quelle grondaie e sulle imposte sbilenche del cupo abbaino, o facessero il nido sulle tegole ricoperte di muschio.
Che versi tenebrosi s’udivano tutt’intorno!
A volte, salivano fin lassù delle vecchie vedove, canute e sdentate, chine sotto il peso delle gerle cariche di carbone che portavano sulle spalle.
Bussavano all’uscio. La padrona di casa toglieva la spranga soltanto dopo aver udito dalle loro labbra vizze la parola d’ordine, che le vegliarde le bisbigliavano attraverso la grata.
Andavano da lei anche numerosi bifolchi, assai tenebrosi, che la gente del villaggio credeva mercanti di pestilenze.
La misteriosa donna, pur essendo incantevole, non amava mostrare il suo volto ai passanti.
Di tanto in tanto, la incontravano i contrabbandieri, o i briganti. Allora, quasi sempre la inseguivano, rapiti dalla venustà delle sue forme e dalla bellezza dei suoi lunghi capelli biondi, che ricadevano morbidi sul suo mantello color della pece.
Non c’era fuorilegge nella selva che non avesse desiderato stuprarla.
Nessuno mai c’era riuscito.
Ella assomigliava ad un fantasma e sapeva dileguarsi come cenere al vento.
Da un capo all’altro del bosco, sotto i faggi maestosi, errava l’eco della sua voce. Talvolta, sghignazzava.
Durante quella morta stagione, il tetto della casa nel bosco era tutto ricoperto di neve.
All’interno, davanti al fuoco, che come una fiera sbranava la legna, c’era lei, tutta intenta a contemplare le pareti delle sue stanze, alle quali erano appesi violini e violoncelli di ogni genere.
Erano preziosissimi e valevano una fortuna.
La maliarda possedeva anche dei mobili antichi, degli scrittoi, appartenuti al Re Sole ed ai più ricchi nobili inglesi del Settecento, dei lampadari, tutti d’oro, tempestati di pietre preziose, delle pendole, che sembravano d’argento.
In soffitta custodiva molti bauli, che non aveva mai mostrato a nessuno. Si diceva contenessero pelli e pellicce di volpe, gioielli degni delle più facoltose regine della terra, divise di soldati defunti e spade medievali.
C’era anche una stanza, piena di specchi, gli stessi davanti ai quali, un tempo, le più ricche sovrane di Francia si erano contemplate.
La gente del borgo diceva che la tenebrosa di cui vi narro facesse commercio non soltanto di oggetti preziosi e mobili antichi, ma anche di anime, cuori e passioni.
Di tanto in tanto, faceva capolino sulla soglia, tenendo in mano una bilancia dorata, simile a quella dei pescivendoli, che le serviva per pesare non so che cosa.
Allora, sulle sue labbra rosse appariva un sorriso malizioso e faceva un po’ paura.
A volte, prima del canto del gallo, bruciava nel camino dei contratti, scritti in un tedesco arcaico e firmati con inchiostro rosso.
Quant’erano loschi i suoi affari!
Vendeva e comperava di tutto, ma si interessava principalmente di violini.
Una notte, la vidi china su di un forziere spalancato, mentre si girava e rigirava tra le mani delle monete d’oro, alla luce delle fiamme, che avvampavano e spandevano intorno una luce sinistra.
Se avessero potuto, avrebbero divorato anche quei lunghi capelli biondi e quelle labbra rosse, carnose, che tanto risaltavano sul volto diafano della vanitosa.
Io ignoro il nome di quella sconosciuta abitatrice della foresta, che saremo costretti a chiamare con l’appellativo di Mercantessa.
Talvolta capitava di incontrarla per i viottoli angusti del villaggio, un tempo frequentati dai lupi e dai fantasmi, ma all’epoca ammantati di neve.
Allora, ella s’avvolgeva nei suoi neri manti e svaniva, forse involandosi come un corvo.
Un bel giorno, davanti all’Accademia degli Orfanelli diedero un concertino.
I fanciulli erano vestiti con le loro divise blu, portavano dei bei colletti bianchi e dei grandi fiocchi azzurri o rosa, a seconda che fossero stati maschietti o femminucce.
Stavano seduti su delle seggiole di legno, in cerchio, all’aperto, davanti alla scalinata antica.
Alcuni suonavano il violino, altri, il violoncello, altri ancora, il flauto o l’arpa.
Tra i piccoli musicanti vidi lei, la Rossa, che faceva piangere di tenerezza il suo strumento melodioso ed era tanto graziosa, in mezzo a quegli innocenti.
Teneva gli occhi chiusi e, a tratti, dalle sue lunghe ciglia nere fuggiva una lacrima.
Erano tutti quanti insieme e su di loro cadeva una neve così bianca, che sembrava zucchero a velo. Non faceva molto freddo ed era tanto, tanto bello!
La campana suonava le ore quando, da dietro la chiesa gotica, sbucò una figura cupa, avvolta in un mantello nero e con un cappuccio d’egual colore calato sul capo.
Una folata di vento scoprì il volto della sconosciuta. Era la Mercantessa.
Si nascose dietro i rovi spogli, mentre con la mano bianca si accarezzava i lunghi capelli biondi e un sorriso di fata brillava sulle sue labbra ardenti.
Gli occhi suoi incontrarono quelli della Rossa, che suonava con gli orfanelli.
Fu allora che si innamorò di lei.
Giurò a se stessa di conquistarla e ci riuscì.
Ricordo che, una volta, le due passeggiavano nel bosco, sui loro cavalli bianchi. Avvolte in una luce crepuscolare, parlavano d’amore e di felicità.
– Sei mia, carissima, il vento della passione soffia forte nel tuo cuore ‘ mormorava la Mercantessa, con voce di upupa. ‘ Io conquisterò con i miei baci i tuoi capelli rossi, le tue guance di bambola, le tue labbra amorevoli, che già mi appartengono’ Farò piangere d’amore i tuoi occhi fatati, dove già arde il desiderio’
– Ed io suonerò per te il mio violino appassionato ‘ le rispose la sua dolce amica, stringendole la mano.
Scesero dai loro destrieri dai candidi manti e si abbracciarono. Entrambe erano nude, sotto il mantello. I seni delle due donne si toccarono, regalando ai loro sensi incantati sensazioni di fuoco.
Stesero una coperta sulla neve e la Rossa vi si adagiò teneramente, a gambe aperte. La Mercantessa, priva di qualsiasi velo, si sdraiò sopra di lei e cominciò un dolce gioco con la sua mano appassionata.
Riusciva ad accarezzare se stessa e la sua amica, con un solo movimento. Sprigionava piacere e dolcezza.
Erano scalze. I loro corpi erano incastrati l’uno nell’altro, nessuno poteva vederle, soltanto il tempo e le emozioni perdute riuscivano a toccarle.
Poi ripresero la loro passeggiata a cavallo. Dietro i rovi e i rami spogli, ricoperti dei ricami dell’inverno, apparve la casa del gabelliere.
Il buon vecchio uscì con il fucile in spalla, gridando loro:
– State attente! Non sapete che ci sono i briganti?
Un’improvvisa folata di vento rapì il suo cappello a cilindro.

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