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Racconti Erotici

SOLEIL DE PARIS 4

By 9 Maggio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Il destino volle farmi rivedere la meravigliosa giovane in tutto il suo splendore.
Me la ricordo con i lunghi capelli rossi, sciolti, che volavano nel vento, mentre suonava il suo violino con affetto.
Alle sue spalle c’era un arcobaleno, immenso, che conteneva tutti i colori dell’universo.
Corone di pungitopo e rose scarlatte, fiordalisi e stelle bianche facevano a girotondo intorno a lei, che sorrideva di piacere e di felicità.
Non so dove fosse’ Forse, la Rossa stava volando nei cieli della poesia e della meraviglia.
Un’aurora vaga la illuminava, mentre boschi di faggi, edifici decorati con mille guglie e statue antiche, fontane di madreperla, bambole di porcellana e treni a vapore correvano alle sue spalle.
Di tanto in tanto, la favolosa socchiudeva le labbra: era come per dare un bacio al mondo e al suo violino appassionato, al quale teneva più che alla sua stessa vita.
Ricordo che in quegli istanti suonava nuda, aveva solo un velo indosso.
I miei occhi languidi contemplavano i suoi enormi seni, dai capezzoli rosa e grandi. La natura li aveva fatti per essere goduti.
Le sue dita affusolate e candide correvano sulle corde ed era come se lo accarezzasse.
Mentre con una mano faceva andare su e giù il prezioso archetto, sprigionando melodie ed armonie che non si possono raccontare, sembrava facesse l’amore con il suo strumento.
Lo teneva adagiato sul collo, tra il suo mento appuntito e le spalle dolci e larghe.
Le corde, alle volte, stridevano dolcemente. Durante gli acuti, pareva che il suo amante di legno le regalasse tutti i suoi sospiri.
Quando, invece, lei gli faceva toccare le ottave basse, suonando con molta forza ed intensità, dava l’impressione di conquistare le vette ardenti del piacere, che confinavano col cielo.
Di tanto in tanto, quasi inavvertitamente, sfiorava con il braccio nudo il suo petto di donna e strofinava con l’archetto le sue aureole sode.
Allora, un gemito di desiderio le sfuggiva dalla bocca semiaperta, nella quale la lingua era incastonata come un diamante.
Il suo violino le parlava, sì, le diceva:
– Amica delle mie corde, fammi bruciare di musica e passione’ Vorrei poter entrare nel tuo grembo e riempirlo di tutto il mio piacere, fatto di rose profumate e un po’ spinose, di mani di legno, che ben sanno accarezzare, di estasi e tormento’ Ad ogni nota godo insieme a te ed il mio ventre armonico freme, al pari delle tue mani nude, dalle dita di fata, che sprigionano gli incantesimi dei sensi!
Ella non gli rispondeva che con i suoi baci. Con le sue labbra affettuose, gliene regalava mille alla fine di ogni concerto.
La Rossa amava molto gli animali.
Aveva un cavallo bianco.
Una volta, era sola con lui e lo abbracciava. Gli accarezzava la maestosa criniera e gli sussurrava tenerezze negli orecchi.
Di tanto in tanto, il grazioso animale muoveva la coda, o nitriva sommessamente. Era il suo modo di risponderle.
Una falce di luna brillava nel cielo e, dall’immenso, precipitavano le stelle cadenti.
S’udiva il rumore della pialla del falegname, il crepitare del fuoco nella stufa, il fracasso cupo della mannaia del taglialegna, che spaccava i ceppi.
La vecchia faceva ritorno alla stamberga, con un sacco di carbone sulle spalle.
Rammento il modo affettuoso in cui le dolci chiome di lei sfioravano il morbido manto del suo cavallo bianco ed il sorriso ameno, languido, che illuminava il volto della giovane, tradendo tutta la sua sensualità.
Il suo giocoliere, da dietro una siepe di pungitopo, ricoperta di neve, la guardava.
Si tolse la buffa bombetta che aveva sul capo e, con una delle sue grandi mani (allora portava dei guanti candidi), si asciugò una lacrima da Pierrot.
Sembrava che il suono melodioso del violino della sua amata facesse da sottofondo a quell’incontro.
Lei si voltò, lo salutò, agitando forte il suo cappello, ornato con una piuma vermiglia, mentre il vento d’inverno faceva volare il suo ampio mantello.
Fu così che lui le corse incontro, tendendole le braccia, ma, proprio sul più bello, inciampò.
Che sbadato!
Poi i due amanti si abbracciarono con passione e la Rossa gli sussurrò le parole d’amore più dolci di cui fosse capace.
Egli, allora, per sdebitarsi, fece una graziosa capriola e, per deliziarla ancor più, prese a giocare con dei sassi, delle palle di neve e dei pezzi di carbone dimenticati lungo la strada.
Me li ricordo insieme, nudi, nella stanza delle girandole, che avevano tutti i colori della fantasia.
Come giravano!
Lei aveva voluto godere con le labbra del petto glabro e senza veli del suo uomo. Poco dopo, si era seduta su di uno sgabello di legno e aveva alzato la sua gamba lunga, formosa, affinché il giocoliere potesse divertirsi a farci dei bei disegni con le matite colorate.
La Rossa era senza scarpe e guardava il suo innamorato ridendo e sospirando.
Intanto, lui le stuzzicava la pelle e si dilettava, facendole il solletico sotto i piedi.
Infine, la giovane si sedette su di un tavolo, tutto ricoperto di girandole. Chiese al suo amante di possederla e di entrare nel suo grembo con tutta la sua virilità.
Venne esaudita. Si mise nella posizione della cortigiana e godette a lungo insieme al suo amico del cuore.
Gli chiedeva insistentemente di non smettere. Ogni tanto, gli toccava la punta del naso e rideva. Ma le sue risate si trasformavano tutte in sospiri di piacere.
Intanto, non molto lontano dal villaggio, davanti alla casa della Mercantessa, una figura cupa faceva capolino dietro i rovi. Era avvolta in un manto color carbone ed un cappuccio nero celava il suo volto.
Teneva tra le mani una scure e spaccava la legna.
Nevicava.
Dal profondo del bosco si levava l’ululato dei lupi. E nulla più.

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