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Racconti Erotici

Spiraglio e attitudine

By 2 Aprile 2020Giugno 16th, 2020No Comments

Quell’anno si era rivelato molto turbato ed eccessivamente scompigliato dal punto di vista atmosferico, in quel mese di fine ottobre in effetti faceva insolitamente freddo e dopo ci si erano messi in mezzo pure i frequenti e i ripetuti temporali, facendo da un versante il bene e appagando qualcuno, ma dall’altra parte scontentando e deludendo una buona porzione di molti rimanenti, ma si sa, il tempo non ha timonieri, tantomeno condottieri né guide da cui dipendere, perché comanda, dirige e stabilisce a modo suo, decide in libera autonomia le nostre sorti e sul da farsi, infischiandosene del tormento e delle lamentele dei suoi abitanti. 

Quel giorno, invero, la scrosciante pioggia l’aveva beccata di sorpresa, pizzicandola e sconcertandola come il migliore dei rapidi e consistenti nubifragi dell’estate. Giovanna impugnava il biglietto nella mano, le piccole quantità di quel piovasco avevano rimosso il numero civico dell’edificio all’interno del quale avrebbe dovuto patrocinare il suo primario esame orale. In verità, tempo addietro, uno stampatore era incespicato sui versi del suo componimento narrativo, rimanendone piacevolmente colpito e alquanto deliziato. Adesso però, la peculiare e primaria soluzione era quella d’introdursi nel primo bar e domandare. Ne avvistò uno, lei era a pochi passi, la porta aperta da un avventore che usciva le fece inalare la fragranza tipica del caffè appena fatto, persuadendosi sennonché ad entrarci: 

Buongiorno, prendo un caffè, la ringrazio” – enunciò Giovanna, osservando il lungo e rifornito bancone del bar, esplorando al di là della vetrata la torrenziale pioggia che veniva giù. 

Al banco, un uomo le rivolgeva le spalle, tuttavia alla sua domanda si voltò di scatto. L’istante che seguì fu dilaniato dal roboante fracasso d’un boato, il medesimo che accadde nel suo costato, quando riconobbe gli occhi e rivide di scatto l’azzurro, a dispetto della cupezza e del colore plumbeo di quella giornata. Gli angoli del suo sorriso s’estesero diffondendo la luce e uniformando in ultime le pieghe sulla faccia incuriosita, poiché ben presto lui le manifestò: 

“Che bella sorpresa, ciao. Che cosa fai da queste parti? Sarebbe lecito quantomeno salutare, non ti pare?” le aveva manifestato lui pacatamente, giacché la sua voce esprimeva travisando uno sbigottimento e una contentezza impensata.

Ambedue scoppiarono a ridacchiare e lui l’avvinghiò con un caloroso attaccamento, ma appena le braccia cinsero la schiena, un altro rimbombo squarciò nuovamente il cielo, e lei s’aggrappò rapidamente alla sua casacca: 

“Da come vedo e distinguo, hai sempre la fifa dei fulmini e il terrore dei tuoni?” – ripeté lui rincuorandola. 

“Hai capito bene, me la faccio sotto, ho una paura che so soltanto io” – gli espose lei visibilmente impaurita e allarmata, mentre l’impiccio tornò a fermarle le braccia allentando però nel mentre la presa. 

“Da quello che vedo, direi che sei in ottima forma” – gli palesò lui meravigliato e gioioso. 

“Non c’è dubbio, sono da poco rientrata dalla spiaggia, da quello che posso notare dal colorito che ti ritrovi” – gli ribatté lei, alquanto vispa e determinata. 

Seguitarono ulteriori e fragorose ilarità, mentre le consuete ciarle e i familiari pettegolezzi s’accatastarono aggiungendosi ai loro discorsi, terminando di sorseggiare il caffè insieme. Ogni tanto si esaminavano negli occhi, deviando la direzione tutte le volte che si beccavano nel farlo insieme. 

“Sai una cosa, io sto tentando di rintracciare la via Mascagni. Tu sai dove si trova?” – chiese lei incuriosita e avvinta. 

“Certo, te la indico, non è distante da qua. Che cosa cerchi di preciso?” – domandò lui quasi complottando e immischiandosi nelle sue faccende. 

“Hai presente la storia che t’avevo accennato?”. Intanto che lei lo osservava in maniera provocante e spensierata, lui le ribatté nello stesso modo. 

“Davvero? Ma è fantastico Giovanna, allora te la danno alle stampe” – rispose lui, visibilmente euforico e sereno al tempo stesso. 

Lei chinò lo sguardo e con una fraudolenta misura e con una distorta discrezione abbozzò un lieve sì. Lui l’abbracciò e lei non si sottrasse. 

“Bel colpo per davvero, sono veramente deliziato e radioso per te. Adesso dobbiamo solennizzare” – enfatizzò lui giubilante e contento, mentre il barista aveva già approntato due calici grandi di spumante, mentre lui lieto e festoso esultava per averla rincontrata. 

“Scommetto che non hai il parapioggia con te? Da come ti conosco, vincerò di certo la somma in palio. Dai, su, vieni che andiamo via insieme” – aggiunse lui facendole l’occhiolino e cingendola a sé. 

Gironzolarono accostati per scansare la pioggia, per ambedue era l’eccellente scappatoia per spartire una confidenza che da sempre li congiungeva. Lui le avvolgeva le spalle, lei si lasciava cingere. Quell’andirivieni adesso non le pareva più tanto rumoroso né scomposto, perché tutto adesso pareva molto lontano, adesso che si era nuovamente dischiusa quella buca, quell’enorme voragine che un tempo l’aveva fatta affliggere e patire. 

“Guarda quella farmacia là in fondo a destra, la via che cerchi è la prossima a sinistra, ci siamo quasi”. 

In breve tempo arrivarono di fronte all’ingresso mentre lei squadrava meravigliata e assorta, l’estesa etichetta che risaltava sopra attaccata. In quell’istante quel silenzio le apparì spaventosamente scomodo e impedente, perché come a volerlo quasi attrarre, il fragore d’un tuono le rimbombò nuovamente conficcandosi fin dentro lo stomaco, facendola trasalire per lo spavento. Lui dilatò gli occhi è rielaborò quella cavità cupa e fosca, della quale ne conosceva scrupolosamente la profondità, minuziosamente la distanza e dettagliatamente l’inedita interiorità. Lei in quella circostanza lo cinse a sé per impulsività, forse per terrore, chissà per rimpianto e per fiacchezza, dal momento che fu la rovina, la caduta e il crollo di tutto, la fine. 

Con tutta franchezza e lealtà, io non avevo al tempo maturato alcuna cognizione della mia apertura, predisposizione e intendimento, di quanto tale pratica possa essere sensuale ed erotica. Penso che da parte mia ci sia stato il solo merito d’aver accondisceso, per curiosità e amore del proibito, alle iniziative e alle provocazioni rivoltemi dalla mia ex compagna, ignaro della destinazione finale. Se dovessi descrivere il nostro rapporto intimo potrei affermare e palesare, che è stato carnale e godereccio, con una prominente scambievolezza intellettiva, un rapporto dove le briglie del divertimento sono state impugnate unicamente in mano da lei, perché in definitiva quelle barriere sono stati individuate più da una buona comprensione e amicizia vicendevole, che da una divisione introduttiva. 

L’intavolatura è ancora chiara e smagliante nel mio intelletto nella tarda sera di ferragosto in casa di nostri conoscenti. Le nostre compagne, allegre, ebbre e alticce come noi, presero l’iniziativa di truccarci senza un soggetto in particolare. La mia lei incominciò a darmi sembianze femminili. Rossetto, trucco negli occhi ed eccomi trasformato in una lei grossolana, rustica e triviale, ovviamente inavvicinabile e scostante. Quello che ricordo è che il vedermi allo specchio e la vicinanza del suo corpo, mi scombussolarono creandomi turbamento ed eccitazione. E lei se ne accorse. 

Il giorno dopo, tra due risate e mezze frasi provocatorie mi truccò nuovamente e con una scintilla particolare negli occhi, mi riferì libidinosamente che ero la sua femmina. Mi brandì la testa piegandola verso i piedi. Iniziò così un’adorazione delle sue estremità più basse, un culto ben architettato intervallato da strette alla mia bocca e a volte al collo. Non so perché, ma subii tutto come un automa, aizzato e eccitato come mai prima d’ora. Intervallava frasi maschili, schiaffetti e piccoli gesti di forza, a momenti in cui mi spingeva ad adorare il suo corpo, tutto il suo corpo tranne le zone intime. Quello avvenne solo dopo decine di minuti di prevaricazione verbale e di venerazione del corpo, quando mi ghermì la testa pressandola brutalmente sulla sua fica, peraltro pelosissima e molto odorosa, obbligandomi a respirare e a nutrirmi di tutti i suoi intimi sapori. 

Io m’identifico, mi calo indubbiamente in questo momento, poiché è l’inizio della mia intrinseca inclinazione, i cui confini sono stati senza dubbio generati e in seguito amplificati da lei. In un secondo tempo è stato un ulteriore crescendo, un aggiuntivo prosperando, perché di tanto in tanto m’obbligava semplicemente a indossare mutandine femminili, per andare al lavoro oppure dei collant. Mi chiedeva persino d’indossare della biancheria femminile mentre preparavo la cena, mi faceva mettere in ginocchio implorandomi di poterla possedere, cosa che a volte poi non avveniva. 

Il punto culminante però doveva ancora accadere. Organizzò una seduta presso una padrona di professione, dove lei ovviamente era la protagonista principale. Io ovviamente accettai. Penso lo fece per utilizzare l’attrezzattura. A mio avviso questi strumenti sono molto utili, ma non sono l’essenza di tutto, perché quella risiede dentro i nostri cervelli. Appena arrivato venni zittito da uno schiaffo della dominatrice e poi da uno sputo della mia femmina. Li afferrai subito che cosa m’attendeva, perché venni bendato, legato e immobilizzato. Mi tormentarono gli organi genitali, venni frustato nelle natiche, pinze varie e cera calda nei capezzoli, trascinato successivamente per la stanza, intervallando questi maltrattamenti con altri di dolce riconoscenza, comi baci e carezze. Stabilirono in seguito di possedermi, ricordo che non mi concessero il premio finale, perché per me fu quella la crudeltà più pesante, afflizione più indigesta e opprimente, in altre parole il diniego del riconoscimento finale. 

Il nostro rapporto proseguì su queste squilibrate guide e su questi morbosi comandi, allontanandoci e discostandoci costantemente di più da una relazione tradizionale. Io ero diventato un utensile, il congegno personale della sua individuale perversione e quest’aspetto m’eccitava scatenandomi eccessivamente. I momenti in cui mi sentivo arrendere al suo volere, erano quelli che mi regalavano enormi alterazioni ormonali, erano gli attimi dell’implorazione, dell’appello, in un certo qual modo della supplica, perché non era l’eiaculazione in se che mi donava piacere, ma tutti i momenti preliminari e gli attimi preparatori. Sono stato trascinato in questo vortice assecondando ed esaudendo i desideri della mia lei, desideri che sono diventati successivamente anche i miei. Ogni donna dominatrice ha le sue preferenze e il suo stile di predominio e di possesso. Io sono semplicemente qua desideroso e impaziente d’assecondarli. 

La fine della logicità, del buon senso, delle promesse mai mantenute, insomma la fine della meta, del coronamento finale, della destinazione conclusiva. Il volto spaventato scivolò tra le sue mani, e come in un fotogramma già vissuto, si ritrovò sulle sue labbra, dentro la sua bocca, a scambiarsi baci avidi e affamati. Baci rabbiosi, rinchiusi in una cavità destinata ad esplodere facendo danni. Deterioramenti gravi nel cuore e alterazioni nella mente, insulti, oltraggi e ingiurie, persino affronti e parolacce. I respiri persero silenzio, diventando affanni, le voglie più inconfessate avevano trovato il modo di comunicare, parlando la stessa lingua: il desiderio. Senz’ombrello a ripararli dalla pioggia, si lasciarono inzuppare dalla voglia di rotolare dentro il letto che li aveva accolti, dentro le mura d’una casa che li aveva già visti. Tutto era andato contro di loro, per troppe volte, tutto si era incastrato male, come pezzi d’un rompicapo, come una faccenda difficile, giochi enigmistici anomali, irregolari e diversi, per questo contrastanti, discordanti e assai incompatibili. 

Lui l’appoggiò di forza contro il portone, appena sotto un piccolo terrazzino, impassibile e disinteressato della gente che transitava là nei paraggi. Erano da soli, isolati con lo spauracchio di ciò che erano stati tanto tempo prima, figli d’una stagione fredda che non aveva saputo riscaldarli. E dopo bella stagione trascorsa ad asciugarsi le ossa e a leccarsi le ferite per il dolore causato da una crepa profonda, si ritrovarono lì, a darsi in quel bacio sia l’amore quanto l’ostilità e l’inimicizia di cui erano capaci, l’attaccamento e l’acredine da cui erano legati. Le loro lingue ballavano tra le labbra, sgusciando e ribollendo avide e appagate, di ritrovarsi in quel sapore. 

“Portami via di qui”. 

“E il tuo libro?”. 

“Il mio libro aspetterà, nessun impiccio. Oggi si deve festeggiare dell’altro, non c’è dubbio. Non è una semplice coincidenza né un sincronismo, le cose non capitano mai a caso. Se siamo qui ci sarà un motivo, quindi adesso festeggerò d’averti, il resto verrà dopo”. 

“Sei sicura?”. 

“Mai stata più sicura. Portami via. Adesso o mai più”. 

Lui l’aveva guardata in profondità cercandoci spiegazioni, e sapendo di non trovarne, come sempre, come allora. Non esistevano risposte né giudizi, non c’erano responsi né opinioni, perché per lei non esistevano domande né quesiti né interrogativi. Era così, era la sorte, la natura, il caso, il fato del momento. Lui respirò a pieni polmoni l’aria bagnata, guardò il cielo plumbeo e squadrò lei. Non era mai uscito da quegli occhi, e lei non era mai uscita dai suoi. Un legame come quello, era per sempre. Le cinse ancora le spalle, lei appoggiò la testa al suo petto e si lasciò condurre fiduciosa. 

Quella mattina lei non avrebbe firmato nessun contratto né siglato alcuna convenzione per l’annuncio e per la conclusiva divulgazione del suo libro. Quella mattina, Giovanna invero, avrebbe scritto il suo primo e lussurioso sfrenato capitolo, d’una nuova dissoluta e incontinente storia. Adesso lei lo aveva saldamente in pugno, lui era stabilmente finito sotto le sue abili, esperte e ingegnose grinfie di donna adescatrice, incastrante, guidante e spadroneggiante, la dominatrice e indiscussa padrona di quello scostumato e vizioso rapporto a due. 

Il traffico lì condusse per la via ancora poco affollata, insieme erano come due adoni e avvenenti individui, e la strada davanti a loro procedeva dritta, senza curve. 

Adesso Giovanna aveva davanti a sé un assetato, un intatto, un temerario e un fiammante compito d’assolvere e da onorare. Sarebbe riuscita nell’intento? 

{Idraulico anno 1999} 

 

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