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Racconti Erotici

STORIA DI MICHELLE ELLEBRUCKNER

By 8 Febbraio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

From the Afterlife, September 23rd, 1793.

Il nome dell’infelice era Michelle Ellebruckner. Dopo la sua morte, aveva incontrato dei cattivi, vestiti di cenci, con dei grandi cappucci neri sul capo, come si addiceva a degli esecutori di pene capitali.
Le avevano chiesto come si chiamasse, poi si erano messi a sghignazzare e l’avevano afferrata per un braccio, senza che lei riuscisse a fuggire.
– Che cosa… Che cosa volete farmi? Lasciatemi andare! Io voglio essere felice!
Così aveva detto la giovane defunta. Ma le parole sue erano state vane, quanto il vento che soffiava lungo le spiagge dorate, ornate di tamerici turchine e magiche.
– Lasciatemi! – gridava la bella, mentre la trascinavano via, nonostante le sue resistenze.
Io non so chi fossero quegli spiriti, che portavano delle maschere bianche sui loro volti. Ad ogni modo, essi si divertivano a farsi beffe di lei, a canzonarla, a farle degli sgambetti, a tormentarla con le loro parolacce e con delle imprecazioni cupe, che non si possono riportare.
Tutto questo le accadeva per essersi invaghita di un cattivo… L’anima sua, alquanto innamorata, tendeva a seguirlo negli antri brumosi e oscuri che s’addicevano allo spirito di quel brutto ceffo.
– Nessuno potrà mai separarmi da chi amo, nemmeno dopo la morte – mormorava, nel suo delirio appassionato.
Di tanto in tanto, lungo il sentiero fiancheggiato da frassini e lecci spogli, ella cadeva in ginocchio, tentava di strapparsi i capelli e proferiva vagamente il nome del suo caro.
Fu rinchiusa in una sorta di castello, dagli usci che scricchiolavano e dalle torri decrepite. Dinanzi ad esso si estendeva un lago, dalle acque verdastre; qua e là, s’intravvedevano delle case, fatte di pensiero. Erano turchine, avevano i tetti neri e spioventi e le inferriate alle finestre.
Anche quelle del castello erano ricoperte da grate, rugginose e tetre, che consentivano a malapena alla luce di una stella lontana di penetrare all’interno.
– Non lasciatemi qui, ho paura! – mormorava Michelle, mordicchiando tra le sue labbra un fazzoletto ricamato, fatto di sogni e di fantasie.
Il canto degli uccelli morti soltanto rallegrava le sue aurore e i suoi tramonti. I giorni erano brevi, illuminati da lievi chiarori crepuscolari e le notti erano ingombre di nubi lucenti, che passavano dinanzi agli occhi suoi come fantasmi buoni.
All’interno di quella specie di prigione, la giovane viveva alla luce rossastra di ceri ardenti, insieme ad altre tre compagne, che però non litigavano fra loro e si amavano alquanto.
Le raccontarono di essere state delle streghe, durante le loro vite terrene… Di quando in quando, si divertivano ad indossare davanti a lei i loro cappellacci neri e le loro vesti logore, del color della pece.
– Ci amiamo, non temere! Ci vogliamo bene, siamo amiche intime! – le dicevano, facendo il girotondo davanti a lei.
Ad ogni modo, di tanto in tanto, nel castello, sembrava di udire qualcuno sghignazzare. Era un riso misterioso, di origine sconosciuta, che però nella fantasia delle prigioniere si tramutava subito in un presagio di allegrezza e felicità.
– Sì, io sarò felice un giorno – mormorava Michelle. – Anzi, lo sono già, anche se muoio dal desiderio di rivedere il mio innamorato.
Durante la sua vita sulla terra, qualcuno le aveva detto che, dopo la morte, ci aspetta un premio o un castigo. A lei era toccato il secondo, ma si trattava di un castigo d’amore, che non la faceva soffrire se non di tenerezza e nostalgia.
Talvolta le tre ragazze si divertivano a farsi beffe della nuova venuta e le giocavano degli scherzi cupi. Facevano a rubarsela; una volta, due di loro la afferrarono ciascuna per un braccio e ognuna prese a tirarla dalla sua parte, perché la voleva per sé, per giocare.
– Dammela, &egrave mia!
– Lasciala, ti dico che &egrave mia!
– No!
– No!
La nostra bella, che stava in mezzo, avrebbe voluto dare un morso a ciascuna delle due contendenti, ma alla fine giunse una terza litigante, con una botte sottobraccio. La stappò e versò su tutte una vernaccia, che sapeva di rose rossastre, che crescevano soltanto in quella remota regione dell’Aldilà, the Afterlife.
Una volta, Michelle udì una voce da dietro una delle grate, sulla quale s’arrampicava l’edera turchina delle fate. Le dissero:
– D’ora in avanti avrete modo di incontrare il vostro innamorato, tutti i sabati, dopo la mezzanotte… Ma se tenterete di fuggire da questo luogo, gli spiriti del Male vi perseguiteranno!
Le aveva parlato un saggio, che s’appoggiava ad un bastone, portava una redingote turchina ed una bombetta d’egual colore. Dopo averla salutata agitando il suo cappello nell’etere tranquillo, svanì.
La giovane aveva sempre creduto che, dopo la morte, gli umani andassero a finire nell’amore, nessuno sapeva dove, né come. Era certa di avere avuto quella sorte, se lo ripeteva appassionatamente e teneramente, mentre guardava il lago attraverso le grate delle sue finestre e salutava i barcaioli senza volto, che guidavano le barche delle Vestali, dai mille veli viola e turchini.
Da allora, nei giorni e nelle ore convenute, il suo amato ebbe modo di andare a farle visita… Sì, era stato quel folle affetto a condurla in un Aldilà tanto cupo, anche se gli amori non vi mancavano affatto.
– Io non so per quanti secoli astrali rimarrò rinchiusa in questo luogo e vivrò alla luce dei ceri rossastri, ma ti amo alquanto…
Questo mormorò Michelle, accogliendo il suo amato, in una notte ingombra di nubi lucenti.
– Entra qui, amico dei miei pensieri, non mi fai paura… Ti voglio bene – gli diceva sovente, cercando di baciarlo attraverso la grata fatata.
Egli era burbero come sempre, ma la corteggiava appassionatamente, sotto le fronde vaghe di alberi senza nome. Io davvero non saprei dire a quale specie botanica appartenevano… Erano bianchi, no, anzi, sembravano d’argento, sotto la tenebra incantata.
Michelle inoltre scoprì che le mura del castello erano fatte di fantasia e non le era difficile penetrarle ed oltrepassarle. Volle ignorare la voce cupa e minacciosa che le aveva parlato, perché sapeva che nessuno mai avrebbe potuto farle del male.
Si accorse di quanto fosse bello passeggiare nel giardino e lungo il lago, sotto gli alberi dai mille nomi e fra i cespugli di lilla, dai mille fiori profumati, che sbocciavano persino a mezzanotte.
– There are love and happiness everywhere here – sussurrò, appoggiandosi ad un muro antico.
Ben presto la sorprese il canto degli uccelli canori, dalle ali magiche, fatte per volare di fiore in fiore e di ramo in ramo.
Di tanto in tanto, le balenavano in mente dei lampi di vite passate… Discerneva un cardinale, tutto vestito di rosso, con una gran croce al collo, in una stanza decorata con affreschi e quadri dalle cornici d’oro zecchino… Accadeva nel Medioevo…
V’era altresì una donna dai lunghi capelli rossi, semiaddormentata, con una vestaglia bianca indosso; sul capo portava una berretta da notte, ornata con un fiocco. Teneva una lanterna in mano e chiamava il suo gallo dal piumaggio variopinto, dinanzi alla scalinata della sua casa di campagna seicentesca.
Una volta scoppiò un temporale improvviso e Michelle tremò, dinanzi alla luce accecante di lampi che non aveva mai visto, al cielo nero come il Male e al muggito di tuoni che sembravano provenire dagli abissi di chissà quale oceano. Ella si prese la testa tra le mani, mentre le sue tre giovani amiche cercavano di coccolarla e di farle coraggio. Le dicevano di non piangere, perché le volevano bene e l’avrebbero consolata sempre.
– Chiamatemi Michelle Ellebruckner, amiche mie – disse loro, abbracciandole teneramente ed abbassando dolcemente le sue palpebre, nella luce spettrale dei lampi dell’Aldilà.
Poi, il pauroso temporale svanì, nell’affetto di quei baci fraterni.

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