Skip to main content
Racconti Erotici

Tono insolente

By 14 Aprile 2020Giugno 15th, 2020No Comments

“Dipende da che cosa intendi Lamya. Se lui ti serve solamente perché è un tornaconto e ti fa comodo avere una persona vicino, non è un concetto che m’appartiene. Tu hai indubbiamente tutte le capacità per stare anche da sola. Se invece, intendi che nonostante tutte le difficoltà, di lui sei innamorata e non vorresti stare senza, beh, in questo caso è comunque un buon momento per dirglielo” – le aveva enunciato spronandola in modo diretto, senza troppi giri di parole la sua amica Chantal. 

“Sono decisamente d’accordo con te Chantal. A me non è mai capitato di stancarmi dei ragazzi che ho avuto, però è accaduto a molte persone che conosco bene. Il meccanismo è proprio quello dell’entusiasmo iniziale, in cui non si capisce niente, se non che si sta bene con l’altra persona, che poi tutto s’ammoscia e sfocia in un completo disinteresse. Tutti coloro che hanno vissuto queste esperienze m’hanno lealmente confidato: E’ vero, sì, però chi me lo fa fare d’impegnarmi adesso? A un certo punto, queste persone comprendono di non essere pronte né mature, oppure non sono interessate a costruire un rapporto serio e scappano. Ti dirò che secondo me è un comportamento bruttissimo e terribile d’accettare, ma purtroppo è assai diffuso” – insisteva Lamya nel tema. 

“Ti confesso che a me è successo e accade di stufarmi subito, innanzitutto perché dopo la prima fase, il seguito mi lascia delusa, perché non resto attratta dalle caratteristiche della persona che ho accanto. Non saprei, forse è un comportamento insolito, è una reazione che non mi piace granché, ciò nonostante mi capita sovente, dal momento che mi prendere a schiaffi da sola per questo. Mi dico sempre che avrei dovuto valutare meglio, prima d’iniziare una qualunque frequentazione. Non puoi affatto sapere prima come andrebbero le cose” – le manifestava Chantal più convinta che mai. 

“Talvolta può essere vero anche l’esatto opposto: si comincia una frequentazione per gioco e poi diventa qualcosa d’importante. Di tanto in tanto ci si lascia prendere troppo dall’euforia del momento, della prima fase di flirt, magari noi lo facciamo perché in quel momento va bene così, fa parte della scoperta, ma l’altra persona si fa castelli in aria, più di quanti dovrebbe farsene. Dopo, quando ci si rende conto che la storia non può andare è difficile farla tornare con i piedi a terra. E allora si dovrebbero mettere le cose in chiaro subito come per esempio: io esco con te perché in questo momento mi piaci, domani non lo so” – ribatteva persuasa e determinata Lamya esponendo il suo concetto. 

“Adesso ti dico questo. Questa cosa me la porto stampata in faccia, ne ho fatto un poco il mio aforisma. Ma non serve, perché va sempre a finire che mi dicono ciò che hai fatto va contro ciò che hai detto, perché magari sono stata un’egregia amante e loro sono stati bene. Perché sono stata molto entusiasta e propositiva e non sulle mie per tutto il tempo. E’ vero che le persone vedono ciò che vogliono vedere, ma a volte lo fanno troppo. Di conseguenza, mi sa che scrutare bene chi si ha di fronte prima di lanciarsi, potrebbe essere un’idea, anche se ovviamente non si può sapere, se una persona tende a farsi castelli in aria guardandola solamente in faccia” – affermava convinta della sua filosofia la bruna e olivastra Chantal. 

“Credo che pure io mi stamperò una maglietta con il tuo aforisma. Bisognerebbe scrutare bene se stessi. Se ambisci di voler vivere una storiella da poco, dovresti cercare un ragazzo diciamo intemperante e dongiovanni, non l’intramontabile bravo ragazzo, perché t’assicuro che è facile distinguere le due categorie, stanne certa. Il primo vive la storia come la passi tu, un poco alla giornata, senza farsi troppi castelli in aria sul futuro. Il secondo individuo invece, ci crede in partenza e, proprio perché ci mette tutto se stesso nel rapporto, s’aspetta che lo faccia anche tu. E quando arriva il momento degli addii, il bravo ed esemplare ragazzo non capisce, perché si sente preso in giro e soffre terribilmente. Bada bene, che spezzare il cuore d’una persona che prende i rapporti sul serio è assai doloroso, perché un giorno altri potrebbero spezzarlo a te, seguendo la rinomata e notoria legge del contrappasso” – rimarcava la bionda Lamya, soffermandosi su quegl’interessanti e saggi passaggi. 

“Iniziare una frequentazione potrebbe andare bene, come anche male cara Lamya. A meno che tu non voglia una storia di poco conto, come ben esponi tu. Io credo, che quando s’inizia a uscire insieme, lo si fa per conoscersi. Io personalmente i primi tempi li sfrutto per vivere quello che è l’idillio iniziale, l’armonia che ne scaturisce, ma anche per conoscere quella persona e vedere se stiamo bene insieme, se è il caso di continuare. Abbastanza sovente, le persone s’illudono prima del tempo, che quella sarà una storia seria e duratura. S’innamorano subito, investono molto e magari troppo presto, quando sarebbe ancora il caso di conoscersi e andarci un attimino più piano” – concludendo in bellezza, senza correre troppo nei sentimenti né senza farsi troppo coinvolgere, l’accorta, flemmatica ed equilibrata Chantal. 

Adesso si sente il trillo del cellulare, io lo lascio acceso anche di notte negli ultimi tempi, perché voglio essere raggiungibile per il mondo intero, più d’ogni altra cosa per la persona che aspetto da mesi e sa d’essere attesa. Sono le nove, fuori è giorno, con gli avvolgibili interamente abbassati permetto alla mia oscurità di prolungarsi, sfidando le leggi della ciclicità della luce. Io sono una ragazza che studia, che gioca persino a calcetto, che accompagna la nonna a fare la spesa, che si confida e che si sfoga con le amiche, che polemizza e che s’accapiglia con i genitori. Sto assieme a un ragazzo da sette anni, lui è alquanto sospettoso, possessivo e irascibile, direi che di giorno si reputa un individuo semplice, usuale e misurato. 

Quando arriva sera le cosa si trasformano, giacché mutano drasticamente, perché a tarda notte la mia mansione è un’altra, quella della ballerina in una discoteca. Molti mi definiscono una ragazza giovane, attraente e prestante, che m’esibisco ballando su d’un palchetto sopraelevato, offrendomi all’imitazione e all’ammirazione dei partecipanti alla serata, insomma una cubista su richiesta. I miei genitori e il mio ragazzo non sanno nulla, posso affermare e ribadire, che da un lato è il mio prezioso segreto e dall’altro è il mio raffinato vanto. Sulla pedana del cubo il mio essere donna è al massimo, lassù mi sento come una donna maestosa, quasi una piccola divinità. Percepire addosso gli sguardi famelici e accalorati dei maschi, che frattanto temporeggiano soffermandosi sulle mie curve curvilinee e aggraziate, m’esalta magnificandomi come un vigoroso unguento d’altezzosità e d’energia, applicato sul mio “io” vanesio e sconsiderato. A fatica m’impegno di vincere la sonnolenza e cerco nell’oscurità il cellulare. Stavolta lo sento più gravante del solito, la vibrazione intermittente è una previsione che m’entusiasma, perché sei tu che mi cerchi. Velocemente ti rispondo, mentre dalla parte opposta ascolto la tua voce preoccupata e irrequieta, che in maniera apprensiva scandisce: 

“Senti Lamya, t’aspetterò su da me, l’ingresso principale lo conosci” – appresso la tua breve comunicazione si tronca. 

Riguardo rapidamente quell’entrata, quante molteplici volte t’ho accompagnata a casa, quanti baci t’ho razziato mentre tu guardavi clandestinamente intorno per il timore d’essere la materia e l’argomento dei maldicenze e delle indiscrezioni dei vicini. La visione e la figura del tuo portone mi coinvolge, m’arruffa e m’avvince, il mio grado di sorveglianza di colpo si solleva, sono sveglia e sfavillante, il mio corpo è in totale fermento. Accendo la luce e rimango alcuni minuti tra le lenzuola ad assaporare quest’armonioso e delizioso tripudio. Sì, perché questa è già una celebrazione, una conquista con i fiocchi. Tu enunciavi, immodesta e boriosa, che non ci saremmo spinte oltre un bacio. Io, contrariamente, ti ribattevo con lo sguardo di chi la sa lunga: staremo a vedere, tempo al tempo. Frattanto però, non snobbi né respingi gli assaggi di quello che potrei darti. 

Al presente m’alzo con calma, mi dirigo verso il bagno, sogghigno e mi faccio l’occhiolino da sola verso la specchiera. L’autoapprovazione del mio valore è al massimo, entro nella doccia lavandomi senza toccarmi troppo, perché ci penserai tu dopo a farlo. Me lo devi. Mi vesto con un vestito comodo senz’indumenti intimi di sotto. Stabilisco di rimanere acqua e sapone. Ho le idee chiare. In macchina sono rilassata, vado adagio e intanto penso nel modo in cui sei penetrata nella mia vita addentrandoti nel mio desiderio. T’ho vista la prima volta alla presentazione d’un corso a cui c’eravamo ambedue registrate, seppur con motivazioni diverse. Un corso specifico sulla fotografia e delle sue innumerevoli dinamiche. Io avevo uno strano sentore, perché quella serie di lezioni m’avrebbero generato qualcosa di seducente e d’armonioso, perché quel qualcosa diventasti presto tu. Il primo giorno eravamo una dozzina di partecipanti, l’esperto ci spiegava che dovevamo investire in un buon software di editing delle immagini. Tu ascoltavi con interesse, mentre io ti divoravo con lo sguardo. 

Tu sei Chantal, femmina placida e bonaria, adoratrice e cultrice della casa, ammogliata da poco tempo, dopo un brodoso, osservante e rispettoso fidanzamento. Eri da poco rientrata dal viaggio di nozze, che doveva essere stato più formativo ed educativo, che passionale e istintivo sotto le lenzuola. Eri una donna disimpegnata con il passatempo per il giardinaggio. Come floricoltrice ti ritenevi competente, come inclinazione caratteriale avresti desiderato d’avere la capacità di metterti nei panni di un’altra persona e di risultare più gioviale, frizzante e intraprendente. Io, invece sono Lamya, ragazza dinamica e volitiva, propensa ammaliatrice della notte e incline al divertimento. Sono stata una studentessa fuori corso, peraltro inquieta e insofferente, che collezionavo partner d’entrambi i sessi. Avrei voluto tanto assimilare e apprendere, la tecnica e il metodo del somministrare l’energia a minuscole dosi. La mia strampalata e bislacca angoscia, allontana e boccia i favoriti dalla sorte, dal fare l’amore con me una seconda volta. Quest’aspetto m’addolora e mi rattrista parecchio, m’affligge lasciandomi insoddisfatta con l’amaro in bocca. 

Attualmente mi trovo sotto la tua abitazione, posteggio la mia autovettura distante dall’ingresso principale. M’identifico nel praticare per l’occasione le oculatezze e le cautele emblematiche degli spasimanti. Sì, già rivendico la potestà d’essere la tua concubina, perché la tua unione matrimoniale continuerà di certo fra alti e bassi, avrai un bambino da viziare, gatte da pelare, tuttavia ci sarà anche la mia amicizia speciale, a mettere il sale e il pepe sulla coda della tua pacata e ordinata esistenza. Durante la lezione di fotografia io ti sorprendevo nel rintracciare il mio sguardo, delle volte in maniera proscritta e morigerata, talvolta ne percepivo invece un impeto accorto e provocante nel viavai degli occhi. Nel tempo in cui capitava d’incontrare il tuo sguardo io m’isolavo subito divertendomi nel sostenerlo, a fissare i tuoi occhi colmi d’indiscrezione mimetizzata a candida esuberanza ai miei, contrariamente impensieriti e colmi di taciturno desiderio. Frattanto io suono il citofono, tu mi fai aspettare, non saprei dire se è strategia, ma funziona. La mia placidità superiore lascia il posto al nervosismo, alla premura che ho di te. Pigio di nuovo sul bubbolo, ho il cuore in gola, il ventre mi brucia. Resto in attesa, intanto che la mia certezza traballa. Finalmente mi apri, io ti squadro e scuoto la testa in modo beffardo e ironico, mentre rimugino amorevolmente che sei buffa e grottesca. 

Nella casa si respira un’atmosfera penzolante, tu cerchi di fare la disimpacciata e sciolta ragazza, mi fai vedere le stanze della tua dimora della quale vai molto orgogliosa, per il fatto che sono accurate e precise. Mi fai entrare nella cameretta del bambino che prima o poi verrà. Tu discorri, mai io non t’ascolto, rientro nella sala e tu mi segui. M’inviti di mettermi a proprio agio sull’ottomana, dove la sera guardi la tv con tuo marito, tuttavia io non m’accomodo. Io non sono la tua abitudine, con me vivrai la tua casa sperimentandola in maniera differente, stanne certa. Tu continui a fare la padrona di casa con una condotta da educatrice e con un’aria da insegnante, io non discuto né commento, mi limito a fissarti intensamente. Ti piacciono i miei occhi, mi ripeti che sono incantevoli e incisivi, che ammaliano, ipotizzo di possedere un piacente corpo e so di piacerti, e molto. 

Tu sai perfettamente che cosa voglio, afferri e identifichi subito la mia apprensione, la mia inquietudine, perché nella mia occhiata fiera e millantatrice ravvisi lo spessore e la grandezza della mia smania. Tu temporeggi, indugi, attendi un cenno da parte mia. E’ un momento intricato, non molto lineare, non sei a tuo agio, dal momento che questa casa non è l’arena dove ti presenti in modo usuale. Questa che stai vivendo non è una messinscena, tutt’altro, perché questa volta non si finge né si dà a intendere nulla. Io scaravento il giubbetto sulla sedia e comincio ad abbassare gli avvolgibili del tutto. E’ quasi buio, ti guardo quanto basta per reggere il tuo sguardo e per sentirti. In seguito m’accosto e aspetto, tu comprendi che non è uno scherzo, non si gioca con il fuoco, più di tutto quando lo si scatena accendendolo in due. Con gli occhi accarezzi le forme del mio corpo, talmente difforme dal tuo, perché adesso la titubanza e l’esitazione t’avvolge nuovamente, io lo percepisco. 

Tu m’hai confidato dei tuoi ricorrenti complessi, dei tuoi ciclici e spinosi assilli, ti senti un poco impacciata, incerta e preoccupata, chissà, forse non hai tanta competenza né pratica in fatto di sesso, figurati con una donna. Rincuorandoti, senza confabulare, ti proclamo che sei bellissima ed esemplare per me, perché io ti pretendo, adesso. Simultaneamente ci abbracciamo, come per farci coraggio, in nostro è un avvinghio di puro affetto, di nitida e d’incorrotta benevolenza, una mescolanza onesta e pulita di gradevolezza, di smarrimento e di scompiglio. Ambedue ci baciamo, come abbiamo fatto altre volte e più soddisfacentemente, in tutte le modalità possibili. Queste tenerezze e questi calori, mi convalidano confortandomi che la passione è egualitaria, è in comune, vicendevolmente promossa e sostenuta. La tua lingua mi manda al tappeto, sono in visibilio, talmente è affilata e proporzionata. Pare un piccolo pene che mi fa arrovellare, perché sgattaiola. 

Soltanto tre giorni orsono sono stata con un maschio, naturalmente non è il mio ragazzo, con lui mi è piaciuto, abbiamo scopato, ma non mi sentivo come adesso con te, perché al presente qua esplodo di felicità e di gioia, giacché il corpo intero avvampa di voglia. Subito dopo ti sfilo la camicia e il reggipetto con pose indolenti e ansiose, poi ti faccio distendere sul grande arazzo sul pavimento. Per te è una cosa nuova, ne sono certa. Lambisco ogni centimetro della tua epidermide, mi dò da fare, tutto quello che auspicavo e che contavo lo sto mettendo in pratica. Ti sfioro e ogni unica emozione che vivi la rispecchi rimandandomela addosso sul mio corpo, con la medesima compattezza e corposità. Frugo e agogno di sfilarti i pantaloni, ciò nonostante tu mi blocchi e sobbalzi riferendomi di no, quello no, stringendo la chiusura lampo dei jeans allontanandomi la mano. Francamente la tua repressione mi distrae, la tua inibizione mi provoca una specie di compassione e di tenerezza. La mia immodestia e vanagloria, sa che è solamente una questione di minuti, in quanto non sono mai stata così volitiva e risoluta in vita mia. Riprendo a prestare attenzione al tuo torace nudo, quello che mi è concesso e infatti tu ci sei, sei nuovamente partecipe. Il tuo respiro adesso è corto, affannato, presumo che tu sia molto intrisa, ma non vuoi riferirmelo, dopo ti cimenti nello sfregare la tua fica sulla mia coscia, dimeni la gambe e cerchi di farti da sola. Stavolta però, sono io che dico di no, perché se vuoi godere devi svestirti totalmente. 

Faccio cenno di sfilarti quello che ti rimane, tu sei torrida ma combattuta, forse è la decisione più ardua e tormentata della tua moderata e inattiva vita. Io metto da parte la mia espressione soggiogante, la mia sembianza da uomo aitante e signoreggiante e in ultimo t’abbraccio forte. Capisco, intuisco e giustifico il tuo stato d’animo, comprendo il tuo turbamento, perché l’ho vissuto anch’io con la mia prima donna, ma non tirarti indietro. Ne vale la pena. Ti lavoro la bocca con la lingua, come se fosse il tuo sesso e poi scivolo piano fin laggiù. Anche con i pantaloni tu avverti senti la mia bocca. Ansimi, sento le labbra che si gonfiano, ne sento anche il profumo. I tuoi jeans sono intrisi di fluidi. C’è ancora un’ombra di riluttanza e di riserbo, ma ti sfili da dosso ogni cosa, arrendevole, rinunciataria e smaniosa. Io sono entusiasmata e rapita, con il naso che sfiora il tuo clitoride ormai esposto alla mia lingua: sembra il bottone del sonaglio del tuo portone di casa, che prima avevo pigiato con veemenza. Premo gentilmente, con discontinuità, con movenze a forma di cerchio e a rilento spalanchi la tua porta. Io mi tuffo, mi gusto anima e corpo, sono fra le tue cosce, tutto il resto adesso scompare.

Ti bacio la fica, te la lecco con una delicatezza che non supponevo di possedere, cerco di decelerare riducendo l’affondo allorquando ti vedo al limite per poi riprendere, aiutandomi con le dita. Le mie movenze sono alternate, sono indolenti, intenzionalmente soppesate e calcolate. Ti stai struggendo, non resisti più a questa soave e penetrante gustosa tortura, vuoi venire, ma prima ti voglio baciare in bocca, per farti gustare la sapidità dei tuoi stessi fluidi. Poi ritorno sulla tua fica e stabilisco d’accontentarti. Faccio più pressione con la lingua e ti stimolo il bottone con maggiore spavalderia, t’introduco un dito nella porta, poi altri, sento le contrazioni della tua fica che mi frizionano le dita e il liquido mi bagna la mano. Tu liberi affrancata e i tuoi poderosi e travolgenti gemiti, io t’osservo incantata, trasecolata e gioiosa. Sono trascorse tre ore, ma tu non lo sai. 

Dopo m’abbandono accanto a te distesa su d’un fianco, sono anch’io sfibrata, svuotata e sbaragliata con la mano sotto la nuca. Ti stringo la mano per trasmetterti la densità del tuo intimo e saporito balsamo. Ci divertiamo con le dita impiastricciate facendoci le coccole e riposando in silenzio, mentre i nostri battiti si placano. Io sbarro gli occhi e godo il momento perfetto, dopo ti sento che armeggi con la mia felpa. Solamente adesso mi rendo conto che sono ancora vestita, sono sbalordita. Mi sono sempre sentita nuda, forse perché sotto non ho niente. Adesso tu mi spogli completamente. Ti guardo in maniera subdola riferendomi: 

“Lamya, però sei una bella troia, non immaginavo tutto questo. Sei una porca e carogna, pure stronza. Sei venuta qua con le peggiori intenzioni”. Io di contro, eccitata ti ribatto in maniera ruvida e tagliente: 

“Cara e graziosa Chantal, sei stata tu a chiamarmi, invitandomi per questo e per altro ancora, ricordi?” – mentre tu scuoti la testa. 

Io con modo di fare borioso e imponente mi metto comoda sfregandomi sul grande arazzo sul pavimento. Avverto il mio corpo che aderisce al suolo, indecentemente allargo braccia e gambe, mentre con gli occhi chiusi aspetto che s’invertano i ruoli di questo lussurioso e bizzarro melodramma. Tu ti distendi sopra di me, sento il tuo corpo che mi comprime riscaldandomi come una trapunta. Dopo inizi dai miei seni con impegno insistendo sui capezzoli. Mi massaggi l’addome e le cosce, dopo mi baci sul collo. M’inumidisci con la lingua, t’avvicini all’orecchio bisbigliandomi complimenti che nessun uomo m’ha fatto, con una modulazione teatrale che mi fa farneticare, perché io non converso mai durante l’amore. Successivamente ti dedichi al mio corpo con un’inattesa destrezza e bravura, altro che temperata, tu sei un autentico vulcano, io stolta che sono mi ritrovo a dover imparare da te. Il mio fermento aumenta, la fica freme, sento l’eccitazione salire, le labbra ribollono nell’attesa. Ho ancora gli occhi chiusi, ma sento una tua titubanza, sembra quasi paura, allora t’afferro per i capelli baciandoti con vigorosa gratitudine. Sono innamorata persa, adesso lo ammetto e lo confesso, lo riconosco, il mio diffuso e prolisso orgoglio si disgrega, perché inconsapevolmente mi scappa un borbottato ti amo. Onestamente mi stupisco di me stessa, ormai la figuraccia è fatta, perché mi sento colta con le dita nella marmellata. Apro gli occhi lentamente e ti guardo con costumatezza e con riguardo: 

“Non ci credo, è bellissimo. Ho udito bene Lamya? – mi chiedi tu con la bocca spalancata. Rapidamente però l’arroganza, la spocchia e l’immodestia congenita, s’appropria nuovamente di me e ribatto: 

“Va bene Chantal, sì, certo, adesso però non scocciarmi, in seguito ne discuteremo, adesso prosegui”. 

Io ti ghermisco la testa premendotela sopra il mio monte di Venere spegnendoti e mettendo a tacere qualsiasi replica. Tu m’osservi la fica da vicino e colgo di netto il tuo respiro sulle grandi labbra. Adesso me la studi e questo soddisfa e acquieta oltremodo la mia connaturata vanagloria: 

“Come puoi notare la mia è differente dalla tua. Ho sempre ipotizzato, che anche i genitali esprimano rivelando il carattere. La peluria della tua fica è discreta, come te, bionda come i tuoi capelli, pressoché incorrotta e illibata. E’ del tutto equilibrata e cordiale. Assomiglia alla fica d’una bambola per frugolette” – enfatizza e interpreta in maniera ammirata e convinta Chantal. 

“La tua fica, invece, è nello stile della femmina olivastra del meridione, bella polputa, soda e scura, odorosa e fragrante, con uno spesso e abbondante folto pelo nero che stuzzica e inebria. Direi che è però disarmonica, inquieta, turbata e confusa come te” – declama esagerando e magnificando il concetto, ma al tempo stesso sorridendo e schernendomi la bionda Lamya. 

Tu introduci il dito medio dentro la mia vogliosa fessura facendolo ruotare sulle pareti, imprimendo una lieve pressione senza spingerti troppo in profondità. E’ un procedimento insolito per me, chissà se tu forse ti masturbi così, magari pensando a me. Mi lambisci il clitoride senz’indugiare troppo. Quando è diventato gonfio e pronto, me lo accarezzi con più pressione con diversi ritmi. Io vengo armoniosamente e amabilmente, pure tu me la baci per farmi sentire sulla bocca il sapore del mio stesso sesso, perché è aspro, erculeo, denso e formidabile. Mi piace molto. Dopo ci abbracciamo quasi per rallegrarci, il grande l’arazzo è intriso, l’aria adesso è satura e rovinata. 

L’incanto e la meraviglia si sgretola però rapidamente, tu ripigli i contatti con la realtà circostante, osservi l’orario sull’orologio da parete e sobbalzi con lo smarrimento in gola, strepitando che sono le otto di sera. Io assento appagata ed esaudita, replicandoti con pacatezza che è dalle undici di mattina che stiamo qui distese sul grande arazzo. La tua espressione di d’insofferenza e di ripugnanza mi demoralizza, sei scompigliata e disorientata, non ti spieghi di come sia potuto accadere. Hai trascurato il pranzo, non hai telefonato al tuo consorte, non hai studiato il manuale di fotografia, non hai fatto la spesa. Il tuo viso è un’immagine di rammarico, di delusione, di contrarietà e di sfiducia. 

Io avverto la tua vergogna e la tua soggezione che mi ferisce, sto male. Cerco di cingerti, di confortarti e di rincuorarti, di riderci su, eppure tu m’allontani. Sei collerica con me e inviperita con te stessa. Io tento di reggere il tuo sguardo per scuoterti, ma non ti fa più effetto. Tutta la curiosità, l’interesse e il richiamo sono svaniti lestamente in una bolla di sapone. 

Il tuo atteggiamento ravveduto e la tua espressione sprezzante mi procura un dolore acuto, insopportabile e sbranante. Il disonore, lo sconforto e l’umiliazione m’abbranca impedendomi di muovermi. Tu mi pungoli ancora con il tuo piglio sgarbato, riferendomi che tra non molto lui rincaserà, dicendomelo senza guardarmi in volto. Io afferro il concetto e velocemente mi rivesto. 

Mi cimento con l’estremo tentativo: mi siedo vicino a te e provo a baciarti, auspicando e confidando che sia un arrivederci. Tu ricambi, ma non è come prima. M’agguanti la faccia tra le mani, premendomi le labbra a grandi linee sigillate sulla bocca. Non ci metti la lingua, pare un bacio d’addio. Infatti lo è. 

Io me ne vado, lasciandomi alle spalle la tua porta, abbandono quella casa abdicando la mia gioventù e te, nuda su quel grande arazzo. 

{Idraulico anno 1999} 

 

 

 

Leave a Reply