L’affossatore si asterse il sudore della fronte con il suo fazzoletto logoro, dopo avere appoggiato a manca il badile e la piccozza.
La tomba era oramai aperta, spoglia.
Poco dopo, all’ombra degli alberi secolari e denudati dall’inverno, egli s’accinse ad estrarre la bara con prudenza, per poi aprirla, da solo, in mezzo a quelle nebbie, confuse e perse.
Era mezzogiorno, in quel gennaio medievale, in cui tutti languivano per il freddo e la miseria. Rammento che proprio in quel momento, una folla nera entrava nella lugubre cattedrale del paese, mentre i rintocchi della campana vecchia si spandevano tutt’intorno. Pareva una processione, di ritorno dai campi innevati e bianchi.
La leggenda popolare voleva che una giovane defunta tornasse alla vita, in occasione di un plenilunio di gennaio. E così fu.
Io non so ben dire come accadde, ma l’affossatore, che era cieco da un occhio, nell’aprire quella bara del color della pece si trovò dinanzi a una giovane donna, nella quale la vita pulsava vigorosa. Allorché si sentì gettare le braccia al collo e s’accorse di essere guardato, l’affossatore senza volto trasalì, si guardò attorno, incredulo e sbigottito. Egli era solo, con quell’essere ritornato dal mondo dei morti soltanto per stregare e fare innamorare.
La morta aveva i capelli lunghi e biondi, che uscivano dalla bara aperta come un mantello d’oro zecchino.
– Il destino vuole che una defunta ritorni nel mondo dei vivi in una notte di plenilunio, nella stagione della neve e delle bufere, per congiungersi carnalmente con uno dei giovani più belli del villaggio e partorire un Minotauro!
Queste parole uscirono dalle labbra della bella, che si alzò dalla bara e prese a passeggiare lì intorno.
Al vedere questo, l’affossatore cadde all’indietro, come svenuto. Ella si chinò su di lui, per carezzarlo con le sue belle labbra.
Poi, all’improvviso, una nuvola nera, terribile, avvolse codesta visione.
E c’era sempre una folla cupa, tenebrosa, che entrava e usciva dalla cattedrale medievale, come per un rito magico, spettrale. Le vecchie maledicevano i giovinastri, i discoli, i ragazzacci. Alcune di loro si azzuffavano sul sagrato. Si davano dei morsi, si dicevano parolacce, si prendevano a testate, si strappavano i vestiti, i capelli, si insultavano, imprecavano, ruzzolavano al suolo.
– Brutta vipera! Canaglia! Pagherai amaramente per questo! Ti odio! Ah, la morte, la morte! Questo è quello che ti spetta! Ti seppellirò viva con le mie mani! Che tu sia maledetta! Vattene, va’ via di qui! Bruciatela viva! Linciatela! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!
Queste ed altre parole s’udivano quel giorno in occasione delle processioni nere e misteriose che si spandevano lungo i viottoli del villaggio.
I vecchi più saggi raccolsero gli oggetti maledetti che tenevano in casa, li portarono sul sagrato della cattedrale e vi diedero fuoco. Questo accadde perché in tal modo credevano di liberarsi dei malefici che avvelenavano le loro vite.
Ah, quante imprecazioni, quanti strilli, quante bestemmie, dinanzi a quelle fiamme stregate, che avvampavano e pareva volessero divorare il mondo!
– Bruciate, disgrazie mie! ‘ s’udiva. ‘ Bruciate, sventure della vita! Andatevene!
Rammento un accoppiamento bollente, bestiale, consumato davanti ad una sedia a dondolo, tutta di legno. La giovane donna di cui vi ho parlato lo praticò con un suo simile, strillando di piacere, dopo essersi fatta succhiare il dito.
– Dopo che avrò partorito, forse toccherà a te seppellirmi di nuovo ‘ disse alla fine la bella, senza che nessuno riuscisse a capire che cosa volesse dire.
Le parole sue, invece, avevano un significato autentico.
Ricordo una notte d’inverno, in cui c’era la tormenta, la neve cadeva al suolo, un vecchio s’ubriacava bevendo da una botte, una vedova vestita di nero si dondolava sulla sedia a dondolo, sferruzzando e maledicendo il tempo, tre o quattro discoli giocavano con il fuoco, sollevando mucchi di cenere bollente e prendendo in mano i ceppi ardenti.
Un gatto miagolava vicino alla finestra, disegnando una virgola con la coda, mentre una candela si spegneva a poco a poco.
Fu allora che avvenne il concepimento.
Alcuni mesi dopo, nel cimitero grande, dalle mille tombe senza nome, vidi nuovamente l’affossatore di cui già vi ho narrato, che s’accingeva a seppellire di nuovo colei che aveva riesumato tempo prima. Era stato come se la morte l’avesse colta, per la seconda volta. Non c’era funerale, soltanto mistero e nebbie, tutt’intorno.
– Che nome dobbiamo scrivere sulla lapide? ‘ chiese una voce.
Ma nessuno conosceva il nome di quella sconosciuta.
La domanda proveniva da un vecchiaccio sdentato, che masticava non so che e sputava per terra, non aveva né istruzione, né buone maniere e pareva un maniscalco.
Sempre più pazzesca..vorrei conoscervi..anche solo scrivervi..sono un bohemienne, cerco l’abbandono completo ai piaceri.. e voi.. Scrivimi a grossgiulio@yahoo.com
Grazie per i complimenti. Ma non so come consigliarti per cercarli.
Adoro i tuoi racconti! c'è ancora modo di trovarli raccolti per autore? con la nuova versione del sito non ci…
Grazie mille, sapere che il mio racconto sta piacendo mi riempie di soddisfazione! Se non vuoi aspettare i tempi di…
Ma che bello vedere la complicità, l'erotismo e l'affinità costruirsi così! Davvero ben scritto! Attendo il seguito! E ho già…