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Racconti di Dominazione

Africa

By 12 Agosto 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Patricia si alzò e guardò fuori della finestra.
Era un bel pomeriggio di primavera.
Avrebbe scelto con cura un vestito che si intonasse alle scarpe rosse con il tacco alto, quelle che aveva comprato pochi giorni prima, e poi sarebbe uscita.
Avrebbe camminato lungo la strada ripida, in discesa, che scendeva dalla collina.
La piaceva quel tragitto che, lentamente, l’avrebbe portata in mezzo ai rumori della città.
A ritorno no, troppo faticoso, avrebbe preso un taxi.
In fondo alla discesa c’era Market Street, piena di gente, di macchine e di rumori.
Avrebbe preso uno dei tanti tram colorati che attraversavano la città fino al mare, poi si sarebbe seduta ad una bar, a bere qualcosa ed a guardare la baia ed il ponte.
No.
Niente tram, niente bar.
Non c’era nessun ponte e nessuna baia.
San Francisco era lontana un milione di chilometri e mille anni.
Guardò i suoi due vestiti appesi ad un chiodo piantato nel muro scorticato.
Quello nero con i fiori verdi, oppure quello rosso con i fiori gialli?
Scelse quello rosso. Non c’era problema per accoppiarlo con le scarpe, visto che in quel villaggio nessuno portava scarpe.
Era solo uno straccio sdrucito che le rimaneva alzato sul davanti, tenuto teso dalla sua pancia, ormai decisamente prominente.
Più o meno settimo mese.
La sua amica Evelyn, che dormiva sdraiata per terra su una stuoia, era un po’ più avanti: avrebbe partorito almeno un mese prima di lei.
Uscì dalla baracca in muratura con il tetto di lamiera ed iniziò a camminare scalza sulla terra rossa che ricopriva le vie del villaggio.
Quella curiosa terra rossa che, la prima volta che l’aveva vista, le aveva fatto pensare ai campi da tennis.
Ormai i suoi piedi erano abituati e non sentiva più i sassi aguzzi presenti un po’ dovunque.

Era cominciato tutto parecchio tempo prima, più o meno tre anni, tre anni e mezzo fa.
Si era lasciata convincere da Evelyn a fare quella breve vacanza in Africa.
Il pullman che portava il gruppo di turisti, di diversi paesi ma tutti di lingua inglese, stava andando veloce lungo la statale.
Si era fatta l’idea che l’Africa fosse tutta una lunga strada, piena di auto, furgoni e camion di ogni tipo, alcuni vecchissimi e sgangherati, altri nuovissimi. Ai lati del nastro d’asfalto due strisce di terra rossa dove procedeva il traffico lento, alcuni andavano in bicicletta, altri spingevano un carrettino oppure si muovevano a piedi.
Avrebbero dovuto raggiungere un parco, da lì poi, la mattina successiva, all’alba, partenza a bordo di alcuni fuoristrada per osservare gli animali: leoni, gazzelle, elefanti ‘
La guida li aveva appena avvertiti che avrebbero dovuto fare una deviazione, perché alcuni gruppi di guerriglieri avevano sconfinato da nord, e poteva esserci qualche pericolo, lungo la strada normale.
Erano passati solo dieci minuti da questo annuncio, quando, dopo una stretta curva, l’autista del pullman aveva frenato bruscamente.
Alcune grosse pietre bloccavano la strada.
Poi era arrivato l’attacco.
Si era svolto tutto con grande rapidità.
Erano comparsi diversi pickup pieni di gente armata.
Delle lunghe raffiche avevano mandato in frantumi il parabrezza del pullman, mentre alcuni degli assalitori salivano a bordo.
Avevano rapinato tutti i passeggeri, sparando in testa ad un anziano turista canadese, che aveva cercato di proteggere la sua videocamera, poi erano fuggiti portando con loro quattro donne, le più giovani del gruppo.
Patricia ed Evelyn erano state issate sul pianale di uno dei pickup, mentre altre due ragazze, due sorelle inglesi, venivano caricate su un altro.
L’ultima, terribile immagine, che Evelyn ricordava, mentre il convoglio si allontanava velocemente, in un sentiero in mezzo alla boscaglia, era quella dell’autista e della guida, ricoperti di sangue, il primo riverso sul volante, il secondo, miracolosamente rimasto seduto sulla poltroncina anteriore, con la testa quasi staccata dal busto, che ciondolava da un lato.
Mentre il pickup procedeva sobbalzando sul sentiero polveroso, avevano provveduto a legarle saldamente polsi e caviglie.
La corsa si era arrestata, dopo un paio d’ore, in uno spiazzo davanti ad un piccolo villaggio.
Delle grida femminili avevano attirato la loro attenzione.
Le due sorelle inglesi erano state tirate giù dal pickup ed ora erano circondate da una decina di quegli uomini.
In pochi secondi le avevano letteralmente strappato di dosso i vestiti, poi erano sparite in mezzo a quel mucchio di corpi neri e muscolosi.
Anche gli altri componenti del gruppo si erano avvicinati per partecipare alla ‘festa’.
Lo stupro, era durato parecchio tempo, poi, alla fine, si erano allontanati lasciandole sole e nude, in mezzo al grande spiazzo di terra rossa.
Le due ragazze, pur essendo sorelle, erano diversissime tra di loro.
La più giovane, bionda e cicciottella, se ne stava seduta in terra, inebetita, e si guardava sconsolata quella specie di voragine insanguinata e piena di sperma, tra le gambe allargate e scomposte in una posizione innaturale. Il suo corpo bianchiccio e nudo, a parte la scarpe da ginnastica rosa ed i calzini bianchi, contrastava con il colore rosso scuro del terreno.
L’altra, alta e secca, con un caschetto di capelli neri, era inginocchiata in terra e singhiozzava sommessamente. Ad un certo punto si alzò in piedi, a fatica, e si diresse, con passo incerto, verso l’ombra di un grande albero.
Senza vestiti, con le scarpe dal tacco troppo alto, sembrava ancora più magra, e le sue gambe, solcate da rivoli di sangue, sembravano ancora più secche ed ancora più storte.
Dal villaggio spuntarono fuori due ragazzi. Avranno avuto quindici o sedici anni.
Alti e magri, indossavano solo un paio di pantaloncini corti.
Il primo si diresse verso la biondina, e, arrivato di fronte a lei, si abbassò i pantaloni e glie lo ficcò direttamente in bocca.
Patricia osservò che, nonostante fosse giovanissimo e molto magro, il suo arnese era di notevoli dimensioni.
La ragazza, evidentemente rassegnata dopo quanto aveva subito ed ormai completamente sottomessa, aveva iniziato mestamente a succhiarglielo.
L’altro ragazzo si era invece diretto verso l’albero dove era appoggiata la mora e, dopo essersi tolto i pantaloncini, l’aveva presa da dietro, spingendola contro il tronco mentre, contemporaneamente, le allargava le gambe.
Quando il pene, piazzato in mezzo alle sue chiappe bianche e secche, era penetrato profondamente nell’ano della ragazza, lei aveva emesso solo un piccolo grido.
I ragazzi si erano esercitati a lungo sulle due giovani bianche, finché non era comparsa una vecchia Land Rover, che era entrata a tutta velocità nel grande spiazzo, sollevando nuvole di terra rossa.
A questo punto alcuni dei militari avevano cacciato i due ragazzi, che si erano sbrigati e rientrare nel villaggio, poi avevano sollevato le due sfortunate sorelle e le avevano sistemate nuovamente nel cassone del pickup.
Il fuoristrada si era fermato, bloccando le ruote e sbandando, proprio di fronte al pickup dove si trovavano Patricia e la sua amica e ne era scesa una strana coppia.
Lei era alta e robusta, con due braccia che parevano dei tronchi e due tettone che sembrava volessero schizzar fuori dalla mimetica che indossava.
I capelli neri e crespi, raccolti in treccine lunghissime, le scendevano sulle spalle.
Il suo compagno era ancora più grande e sotto la tuta, identica a quella della donna, si intuiva una pancia tonda e prominente.
Aveva un faccione tondo e butterato e portava sulla testa un berretto militare enorme, pieno di fregi e nastrini, di un improbabile color melanzana.
Il tutto lo faceva sembrare una gigantesca caricatura di un soldato.
Se non fosse stato per quanto accaduto fino ad ora e per i lacci che le bloccavano polsi e caviglie, Patricia forse gli avrebbe riso in faccia.
L’uomo si avvicinò alla sua amica Evelyn e, dopo aver abbassato la sponda del pickup, sporse un braccio e le afferrò le caviglie legate.
La ragazza gridò quando l’uomo la tirò brutalmente verso di sé, fino a farla arrivare con le gambe penzoloni, fuori dal cassone del pickup.
Evelyn indossava una gonnellina bianca a pieghe, che, dopo il trascinamento, si era completamente sollevata, mostrando un minuscolo slip rosso. Sopra aveva una maglietta rosa attillata, sotto cui si intravedevano due tettine piccole ed impertinenti. Le due lunghe trecce bionde, che lei si ostinava a portare la facevano sembrare più giovane dei suoi venticinque anni, dando l’idea che fosse quasi una bambina.
L’uomo estrasse un lungo coltello dalla gamba dello stivale e liberò le caviglie della ragazza, poi si tirò giù i pantaloni.
Sotto la pancia, rotonda e tesa, comparve un affare nero e duro, grande quasi come l’avambraccio di un uomo adulto.
La ragazza era rimasta paralizzata dal terrore e si fece togliere le mutandine senza neanche provare ad abbozzare una reazione.
Patricia osservò con orrore quella specie di ramo nero che entrava profondamente nel sesso della sua amica, che intanto gridava e piangeva disperatamente.
La scopò a lungo, con violenza, e quando infine lo tirò fuori, dal sesso dilatato di Evelyn, uscì un fiotto di sangue misto a sperma.
L’uomo si diresse verso l’altra ragazza.
Patricia era l’opposto della sua minuta e delicata compagna. Alta e robusta, tette grandi e gambe muscolose, oltre ad un culo largo e prominente.
Aveva anche un carattere forte e deciso e non rimase immobile e paralizzata con la sua amica.
Certo, contro un uomo che pesava il doppio di lei, e, per di più, legata mani e piedi, non poteva opporre una grossa resistenza, ma comunque ci provò.
Dopo una breve lotta si trovò a pancia in giù, schiacciata contro il pianale di metallo.
Aveva la sgradevole sensazione che la sua strenua resistenza fosse servita soltanto a caricare ulteriormente il suo robusto aggressore, che sembrava ora particolarmente eccitato.
Sentì la lama del coltello che incideva la tela leggera dei suoi pantaloni, di dietro, proprio in mezzo alle chiappe, poi le mani dell’uomo che tiravano vigorosamente i due lembi di stoffa.
I pantaloni si erano completamente aperti ed il suo aggressore ora si stava dedicando alle sue mutandine che tagliò sempre con il coltello.
No! questo proprio no!
Non aveva fatto tutti quei chilometri per prenderlo in culo da un negro panzone, con un ridicolo cappello in testa.
A San Francisco c’erano un mucchio di negri, con e senza pancia, pronti a ficcarglielo nel culo, se proprio lo avesse voluto, ma lei, era certa di questo, non avrebbe mai desiderato una cosa simile.
Provò ancora a lottare, ad opporsi, con le ultime forze rimaste, poi sentì la punta del suo pene che premeva forte, proprio in mezzo alle natiche.
Tentò in un ultimo disperato tentativo, di disarcionarlo, ma quando dovette fermarsi un attimo, esausta, lui le allargò le chiappe e, rapidamente, lo ficcò dentro.
Urlò, pianse, ma ormai non c’era più nulla da fare: era entrato dentro e la stava cavalcando furiosamente. Ad ogni colpo sentiva i tessuti che cedevano e si allargavano, facendolo entrare sempre più in profondità.
La stava domando come si potrebbe fare con un cavallo o con un altro animale selvaggio.
Centimetro dopo centimetro il suo grande cazzo nero entrava dentro di lei, togliendole progressivamente la voglia di reagire, di ribellarsi.
E poi il dolore era fortissimo, pensò che l’avrebbe sventrata se continuava così.
Quando arrivò a ficcarlo tutto, fino in fondo, al punto che sentiva i suoi testicoli premerle contro, Patricia, ormai prima di forze, era pronta ad accettare la sua condizione di schiava.
Andò avanti per parecchio tempo ed aveva l’impressione che quel coso nero, dentro di lei, diventasse sempre più grande, così, quando alla fine lo sperma la inondò, fu come una liberazione.
L’uomo venne fuori e le rimase solo la sensazione del dolore lancinante, appena un po’ attenuato, insieme alla paura che il suo ano sarebbe rimasto per sempre così: aperto, dilatato, sfondato.
La girò sulla schiena.
‘Clean, clean and suck, please.’
Le aveva parlato in un inglese stentato e gutturale, me le sue parole erano chiarissime: doveva anche prenderglielo in bocca. Voleva che prima lo ripulisse e poi gli avrebbe dovuto fare un bel pompino.
Aveva aggiunto anche un please, per favore, che, date le circostanze, suonava tragicamente ironico.
Patricia cercò di ritrarsi, schifata, e lui ripeté la frase, senza la parola finale, poi, quando vide che la ragazza non obbediva, le mollò uno schiaffo.
Un manrovescio terribile. Patricia sentì il sangue che le colava dal labbro spaccato e si affrettò ad eseguire l’ordine.
Puzzava terribilmente ma, data la situazione, si sforzò di non pensarci e cercò di togliere per bene i residui di sangue ed altro, impastati al suo sperma.
Tornò dritto e duro quasi subito ed allora cominciò a succhiarlo.
Forse il peggio era passato. Pensò che dopo tutto non era così male.
Lo sentiva pulsare dentro la sua bocca, allora lo strinse leggermente con le labbra cercando di muoversi un po’ in su ed in giù.
Questa sua iniziativa sembrò piacergli perché poco dopo lo sentì irrigidirsi, poi le afferrò forte la testa con le mani ed infine le sparò in bocca ed in gola una tale quantità di sperma, che lei temette di soffocare.
Era finita, almeno per ora.
Ricomparve la soldatessa tettona che le fece scendere dal pickup e le slegò.
Ordinò ad entrambe di togliersi tutto, vestiti e scarpe, poi le condusse attraverso il villaggio, fino ad una baracca in muratura, con il tetto il lamiera, che sarebbe diventata la loro casa.
Hazika, si chiamava così la donna, era la sorella del comandante.
Il comandante non veniva mai chiamato per nome, era il comandante e basta.
Disse che loro erano state fortunate, perché suo fratello era rimasto molto colpito dalle treccine d’oro di Evelyn ed aveva deciso di prenderle così entrambe.
Spiegò loro, con pazienza, che il comandante era un uomo potente e, in quel paese, un uomo potente aveva molte mogli e molti figli.
Era veramente eccitato dall’idea di avere una figlia dalle treccine d’oro.
L’unica alternativa era essere utilizzate con tutti gli altri soldati, come accaduto alle due sfortunate sorelle inglesi, ma significava vivere poco e male.
Loro invece sarebbero rimaste nel villaggio, senza essere costrette a fare nulla, non avrebbero corso alcun pericolo perché nessun avrebbe osato neanche sfiorare le mogli del comandante.

La prima notte con il comandante fu molto particolare.
Si presentò molto tardi. Patricia dormiva, completamente nuda, visto che non aveva nulla da mettersi addosso, sulla stuoia che ricopriva il pavimento della stanza.
Evelyn invece, angosciata dall’idea di dover fare figli con quell’uomo che le sembrava orribile, era rimasta sveglia.
Il comandante entrò rumorosamente, facendo voltare Evelyn e svegliando di soprassalto l’altra.
Indicò i suoi pesanti stivali e le due ragazze, prontamente glie li tolsero, poi lo aiutarono a spogliarsi.
A questo punto costrinse Evelyn a chinarsi su di lui.
Le sue treccine si muovevano ritmicamente mentre lei gli succhiava il cazzo che diventava sempre più duro e sempre più grande.
Quando ritenne che fosse giunto il momento, la scansò e le salì sopra.
Questa volta non gridò quando lui la penetrò profondamente.
La scopò con rudezza un paio di volte, lasciandola distesa e stordita, poi si rivolse a Patricia.
La fece mettere in ginocchio a quattro zampe e le fece allargare le gambe.
La ragazza si lamentò quando lui glie lo spinse nuovamente dentro, ma poi si mise buona buona ed accettò la sua sorte.
Questa volta era entrato molto più facilmente, ma il dolore lancinante, che si era appena sopito in quelle ore di riposo, si riaffacciò più forte di prima.
La inculò due volte di seguito, riempiendola per bene di sperma, poi, per concludere, nuovamente, con ‘clean and suck’.
Si rivestì e se ne andò, lasciandole sole e stordite.
La mattina dopo Hazika portò loro dei vestiti. Erano poco più che stracci: dei camicioni variopinti utili giusto a nascondere la nudità dei loro corpi.
Passarono alcuni giorni in massima calma, perché il comandante non era nel villaggio.
Effettivamente potevano girare tranquillamente tra le capanne e le casupole senza che nessuno le infastidisse.
Avrebbero potuto provare a fuggire?
Hazika era stata molto chiara. Ammesso che fossero riuscite ad eludere la sorveglianza delle sentinelle, avrebbero dovuto percorrere diverse decine di chilometri a piedi con la certezza di fare qualche cattivo incontro. Anche senza scomodare i leoni, sarebbero state sufficienti le iene, per non parlare dei coccodrilli che infestavano la palude a sud del villaggio.
Il quarto giorno tornò il comandante e la scena si ripeté esattamente: prima scopò la bionda Evelyn, poi si dedicò al culo di Patricia.
La faccenda andò avanti per diverso tempo, con regolarità. Veniva a trovarle in media tre volte a settimana.
Una mattina Evelyn chiese alla sua amica:
‘Pat, quanto tempo è che siamo qui?
‘Sicuramente più di due mesi, perché?’
‘Ho paura di essere incinta.’
Patricia aveva pensato spesso a questa possibilità. Evelyn era stata scopata con regolarità per diverso tempo, e non aveva potuto utilizzare alcun tipo di contraccezione, era sicuramente molto probabile che fosse incinta.
Lei invece, visto che il comandante aveva sempre preferito il suo lato B, da questo punto di vista era abbastanza tranquilla.
‘Non voglio un figlio da quell’uomo. Ho paura! Lui si aspetta una bambina con le trecce bionde, invece nascerà un negretto, per forza, e mi ammazzerà, ne sono sicura. E poi come faccio a partorire qui, in questo sudicio buco. Morirò di emorragia o di qualche infezione.’

Dopo pochi giorni accadde un fatto nuovo.
Evelyn si svegliò in piena notte, in preda ad una febbre fortissima, che la faceva addirittura delirare.
Patricia corse fuori a chiedere aiuto.
‘Malaria.’ sentenziò Hazika, prontamente accorsa.
La febbre durò parecchi giorni, insensibile ai vari rimedi provati, alle medicine, ai decotti di erbe delle donne del villaggio.
Perfino gli incantesimi dello stregone si rivelarono inutili.
Quando arrivò il comandante, Evelyn era così mal ridotta che lui fu costretto a ripiegare si Patricia, che, per la prima volta, sperimentò il suo cazzo nel lato A.
Si sorprese a pensare che forse la febbre della sua amica era stata una fortuna. Preferiva essere scopata piuttosto che inculata.
Naturalmente il comandante, dopo aver fatto il suo comodo davanti, la fece girare e continuò tranquillamente la sua esibizione.
Si accorse che, tutto sommato, la cosa non le dispiaceva troppo.
Il comandante non era poi così male, anche la sua pancia ormai, non le sembrava neanche così brutta. E poi, una volta che loro avevano imparato a comportarsi con lui nella maniera giusta, aveva iniziato a trattarle abbastanza bene, almeno secondo il suo standard di buone maniere.
Insomma, si poteva definire una vita di ozio con dei momenti intensi di sesso.
Stava diventando pazza?
Era una follia soltanto pensare una cosa simile. Lei e la sua amica avrebbero dovuto essere a San Francisco, nelle loro belle case e non in questo sudicio villaggio, in mezzo all’Africa, a succhiare il cazzo di un selvaggio.
Evelyn era sicuramente incinta. Aveva spesso delle nausee e, ormai, una leggera pancetta sporgeva dal suo corpo magro.
Anche Patricia, a volte, si sentiva strana. Cercava di pensare se, nei giorni in cui la malaria aveva messo KO la sua amica lei era fertile o meno, ma senza calendario ed avendo un po’ perso la cognizione del tempo, non era facile accertarlo.

Fortissima ed improvvisa, la malaria colpì anche lei.
Passò dei giorni bruttissimi e, una notte, fu svegliata dalle urla di Evelyn.
Il comandante stava cercando di mettere in scena la seconda parte del suo show con la sua amica.
‘Evelyn, ti prego, non fare così. Stai calma e fallo entrare, altrimenti fai peggio.’
‘Aiuto! è troppo grande ‘ non voglio ‘ ho paura!’
‘L’ho fatto io puoi farlo anche tu, stai tranquilla, respira a fondo e lascialo entrare.’
L’iniziazione del culo di Evelyn fu una esperienza dura, ma, passati i primi momenti difficili, lei accettò abbastanza tranquillamente questa nuova modalità, anzi, le notti successive, visto che Patricia era ancora malata, fu lei stessa a mettersi con il suo culetto proteso, aspettando che lui la penetrasse.
Passato l’attacco di malaria di Patricia, il comandante riprese le abitudini di prima, anche se, spesso, capitavano delle variazioni.
Questo significava che preferiva la fica di Evelyn ed il culo di Patricia, ma ogni tanto, le faceva invertire i ruoli.
Quello che non mancava mai era il clean and suck finale operato da Patricia. Adorava come lei glie lo lavorava con la bocca e con la lingua.

Erano passati altri mesi. La pancia di Evelyn era ormai enorme, e contrastava pesantemente con il suo corpo minuto. I suoi seni piccoli, con i capezzoli rosei, ormai si poggiavano direttamente su quel pallone che, giorno dopo giorno, cresceva a vista d’occhio.
Anche Patricia procedeva nella stessa direzione ed aveva un bel pancione.
Si era anche ingrassata parecchio e le sue tette, diventate più voluminose, si erano inflaccidite, come pure le gambe ed il culo.
Accidenti, il suo corpo si stava sfasciando, ed aveva solo poco più di venticinque anni.
Evelyn, per partorire, fu portata nella capanna di una vecchia donna del villaggio.
Patricia non assistette all’evento, ma le grida della sua amica, risuonarono a lungo nella notte.
Naturalmente non nacque una bambina bionda: era maschio e con i capelli neri.
Era nero, solo leggermente più chiaro degli altri bambini del villaggio.
Il comandante non ci rimase male, sicuramente scherzava, sulla faccenda delle treccine d’oro.
Il bambino fu tolto subito ad Evelyn, sia perché lei non aveva latte, sia perché, come spiegò Hazika, loro si dovevano occupare del comandante, mentre ai bambini avrebbero provveduto altre donne del villaggio.
Per qualche giorno, il comandante lasciò tranquilla Evelyn e Patricia beneficiò di doppia razione.
Si stava abituando. Il comandante era una specie di forza della natura e, ora che aveva imparato ad ubbidirgli per bene, riusciva ad apprezzare in pieno tutta la sua potenza e la sua esuberanza.
Non le appariva più come un orribile selvaggio che la stuprava a suo piacimento.
Dovette ammettere che quel cazzo nero ed enorme, le procurava piacere quando le entrava dentro.
Le piaceva essere scopata ed inculata da quell’uomo.
Ormai non provava più dolore, perché i suoi buchi si erano adattati alla misura extra large del comandante e poi ‘ il pompino finale.
Adorava succhiarglielo, alla fine di tutto.
La eccitava da morire sentirlo crescere e diventare duro, sempre più duro, nella sua bocca, sotto l’azione delle sue labbra fino a che capiva che era giunto il momento. Allora si preparava ad accogliere il suo sperma, caldo e denso, che le avrebbe inondato la bocca.
In parte l’avrebbe inghiottito, mentre il resto le sarebbe colato fuori, scendendo lungo il collo ed arrivando a bagnarle i seni.

Era venuto il suo momento.
Non ci aveva pensato, o meglio, non aveva voluto pensarci, fino all’ultimo.
Ora aveva paura. Una paura fottuta di soffrire. Ricordava le grida di Evelyn ed il suo viso disfatto e sofferente, quando l’avevano riportata nella baracca.
Agli altri pericoli non voleva neanche pensarci.
Tutto sommato andò meno peggio del previsto. La levatrice, una vecchia rugosa e sdentata, sapeva il fatto suo e lei cercò di non far caso al coltello sporco ed arrugginito con cui tagliò il cordone ombelicale.
Anche il suo era maschio.
Glie lo lasciarono un paio di giorni, visto che lei aveva parecchio latte, poi lo portarono via, perché doveva tornare il comandante.
Per qualche volta si limitò ad infilarglielo nel culo. Si mise pure a giocare con le sue tettone gonfie di latte, cercando, senza riuscirci, di succhiarne il contenuto.
Poi riprese tutto come prima.
Vita tranquilla ed oziosa nel villaggio e poi, quelle notti con il comandante.
Rimasero incinte di nuovo entrambe.
Prima Evelyn e poi Patricia.
Le loro pance crescevano mentre i loro corpi, lentamente, si sciupavano.
Patricia non aveva perso tutti i chili della prima gravidanza ed ora, le smagliature che non si erano riassorbite, la davano un’aria flaccida e trasandata. Neanche i capelli, che non aveva mai fatto tagliare durante la sua prigionia, e che le donne del villaggio avevano sistemato con delle fitte e graziose treccine, chiuse con dei nastrini colorati, riuscivano a migliorare il suo aspetto.
Il suo corpo si stava sfasciando, la ragazza americana giovane, bella e curata, si stava trasformando in una orribile befana.
Tra un po’ sarebbe diventata come la levatrice, che sembrava avere cent’anni, ma, come le aveva detto Hazika, al massimo ne aveva quarantacinque.
Il comandante, per fortuna, non la pensava così, e continuava a scoparla con grande impegno, così Patricia cercava di girare alla larga dallo specchio, sporco e macchiato, appeso in un angolo della loro stanza e si sforzava di pensare che, se piaceva a lui, era ancora una donna attraente.
Evelyn invece si era rinsecchita e le sue tettine, un tempo belle sode e con i capezzoli dritti e puntuti, erano diventate due sacchetti mosci che pendevano verso la pancia gonfia e tesa.
Aveva spesso attacchi di malaria e questo l’aveva alquanto debilitata, costringendo molte volte Patricia a fare gli straordinari con il comandante.
Un giorno Hazika entrò nella loro stanza, chiuse la porta e poi si spogliò.
Evelyn dormiva, in preda ad uno dei suoi soliti attacchi di malaria e la donna si avvicinò a Patricia.
Le infilò una mano sotto al vestito e cominciò a toccarla.
Patricia allargò le gambe e si sdraiò sulla stuoia.
Le dita di Hazika andarono in profondità e presero a toccarla con maggiore insistenza, mentre il sesso di Patricia si apriva lentamente.
Evelyn si svegliò quando le dita arrivarono a pizzicare il clitoride e Patricia emise un grido di gioia.
L’amica la guardava sorpresa ed incredula di quanto stesso accadendo.
Hazika le allargò completamente le gambe e si avvicinò con il viso.
Ora la sua lingua stava esplorando con cura la sua fica completamente aperta e bagnata fradicia.
Raggiunse il clitoride con la punta della lingua e prese a stuzzicarlo con sempre maggior energia.
Non si tolse neanche quando Patricia, raggiunto l’orgasmo, le spruzzò in faccia i suoi umori.
Ora Hazika era sdraiata a fianco a lei, le aveva preso una mano e se l’era portata in mezzo ai suoi coscioni muscolosi.
Aveva una fica grande, già abbondantemente eccitata.
L’apertura, bella rossa, contrastava con la sua pelle scurissima.
Quando con le dita raggiunse il clitoride, Patricia ebbe un sussulto: era così grande e duro che per un attimo pensò che avesse un piccolo cazzo.
Hazika la prese dietro la nuca e la costrinse ad abbassarsi, così Patricia tuffò letteralmente il suo viso in mezzo al sesso di quella donna nera e possente.
L’odore dei suoi umori la stordiva, mentre Hazika si muoveva con forza, quasi schiacciandole la testa con le cosce, emettendo grida selvagge.
Il suo orgasmo fu improvviso e potente, lasciando Patricia senza fiato e con la faccia completamente fradicia.
Dopo quel giorno, Hazika si presentò sempre più spesso. All’inizio Evelyn si rifiutò di partecipare, poi però, dopo aver provato una volta, si unì sempre a loro.

Evelyn partorì una femmina, naturalmente senza treccine bionde, mentre Patricia ebbe un altro maschio.
Sarebbe rimasta tutta la vita in quel villaggio sperduto, a fare figli per il comandante.
Che sarebbe successo dopo? Quando non sarebbe stata più in grado di accrescere la sua progenie, che fine avrebbe fatto?
Per ora non era il caso di pensarci. Il futuro era semplicemente la mattina dopo. Se riusciva a svegliarsi e vedere la luce del sole, significava che aveva davanti a sé un altro giorno.
Tutto sommato si era abituata alla sua nuova vita. Nel villaggio la trattavano bene e, avendo imparato la loro lingua, riusciva pure un po’ a conversare con le altre donne.
Finché se ne stava lì, tranquilla, grossi pericoli non ce n’erano.
Aveva da mangiare, un posto dove dormire e ‘ tutto il sesso che voleva, di giorno e di notte, con uomini e con donne.
Veramente qualche pericolo c’era anche al villaggio.
Le avevano raccomandato di girare alla larga dalle scimmie.
Lei aveva sempre pensato a loro come a degli animaletti buffi ed innocui.
A parte il fatto che quelle che abitavano un grosso albero ai confini del villaggio erano abbastanza grandi, il pomeriggio che era stata attaccata, aveva scoperto quanto potessero essere aggressive e, soprattutto, quanto grandi ed affilati fossero i loro denti.
Se non fosse stato per il pronto intervento della gente del villaggio, armata di pietre e bastoni, l’avrebbero veramente conciata male.
Ne uscì comunque con due brutti e profondi morsi, ad una spalla e ad una caviglia, che le lasciarono delle brutte cicatrici.
Ormai lei ed Evelyn erano diventate come le altre donne del villaggio, e, nonostante la pelle chiara, apparivano simili a loro. Erano vestite alla stessa maniera, camminavano tranquillamente scalze sulla terra rossa ed avevano anche imparato ad evitare la aguzze spine di acacia.
Gli uomini giravano alla larga e le trattavano con una sorta di deferenza, evidentemente dovuta alle mogli del comandante.

Evelyn partorì un maschio, ma, dopo una notte difficile, in cui diverse donne del villaggio si erano affannate intorno a lei, il bambino era uscito senza vita.
Patricia invece ebbe due gemelli, entrambi maschi.
Durante la gravidanza aveva avuto spesso l’impressione che ci fosse più di un corpo dentro di lei, e poi la pancia questa volta le sembrava più grande, ma forse era solo un’impressione, dovuta al fatto che, con il passare del tempo, si era ingrassata.
Un giorno, stranamente, il comandante si presentò da loro di giorno.
Non era solo e con lui c’era un ragazzo, alto e magro.
Era uno dei suoi figli e loro avrebbero dovuto curare la sua iniziazione.
Il comandante uscì dalla stanza lasciandole sole con il ragazzo.
Sembrava un po’ intimidito.
Si avvicinarono a lui e lo spogliarono.
Era meno magro di quello che sembrava ed aveva le spalle larghe, ma soprattutto, aveva sicuramente preso dal padre una cosa importante.
Aveva un cazzo lungo e grande, già completamente in erezione e sotto, due testicoli enormi.
Evelyn si chinò su di lui e cominciò a leccarglielo, mentre Patricia lo abbracciava da dietro, strofinandogli le tette sulla schiena.
Era così inesperto e desideroso di provare l’esperienza del sesso, che, come Evelyn se lo ficcò in bocca, venne immediatamente, riempendola di sperma.
Continuò a schizzare impiastrandole la faccia ed i seni. Sembrava una fontana inarrestabile.
Allora Patricia si avvicinò ed iniziò la sua specialità preferita, quel clean and suck che tanto apprezzava il padre del ragazzo, ma cercò di non esagerare, vista la prontezza con cui era venuto la prima volta.
Lo fece entrare dentro e si fece scopare per bene da quell’uomo giovane e forte.
Poi fu la volta di Evelyn, che quasi glie lo strappò dalle mani.
Quando, alla fine, si riaffacciò il comandante, il ragazzo era stremato, ma aveva gli occhi che gli brillavano in maniera molto significativa.
Nei mesi successivi, il giovane figlio del comandante ripassò diverse volte.
Ormai la loro vita sessuale, tra padre, figlio e sorella, era molto impegnata.
Diverse volte si erano chieste se la pancia che stava loro crescendo per la quarta volta, fosse opera del comandante o del suo giovane rampollo.

Patricia, in quel pomeriggio tranquillo, stava così facendo due passi per il villaggio.
Dopo aver indossato il vestito rosso con i fiori gialli, prima di uscire di casa, si era guardata allo specchio.
Era una delle tante donne africane che vivono in un villaggio, perennemente incinte e con il corpo sfasciato da una vita difficile, fatta di sacrifici.
Un viso stanco in cui cominciavano a farsi strada le prime rughe, due seni grandi ma mosci e cadenti, il culo grosso e le gambe appesantite.
L’unica cosa che la differenziava dalle altre era la sua pelle chiara ed i lineamenti del viso, che tradivano la diversa origine.
Non stava pensando a niente di importante, semplicemente era impegnata ad evitare i rami di acacia in terra, che potevano nascondere l’insidia delle terribili spine e poi le scimmie. Dopo quella disavventura girava sempre alla larga da loro. Le brutte cicatrici che le avevano lasciato erano più che sufficienti.
Così, quando sentì le grida e gli spari, impiegò qualche secondo prima di mettersi al riparo, dietro un grande cespuglio.
La battaglia fu intensa ma durò pochi minuti.
Ovunque polvere, capanne in fiamme e morti e feriti a terra.
C’erano molti soldati, quelli dell’esercito regolare, che avanzavano sparando all’impazzata.
Li vide entrare nella capanna della levatrice e portare fuori lei e la figlia quindicenne.
Uno di loro infilò un mitra in mezzo alle gambe della madre, conficcando bene la canna nella vagina, poi premette il grilletto.
Alla figlia, invece, infilarono tutt’altre cose.
Patricia era rimasta atterrita, ad osservare il terribile spettacolo dello stupro di quella ragazzina, mentre la madre agonizzava lì vicino, in un lago di sangue.
All’improvviso si sentì prendere alle spalle.
Erano due soldati che subito le strapparono di dosso il vestito.
A chi assomigliava di più, alla levatrice o alla figlia?
L’avrebbero ammazzata oppure si sarebbero divertiti a scoparla?
Sentì delle grida e poi un sparo.
Era comparso un altro militare. Dalla divisa sembrava un ufficiale, forse era il capo.
Il comandante?
Avrebbe dovuto soddisfare un nuovo comandante?
I due soldati erano fuggiti ed il nuovo arrivato raccolse da terra il vestito e glie lo porse.
Prese dal taschino della camicia un foglietto piegato in quattro e cominciò a leggere dei nomi.
Nomi e cognomi di persone che a lei non dicevano nulla.
Ad un certo punto sentì pronunciare il suo nome ed il suo cognome.
Lo aveva quasi dimenticato, in quel posto sperduto non aveva alcun senso.
Aveva fatto cenno di sì con la testa.
L’ufficiale era stupito, perché non credeva che dopo quattro anni, lei potesse essere ancora viva.
Lo guidò alla baracca dove c’era Evelyn, poi tutti e tre attraversarono il villaggio, o meglio quello che ne rimaneva.
Alcuni soldati stavano trascinando e mettendo in fila i corpi dei guerriglieri uccisi.
In un angolo, vicino all’inconfondibile berretto color melanzana, c’era il corpo del comandante, crivellato di colpi.
Hazika, sua sorella, era poco più avanti, completamente nuda, con le braccia e le gambe allargate. Dovevano essersi divertiti a lungo con lei, prima di finirla con un colpo di baionetta nella pancia.

Aveva trascorso qualche giorno in ospedale, dove avevano cercato di rimetterla un po’ in sesto. Tutto sommato le era andata bene, solo un po’ di parassiti nella pelle, un’infezione intestinale cronicizzata e la malaria che l’avrebbe più o meno accompagnata per il resto della vita.
C’erano anche da mettere in conto tre denti caduti, ma quelli, pagando, un buon dentista di San Francisco li avrebbe degnamente sostituiti, e le cicatrici causate dai morsi delle scimmie, che avrebbero richiesto un piccolo intervento di chirurgia plastica.
C’era poi il bambino dentro di lei.
Chissà se era del comandante con il berretto color melanzana o del suo giovane rampollo.
In ogni caso non faceva molta differenza, visto che il primo era morto ed anche il secondo, con molta probabilità, non era riuscito a cavarsela.
E poi lei, ora, era in volo verso San Francisco.
L’hostess le aveva detto ci si sarebbe voluto parecchio, ma comunque meno di mille anni, visto che la distanza era notevole, ma meno di un milione di chilometri.

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