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Racconti di Dominazione

Angelo

By 8 Settembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Allora, Angelo è il mio primo aspirante master, anche se forse lo potrei definire un consulente, una persona intelligente ed esperta in grado di consigliarmi.
Abbiamo parlato a lungo oggi pomeriggio e siamo giunti alla conclusione che io non ambisco ad essere ridotta in schiavitù, ma potrei trovarmi in situazioni temporanee in cui vengo dominata con soddisfazione mia e sua.
Lui è convinto che, indossando un collant pesante, ne ho diversi perché sono molto freddolosa, in piena estate, mi troverei in una situazione di fastidio e di imbarazzo che potrebbe eccitarmi.
Naturalmente sotto non dovrei mettere nulla, in modo che la sensazione di disagio venga amplificata.
Mi ha dato anche dei consigli per prepararmi meglio e questa sera decido di cominciare dal più semplice, lo spanking.
Mi ha garantito che è possibile sculacciarsi anche da soli e penso sia meglio non coinvolgere la mia amica, anche se, quando leggerà il racconto, verrà a saperlo.
Per accentuare l’effetto del collant dice che è meglio partire dal culetto rosso ed irritato, mi ha assicurato che tornerà bianco come prima nel giro di poche ore.
Il trattamento completo dovrò farlo poco prima di uscire, però voglio prima provare un po’ stasera, per vedere come funziona.
Userò delle ciabatte, Angelo dice che una decina di ciabattate dovrebbero essere sufficienti per farmi diventare rosso il culetto.
Intendeva dieci in tutto o dieci per lato?
Mi chiudo a chiave nella stanza, tante volte Silvia dovesse tornare prima, sistemo bene lo specchio aprendo in parte l’anta dell’armadio ed impugno la ciabatta.
Ho preso le infradito di gomma che uso per fare la doccia in palestra, dovrebbero essere abbastanza elastiche da fare l’effetto frustino ma non troppo dure da ferirmi.
Ho abbassato le mutandine e sollevato la gonna, infilando la stoffa dentro la cintura in modo che non ricada se mi muovo.
Il primo colpo è fiacco e deludente, la ciabatta si spiaccica sul mio sedere senza nessuna sensazione particolare.
Se deve funzionare come un frustino non ci posso certo infilare dentro la mano.
Riprovo tenendo la ciabatta con due dita sulla parte posteriore, la faccio oscillare e poi, controllando la posizione attraverso lo specchio, mi colpisco di nuovo.
Ahi!
Così fa male, pizzica decisamente.
Controllo la situazione, il mio sedere non sembra particolarmente arrossato, solo un piccolo alone nel punto in cui è arrivata la ciabattata.
Il secondo colpo lo sento molto di più, perché forse sto imparando.
Continuo rapidamente, contando e evitando di guardare bene l’evolversi della situazione della mia pelle.
Mi fermo a cinque, il bruciore è molto forte, mi giro e guardo.
La mia natica sinistra è rossa come se mi fossi scottata al mare e contrasta con l’altra rimasta bianca bianca, se non altro rispetto al resto del corpo abbronzato, visto che sono abbastanza scura di pelle e prendo subito un bel colore marrone.
Passo leggermente un dito sulla pelle irritata, e lo ritraggo subito: la pelle è così sensibilizzata da amplificare la sensazione del tatto.
Eseguo lo stesso trattamento anche a destra.
Anche se sono parecchio magra, ho i fianchi relativamente larghi ed il sedere abbastanza sporgente, non sono di quelle ragazze con i fianchi stretti stretti al punto di faticare ad individuare il punto vita.
Mi guardo con un sottile piacere le mie belle ‘chiappotte’ bianche, striate di rosso e poi decido di sfilarmi del tutto le mutandine.
I miei piedi nudi scavalcano lo slip finito e terra e faccio un passo di lato.
Brucia, accidenti se brucia, non sarà facile domani uscire in queste condizioni.
Rimetto a posto la gonna che avevo infilato nella cintura ed ho l’impressione che il cotone morbido e leggero sia diventato un tessuto ruvido e pesante.
Provo a camminare a piedi nudi per la stanza, la sensazione di bruciore è forte ed eccitante.
Alla fine mi sdraio sul letto a pancia in giù e mi metto a pensare all’uscita di domani mattina.

La prima cosa che faccio, quando mi alzo, è controllare le condizioni del mio sedere.
Angelo aveva ragione, i segni delle ciabattate sono scomparsi quasi del tutto.
Dopo essermi lavata in bagno torno nella mia stanza e scelgo il collant.
Naturalmente le calze pesanti si trovano in una scatola, nella parta alta dell’armadio, insieme ai vestiti invernali.
Li dispongo in fila sul letto e dopo averli osservati e tastati per saggiarne la consistenza del tessuto, decido per quello a righe.
è molto particolare e richiede delle gambe dritte e perfette, perché è fatto da tante fasce colorate orizzontali, alte ognuna un paio di dita.
L’effetto sulle mie gambe lunghe è sempre stato ottimo.
Prima di infilarlo devo però preparare il mio culetto.
Raccolgo una ciabatta da sotto il letto e mi piazzo nuda davanti allo specchio.
Ormai so come fare e la prima ciabattata già mi risveglia il bruciore della sera precedente.
Continuo, con le lacrime agli occhi e mi fermo solo a dieci.
Mamma mia quanto è rosso!
Solo pochi attimi per riprendere fiato poi, cambio mano e cambio chiappa.
Quando ho finito sono letteralmente senza fiato, il bruciore mi arriva ad ondate, poi mi passo le mani in mezzo alle gambe e mi accorgo di essere un po’ bagnata.
Con il collant in mano mi siedo sul letto.
Errore!
Mi rialzo subito, il lenzuolo sembra di carta vetrata.
Ed ora come faccio?
Mi metto su un fianco con le gambe piegate e, con un po’ di contorsioni, riesco ad infilare le calze fino ai polpacci, poi mi alzo in piedi e comincio a tirare.
Piano piano le righe colorate salgono, si stendono a vanno al loro posto.
I problemi si manifestano quando, arrivata alle cosce, devo finire di infilarmi il collant.
Il nylon, che mi sembrava morbido al contatto con le dita, improvvisamente sembra essersi trasformato in qualcosa di molto più ruvido e la sensazione di contenimento che da il collant quando è calzato fino in cima risveglia il bruciare che si era un po’ attenuato, dopo il tentativo maldestro di sedermi sul letto.
Sistemo bene l’elastico in vita, riprendo fiato e … giusto il tempo per sentire la cucitura del collant che preme sulla mia cosina umida.
Ora devo vestirmi, Angelo mi ha consigliato una gonna larga e comoda in modo che, dopo averla sollevata, possa poggiare il mio culetto direttamente sul sedile, sostiene che così dovrei sentire di più la sensazione di sottomissione.
Scelgo una gonna a pieghe chiara larga e non troppo corta, con dei disegni di fiori in tonalità pastello, e mentre me la infilo già mi sembra di sentire caldo, con quel collant pesante addosso.
Decido di mettere il reggiseno questa volta, ne scelgo uno color carne molto scollato e sopra indosso una camicetta bianca leggera.
Perfetto, mancano solo le scarpe.
Con quelle calze non posso mettere certo dei sandali e cerco, tra le mie scarpe chiuse, quelle più leggere.
Decido per quelle nere con il cinturino dietro, hanno abbastanza tacco ma non troppo, almeno per il mio standard: non ho mai amato i trampoli.
Il mio padrone consulente mi ha consigliato i mezzi pubblici, così mi avventuro fino alla fermata dell’autobus.
Fuori fa caldo, ho fatto solo cento metri e mi sento già le calze appiccicate addosso, mentre la cucitura in mezzo alle gambe sembra volermi entrare dentro.
Ho quasi l’impressione che mi sia cresciuto il sedere, forse si è gonfiato per le ciabattate?
Nel camminare ondeggio leggermente ed è tutto un muoversi sotto le pieghe della gonna.
La cucitura bella tesa mi ricorda (anche se l’effetto è molto più blando) la corda del sukaranbo, la mia cosina deve essersi leggermente dischiusa e sono bagnata, non so quanto contribuisca lei e quanto il sudore causato dalle calze pesanti.
Ma è dietro, dove mi sono colpita con la ciabatta di gomma che sta succedendo di tutto.
Il bruciore forte dell’inizio sembra un po’ passato, ma il nylon mi stringe la carne e la gonna ci sfrega sopra ad ogni passo che faccio.
Mi guardano.
Beh, lo credo, una che va in giro così con questo caldo ‘
E’ arrivato l’autobus.
Mi siedo e proprio in quel momento mi ricordo della raccomandazione di Angelo.
Ero quasi arrivata a poggiarmi, ma mi rialzo, allargo la gonna e torno giù definitivamente.
Il contatto diretto del mio sedere arrossato con il sedile di plastica caldo (perché era al sole) risveglia il ricordo di quello che mi sono fatta con la ciabatta prima di uscire di casa e mi scappa un piccolo lamento.
Un signore in piedi a fianco a me mi guarda in maniera strana.
Mi sforzo di pensare che è stato il mio padrone a sculacciarmi, mi ha tenuto sulle sue ginocchia, piegata in avanti e mi ha colpito finché non l’ho supplicato di smettere, poi mi ha ordinato di vestirmi e di uscire.
Il signore in piedi mi fa cenno che vuole sedersi.
Il posto tra me ed il finestrino è libero.
Accidenti ora devo rialzarmi e sedermi di nuovo, se mi fossi seduta lì, non mi sarei dovuta scomodare.
Mi alzo tenendo la gonna larga e lui passa e va a sedersi. Appena è passato torno giù, facendo sempre bene attenzione che la stoffa della gonna non finisca tra il mio sedere ed il sedile.
Il bruciore si manifesta esattamente come la prima volta, solo che sono preparata e questa volta riesco a tenere la bocca chiusa, ma un piccolo movimento del mio busto lascia intuire che quando mi siedo provo dolore.
Il signore, ora seduto al mio fianco, mi guarda incuriosito, ha sicuramente notato la mia sofferenza nel sedermi ed ha anche osservato con cura la strana manovra con la gonna.
Dopo tre fermate mi fa cenno che deve scendere. Accidenti a te, ma per così poco potevi pure rimanere in piedi.
In realtà non è sceso, è rimasto in piedi nel corridoio ed ho l’impressione che lo abbia fatto apposta per studiarmi.
Io, naturalmente ho rifatto gli stessi movimenti ed ora ho l’impressione che tutto l’autobus mi stia guardando, chiedendosi perché indosso quelle calze in piena estate e soprattutto perché mi fa male il sedere.
Fa un caldo terribile anche perché l’aria condizionata, come al solito, è guasta e la poca aria che entra dalla parte apribile dei finestrini, non basta.
Quando poi l’autobus prende una delle tante buche, o traversa le rotaie del tram, il colpo amplifica il fastidio ed il bruciore.
Ora finalmente mi alzo e mi dirigo verso la porta centrale per scendere, ho le cosce e la pancia zuppe di sudore e non ne posso più.
L’autobus mi ha scaricata davanti ad un grande centro commerciale.
Non è certo il mio posto preferito ma per quello che devo fare questa mattina mi sembra la soluzione ideale.
Dentro, a differenza dell’autobus, l’aria condizionata funziona.
Il sudore mi si gela addosso alle gambe sudate.
Camminare con una temperatura fresca mi sembra un gran sollievo rispetto a stare seduta e farsi sbatacchiare dall’autobus.
Decido di prendermi qualcosa al bar e ‘ devo sedermi di nuovo.
Le sedie sono di ferro battuto, un finto antico molto poco credibile, ma quando il mio sedere si poggia sul metallo freddo e pieno di spigoli, rimpiango il sedile dell’autobus.
Arriva il cameriere, con il palmare in mano e mi deve ripetere tre volte cosa desidero.
Mi guarda, sta osservando le mie gambe ricoperte da quelle curiose calze a strisce, insolite per la stagione.
Mi sembra di essere seduta sui carboni ardenti e lui deve aver notato il mio disagio, perché continua a guardarmi mentre armeggia con la penna ed il palmare.
Si starà chiedendo quale strano prurito io abbia sotto la gonna.
Ho sete e fame e divoro il toast che mi sono fatta portare, mentre sorseggio la Lemonsoda ghiacciata.
Ogni tanto mi muovo, cambio posizione, ed il ferro sembra volermi entrare nella carne.
Può bastare, padrone?
So benissimo che non posso chiederglielo, dovrò essere io a decidere quando fermarmi.
Ma sì, ora vado in bagno, visto che devo pure far pipì, e magari mi levo pure questo maledetto collant.
Il bar interno non ha il bagno, devo fare parecchia strada seguendo le frecce, per arrivare ai wc del centro commerciale.
Una volta dentro, mi chiudo, abbasso il collant con cautela e mi siedo.
Guardo il mio povero culetto, non è più rosso come questa mattina prima di uscire di casa, ma il caldo, il sudore ed il contatto con il nylon hanno lasciato una irritazione diffusa e fastidiosa.
Ecco, me lo tolgo così respiro un po’.
Inizio ad abbassarlo ma mi fermo quasi subito.
Sono arrivata alle ginocchia, basta continuare, togliersi le scarpe e ficcarlo nella borsetta, non penso minimamente di buttarlo, con quello che mi è costato.
No Patrizia, devi tenere duro, sennò che penserà Angelo se ti arrendi al primo compitino facile facile.
Così lo tiro fino su, sento di nuovo la cucitura che sembra aprirmi in due la fica, rimetto a posto la gonna ed esco dal bagno.
Si è fatto tardi e decido di tornare a casa.
Quando passo le porte girevoli del centro commerciale, la ventata calda che mi investe mi fa traballare.
I tacchi sembrano quasi affondare nell’asfalto rovente e maledico di non aver preso la macchina.
L’autobus si fa aspettare e la fermata è al sole.
Quando finalmente arriva scopro che anche questo ha il condizionatore guasto, chissà forse è la stessa vettura dell’andata.
Sono stanca e poi so che ho l’obbligo di sedermi.
Ormai sono diventata esperta, con gesto agile ed elegante mi piego mentre allargo la gonna.
Il mio culetto è di nuovo poggiato sul sedile duro dell’autobus.
Ora fa molto meno male, sicuramente dipende dal fatto che è passato parecchio tempo dalle ciabattate.
Magari la prossima volta potrei fare venti e venti, oppure ‘ Angelo mi ha detto che potrei anche darmi delle cinghiate, ma mi sembra veramente troppo.
Al solo pensiero ‘ allargo leggermente le gambe e, di istinto, spingo il pube in avanti.
La mia cosina sembra eccitata dall’idea.
Arrivata a casa sono filata dritta in bagno e mi sono spogliata.
Angelo aveva ragione, l’arrossamento è molto diminuito, ma se passo le dita sulla pelle sento un fastidio sottile, come se mi stessi strofinando con qualcosa di urticante.
Apro l’acqua della doccia e comincio a bagnarmi con cautela.
La regolo fresca, appena intiepidita e passo il getto su tutto il corpo, con particolare attenzione alle gambe e, naturalmente, al culetto.
Mi sono seduta nell’angolo della cabina doccia, con le gambe incrociate, e la mia mano scende, carezza il ciuffetto di peli bagnati e poi affonda lentamente dentro di me.

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