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Racconti di Dominazione

Elena e il professore

By 1 Ottobre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Io e il professore siamo quasi vicini di casa, nel senso che abitiamo nello stesso palazzo ma in situazioni molto diverse.
Lui vive nell’attico che occupa per intero l’ultimo piano di un condominio costruito agli inizi del ‘900, io abito nell’appartamento del portiere.
No, non faccio la portiera.
Devo quell’appartamento alla crisi di questi ultimi anni, che ha convinto i condomini a sostituire il portiere con un videocitofono, e quindi, di conseguenza, ad affittare l’appartamento.
Luminoso e grazioso piano terra.
L’annuncio dell’agenzia recitava così, in realtà sarebbe più corretto definirlo microscopico seminterrato, che diventa luminoso solo se accendi la luce.
Ho abitato in case migliori, anzi io una casa, bella e luminosa, ce l’avevo, ma la crisi, che ora mi ha dato l’opportunità di questo minuscolo appartamento, mi ha tolto il lavoro e la casa, che non avevo finito di pagare, se l’è ripresa la banca.
Ah, scusate, non mi sono presentata: mi chiamo Elena ed ho 42 anni. Lavoro in un bar vicino all’università. è un lavoro part time che mi permette di sopravvivere a malapena, ma prima, fino a due anni fa, ero vice direttrice di un albergo importante e guadagnavo bene. L’albergo era vecchio e necessitava di grossi e costosi lavori di ristrutturazione, così hanno trovato più conveniente chiuderlo.
Il lavoro al bar l’ho ottenuto anche grazie al mio aspetto: sono, a detta di tutti, una bella quarantenne alta e formosa, se poi aggiungiamo che parlo correntemente tre lingue oltre all’italiano, è stato facile sbaragliare la concorrenza.
Il professore lo conoscevo già prima di venire ad abitare qui, visto che il bar è frequentato da studenti e docenti dell’ateneo.
è un bel tipo il professore, alto e snello, il fisico asciutto di chi da giovane ha fatto sport, capelli appena grigi ed occhiali cerchiati d’oro. Avrà 10 o 15 anni più di me, ma se li porta molto bene. Quando passa al bar è sempre cordiale e gentile con me e, rispetto alla maggior parte della clientela maschile, sbircia appena, con molta discrezione, nella mia scollatura.
Vi ho già detto che sono ‘formosa’, beh, insomma, ho due belle tette, grandi, rotonde e ancora belle sode, per cui, non vedo motivi per nasconderle, e poi mi è sempre piaciuto essere guardata dagli uomini.
‘E lei che ci fa qui?’, mi ha chiesto stupito il professore, quando ci siamo incontrati nel portone, un paio di mesi fa.
Da quando sa che siamo (quasi) vicini di casa, si è fatto più attento e, quando entra nel bar, sbircia di meno, però un’occhiata veloce alle mie tette non se la fa mancare.
Capita spesso che ci incontriamo e devo dire che è cordiale, a differenza di molti altri condomini che faticano a comprendere che io occupo solo l’appartamento del portiere e non mi compete ritirare pacchi e raccomandate, o peggio, sostituire lampadine fulminate.
Una signora mi hanno addirittura proposto di pulirle la casa.
Ieri è successo un fatto nuovo.
Stavo chiudendo la porta di casa per andare al lavoro, quando lo vedo uscire dall’ascensore.
‘Buongiorno Elena’.
Mi chiama per nome ma mi da del lei, mentre io conosco solo il suo cognome, scritto sulla cassetta della posta.
‘Buongiorno professore’.
‘Vorrei chiederle una cosa. Ha da fare sabato sera?’
Rimango interdetta, ha intenzione di invitarmi?
Devo dire che non mi dispiacerebbe, visto che la crisi ha spazzato via anche la mia vita sentimentale, nel senso che il mio quasi compagno (dico quasi perché ognuno viveva per conto suo), ha cambiato città, però il suo approccio così diretto, mi ha preso alla sprovvista e la mia espressione deve averglielo fatto capire.
‘No, mi scusi, non volevo essere indiscreto. Vede, Elena, sabato sera ho organizzato una festa con degli amici e avrei bisogno di qualcuno che serva il rinfresco e si occupi degli ospiti. Lei mi sembra la persona adatta. l’ho osservata spesso al bar e penso che sia sprecata dietro ad un bancone, è efficiente, ha classe ed anche un aspetto gradevole.
Sarei veramente contento se accettasse.’
Mi ha proposto anche una discreta cifra, che mi permetterà di arrivare una volta tanto a fine mese senza fare i salti mortali, così ho accettato.

Devo essere da lui per 8 di sera, gli ospiti arriveranno verso le 9 e così avrò tutto il tempo per preparare.
Per l’occasione ho pensato di rispolverare la divisa dell’albergo. All’inizio, prima di fare la vice direttrice, lavoravo alla reception, grazie alla mia conoscenza delle lingue e quindi mi avevano fornito un bel tailleur blu che ho conservato.
Sono passati diversi anni dall’ultima volta che l’ho indossato ed ora è un po’ più attillato, forse troppo? Ma no, va benissimo così.
Tolgo dal rivolto della giacca la spilla con il logo dell’albergo e, naturalmente, elimino anche il cappello a ‘bustina’, sempre blu.
Completo l’abbigliamento con un collant velato che fascia perfettamente le mie gambe lunghe e tornite, mentre ai piedi metto le scarpe nere, quelle con il tacco alto ed il cinturino posteriore.
Un’ultima occhiata allo specchio per controllare il trucco.
Perfetto, i miei occhi scuri sono evidenziati a sufficienza, come pure la mia bocca, con le labbra grandi e carnose.
I capelli, lunghi ricci e neri, ora sono un po’ più neri perché ho dovuto fare qualche ritocco, visto che si iniziano ad affacciare le prime ciocche bianche, li ho legati dietro, perché vorrei evitare di servirli insieme ai drink, agli ospiti del professore.
Le 8 meno 5, devo andare.
Prendo la borsetta e metto un impermeabile sopra la divisa, perché non mi va di farmi vedere vestita così dagli altri condomini.
L’ascensore inizia a muoversi all’interno della gabbia metallica nel vano della tromba delle scale e mi porta lentamente verso il sesto piano.
Realizzo che è la prima volta che lo prendo, non ho mai avuto motivi per salire visto che per andare a casa devo invece scendere una rampa di scale.
Un ultima occhiata nello specchio dell’ascensore, slaccio il secondo bottone della camicetta e controllo l’effetto. Molto meglio. Ho esitato un attimo prima di suonare il campanello.
Lui ha aperto subito, come se stesse ad aspettarmi dietro la porta.
‘Elena, dia pure a me’.
Mi aiuta a sfilarmi l’impermeabile e lo sistema in un armadio in anticamera.
è rimasto sorpreso dal mio abbigliamento.
Osserva la gonna blu che termina quattro dita sopra al ginocchio, le gambe fasciate dal collant scuro, le scarpe con il tacco alto, poi il suo sguardo sale e si ferma lì.
Il secondo bottone, che ho slacciato in ascensore, mette in risalto la spaccatura tra i miei seni e gli occhi del professore indugiano a lungo, poi si riprende e mi fa cenno di seguirlo in salone.
è una sala molto grande, almeno 50 metri quadri, arredata con mobili antichi di pregio, divani di pelle, tendaggi e, al centro, un grande tavolo di legno scuro con diversi vassoi con cibo, dolce e salato.
Mentre io penso a come disporre meglio le portate del rinfresco, lui si avvicina e mi prende le mani.
Avverto la stretta, forte, decisa, ma non violenta e poi mi rendo conto che mi ha passato una corda intorno ai polsi.
‘Ma cosa sta facendo?’, grido io sorpresa e allarmata dalla sua mossa improvvisa.
Lui non risponde, stringe il cappio che aveva preparato in precedenza e, rapido, fa passare diverse volte la corda intorno ai miei polsi, prima di legare il tutto.
‘Non aver paura, Elena, prima che arrivino gli ospiti, mi succhierai l’uccello.’
Ho avvertito nettamente il cambio di tono: mi ha dato del tu e poi ha terminato con quella frase volgare, che non mi sarei mai aspettato in bocca a lui.
Lo guardo stupita e cerco di allontanarlo premendo le mani unite dalla corda sul suo petto.
‘Ma è impazzito, mi liberi immediatamente, voglio tornare a casa mia.’
‘Mia spiace Elena, non puoi rovinare la festa, tornerai a casa dopo.’
Mi piazza le mani sulle spalle e cerca di farmi abbassare, allora io mi giro e cerco di andarmene, ma lui in pochi passi mi è subito addosso e mi afferra per le spalle.
‘Mi lasci, non ho intenzione di fare ‘ una cosa del genere.’
‘Beh, questo lo vedremo.’
E’ più forte di quanto immaginassi e mi trascina di nuovo nel salone.
Mi rendo conto che con i polsi legati non posso opporre una grande resistenza, così, dopo aver provato più volte a divincolarmi, mi arrendo e mi trovo piegata a 90 gradi, con il busto poggiato sul grande tavolo.
Con una mano mi tiene fermamente dietro la nuca mentre con l’altra inizia a frugare sotto la gonna.
Quando si sente sicuro che non opporrò più resistenza, molla la presa alla nuca.
Sento che mi solleva completamente la gonna, dietro, poi le sue mani mi abbassano le calze fino alle ginocchia.
Sono bloccata, come impietrita, incapace di fare il minimo movimento.
Le sue mani risalgono ed anche le mie mutandine seguono la stessa strada del collant.
Inizia ad accarezzarmi le chiappe, mi sussurra che ho un gran culo, poi, a sorpresa, arriva il primo colpo.
La sculacciata, secca e forte, mi strappa un grido, più di sorpresa che di dolore.
Subito dopo ne arriva un’altra, poi un’altra ancora.
Una gragnola di colpi, secchi e rapidi, che colpiscono ogni centimetro del mio didietro.
Ora fa male, i colpi ripetuti bruciano ed io grido e piango, ma lui continua imperterrito.
Quando finalmente si ferma, la mia pelle è in fiamme.
Rimango ferma, non ho il coraggio di muovermi, di provare a rialzarmi.
Riprende ad accarezzarmi, ora il tocco leggero delle sue dita riacutizza il dolore nel punto in cui queste sfiorano la mia pelle arrossata e mi rendo conto di essere eccitata.
Non capisco, o meglio, vorrei non capire quello che mi sta succedendo.
Poi le sue mani scendono, le sento carezzarmi le cosce.
Afferra insieme slip e collant e riprende a tirare verso il basso, approfittando, mano mano che scende, per toccarmi prima le ginocchia, poi i polpacci.
Arrivato alle caviglie slaccia i cinturini delle scarpe.
Fa passare mutandine a calze attraverso il piede sinistro ormai privato della scarpa, poi ripete la stessa operazione con il destro.
‘Questa roba, stasera non ti serve’, dice alludendo evidentemente a slip e collant, poi mi infila nuovamente le scarpe.
Quando mi fa rialzare in piedi mi sento strana. Mi gira la testa e, una volta riacquistata la posizione verticale, la gonna torna al suo posto coprendomi il sedere. Il bruciore, che avevo dimenticato per qualche secondo, mentre lui mi denudava le gambe, si riaffaccia più forte di prima.
Mi fa fare qualche passo poi, arrivati in mezzo al salone, mi preme di nuovo sulle spalle ed io questa volta mi abbasso sotto la sua spinta decisa.
Sono in ginocchio, davanti a lui, il viso ad un palmo dalla lampo dei suoi pantaloni e non posso non notare un vistoso rigonfiamento.
‘Elena, sono sicuro di averti convinta, puoi pure iniziare.’
Le mie dita si sporgono in avanti ed afferrano il bottone dei pantaloni.
Mi rendo subito conto che, con le mani legate non è facile, ma non non mi sembra che il professore abbia intenzione di sciogliermi.
Il bottone cede e passo alla lampo, poi una volta aperta gli abbasso i pantaloni.
Ha un bell’arnese, già in piena erezione, perché deve essersi eccitato molto a sculacciarmi.
L’odore forte del suo sesso mi penetra nelle narici, per un attimo penso di rifiutarmi di nuovo, mi il bruciore che attanaglia il mio sedere mi fa subito desistere.
‘Allora, vuoi farti trovare così dai miei ospiti?’
Le mie labbra si aprono e la sua cappella sparisce nella mia bocca, mentre le sue mani mi tolgono il fermaglio che mi tiene i capelli raccolti dietro la nuca.
La mia lunga chioma si abbandona sulle mie spalle mentre il professore continua a tenermi fermo il collo, tante volte cercassi di sottrarmi.
Mi è sempre piaciuto fare sesso, ma il pompino non è mai stata la mia specialità, anche con Marco, il mio ex compagno, non capitava spesso, ora invece mi trovo a farlo ad un uomo praticamente sconosciuto.
La cosa strana è che mi sta piacendo molto, lo sento crescere nella mia bocca, alternando succhiate e leccate e penso al momento in cui mi riempirà la bocca di sperma caldo. Già, quella è sempre stata la parte che mi piaceva di meno e cercavo in genere di scansarmi prima del gran finale, ma Marco si arrabbiava, diceva che così gli rovinavo tutto il piacere.
Ora invece penso che voglio che il professore mi riempia la bocca di sperma, e magari cercherò anche di ingoiarlo.
Invece, ad un certo punto, mi ferma e lo tira fuori dalla mia bocca.
Le sue dita mi aprono la giacca, poi fa lo stesso con la camicetta bianca. Si muove in fretta e con decisione, tanto che un bottone salta via.
Mi sgancia il reggiseno e poi lo fa salire.
Le mie tettone, finalmente libere, troneggiano davanti a lui.
Per un attimo si ferma. Ecco, ora si riprende, magari si scusa, mi dice che è stato solo un momento di debolezza, di follia, invece si accosta a me e lo piazza proprio in mezzo ai miei seni.
Le sue mani mi stringono forte le tette e vedo la punta del suo pene, puntata verso il mio viso, poi inizia a farmi muovere in su ed in giù, quel tanto che basta a masturbarlo.
Sono un po’ delusa, mi accorgo che avrei preferito continuare a tenerlo in bocca.
Il professore ansima forte, mi dice che ho le più belle tette che lui abbia mai visto e che fin dal primo giorno che mi visto al bar, dietro al bancone, ha desiderato fare una cosa simile.
Me le stringe più forte ed i capezzoli, serrati tra indici e medi, diventano sempre più duri e sempre più gonfi.
è venuto. All’improvviso.
Una strizzata più forte delle altre alle mie tette mi ha fatto capire quello che stava per accadere ed ho fatto appena in tempo ad aprire la bocca.
Non sono riuscita ad ingoiare tutto, perché solo i primi tre zampilli avevano la forza necessaria.
I successivi non sono andati più in là del mio collo, mentre l’ultimo si è fermato sul mio petto, riscendendo poi lentamente nella spaccatura tra i seni.
Subito dopo mi ha aiutato ad alzarmi e mi ha sciolto i polsi.
Sono, scombussolata, eccitata e mi sento completamente bagnata in mezzo alle gambe.
Lui mi sorride ed impiego un po’ a capire il perché: quasi senza volerlo, la mia lingua sta leccando un fiotto di sperma che mi sta colando dal lato della bocca.
‘Elena, ora vada in bagno a darsi una sistemata, perché tra un po’ arrivano i miei ospiti.’
Ha ripreso a darmi del lei, è tornato tutto come prima.
Sono sola in bagno.
Per prima cosa mi sono spogliata: ora la giacca, la camicetta bianca ed il reggiseno nero sono poggiati sul bordo della vasca da bagno.
Passo più volte una spugna bagnata sul collo e sui seni per togliere ogni traccia di sperma, poi mi lavo bene il viso.
Accidenti, sono quasi le nove e devo rifare gran parte del trucco.
Le mie dita si muovono in fretta, e ogni tanto guardo l’orologio, ma alla fine il risultato è perfetto, meglio di come era venuto prima, a casa mia.
Al momento di rivestirmi mi accorgo di un problema: quando lui mi ha aperto la camicetta, nella concitazione ha fatto saltare un bottone. Se allaccio quello sopra, i miei seni, tirando sulla stoffa, fanno aprire la camicia in corrispondenza del bottone mancante, se non lo allaccio, ho mezze tette di fuori, al punto che si vede un bel pezzo di reggiseno.
Mi passa per la testa il pensiero che abbia fatto apposta a far saltare il bottone, per costringermi a mostrarmi così, davanti ai suoi ospiti.
Comunque non ho scelta, devo presentarmi con il bottone slacciato.
Prima di uscire, volte le spalle allo specchio, mi alzo la gonna dietro, e cerco di controllare le condizioni del mio sedere.
Ho le chiappe completamente arrossate e sulla carne irritata, si notano netti i segni violacei lasciati dalle dita del professore.
Sono le nove passate quando apro la porta del bagno e mi dirigo verso il salone.
Gli ospiti sono già arrivati, una decina di persone, tutti uomini e più o meno dell’età del professore.
Alcuni di loro mi sembra di conoscerli, dove posso averli visti?
Che stupida, il bar è frequentato dai professori dell’università e loro devono essere colleghi del padrone di casa.
Un distinto sessantenne con un folta barba bianca, mi regala un sorriso smagliante, mentre i suoi occhi grigi sembrano frugare nella mia camicetta semi aperta.
Io ricambio il sorriso, appena imbarazzata e mi allontano per servire da bere.
La prima mezzora va decisamente liscia, gli ospiti del professore, sistemati su poltrone e divani, conversano amabilmente, mentre io faccio avanti e indietro con vassoi di bicchieri di prosecco, pieni all’andata e vuoti al ritorno, oppure di tartine e rustici.
Mi guardano, mano mano che passa il tempo mi osservano con sempre maggiore interesse e non sembra abbiano alcuno scrupolo e dimostrarsi indiscreti.
I loro sguardi sembrano quasi accarezzarmi le tette e quando mi allontano da loro sono sicura che stanno osservando il mio culo che ondeggia leggermente, coperto solo dalla gonna blu.
Se solo sapessero che sotto non indosso nulla.
Mi rendo conto che tutta questa faccenda mi sta eccitando.
Il professore mi fa cenno di avvicinarmi.
è seduto su un divano insieme al collega con la barba bianca.
‘Elena, stavo spiegando al mio collega che lei è molto brava e volenterosa, e lui ha manifestato un sincero interesse per le sue, potremmo definirle ‘ abilità.’
Per un attimo mi si ferma il respiro e sento la gola farsi secca.
Accidenti, gli ha detto cosa è successo prima, e ora?
Penso di essere arrossita, ma il professore con la barba bianca, non sta guardando il mio viso, ma un po’ più giù.
Poi mi sento afferrare per le braccia, mi spingono e mi costringono a distendermi sul divano.
Sono sdraiata sopra di loro, il viso premuto contro il ventre del professore e la pancia a contatto dell’altro.
‘Se prima la sculacci un po’, vedrai che sarà più interessante.’
Il professore mi tiene la nuca premuta contro il suo corpo, ho la bocca schiacciata contro di lui e riesco a sentire perfettamente che sta avendo nuovamente un’erezione.
L’altro mi solleva la gonna e me l’arrotola in vita.
‘Ha un bel culone la signora, avevi proprio ragione.’
A questo punto mi prende la paura, con il professore è stato eccitante, ma ora la situazione potrebbe farsi critica, in balia di una decina di maschi assatanati.
Lo sto implorando, sento la mia voce farsi flebile e piagnucolosa, come quando ero bambina, le parole mi escono spezzate dai singhiozzi, ma non ottengono l’effetto sperato.
Il ‘ciac’ del primo colpo che mi arriva, risuona nel salone, in cui nel frattempo si è fatto un perfetto silenzio.
Barba bianca ha la mano pesante, anche più del professore, mi brucia da morire, vorrei piangere, gridare, ma non ci riesco, posso solo chiudere gli occhi ed aspettare.
Continua a colpire le mie povere chiappe già arrossate dalla precedente punizione, il bruciore si fa sempre più forte e mi accorgo che ho iniziato a gemere, ma non di dolore.
Se n’è accorto anche lui e raddoppia gli sforzi.
Quando finalmente decide che può bastare ed io riapro gli occhi, mi rendo conto che sono tutti raccolti intorno al divano, per godersi meglio la scena.
Qualcuno mi aiuta a rimettermi in piedi.
Le mie chiappe sono letteralmente in fiamme, vorrei andare in bagno e mettere il sedere a mollo, ma ho già capito che non mi sarà permesso.
Barba bianca si è aperto ed abbassato parzialmente i pantaloni e mi aspetta.
Delle mani, da dietro, mi spingono verso di lui ed io mi inginocchio in terra, sul prezioso tappeto orientale che ricopre il pavimento.
La mia bocca si apre nuovamente, e per la seconda volta nella serata, il pene di un uomo vi penetra.
Dietro qualcuno mi solleva la gonna e comincia a carezzarmi le chiappe gonfie ed arrossate, poi le mani scendono e si infilano in mezzo alle mie cosce.
Grido quando le dita toccano il mio sesso completamente bagnato, una parte di me vorrebbe scappare, ma un’altra vuole rimanere e poi gli amici del professore non mi lasceranno andare via, lo capisco da come le loro mani mi stringono le braccia.
Le dita mi massaggiano sempre più a fondo, capto dei brandelli delle loro frasi, ‘ fica ‘ calda ‘ bagnata ‘ troia …, lentamente mi rilasso e mi concentro su quello che sta facendo la mia bocca.
Sono venuta, come ormai faccio spesso la notte, da sola, nel mio letto, da quando Marco se n’è andato; la mano che mi ha portato all’orgasmo, scivola ancora una volta sul mio pube bagnato, mi accarezza dolcemente il folto ciuffo di peli neri e poi si allontana.
Ora devo dedicarmi completamente a barba bianca, le sue mani mi stringono forte il viso, tenendomi per le guance e comincia a farmi muovere, avanti e indietro.
Il ritmo aumenta, mi preparo, finché lui, con un profondo sospiro di soddisfazione mi spara tutto in bocca.
Attendo paziente che finiscano le contrazioni, ho la bocca piena, penso che dovrei sputare, perché non riuscirei ad inghiottire tutto questo sperma, poi guardo il pavimento, no, non posso macchiare un tappeto così bello, devo resistere ed andare in bagno, ma come faccio a chiederglielo? Con la bocca piena non riesco a parlare.
Il professore mi prende per le mani e mi aiuta a rimettermi in piedi.
Ha in mano un bicchiere di prosecco e me lo porge.
Problema risolto, sorseggio lentamente il vino fresco e lentamente ingoio tutto.
Il professore mi prende per mano e mi fa attraversare la sala. Il prossimo è un omino calvo, comodamente seduto su una poltrona, che aspetta pazientemente il suo turno.
Il professore, arrivati di fronte a lui, mi fa girare e mi stringe a sé, tenendomi stretta con una mano, mentre con l’altra mi solleva la gonna di dietro.
Ricominciano le sculacciate. l’omino calvo non ha la mano pesante dei primi due, ma la mia carne è così sensibilizzata, che bastano i suoi colpi leggeri a farmi gridare di dolore.
Mi colpisce poche volte, ansima, lo sento eccitato, non vede l’ora che le mie labbra stringano il suo pene.
Quando il professore molla la presa e mi fa girare verso di lui, mi accorgo che è già pronto, con i pantaloni aperti ed abbassati.
Mi inginocchio nuovamente e ricomincio.
è piccolo ed un po’ moscio e ci metto un po’ per fagli raggiungere una durezza accettabile, mentre gli altri, tutti intorno, osservano divertiti. Comincio ad essere stanca e penso che se dovrò farlo a tutti ci vorrà quasi tutta la notte.
Una mano si infila nuovamente in mezzo alle mie gambe, dal tatto capisco che si tratta di un’altra persona, chissà, forse è proprio il professore, o invece, magari, lui era quello prima.
Si muove lentamente, non ha fretta, mentre la mia bocca cerca di portare a termine il suo lavoro con l’omino calvo, che, sotto questo aspetto, non sembra troppo in forma.
Invece, improvvisamente, sento che è cambiata qualcosa: mi afferra forte per i capelli e prende lui l’iniziativa, iniziando a muoversi dentro la mia bocca.
Contrariamente alle mie aspettative, spara una bella quantità di sperma, che mi inonda la bocca e la faccia, perché a causa dei suoi movimenti concitati, perdo la presa ed il suo pene, uscito ormai dalla mia bocca, mi schizza dappertutto.
Quando mi rialzo sono completamente impiastrata.
Mi offrono un altro bicchiere di prosecco, ma ne bevo solo metà, perché sono astemia e ci manca pure che mi ubriaco.
Il professore mi aiuta a liberarmi della giacca e della camicia, piene di macchie e torno di nuovo in bagno.
Riprendo la spugna e cerco di ripulirmi, ma non è facile perché l’omino calvo mi ha schizzato dappertutto.
Rinuncio a sistemare il trucco, tanto, per come va la serata, non reggerebbe cinque minuti.
Prima però devo fare una cosa. Mi siedo sulla tazza e la mia mano scivola in mezzo alle gambe, devo finire quello che è stato iniziato me è rimasto a metà dopo l’orgasmo improvviso e tumultuoso dell’omino calvo.
Mi lascio andare lentamente, so bene come fare con ‘lei’, le mie dite si muovono agilmente.
Qualcuno bussa alla porta, sono impazienti.
Ecco, ci sono quasi, è il momento, l’indice si sposta sul clitoride, bastano poche toccatine e sono venuta.
Apro la porta e faccio il mio ingresso nel salone con indosso solo il reggiseno nero scollato e la gonna blu.
I capelli, neri e ricci, che ho sciolto di nuovo mentre ero in bagno, mi fanno il solletico sulle spalle nude, mentre avanzo verso di loro.
Solo quando sono in mezzo a loro mi accorgo che il professore tiene in mano uno strano oggetto.
é un battipanni di vimini, di quelli che si usavano una volta, chissà dove lo avrà mai scovato.
Ci metto un attimo a capire a cosa servirà, e questa volta ho veramente paura, ma non faccio neanche in tempo a gridare, perché il professore si avvicina e mi slaccia il reggiseno.
Sono tutti intorno a godersi lo spettacolo delle mie tettone libere. Qualcuno si avvicina e le tocca, mentre qualcun altro mi lega strettamente i polsi dopo avermi fatto passare le braccia dietro la schiena.
La situazione sta degenerando e quella che sembrava una festa tranquilla, si sta trasformando in un’orgia in cui io sono l’unica donna.
Il professore mi prende per un braccio e mi conduce dall’altra parte del salone dove è stato sistemato un tavolinetto basso di fronte ad una poltroncina.
Il piano di cristallo del tavolino è staro ricoperto con dei morbidi cuscini.
Uno degli ospiti si abbassa i pantaloni e si siede sulla poltroncina mentre io vengo fatta distendere sui cuscini.
‘Sta comoda, Elena?’, mi chiede premuroso il professore mentre cerca di sistemarmi bene i cuscini sotto i seni e la pancia, poi, impugna il battipanni.
L’uomo seduto si sposta in avanti con la poltroncina facendo coincidere il suo pene con la mia bocca, mentre sento che qualcuno, dietro, mi solleva nuovamente la gonna.
Non era mai stata colpita con un battipanni, me ne parlava mia madre, raccontando storie di quando era piccola, insomma una faccenda di altri tempi, ma la descriveva come una cosa molto dolorosa.
Già dal primo colpo, capisco che le sculacciate che mi hanno rifilato, a confronto, sono delle carezze.
è un dolore, lancinante, insopportabile, per la mia pelle irritata. Per fortuna mi ha dato un colpo solo e poi si è fermato, così cerco di non pensarci e mi concentro sul pompino.
Posso dire che, ormai, ho acquisito una certa pratica.
Quando mi sono messa tranquilla e ormai non ci penso più, il battipanni mi colpisce di nuovo, più forte, o almeno mi sembra.
Grido forte e mollo la presa.
‘Non si fermi, Elena’, mi ammonisce il professore e, per farmi capire meglio, mi colpisce di nuovo.
Con gli occhi pieni di lacrime apro di nuovo la bocca ed il pene dell’uomo seduto riprende il suo posto.
Ogni tanto il professore mi colpisce, non troppo forte, ma ormai ho imparato, e non interrompo quello che sto facendo.
L’uomo si alza, soddisfatto, si ripulisce sommariamente con un tovagliolo di carta e si allontana, lasciandomi sdraiata sui cuscini, stanca e dolorante.
Questa volta non mi fanno alzare e non mi offrono da bere, così cercando di non farmi vedere, sputo silenziosamente sul cuscino quello che non ho inghiottito e mi preparo per il prossimo che si sta già sedendo.
Devo aver avuto una piccola esitazione a prenderlo in bocca e il professore me lo ha fatto subito notare, colpendomi tre volte di seguito, in rapida successione.
Sto piangendo e non riesco a chiudere adeguatamente la bocca, così inizio a leccarlo, sperando che questo lo convinca a non colpirmi di nuovo.
Per un po’ va bene, poi, all’improvviso, il battipanni si abbatte di nuovo sul mio povero culo.
Quanti ne mancano ancora? Cinque, sei, forse di più. Penso che ci vorrà quasi tutta la notte e mi prende lo sconforto: quando avrò finito non sarò in grado né di camminare né, tanto meno, di stare seduta.
Anche questo ha finito, il cuscino dove è poggiato il mio viso è inzuppato del loro sperma e delle mie lacrime. Vorrei alzarmi, sono sfinita, ma il professore mi dice che non ho finito e mi molla un altro colpo di battipanni che mi fa emettere un grido.
‘Devo andare in bagno, devo fare pipì’.
Non è vero, o almeno posso tenerla benissimo, ma ho bisogno di una breve pausa.
‘Va bene.’
Mi fanno alzare di nuovo e, appena in piedi, sono costretta ad appoggiarmi a lui per non cadere.
I miei seni nudi si appoggiano al suo corpo, mentre il mio viso si protende verso la sua spalla.
‘Stia su, Elena, altrimenti mi sporcherà il vestito’, mi dice mentre si scansa bruscamente.
Non mi ha slegato le braccia, ma visto che sotto la gonna sono nuda, mi basta sedermi sulla tazza.
Prima di rientrare nel salone mi avvicino di spalle allo specchio e, aiutandomi con le mani legate dietro la schiena, sollevo la gonna per dare un’occhiata.
Avrei fatto meglio ad evitarlo, perché se le sculacciate avevano prodotto un forte arrossamento, i colpi del battipanni, hanno provocato quasi delle piaghe, visto che in molti punti la pelle si è gonfiata e sollevata.
Riprendo il mio posto sui cuscini e il professore mi colpisce subito un paio di volte, costringendomi a prendere in bocca il pene del nuovo arrivato, che nel frattempo si era seduto sulla poltroncina.
Mentre sono lì, sdraiata e dolorante, sento suonare il campanello.
Riesco, sollevando il collo, a vedere che sono entrate altre tre persone. Il professore, brandendo il battipanni, è andato ad aprire e li prega di accomodarsi pure su un divano libero.
Vengo presa dallo sconforto: non finiranno mai? Quanti sono ancora?
Vengo distolta dai miei pensieri, da un ennesimo colpo di battipanni che mi fa sussultare.
‘Per favore, basta …’, ho mollato un attimo la presa ed ho parlato a bassa voce, quasi sussurrando.
Mi arrivano subito altri due colpi, non troppo forti, ma sufficienti a farmi precipitosamente stringere di nuovo le labbra sul pene dell’uomo.
Il grande orologio a pendolo batte la mezzanotte, non l’avevo notato finora, quindi sono già tre ore, mi chiedo quanto tempo occorrerà ancora per finire tutti gli ospiti del professore, e magari, arrivati all’ultimo, vorranno pure ricominciare.
All’una, ormai sono attenta ai rintocchi dell’orologio, mi fanno fare una pausa.
Mi ritrovo seduta sui cuscini del tavolinetto con una gamba da una lato ed una dall’altro.
Non mi hanno slegato le braccia e le mie chiappe, ora che sono seduta, bruciano terribilmente, nonostante la morbida imbottitura dei cuscini.
Il professore mi ripulisce la faccia con un tovagliolino di carta e mi porge un tramezzino.
Mi rendo conto di essere affamata e lo addento, staccandone più di metà.
Lui mi sorride compiaciuto e, quando apro di nuovo la bocca, mi ficca dentro il resto del tramezzino.
Me ne fa mangiare altri due, poi mi accosta alle labbra un calice di prosecco, inclinandolo leggermente verso di me.
Lo bevo tutto e sento qualche goccia che scivola sul mento, scendendo in mezzo ai miei seni.
Si ricomincia, di nuovo sdraiata con un uomo davanti a me.
Non sono stata pronta ad aprire la bocca e vengo punita con una discreta raffica di colpi, che cessano solo quando inizio a succhiarlo per bene.
Qualcuno mi sta carezzando le gambe, sento il tocco leggero che risale prima sui polpacci, poi continua sull’interno delle cosce.
Ho un sussulto quando le dita passano leggere sulla pelle delle mie natiche martoriate, ma mi trattengo, non vorrei che questa mia reazione possa far ripartire il battipanni.
Poi le dita si spostano ancora, mi sento allargare, e un dito incomincia a solleticarmi l’ano.
Sono tesa, ho paura che stia iniziando un’altra esperienza, temo molto spiacevole, invece il dito si sposta ancora e comincia a girare intorno alle labbra della mia vagina.
Lei si apre subito, le dita diventano due ed entrano dentro in profondità.
Si muovono con lo stesso ritmo che sta seguendo la mia bocca e, quando aumentano velocità, anche io, istintivamente, faccio lo stesso, finché lui non viene nella mia bocca, proprio mentre anch’io raggiungo l’orgasmo.
Il professore posa il battipanni sulla spalliera di un divano e lo sento dire che non serve più, perché sono cotta a puntino.
Continuo a succhiare i loro cazzi, uno dopo l’altro, anzi ho l’impressione che qualcuno si sia rimesso in fila, ma non ne sono sicura. Per tutto il tempo c’è sempre stato qualcuno che mi stuzzicava. La mia vagina è un lago infuocato, sono stanchissima, non so più neanche quante volte sono venuta.
Quando decidono che può bastare sono ormai le quattro. Lentamente gli ospiti se ne vanno. Io rimango a guardarli, seduta sui cuscini, mentre uno dopo l’altro si rimettono il soprabito e mi salutano. Ora siamo rimasti soltanto noi due.
Il professore ha sistemato una coperta sul divano più grande e mi aiuta a sdraiarmi.
Mi chiede se voglio mangiare ancora, ma sono troppo stanca per farlo.
Mi stendo a pancia ingiù, l’unica posizione che mi è permessa e che mi sarà permessa, temo, per un po’ di tempo.
‘Fa molto male, vero?’
Mi solleva di nuovo la gonna e per un attimo temo che voglia colpirmi ancora con il battipanni, invece ha in mano un tubo di crema.
Inizia a spalmarmi le chiappe ed io stringo i denti per non gridare, ma ho capito che dopo starò meglio, o, se non altro, meno peggio.
La pomata, penetrando lentamente, mi da un po’ di sollievo e così mi addormento, proprio mentre lui, dopo aver delicatamente rimesso a posto la gonna mi copre con un leggero plaid.
Mi sveglio con l’orologio che batte le sei.
All’inizio penso di aver avuto un incubo, poi realizzo che ho la faccia ed i capelli appiccicati ed impiastrati di qualcosa che nel frattempo si è essiccata e cominciano ad affiorare i ricordi della notte appena trascorsa.
Qualcuno ha tolto il plaid da sopra di me.
Apro gli occhi. Il salone è in penombra, i due grandi lampadari sono spenti e l’unica fonte d’illuminazione è una lampada da pavimento, situata nell’altro lato della stanza.
Il professore è davanti a me, completamente nudo.
Mi afferra per le spalle e mi gira facendomi poggiare la schiena sul divano.
Grido di dolore, perché, nonostante la pomata, è bastato il contatto con il divano, a riacutizzare le mie sofferenze.
Mi solleva la gonna, mi fa allargare le cosce e sale sopra di me.
Me lo infila subito dentro, spingendolo in fondo e poi comincia a scoparmi furiosamente, mentre le sue mani, strette sui miei seni, mi strizzano i capezzoli.
Mi allarga completamente le gambe, sollevandomi le cosce, mentre il mio sesso, a lungo sollecitato durante la notte si risveglia e comincio a gemere di piacere ma anche di dolore, perché, in tutto ciò, il mio sedere struscia avanti e indietro sul divano.
Quando mi sono completamente rilassata, all’improvviso, lo tira fuori.
Faccio appena in tempo ad emettere un gemito di delusione, che lui mi solleva ancora di più le gambe ed inizia a spingerlo di nuovo verso di me, ma più in giù.
‘No, lì no, per favore’, faccio appena in tempo a dire mentre il pene inizia a forzare il mio ano.
Cambia posizione e lo spinge più dentro, mentre io grido più forte, ma non ho la forza di ribellarmi.
Fatica ad entrare ma alla fine lo sfintere cede completamente, sento il suo corpo completamente a contatto con il mio e mi lascio andare.
Lui la tira abbastanza per le lunghe, forse perché deve essere stanco, dopo una notte del genere, ma più probabilmente perché vuol durare più tempo possibile.
Si muove lento, con movimenti ampi e controllati e ogni volta che rientra, dopo essere uscito quasi completamente, ho l’impressione che mi stia aprendo in due e che vada sempre più in profondità.
Sono spossata. Ho voglia di tornare a casa mia, buttarmi sotto la doccia e poi passare ventiquattro ore di filato a dormire, ma il professore non molla.
Mi dice che ha sempre desiderato ficcarlo nel mio culone rotondo e dall’impegno che ci sta mettendo capisco che è sincero.
Alla fine, mi viene dentro, sento lo sperma che mi riempie, non sembra finire più, poi, rapido, lo estrae e si alza dal divano.
Rimango a lungo sdraiata, inebetita, a cosce larghe, mentre lo sperma continua a colare fuori dal mio ano dilatato, poi, lentamente, la mia mano scende sulla pancia, si infila in mezzo alle gambe.
Le dita tastano leggermente il punto dove sono stata penetrata, ho l’impressione che mi abbia letteralmente sfondata, poi risalgo un pochino ed inizio a toccarmi.
Sono sola nel salone, il professore sicuramente sente le mie grida di piacere, che si fanno più forti, ma non mi importa, e così mi tocco sempre più in profondità, finché non vengo per l’ennesima volta.
Il professore è tornato, ora è vestito di tutto punto, mentre io sono ancora lì, sul divano, dolorante, seminuda ma eccitata.
Mi porge l’impermeabile ed una busta di plastica con dentro i miei indumenti.
‘Elena, ora deve andare, perché io devo uscire, però, se lo desidera, può tornare quando vuole, è stata una bella festa, vero?’
Senza neanche rendermene conto mi trovo fuori di casa sua, con indosso soltanto la gonna e l’impermeabile. In una mano stringo la busta di plastica con i miei abiti appallottolati e nell’altra la borsetta.
La porta del suo appartamento si chiude con uno scatto secco e posso soltanto dirigermi verso l’ascensore.
Scendo lentamente piano dopo piano, verso il mio piccolo seminterrato. Anche lo sperma del professore ed i miei umori scendono, lentamente ma senza alcun ostacolo, sulle mie gambe nude.
Quando l’ascensore si ferma, per un attimo penso che potrei incontrare qualcuno.
Sarebbe molto spiacevole. Mi guardo nello specchio della cabina, dalla faccia si capisce perfettamente come ho trascorso la notte, poi il mio sguardo scivola in basso: le gocce di sperma hanno superato le ginocchia ed ora stanno solcando i miei polpacci.
Mi faccio coraggio ed esco, per fortuna non faccio incontri.
Quando arrivata davanti alla porta di casa apro la borsetta per prendere le chiavi, mi accorgo che è piena di banconote stropicciate.
Ho un vago ricordo della fine della serata con gli ospiti che, al momento di andarsene, lanciavano banconote appallottolate, nella mia borsetta aperta, come se fosse stata un canestro da basket.
Prima di buttarmi sul letto a dormire riesco a prendere il telefono.
Chiamo il bar, invento una scusa, dico che ho mal di stomaco e che non posso venire.
Mi addormento tra mille pensieri contrastanti che si affollano nella mia mente: mi è piaciuto, lo rifarei? Mi piace essere maltrattata?
Mi sforzo di non rispondere, ma conosco già le risposte, come so bene che quella è stata solo la prima volta.

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