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Fallito

By 26 Novembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

 

Non sapeva i lineamenti del suo volto. Non sapeva com’era fatta, alta bassa, magra grassa. Ma nel suo immaginario, in ogni spazio della sua mente, anche nei recessi più profondi, sapeva che era perfetta, semplicemente perfetta. La Sua figura era fatta di parole, lette su un monitor o sul display del cellulare. Cellulare diventato Bibbia delle priorità delle proprie altrimenti inutili giornate. Semplici parole. Ordini. Da eseguire senza indugio alcuno, senza esitazioni di sorta. In una continua tensione e in una costante eccitazione. Una dipendenza psicologica che lo accompagnava in ogni istante. 

Erano mesi ormai che gli era proibito fare sesso. Non poteva masturbarsi e ormai non doveva nemmeno più sfuggire alle insistenze di una moglie sempre più lontana: una donna avvenente nei suoi quarant’anni portati come una ragazzina. Era sempre stato attratto da Giulia, che non aveva smesso di essere sfacciatamente sexy nemmeno dopo due gravidanze. Una donna che amava e che vedeva svanire giorno dopo giorno. Del resto, come si può non sfuggire a un uomo sempre più assente sotto tutti i punti di vista. Da quando non aveva più il controllo della propria vita, aveva smesso di essere un riferimento per la vita degli altri: moglie e figli compresi. Lui, nel declino della propria discesa, la stava lentamente spingendo a tradirlo, e questo, sapeva, era anche l’intento della Sua Padrona. La vedeva uscire “a cena con le amiche” sempre più spesso e sempre più “in tiro”. E lui rimanere a casa con la vergogna di sentirsi indurire a immaginarla fra le braccia di un altro. Guardare la tv insieme ai proprio figli, senza sentire ciò che dicono, e combattuto fra piangere e la necessità di rinchiudersi nel bagno a sfogare il piacere del proprio degrado. Senza perdere di vista per un attimo il display del proprio cellulare. 

Giulia era uscita da poche ore. Un semplice paio di jeans che la fasciavano perfettamente, un semplice maglioncino, ma a lui non erano sfuggite le autoreggenti e un minuscolo perizoma nero che mal si addicevano al resto dell’abbigliamento. Su un perizoma come quello, forse lo stesso (si sorprese a pensare), o stato costretto molti mesi fa a masturbarsi, per poi succhiare via tutto grufolando come un animale. Non gli era sfuggita l’assenza di reggiseno, e pensava che un tempo non avrebbe permesso alla sua Giulia di uscire con i capezzoli così in evidenza. L’ha vista incedere sui tacchi alti, diventati per lei ormai una regola, e chiudersi la porta alle spalle, dopo avergli maternamente baciato la fronte. Sentire il ticchettio sul pianerottolo, guardare i propri figli, guardarsi allo specchio, e sentirsi salire un groppo alla gola, inumidirsi gli occhi, e allo stesso tempo non osare sfiorarsi la patta dei pantaloni, per non rischiare di “svuotarsi” (come aveva imparato a chiamare quello che un tempo era un atto d’amore), lì, in piedi nell’ingresso di casa sua. 

Lui aspettava, e sapeva che avrebbe dovuto aspettare inutilmente. Non si sorprese nemmeno di rendersi conto che l’ansia che lo attanagliava era dovuta a quel display nero, al desiderio compulsivo di ricevere un solo segnale dalla Sua Padrona: sapeva di aver perso l’amore della propria donna. Di aver perso il rispetto dei propri figli, ormai abituati a un padre sempre meno padre e sempre più vicino a quella parola che gli condiva il battito del cuore: “fallito”. Eppure sentiva che la cosa che avrebbe voluto più di ogni altra era un messaggio della Sua Padrona. E lo stato confusionale che ne derivava gli diceva a chiare lettere che “sì, sto toccando il fondo, la mia Padrona sarà fiera di me”. 

Il telefonino taceva, ma gli ordini erano chiari. Attendere il rientro di Giulia facendo finta di dormire. L’immobilità assoluta faceva parte dell’addestramento. Sentirla farsi la doccia come di consueto, cambiarsi e mettersi a letto. Lui sapeva che lei gli avrebbe dato il solito bacio della buonanotte anche trovandolo dormire (negli ultimi tempi stava imparando a capire la perversione di quel gesto). Una volta addormentata alzarsi, andare in bagno, spogliarsi nudo togliendo il pigiama, le calze e il perizoma indossati durante il giorno.  Cercare nei panni sporchi l’intimo di lei appena usato. Succhiare la stoffa del perizoma cercando eventuali tracce di sperma. Poi indossare il tutto, compreso le autoreggenti, fino all’occasione successiva (che lui sperava avvenisse prima possibile). 

Solo quando avrà avuto in bocca sapore di sperma non suo potrà resocontare alla Sua Padrona. Forse gli avrebbe permesso di svuotarsi. Forse stavolta ne avrebbe sentito la voce. Forse chissà, gli avrebbe concesso di vederla. Forse,un giorno, gli avrebbe permesso di vivere con Lei. 

Pensava questo, sentendosi stringere il pube liscio dalle mutandine due misure più strette, carezzandosi il nylon frusciante delle calze sulle gambe depilate ormai da tempo. Era troppo concentrato sul reprimere un’eiaculazione spontanea per accorgersi della porta del bagno che si apriva. La sentì solo richiudersi velocemente. 

Fu in quel momento che venne.

Si svuotò con schizzi compressi dalla stoffa, inzuppandola.

Lo fece piangendo, guardando la gora del proprio sperma allargarsi sulle calze e gocciolare in terra mescolandosi alle lacrime.

E in quel preciso istante capì di avere sbagliato, e di aver perso per sempre qualcosa di infinitamente prezioso.

Di avere profondamente deluso…

 

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