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Racconti di Dominazione

fantasia di una mia ex schiava

By 17 Ottobre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Lo sta aspettando. E’ più di un mese che non si vedono. Ma non lo ha mai sentito lontano. Popola le sue fantasie. Quando S arriva è in ritardo di poco, è vestito bene, ha un buon profumo ed è come al solito sicuro e affascinante. La bacia, l’abbraccia, le passa la mano sotto la gonna per sentirla calda e nuda sotto i vestiti. “Siediti, dobbiamo parlare” le dice. Mettono due sedie una di fronte all’altra, lei si sistema in modo da avere le ginocchia divaricate, le gambe aperte perché sa che ogni atteggiamento di chiusura lo allontana. Lui le guarda i piedi ben calzati nei sandali coi tacchi alti, la camicetta aperta sul seno pronto al suo tocco, coi capezzoli già duri al primo sfiorarli.
Le passa una mano dietro al collo per avvicinare la sua bocca al bacio mentre le stringe la vita. Poi la lascia andare e le dice. “A, sono otto anni che facciamo all’amore. Ti ho scopata in tutte le posizioni, ti sei inginocchiata ai miei piedi, mi hai leccato, mi hai preso il cazzo in bocca, ti sei messa a quattro zampe per me, hai mangiato e bevuto dalla ciotola del cane, ti ho pisciato addosso e ti ho fottuta prima che potessi asciugarti, ti ho legata, incatenata, frustata, ti ho masturbata, ti ho fatto sedere sulla mia sedia con le braccia ammanettate e un vibratore tra le gambe, ti ho fatta, piangere, urlare, ti ho riempito la bocca e la figa di sperma bollente, ti ho fatto dormire nuda, ti ho fatto camminare per la strada con le catene sotto il vestito e un fallo d’acciaio telecomandato tra le coscie. Ti ho chiamata troia e puttana. Ti ho umiliata e mi hai obbedito, per me ti sei sentita schiava e grata di esserlo. Questo ora non mi basta più. Gli altri devono sapere quale docile cagna tu possa essere, quale umile serva, meretrice capace di eccitare e subire qualunque uomo.” Lei chinò il capo e assentì, sì, era inevitabile. “Io ti prostituirò, A, nel peggiore dei modi, ma tu dovrai chiedermelo, vedrai che ne proverai piacere perché ne darai molto a me. Lo desideri?” “Sì, S, farò ciò che mi chiedi”. “Allora vieni, ti devi preparare”.
La condusse in macchina verso un appartamento di periferia. Lì entrò in una stanza perfettamente quadrata, senza finestre, con nessun mobile salvo una sedia di plastica trasparente appoggiata su una superficie a specchio. Il pavimento era di marmo e così le pareti. C’era un gabinetto senza porta e in un angolo una pelle di antilope e una coperta di lana ruvida.
“Spogliati” le ordinò “tutto tranne i sandali”. Lei obbedì. Lui le guardò il corpo nudo, le rotondità del seno e delle natiche che avrebbe offerto ad altri, il ventre morbido, , le gambe ben tornite, i lunghi capelli e la bocca socchiusa. “Starai qui da sola questa notte, senza mangiare, e senza abiti, potrai sederti sulla sedia di plastica e guardarti il sesso nello specchio, ricordati di tenere sempre le gambe aperte. Potrai dormire, nuda, sulla pelle di animale che ti pungerà e la coperta ruvida che ti pruderà sulla pelle.  Il tuo corpo dovrà preparasi a essere donato. Tra dodici ore tornerò. Sgombra la mente e riposa” Poi la prese per la vita, le baciò un seno e le infilò due dita nella figa per sentire se era bagnata. Fu compiaciuto di trovarla tale “Sì, A, tu lo desideri quanto me. Buona notte. Sii forte”.
A camminò per la stanza, si appoggiò alla parete fredda, sedette a pensare, aprì le gambe e appoggiò il sesso alla plastica della sedia per sentirlo palpitare. Ne contemplò la misteriosa attrazione nello specchio sotto di lei. Rimase un’ora così a meditare su ciò che le sarebbe accaduto, poi si coricò e si tirò la coperta ruvida sul corpo. Il pelo e la lana le penetrarono i pori. Era fastidioso e la faceva sentire ancor più nuda, ma eccitata, poi prese sonno e sognò una moltitudine di sogni. Al mattino aprì la porta inaspettatamente una donna, era una straniera, la lavò con una spugna imbevuta di profumo, le fece divaricare le gambe e la depilò all’inguine con la cera calda, lasciandola dolorante e liscia come una pesca vellutata. Le passò lo smalto sulle unghie delle dita e dei piedi, le truccò gli occhi, e le mise il rossetto sulla bocca, sui capezzoli e sulle labbra della vagina, infine le spazzolò i lunghi capelli neri.  Solo allora entrò S. Sei bellissima le disse. Le avvolse intorno un mantello che la copriva interamente ma da cui se camminava le gambe uscivano nella loro lucida bellezza.
Giunsero in auto al luogo definito. Un’antica chiesa sconsacrata fuori dalla città.
La fece entrare nella sagrestia e la pregò di attenderlo. Udiva voci, e fruscii. Fu bendata.
Quando le tolse la benda A si trovava al centro di un cerchio di uomini incappucciati, saranno stati una trentina. Uno di loro era più alto e imponente e si staccava di circa un metro dal cerchio. Comprese che si trattava di una setta di cui colui, che S chiamò Maestro, era il capo.  Al centro dell’abside della vecchia chiesa vi era un altare di marmo. S le chiese di togliersi il mantello e di lasciarlo cadere. Così A si mostrò nuda, eretta sui suoi bei sandali neri e alti, il capo in alto, i capelli ad accarezzarle le spalle. S era orgoglioso della sua bellezza. La fece salire e sdraiarsi sull’altare, anch’esso sconsacrato, di marmo, poi le appoggiò sul ventre una croce pesante e gelida di ferro che la immobilizzasse con la schiena contro il marmo.  Le incatenò le mani dietro al capo e le fissò gambe divaricate alle colonne che reggevano l’altare. Non sarebbe stato necessario, pensò A, che non riteneva di fuggire, ma ciò le concedeva lo stato di vittima sacrificale che più avrebbe eccitato i membri della setta.
Il Maestro disse “S, accettiamo la tua offerta, sapendo che A rimane tua. Io e ciascuno dei 9 capi delle 9 sotto sette ci serviremo del suo corpo, ma tu potrai toccarla, baciarla e usarla contemporaneamente a noi, e solo tu potrai frustarla se necessario” A rabbrividì.  Su una mensola accanto all’altare erano posati tre vibratori di acciaio bianco, grigio e dorato di grandezze diverse.
Il Maestro per primo si avvicinò alla sue gambe. Le toccò il ventre vicino alla croce, le aprì la figa con le dita, e la sentì morbida e accogliente. Prese in mano un vibratore e la aprì tra le cosce con quello, facendolo entrare e uscire per vederne i movimenti del pube. Essa sbarrò gli occhi, allora S la baciò e le prese i capezzoli tra le dita, sarebbe rimasto tra le sue spalle e il suo capo. Il Maestro denudò il membro e così fecero tutti gli incappucciati. A. li aveva contati, erano 27 in gruppi di tre. Nove l’avrebbero usata.  Fece un respiro profondo per darsi il coraggio che le mancava. M le avvicinò il cazzo durissimo alla figa e la penetrò prepotentemente. A stava per gridare ma S le girò la testa su un lato e le offrì il suo pene alla bocca aperta. A capì che doveva succhiarlo intensamente mentre il Maestro la fotteva, per conferire  a S il potere su di lei e dare un senso al suo prostituirla restandone il padrone. Dopo averlo devotamente accolto in gola, lo sentì sottrarsi, e colpirla con il frustino di pelle nera, facendole male ma senza ferirla, in modo che il Maestro venisse dentro di lei mentre essa era battuta dal suo padrone. Così avvenne. M esplose dentro di lei con un gemito di grande piacere. A sentì lo sperma di lui colarle tra le gambe e ai piedi dell’altare. Il primo urto era passato, pensò. Giunsero allora due ancelle, con una bacinella d’acqua e uno straccio. Con la spugna fradicia di acqua fredda le pulirono la figa, poi riempirono una fialetta di lavanda vaginale e la inserirono tra le sue cosce per lavarle via ogni traccia di sperma e offrirla pulita e profumata al prossimo utilizzatore.
Ci fu silenzio e poi musica. Il secondo uomo, avvolto dal mantello e solo le pupille degli occhi visibili dal cappuccio era ora vicino alle sue gambe. Prese un’altro dei vibratori dalla mensola e anche lui prima la perlustrò mandando avanti e indietro dentro di lei la verga d’acciaio finchè la vide lucida e bagnata. A. sentiva il duro oggetto percorrerle la figa per domarla e cercò di lasciare andare i muscoli che si contraevano in difesa delle sue parti intime. Allora lui le infilò il cazzo dentro fino in fondo, muovendo i fianchi freneticamente. In quel momento S la tirò per i capelli, le spinse il membro sul seno, si sfregò sui suoi capezzoli turgidi e doloranti, poi contro il collo e le labbra, lei lo leccava appassionatamente e voracemente, sapendo che tra poco le sarebbe toccato il colpo della frusta. Infatti S si staccò e questa volta la frustò sulle cosce, al ritmo dei colpi dell’uomo che ne faceva il suo oggetto di godimento. Anche egli infine venne nel suo ventre mugolando mentre godeva e di nuovo lo sperma colò via lungo le cosce, quando lui si ritrasse, bagnandola come cagna e troia.
Prima che la lavassero, con la punta della frusta S la colpì all’ingresso della vagina. “Troia le sussurrò, guai a te se godi con uno di loro, tu sei solo mia”. Di nuovo giunsero le ancelle, stavolta le versarono acqua su tutto il corpo con annaffiatoi, acqua che le accarezzava e gelava corpo e gambe e la faceva rabbridivire, con la lavanda che le inserirono dentro le detersero la vagina e la profumarono.
Coi prossimi sette fu un crescendo di stordimento, ognuno di loro la plasmava con i vibratori o oggetti con cui le riempiva la figa, poi la fotteva come la prostituta che sempre più diventava, ogni volta doveva leccare, succhiare, prendere il cazzo di S in bocca o sul seno, o stringerlo nelle mani incatenate, ogni volta lui le diceva all’orecchio “Troia, sei più troia di quanto mai pensassi”, ogni volta la frustava in punti delicati, i fianchi, il collo, il seno, i capezzoli, le cosce, le labbra del sesso, le premeva la croce sul ventre mentre i capi delle sottosette agitavano il loro cazzo dentro di lei, ormai domata, piegata, grondante acqua, sudore e sperma, vittima sacrificale dei maschi che sboravano in lei tra gemiti, urla e parole grevi.

Nove uomini la possedettero, si liberarono del loro seme dentro di lei, la aprirono, esplorarono, dannarono. Nove volte si contorse sotto cazzo e frusta, si fece scopare la bocca da S e si fece accarezzare e frustare da lui.

Infine S la liberò, la girò a pancia in giù, mentre tutti guardavano, le incatenò le mani sotto intorno all’altare e le gambe alle colonne tornite di marmo su cui esso si reggeva, come incaprettata.
“Mia grandissima troia, tu hai goduto, ho visto il tuo ventre sussultare mentre i cazzi degli adepti ti riempivano la figa, ti ho visto vibrare e torcerti ai loro colpi, ho visto la tua pancia alzarsi e abbassarsi, il seno inturgidirsi, la bocca inumidirsi di saliva, ho visto tutto il tuo corpo tremare, troia, lo sai che le puttane non possono godere, sono solo a disposizione del piacere di chi le compra e le usa, vergogna, ora ti punirò”
Prese una delle candele che ardevano intorno all’altare e le fece colare una goccia di cera bollente su una natica “Questo ti marchierà per sempre dopo questa notte”. Poi spense la fiamma e le passò la punta della candela ancora ardente nel solco tra le natiche. A urlò.
“Urla urla, solo con me puoi urlare, mia schiava e cagna”
Le aprì le natiche e le violò il sedere con i tre i vibratori uno dopo l’altro in grandezza crescente, mentre lei urlava e piangeva, li spingeva dentro con l’autorità del padrone, godendo a contemplarla mentre agitava il bacino come la coda di una cagna. Mentre A si agitava con il vibratore piantato ad allargarle il culo egli le frustò le natiche tremanti lasciando due strisce rosse. Poi estrasse l’ultimo vibratore bagnato di umori e strisciato del suo sangue e la violentò nella figa consumata e lavata tante volte, la figa che egli aveva ceduto liberamente ai cazzi degli adepti della setta, vagina un tempo solo sua, della sua schiava e troia, che aveva voluto concedere ad altri perché A sapesse chi comandava,  poi si immerse nel culo sodo, che fu vergine prima di quella notte, della sua cagna calda, la scopò furiosamente mentre la setta levava un canto basso e greve  riconoscendo a lui la proprietà della puttana a loro offerta. Tutti si presero il cazzo in mano e si masturbarono, godendo nel vedere come S fotteva la loro vittima, eccitandosi mentre S la scopava insultandola violentemente, la penetrava in tutti i buchi che gli appartenevano e alla fine la copriva di sperma e le pisciava addosso davanti a loro. Al suo urlo e al suo venire mentre la chiamava troia e cagna lo applaudirono.  Egli allora la liberò soddisfatto ma stringendole il polso tra le dita la fece ancora inginocchiare a terra, ringraziarlo e scusarsi per essere così troia. Essa gli baciò i piedi e il cazzo e gli chiese devotamente perdono.

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