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Racconti di Dominazione

gli errori del passato (Donatella)

By 2 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Donatella era in macchina da quasi un’ora.
Aveva seguito alla lettera le indicazioni riportate sull’email ricevuta la sera prima.
Così aveva preso un giorno di ferie in ufficio e si era messa in marcia di buon mattino, in quella fredda giornata di inizio dicembre.
Era vestita esattamente come lui aveva prescritto nel messaggio: maglione a collo alto, gonna di lana, entrambi beige, calze scure e stivali marrone. Sopra indossava un giaccone marrone con il collo di pelliccia.
Era uscita dalla via principale e la strada, stretta e tortuosa, saliva ora lungo la montagna, in mezzo a fitti boschi.
Dopo un’ultima serie di curve, la strada finì bruscamente con un grande piazzale asfaltato.
Naturalmente non c’era neanche una macchina, ma chi è così pazzo da andare per boschi d’inverno, in una giornata piovosa?
Nelle istruzioni era scritto che doveva lasciare il giaccone in macchina.
Fuori faceva un freddo cane e le arrivavano a tratti degli schizzi di pioggia gelata. Sinceramente avrebbe preferito rimanere al calduccio in macchina, ma non poteva fare altrimenti.
Chiuse la macchina e s’incamminò verso l’inizio dei sentieri, alla fine del piazzale, tenendo in mano la piantina inviata in allegato alla email.
Doveva prendere il sentiero di sinistra e seguirlo fino alla prima biforcazione.
Accidenti, il viottolo era ripido e scosceso, assolutamente inadatto agli stivali che lui le aveva fatto indossare. Tra fango, sassi e foglie bagnate, era un vero e proprio percorso ad ostacoli.
Sicuramente lo aveva fatto apposta a farle mettere quelle scarpe, e ora, nascosto da qualche parte, la stava osservando e godeva delle sue difficoltà.
Arrivò alla biforcazione.
Dietro il masso dovevano esserci le istruzioni.
Sì, certo, era una caccia al tesoro, ma molto particolare.
Nascosta tra le foglie trovò una scatola di metallo con dentro un biglietto.
Togliti gli stivali e le calze.
Da qui continuerai scalza.
Segui il sentiero di destra, fino al grande albero caduto.

Maledetto bastardo! L’avrebbe fatta camminare a piedi nudi, nel bosco, fino a farla sanguinare.
Mise gli stivali ed il collant nella scatola e la richiuse.
Il vento gelido, proveniente dalla cima della montagna le si infilò sotto la gonna, tra le gambe nude, facendola rabbrividire.
Cominciò a salire per il sentiero. Procedeva piano, facendo bene attenzione a dove metteva i piedi, ma il fitto tappeto di foglie cadute dagli alberi, le nascondeva l’insidia delle pietre e dei rami appuntiti presenti in gran quantità.
Aveva fatto solo un centinaio di metri e già aveva le piante dei piedi ferite in più punti.
Era un bosco fittissimo, fatto di alberi molto grandi, querce o forse faggi, pensò Donatella.
Dopo una piccola radura il panorama cambiò: in mezzo agli alberi di prima, cominciarono a comparire dei castagni.
Si accorse della loro presenza per il semplice motivo che, sotto la coltre delle foglie, incappò in un riccio, grande e secco, con i lunghi aculei marrone scuro.
Urlò di dolore e sollevò il piede destro ferito.
Staccò il riccio dalla pianta del piede e lo scagliò lontano, con rabbia.
Diversi aculei si erano spezzati ed erano rimasti conficcati.
Fece due passi e trovò un altro riccio con il piede sinistro.
Cominciò ad avanzare con estrema cautela, ma era impossibile evitare tutte le insidie nascoste in mezzo alle foglie cadute.
Aveva fatto solo un pezzetto del percorso e già i suoi piedi erano ridotti in uno stato pietoso, si era fermata un attimo, appoggiandosi contro un albero e li aveva osservati con attenzione: parecchi aculei marrone erano conficcati nella sua carne ferita.
Ad ogni passo che faceva il dolore aumentava ed aveva l’impressione che quelle spine entrassero sempre più profondamente nella sua carne.
Il secondo punto da raggiungere era ‘il grande albero caduto’, così era scritto nelle istruzioni.
In lontananza vedeva un grande tronco grigio, spezzato a diversi metri di altezza, forse da un fulmine, tanto tempo prima.
Era relativamente vicino ma, in quelle condizioni, sapeva che ci avrebbe messo un mucchio di tempo per raggiungerlo.
Quando finalmente arrivò, era così stanca e distrutta, che dovette fermarsi qualche minuto a prendere fiato.
Dietro il tronco c’era una scatola di metallo più piccola della prima.
Conteneva un foglio di carta ed un riccio bello grande.
Ora ti appoggi al tronco dell’albero, rivolta verso la cima della montagna e ti tiri su la gonna.
Devi abbassarti le mutandine, poi cominci a massaggiare la tua bella fichetta calda finché non si apre e diventa tutta bagnata.
Non ti devi fermare, voglio che continui, finché il tuo clitoride non diventa duro e gonfio.
Avrai il permesso di smettere solo quando avrai raggiunto l’orgasmo.
Ti voglio sentire gridare di piacere.
Solo dopo aver finito, potrai leggere il retro del foglio.

Donatella si guardò intorno.
Sicuramente era lì vicino, da qualche parte, e si stava godendo la scena.
Avrebbe dovuto eseguire i suoi ordini anche questa volta, come sempre.
Non aveva alcuna possibilità di sottrarsi.
Si appoggiò al tronco dell’albero morto e si arrotolò la gonna fino alla vita.
Faceva un freddo dannato, avrebbe dovuto far presto.
Tirò giù lo slip, fino alle ginocchia.
Sicuramente, più su, in mezzo al bosco fitto, lui la stava osservando con soddisfazione.
Si toccò con cautela, era secca e chiusa, ma sapeva che non ci sarebbe voluto molto.
Cominciò presto a sentirla bagnata. Lentamente si stava aprendo.
Quando toccò il clitoride emise un gemito di piacere.
Cominciò a stuzzicarlo con le dita, sempre più forte.
Non sentiva più freddo lì, ora era calda e bagnata.
Cominciò a gridare di piacere.
Sicuramente lui l’avrebbe sentita e sarebbe rimasto molto soddisfatto.
Si mise dentro due dita e cominciò a muoverle velocemente.
L’orgasmo venne improvviso e Donatella gridò con quanto fiato aveva in corpo, poi rimase appoggiata al tronco, ansimante, stremata e completamente bagnata.
Raccolse il foglio che aveva lasciata cadere a terra e lo girò.
è stata un’esperienza molto bella, sono sicuro che ti è piaciuto moltissimo, si vedeva proprio, sai.
Ora viene il rovescio della medaglia, anzi, per essere più precisi, il retro del foglio.
Nella vita non si può sempre godere, qualche volta ci vuole anche un pizzico di sofferenza per apprezzare le cose belle.
Questo ormai dovresti averlo imparato, dopo tutte le esperienze che ti ho fatto fare.
Puoi tirarti su le mutandine.
No, la gonna ancora no, lasciala così.
Ora raccogli il riccio dalla scatola, fai attenzione, non stringerlo, perché è bello secco e potresti pungerti le dita.
Tiri in fuori l’elastico delle mutandine e lo metti dentro, bene a contatto della tua bella fichetta calda, desiderosa di essere ancora toccata.
Certo, per lei sarà una sorpresa: si aspetta di essere toccata dolcemente dalle tue manine morbide, invece troverà una selva di aculei, duri ed appuntiti, che la pungeranno da tutte le parti.
Ricordati bene che ti osservo, non provare a fare scherzi.
Puoi rimettere a posta la gonna e ‘
‘ buona passeggiata.
Prossima tappa in cima, alla grande croce di ferro.

Prese delicatamente il riccio tra le mani. Era grande e secco. I suoi lunghi aculei le pungevano dolorosamente il palmo della mano.
Rabbrividì pensando al dolore che avrebbe provato quando il riccio, spinto dalla stoffa delle mutandine, avrebbe trafitto il suo sesso, eccitato e sensibilizzato.
Si fece coraggio e con una mano tirò in fuori l’elastico dello slip, mentre con l’altra depositava, con il massimo dell’attenzione, quello che sarebbe diventato un terribile strumento di tortura per il proseguimento della sua passeggiata.
Rilasciò il più delicatamente possibile l’elastico delle mutandine, ma non fu sufficiente: una fitta terribile che la fece urlare di dolore e le fece piegare le ginocchia.
Sentì la sua voce, ripetuta più volte dall’eco, spegnersi nel bosco.
Non l’avrebbe sentita nessuno. Nessuno tranne lui, che ora, da qualche parte, stava godendo della sua sofferenza.
Provò a camminare.
Doveva procedere a piccoli passi, con le gambe leggermente divaricate, cercando di muovere il meno possibile le anche, ma nonostante queste attenzioni, era comunque una sofferenza terribile, perché anche il più piccolo movimento faceva muovere il riccio, le cui punte, alternativamente, si sfilavano a sinistra e si conficcavano a destra e viceversa, seguendo il ritmo della sua camminata.
Sapeva che, in ogni caso, doveva andare avanti.
Piangeva e gridava mentre procedeva in salita, lungo il sentiero.
Ormai, i ricci che calpestava con i piedi pieni di ferite, sembravano quasi farle il solletico, rispetto al dolore che sentiva in mezzo alle gambe.
Si fermò un momento a prendere fiato, si alzò la gonna e si guardò.
Una quindicina di aculei avevano trapassato la stoffa dello slip, abbondantemente macchiato di sangue.
Guardò in alto, la cima sembrava molto vicina, poi guardò in basso, verso l’albero caduto, e capì che aveva fatto solo una piccola parte del tragitto.
Riprese a camminare.
Dovette fermarsi diverse volte.
Ad ogni sosta, si appoggiava ad un tronco e, dopo aver sollevato la gonna, controllava la situazione.
Le mutandine, alla fine, erano completamente inzuppate di sangue, che cominciava a scenderle pure lungo le cosce nude.
Cominciò a piangere più forte.
Non ce l’avrebbe fatta, questa volta, troppo dolore, troppa sofferenza.
Basta! Avrebbe mollato tutto, avrebbe pagato le conseguenze del suo gesto.
La croce era vicinissima, solo pochi metri.
Solo pochi metri! Ripeteva dentro di sé, come certe volte, quando, da ragazzina, con la bicicletta cercava di superare una salita ripida.
La croce era una brutta struttura in ferro arrugginito, alta una decina di metri, conficcata in un basamento di cemento di circa un metro di altezza.
Ai piedi del basamento c’era un’altra scatola di metallo.
Ben arrivata in vetta.
Complimenti!
Ora puoi toglierti le mutandine ‘ ma non il riccio.

Donatella si sfilò lo slip e vide, con orrore, che quel coso pieno di aculei era rimasto conficcato nella sua vagina ferita.
Non devi toglierlo, sicuramente cadrà da solo durante la via del ritorno.
Ora prendi le mutandine e mettile nella scatola, le terrò come ricordo di questa giornata indimenticabile.
Puoi riposarti, anzi devi riposarti per mezzora esatta, guarda l’orologio e calcola trenta minuti da quando ti siedi sul basamento della croce.
Devi alzarti la gonna prima di sederti e, mi raccomando, non togliere i ricci, li ho messi io per rendere la cosa più interessante.
Devi sederti per bene, non in pizzo. Oltre alle tue belle chiappette, anche le cosce devono poggiare bene. Immagina di essere su una comoda poltrona.
Non toglierli neanche quando ti alzi: cadranno da soli, uno ad uno, durante la via del ritorno.
Da qui in poi la strada è tutta in discesa.
P.S. Ricordati le scarpe e le calze quando passi per la biforcazione.

Il basamento di cemento, infatti, era stato completamente ricoperto di ricci di castagne, ma lei, all’inizio, distratta dall’osservazione della croce, non l’aveva notato.
Era abbastanza basso per potercisi sedere, ma troppo alto perché lei, una volta seduta, potesse toccare terra con i piedi, così tutto il peso del suo corpo avrebbe gravato sul suo sedere e sulle sue cosce, trafitti da cento aculei.
Cercò un punto dove i ricci fossero in quantità minore, ma lui era una persona precisa ed aveva cosparso il basamento in maniera così meticolosa, che un posto valeva l’altro.
Alla fine, rassegnata, si mise nel mezzo, e, con cautela, dopo essersi alzata la gonna, si sollevò puntandosi con le mani.
Si lasciò andare il più piano possibile, sperando di non farsi troppo male.
Naturalmente si sbagliava.
Quando gli aculei di decine di ricci le bucarono la pelle delle cosce e dei glutei, penetrando profondamente, sotto il peso del suo corpo, urlò disperatamente, così si risollevò subito, facendo forza sulle braccia.
No, doveva stare seduta, come su una poltrona, questi erano gli ordini.
Piangendo, tornò a poggiarsi sul suo sedile di spine e guardò l’ora.
Mezzogiorno e dieci. Si sarebbe potuta rialzare alle dodici e quaranta.
Doveva evitare ogni movimento, anche il più piccolo, perché quegli aghi, secchi e rigidi, si spezzavano facilmente e sarebbe stato molto più difficile toglierli.
Guardava spesso l’orologio, ma il tempo sembrava essersi fermato.
Ecco, sono le dodici e quaranta, posso andare.
La via del ritorno, nonostante fosse tutta in discesa, le sembrò lunghissima.
Molte volte fu presa dalla tentazione di togliersi un po’ di ricci, specialmente quello conficcato nella vagina, ma la paura che lui la scoprisse, la dissuase.
Comunque aveva ragione, mano mano che camminava, ad uno ad uno si staccavano.
Quando finalmente si staccò anche ‘quello’, poté camminare più velocemente, anzi, scoprì che se faceva qualche piccolo salto, per superare una buca o una radice, quando atterrava, per il contraccolpo, si staccavano diversi ricci, dalle cosce e dal sedere.
Certo, questo era doloroso per i suoi piedi nudi e feriti, ma era tanta la soddisfazione di sentire quei ‘cosi’ maledetti rotolare via dal suo corpo, che accettava quasi con piacere questa sofferenza.
Quando arrivò al punto dove aveva lasciato le scarpe, erano caduti tutti.
Nella scatola, oltre alle cose che aveva lasciato, c’era un biglietto:
E’ stata una giornata favolosa.
Alla prossima.
Guida con prudenza.
Ciao

Mise solo gli stivali, perché non avrebbe potuto indossare il collant con le gambe piene di ferite.
Per fortuna suo marito era fuori per lavoro. La sera, a casa, avrebbe dovuto passare un mucchio di tempo, armata di pinzette, a togliere dalla sua carne, decine di aculei spezzati, prima che facessero infezione. Per alcune zone si sarebbe dovuta aiutare con uno specchio.
In macchina, mentre tornava a casa, ripensò a come era cominciata questa storia. Un anno prima, in ufficio, le era arrivata una strana email, da un indirizzo sconosciuto.
C’era scritto solo:
ciao
Poi c’era un’allegato.
Era una sua foto da giovane. Era un po’ sgranata, come se si fosse trattato di un particolare fortemente ingrandito. Comunque si era riconosciuta subito: la gran massa di capelli scuri, quasi neri, e ondulati, gli occhi azzurri, profondi, il sorriso morbido e sensuale, di una ragazza di vent’anni, consapevole di essere bella e desiderata.
Non ricordava dove e quando fosse stata scatta quella foto.
Il giorno dopo arrivò un altro messaggio:
questa è venuta meglio
In allegato c’era un’altra sua foto.
Questa era a figura intera, ed era sempre lei: una ragazza piccola di statura e formosa, un corpo morbido e ben modellato, con due belle tette ed un gran culo.
Indossava soltanto un bustino di pelle, in stile sadomaso, che partiva da sotto il seno e finiva sopra l’ombelico.
Donatella fece un salto sulla sedia.
Da ragazza aveva fatto una cazzata, anzi, un paio.
Aveva girato due filmini porno. A lei, ragazza povera, nata e cresciuta in una borgata di casupole fatiscenti, i soldi che le avevano offerto, erano sembrati una cifra enorme.
E poi, si era anche divertita, doveva ammetterlo.
Dieci anni dopo aveva conosciuto il suo futuro marito. La solita storia della segretaria carina che si fa sposare dal principale.
La famiglia di lui aveva fatto fuoco e fiamme, per impedire un matrimonio ‘non all’altezza’, ma alla fine aveva conquistato matrimonio e posizione.
Se fosse uscita fuori quella storia, considerando anche il posto di rilievo che occupava suo marito, sarebbe stata rovinata, avrebbe perso la sua posizione faticosamente conquistata, la casa, i soldi, ogni cosa.
Per una settimana non era accaduto nulla, poi un altro messaggio:
queste sono proprio interessanti
Dieci foto, tratte da quei due maledetti film. C’era di tutto, da lei frustata sul culo mentre faceva un pompino ad un negrone, a quella in cui una maitresse vestita di cuoio la inculava con un enorme cazzo finto, per finire con un paio di scatti di un orgia con tre uomini.
Questa volta decise di rispondergli.
Cosa vuoi?
La risposta arrivò dopo cinque minuti:
posso mandare queste foto a tuo marito, ai tuoi colleghi d’ufficio ed a tutti i giornali, oppure puoi fare qualcosa per me.
Fammi sapere, hai una settimana di tempo.

Donatella ci pensò a lungo. Le avrebbe sicuramente chiesto dei soldi. Non era certo un problema, suo marito era ricco e lei aveva una grossa disponibilità in banca, senza che lui la potesse controllare.
Dopo due giorni rispose:
Quanto vuoi?
la risposta non si fece attendere e la stupì:
Non voglio soldi, voglio soltanto te.
Così la ricattava soltanto perché voleva scopare con lei. Non le piaceva, poteva essere pericoloso. Preferiva pagare, piuttosto che andare a letto con uno sconosciuto, che poteva essere benissimo un pazzo maniaco.
Questo non è possibile. Puoi avere soldi, ma il mio corpo non è in vendita, non ho nessuna intenzione di andare a letto con te.
Passò una mezzora buona, prima che lui rispondesse. Donatella fissava preoccupata lo schermo del computer. Forse si era arrabbiato e stava già inviando a mezzo mondo le foto che avrebbero rovinato la sua vita.
Nuovo messaggio.
Non hai capito. Io non ho nessuna intenzione di scoparti. Noi non ci incontreremo mai.
Se tu accetti, ti darò dei compiti da eseguire e tu dovrai ubbidire, sempre.
Alcune cose saranno facili, anche divertenti, altre potranno essere spiacevoli.
Non ti ruberò molto tempo, potrai continuare la tua vita di prima, ma ogni tanto dovrai prendere una pausa dai tuoi impegni e seguire i miei ordini.
Hai ancora cinque giorni di tempo per decidere.
Se rispondi sì, ricorda che non potrai più tornare indietro.
Se rispondi no o non rispondi entro cinque giorni, invierò le foto che hai visto, ed anche parecchie altre.

Donatella era perplessa e preoccupata, come poteva accettare una cosa, senza sapere esattamente di che si trattasse?
Il pomeriggio del penultimo giorno decise.
Scrisse semplicemente:

Pensò che non sarebbe servito altro.
Molto bene, mi farò sentire
Erano passate tre settimane, e se ne era quasi dimenticata, quando arrivò il messaggio.
Oggi pomeriggio alle quattro in punto, non un minuto prima e non un minuto dopo.
La cabina telefonica di fronte all’ufficio.
Nell’elenco del telefono a pagina 100.
Ricorda, devi sempre eseguire i miei ordini alla lettera.

Donatella uscì dall’ufficio alle quattro meno cinque.
Dovette resistere alla tentazione di entrare nella cabina prima del tempo stabilito.
Era un pomeriggio estivo abbastanza caldo e lei indossava un vestito turchese scollato, che metteva in evidenza i suoi seni, grandi e ancora ben saldi, nonostante avesse raggiunto la quarantina.
Entrò nella cabina, faceva caldo.
Aprì febbrilmente l’elenco. Dentro, a pagina 100 c’era un foglio piegato in quattro.
Lo prese ed uscì fuori subito.
Prendi l’autobus, la linea 5, in direzione del centro.
Devi scendere dopo 6 fermate, davanti al Bar Centrale.
Ti prendi un caffè poi chiedi di andare al bagno.
Nel bagno c’è un grande contenitore per i tovaglioli di carta, in fondo troverai una busta di plastica.

Cos’era? Una specie di caccia al tesoro?
Comunque, per ora non c’era niente di brutto o pericoloso.
Nel bagno del bar dovette rovistare parecchio prima di estrarre una busta di plastica nera, chiusa ermeticamente con del nastro adesivo.
Dentro c’era un biglietto ed un vestito rosso.
Devi cambiarti d’abito.
Riponi il tuo vestito, insieme a mutandine e reggiseno nella busta e rimettila a posto.
Poi metti questo.
Ripeto, devi indossarlo senza niente sotto.
Infine vai al parco.
Di fronte al laghetto, ci sono quattro panchine, tre all’ombra ed una al sole.
Oggi fa molto caldo, quella al sole sarà sicuramente vuota.
Sotto la panchina troverai il prossimo messaggio.

Era rimasta sorpresa, ma finché l’avrebbe mandata in giro, di giorno, in luoghi frequentati, non doveva certo preoccuparsi.
Il vestito era cortissimo e e così trasparente che sembrava quasi nuda. Indossandolo senza biancheria intima, avrebbe attirato lo sguardo di tutti, ma non aveva scelta. Si diede un ultima occhiata allo specchio e poi uscì velocemente.
Il parco era vicino, solo dieci minuti di strada a piedi.
Dieci minuti passati inseguita dagli sguardi e dai commenti degli uomini che incrociava.
Aveva ragione: la panchina al sole era libera.
Delle altre tre, una era occupata da un vecchietto che dormiva, su un’altra erano seduti due ragazzi del liceo che mangiavano la pizza, mentre la terza era vuota.
Avrebbe preferito sedersi all’ombra, ma gli ordini parlavano chiaro, e poi doveva recuperare il messaggio della caccia al tesoro.
Tutto sommato, fino ad ora, non era stata un’esperienza spiacevole. In fin dei conti, anche gli sguardi ed i commenti maschili, oltre a causarle un certo imbarazzo, mostravano che era ancora una donna bella ed attraente, e questo non le dispiaceva affatto.
Ora devi masturbarti.
Sì, hai capito bene.
Ti devi masturbare su una panchina, al sole, bene in vista, in un pomeriggio d’estate, nel parco pubblico, con la gente che passa e ti vede.
Devi farlo fino in fondo, fino all’orgasmo.
Buon pomeriggio.

NO!
Quest’uomo era pazzo, non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Buttò via, con rabbia, il biglietto, dopo averlo appallottolato e si alzò di scatto.
Aveva fatto solo tre passi quando squillò il suo cellulare.
Sconosciuto.
‘Allora non ci siamo capiti.
Hai accettato, hai detto sì, e dovrai eseguire tutti i miei ordini.
Più avanti c’è un cestino della spazzatura, dentro c’è un cosa che ti interessa, arrotolata e tenuta con un nastro rosso’.
Era una specie di volantino. In alto c’erano due foto di lei: quella con il bustino di pelle e quella del pompino al negro.
Più sotto i suoi dati anagrafici: nome, cognome, indirizzo e poi i numeri di telefono: casa, ufficio e cellulare.
In basso in stampatello c’era scritto TUTTO GRATIS.
‘Sei ancora in linea?’
‘Sì’
‘Se entro dieci secondi non ti siedi su quella panchina e non cominci a massaggiarti la tua bella fichetta, io inizio a distribuire in giro questi bei volantini.
Sono sicuro che avrai un mucchio di telefonate ed anche la fila sotto casa’.
‘Va bene, ho capito’.
E così Donatella si era dovuta masturbare nel parco, sotto gli sguardi divertiti o scandalizzati, di decine di persone che passavano.
I liceali avevano smesso di mangiare ed osservavano con gli occhi di fuori la scena inconsueta. Verso la fine, quando lei non riuscì a trattenere i mugolii, anche il vecchietto che sonnecchiava si ridestò. Aveva inforcato un paio di spessi occhiali e la guardava allibito.
Ma erano gli sguardi ed i commenti delle persone che passavano, a pesarle di più.
Aveva raggiunto l’orgasmo, ora era scombussolata e bagnata. Voleva andar via da lì, subito.
Se qualcuno, nel frattempo, aveva chiamata la Polizia, si sarebbe trovata in un bel guaio.
Squillò ancora il telefono.
‘Brava, molto brava. Ora, prima di andare a casa, farai una bella passeggiata nel parco, si è alzato un bel venticello. Mi raccomando, se ti si alza la gonna, non devi fare nulla.
Oggi devi dare uno spettacolo speciale, indimenticabile.
Dall’altra parte del parco, di fronte alla fontana, c’è una panchina, troverai le mie istruzioni lì. Io non ti chiamerò più per telefono, a meno che tu non commetta qualche errore.
Buona passeggiata’.
Si alzò di scatto ed andò via.
Una folata di vento le alzò subito il vestito di dietro.
Sentì i commenti dei ragazzi sulla panchina, ma resistette alla tentazione di ricoprirsi, era troppo forte la paura di vedere in giro quei volantini.
Il giro del parco fu un mezzo calvario per lei.
Il vento le alzava spesso il vestito, mostrando ora il suo sedere nudo, ora la sua vagina ancora semiaperta, sormontata da un folto ciuffo di peli.
Cercava di passare lontana dalle altre persone, ma comunque era impossibile non notarla.
Si accorse che i due ragazzi della panchina vicina la stavano seguendo.
Arrivò alla fontana.
è stata una bella passeggiata.
è stato un pomeriggio, potrei dire, di godimento.
Hai offerto la vista del tuo bel corpo, facendo godere un mucchio di gente, ed hai goduto anche tu, su quella panchina.
Ti ho visto bene sai. Ti piaceva veramente. Sicuramente in futuro ti farò fare ancora cose simili.
Adesso è ora di tornare a casa.
Ci sono due ultime cose, una buona ed una meno buona.
Quella buona è che potrai tornare a casa senza mostrare le tue cosette a tutti, perché ho provveduto a farti avere un ricambio per mutandine e reggiseno. Spero di aver indovinato la taglia.
Quella meno buona è che non c’è godimento senza un po’ di sofferenza, ricordatelo sempre.
Dovrò infatti chiederti una cosa un po’ spiacevole, ma è necessario.
Dietro la panchina c’è un grande cespuglio, dove troverai la tua biancheria intima, insieme alle istruzioni per indossarla.

Istruzioni? C’era forse bisogno di istruzioni per mettersi le mutande?
Quest’uomo doveva essere pazzo.
Sotto il grande cespuglio c’era una busta di plastica nera, identica a quella che aveva trovato nel bagno del bar.
Gli slip ed il reggiseno, entrambi neri, le andavano un po’ stretti, ma non era certo il caso di lamentarsi.
C’era anche una busta di carta marrone tipo quelle per il pane e l’ennesimo biglietto.
Nella busta c’è dell’ortica.
Dovrai metterla dentro le mutandine, facendola bene aderire alla tua fichetta ed alle tue belle chiappe.
A proposito, hai veramente un gran bel culo. Anch’io mi sono goduto lo spettacolo.
Naturalmente farai lo stesso anche con le tue belle tette, foderando per bene, con l’ortica, le coppe del reggiseno.
Non ti preoccupare, sentirai solo un po’ di bruciore, ma basterà, a casa, tenere le parti a mollo per un po’ di tempo.
Buon ritorno a casa.
Alla prossima.

Il ritorno non fu affatto buono. Aveva bruciori e pruriti terribili al seno e sulle natiche, per non parlare della sua povera vagina che, ad ogni passo, sfregava dolorosamente contro le foglie di ortica che aveva in mezzo alle gambe.
Diverse volte pensò di disfarsi di quell’erba maledetta, ma la paura che lui la seguisse e potesse accorgersene, la dissuase.
Così arrivò fino a casa.
Buttò tutto nella spazzatura, ortica, mutande, reggiseno, ed anche il vestito rosso.
Si mise nuda nella vasca da bagno ed aprì l’acqua calda.
Nonostante ci rimanesse a lungo, i bruciori diminuirono molto poco.
Il fastidio l’accompagnò per giorni e giorni ancora.
Lui, invece, si fece vivo la mattina dopo.
Nuovo messaggio.
Molto brava
A presto
ciao

E poi diverse foto allegate.
Alcuni scatti sulla panchina mentre si masturbava, e diversi altri mentre passeggiava nel parco con la gonna sollevata dal vento. Dopo quella prima volta era passato più di un mese.
I bruciori dell’ortica erano cessati presto e, quello strano episodio, era stato quasi dimenticato da Donatella.
Chissà, forse si era accontentato, gli bastava averla umiliata, averla resa schiava per un pomeriggio, ed averle inflitto un po’ di dolore fisico.
Nuovo messaggio.
Ciao
Tieniti libera per sabato

Per un attimo ebbe l’impressione di avere nuovamente le mutandine piene di ortica.
Maledizione, avrebbe continuato a tormentarla per chissà quanto tempo ancora.
Venerdì pomeriggio, dieci minuti prima di uscire dall’ufficio arrivò un altro messaggio.
Domani andiamo al mare.
Devi trovarti sul posto alle nove.
Nell’allegato trovi la piantina dove è spiegato tutto.
Materiale occorrente, un bel bikini, un cappello per il sole, un telo da spiaggia, e, non dimenticare, le creme solari, perché domani è prevista una giornata molto calda e potresti scottarti.
Vai allo stabilimento che ti ho indicato ed affitta un lettino.
Ti sdraierai per bene ed aspetterai le mie istruzioni.
Portati anche qualcosa da leggere, perché staremo sulla spiaggia tutto il giorno.

Aveva parlato al plurale, forse si sarebbero incontrati. No! Aveva detto che non sarebbe mai accaduto, probabilmente lui sarebbe stato presente, ma non si sarebbe fatto vedere.
Donatella fece esattamente come lui aveva ordinato e si sdraiò.
Si era anche portata un libro da leggere.
Come si sarebbe fatto vivo? Le avrebbe fatto recapitare un foglietto, oppure avrebbe usato il telefono?
Il tempo passava e cominciava ad essere stufa. Decise di alzarsi per andare a prendere qualcosa al bar, ne avrebbe anche approfittato per andare in bagno.
Aveva fatto solo tre passi, quando squillò il suo cellulare.
‘non ti ho detto di alzarti’
‘devo andare in bagno …’
‘non ti ho neanche detto di andare in bagno, comunque, se devi far pipi, c’è la pineta’
‘la pineta? Ma mi vedranno tutti’
‘naturalmente. Ora tu ti alzi, vai nella pineta e ti accucci in quella spiazzo al sole, rivolta verso la spiaggia, e fai pipi, senza toglierti il costume’.
‘ma così mi bagnerò tutta, che schifo!’
‘certo, e non ho finito. Poi ti dovrai alzare, ti appoggerai all’albero più vicino, sempre rivolta verso la spiaggia, perché voglio essere sicuro che ti vedano bene, metterai una mano nelle mutandine e ti masturberai’
Donatella voleva replicare, ma lui aveva già messo giù.
Così non le rimase altro che alzarsi ed andare nella piccola pineta alle spalle della spiaggia.
Per fortuna non c’era nessuno, ma gli ombrelloni erano vicini e sarebbe stato difficile non farsi notare.
Mentre si liberava, guardò verso la spiaggia ed ebbe l’impressione che parecchia gente la guardasse.
Si osservò lo slip. Un disastro: era completamente inzuppato. Al ritorno, si sarebbe dovuta buttare in acqua immediatamente, per cercare di mascherare la cosa.
Ma ora veniva la parte più difficile.
Fece qualche passo e si appoggiò ad un albero.
Le era sempre piaciuto masturbarsi, ma non in queste condizioni.
Infilò una mano nelle mutandine bagnate e cominciò a toccarsi con cautela.
Il suo sesso rispose subito, per fortuna. Meglio così, più presto faceva e meno persone l’avrebbero notata.
Ora aveva raggiunto il clitoride e non poté fare a meno di muoversi.
Sulla spiaggia si cominciava a notare un strano movimento.
Sicuramente, una donna appoggiata ad un albero, a gambe larghe e con una mano nello slip del costume, che per di più si agita ed ansima, non può passare inosservata.
Si accorse che, stranamente, mano mano che il tempo passava, provava meno imbarazzo, anzi, questa strana situazione, le trasmetteva una certa eccitazione, che si sommava a quelle che le dava la masturbazione.
Ebbe un orgasmo clamoroso, poi, ricordando la situazione del suo costume ed il pericolo che qualcuno, scandalizzato fosse andato a chiamare i vigili urbani, partì di corsa verso il mare, attraversò tutta la spiaggia e si fermò solo quando l’acqua le arrivò alla vita.
Fece un breve bagno e poi tornò al suo lettino.
Il suo cellulare squillava.
‘non ti ho ordinato di fare il bagno. Comunque, ora è venuto il momento di togliere il reggiseno del costume’.
Donatella non amava particolarmente prendere il sole lì, ma, vista la situazione, eseguì immediatamente, senza discutere.
Aveva sempre avuto le tette grandi, e, data la sua piccola statura, sembravano ancora più voluminose.
Se le guardò con soddisfazione, pensando che anche se aveva quaranta anni, erano ancora belle sode.
Certo, erano bianche bianche, avrebbe dovuto spalmarle subito.
Prese il tubetto della crema solare e, immediatamente, squillò il telefono.
‘cosa fai?’
‘ci metto la crema solare, altrimenti …’
‘non ti ho ordinato di spalmarti le tette …’
‘ma se non lo faccio mi scotterò …’
‘appunto, non le devi spalmare, proprio perché voglio che si scottino. Ora è mezzogiorno, il sole è più caldo. Ho aspettato apposta questo momento.
Ora tu ti stendi buona buona, e non ti muovi finché non te lo ordinerò.
Se provi ad alzarti prima, ti farò stare lì fino al tramonto.
Tu non puoi individuarmi, ma io sono abbastanza vicino, e mi voglio godere tutto lo spettacolo. Hai due gran belle tette. Ora sono bianche, ma voglio vederle diventare prima rosse, poi viola. Voglio vedere la pelle che si screpola sotto i raggi del sole, fino a spaccarsi.
Ti potrai ricoprire solo quando te l’ordinerò’.
Così Donatella rimase sdraiata sul lettino, senza poter far nulla.
Guardò il cielo, sperando in qualche nuvola, che avrebbe potuto schermare il sole, ma era una giornata completamente serena.
Ogni tanto arrivava un alito di vento, che solo per un attimo sembrava alleggerire il morso dei raggi del sole.
Come lui le aveva preannunciato, vide le sue tette diventare rosse, sempre più scure.
Poi si fecero violacee. Sentiva la pelle, che si era fatta secca, tirare.
Ora cominciava a far male, ma sapeva, per esperienza, che il dolore forte sarebbe venuto più tardi, dopo diverse ore.
Cominciarono ad apparire delle bolle, prima piccole, poi sempre più grandi.
Prima o poi sarebbero scoppiate lasciando vedere la carne viva, le stavano venendo delle vere e proprie piaghe.
Diverse volte pensò di alzarsi e prendere qualcosa per ricoprirsi, ma la minaccia di farla restare lì fino al tramonto, fu sufficiente a dissuaderla.
Il tempo passava ed il fastidio aumentava.
Dovette mettere gli occhiali da sole, per non far vedere le lacrime di dolore che le sgorgavano sempre più copiose.
Finalmente squillò il telefono.
‘sono le quattro, penso che possa bastare, puoi rimetterti il reggiseno’
Maledetto bastardo, l’aveva fatta rimanere quattro ore, le più calde, sotto i raggi del sole.
Avrebbe voluto rivestirsi completamente, avvolgersi le spalle nel telo da spiaggia, perché il reggiseno del costume non era sufficiente a riparare la sua pelle ustionata, ma non osava disubbidire, e non aveva nessuna possibilità di mettersi in contatto con lui.
Verso le sei squillò ancora il telefono
‘puoi rivestirti, si torna a casa’
Già sulla via del ritorno cominciò a sentire le prime avvisaglie di quella che sarebbe stata un pessima notte.
Nonostante, a casa, avesse usato in gran quantità una potente pomata per le ustioni, passò la notte in bianco ed ebbe dolori per molti giorni.
L’indomani dovette fasciarsi il seno piagato, e girò per molti giorni senza reggiseno, con le grandi tette che ballonzolavano libere dentro la camicia.

Erano passate due settimane da quella giornata al mare.
Donatella aveva ancora qualche segno delle ustioni causate dal sole e non aveva affatto voglia di passare un’altra giornata sulla spiaggia, ma il messaggio era stato chiarissimo.
‘per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare’, diceva una vecchia canzone.
Domani torniamo al mare, stessa ora e stesso posto.
Stai tranquilla, questa volta lascerò in pace le tue tette.
Sdraiati e aspetta le mie istruzioni.

Arrivata su posto si spogliò e si accorse subito che non poteva ancora sopportare il calore del sole sul seno, anche se con il costume addosso.
Provò a sdraiarsi a pancia in giù, convinta che avrebbe squillato subito il telefono e lui le avrebbe ordinato di girarsi.
Invece non successe nulla.
Tirò un sospiro di sollievo e si mise a leggere.
Alle undici e mezza arrivò la telefonata.
‘oggi niente pineta, puoi andare a farti un bel bagno’
Stette a lungo in acqua, felice di aver evitato l’umiliazione di fare pipi nuovamente davanti a tutti.
Quando tornò al lettino, sentì il cellulare che squillava da dentro la borsa.
‘ora ti devi sdraiare come prima, poi ti sfili il pezzo di sotto e rimani distesa senza muoverti.
Naturalmente niente crema. Oggi diamo una bella scaldata al tuo culetto.’
Aveva riattaccato prima che lei avesse potuto provare a ribattere qualcosa.
Si sfilò lentamente lo slip del costume e lo mise nella borsa.
Quel giorno il sole sembrava picchiare anche più forte e non c’era un filo d’aria.
Quanto tempo l’avrebbe lasciata lì?
Sicuramente era lì vicino e stava guardando le sue chiappe che si arrostivano lentamente.
Cominciò a guardare le persone intorno a lei, cercando di immaginare chi potesse essere.
Non aveva la minima idea dell’aspetto del suo aguzzino.
Forse poteva cercare di scoprirlo quando le telefonava, ma sicuramente non sarebbe stato così imprudente da farsi vedere proprio in quel momento.
Per fortuna si era portata una bottiglia d’acqua. Era tiepida, ormai, ma bere qualcosa le diede un po’ di sollievo.
Era passata più di un’ora e cominciava a bruciare decisamente.
Squillò il cellulare.
‘ciao. Come va?
Tu non puoi vederti, ma il tuo culetto ha già un bel colore rosso scuro.’
Donatella girò la testa indietro e con la coda dell’occhio riuscì a malapena ad intravedere il suo didietro. Da quel poco che vide doveva essere già discretamente scottato.
Provò a leggere ma non riusciva a concentrarsi.
Ogni tanto guardava l’orologio.
Quanto tempo l’avrebbe tenuta?
Le due.
Ora cominciava a far male.
Ancora il cellulare.
‘peccato che non puoi vedere, domani ti mando un pezzo del filmino che ti sto girando.
é uno spettacolo vedere le tue chiappe violacee che si riempiono di bolle.’
Le tre.
Cominciava a non poterne più.
Altra telefonata.
‘dai, coraggio, che manca poco. Poi ti mando a fare un bel bagnetto così ti rinfreschi un po’.’
Donatella provò di nuovo a girarsi ma aveva il sole in faccia e non riuscì a vedere nulla.
Il dolore si faceva sempre più forte.
Come avrebbe fatto a guidare la macchina fino a casa?
Alle quattro in punto arrivò la telefonata.
‘E’ l’ora del bagnetto. Ricordati di rimetterti il costume.’
Il suo sedere era in uno stato pietoso: completamente ustionato con delle grandi bolle che iniziavano a spaccarsi.
Rimettersi lo slip fu un vero e proprio tormento.
Pensava che l’acqua le avrebbe dato sollievo, invece scoprì che il sale bruciava terribilmente sulle sue natiche piagate.
Rientrò in fretta e si mise addosso il telo da spiaggia, per asciugarsi.
Ancora il telefono.
‘aspetta, prima di asciugarti, ti devi cospargere il culetto di sabbia.’
‘no, ti prego, fa già un male terribile così…’
‘non discutere con me, ora prendi una manciata di sabbia, sollevi il bordo posteriore dello slip e la spargi sul culetto, poi ne prendi un’altra e poi un’altra ancora, devi ricoprire per bene le tue chiappe come se fossero due cotolette alla milanese.
Poi apri la borsa, c’è un regalino per te.’
Come al solito aveva riattaccato.
Donatella non poté far altro che eseguire l’ordine.
Dopo essersi abbondantemente cosparsa di sabbia, aprì la borsa. C’era un pacchetto con un biglietto.
Nella scatola c’è un giocattolo molto carino: si tratta di un vibratore di nuovo tipo, appena arrivato dal Giappone. é molto più piccolo di quelli soliti, che tu ben conosci, ed hai usato con molta perizia, quando facevi l’attrice. Non va utilizzato da fuori o inserendolo in parte, lo devi semplicemente infilare tutto nella tua bella fichetta. La sua azione è stata studiata per dare il massimo dello stimolo e del piacere, usandolo in questa maniera.
Io gli ho fatto una piccola modifica: come potrai vedere, ho tolto il pulsante di accensione.
Al suo interno ho inserito un piccolo radiocomando. Questo significa che sarò io ad azionarlo, a mio piacimento.
Significa che ti farò godere a mio piacimento, e, sempre a mio piacimento, smetterò di farti godere. Deciderò quando farti raggiungere l’orgasmo, oppure, se mi va, deciderò di farti arrivare quasi all’orgasmo e poi fermarmi.
Tu farai una passeggiata sul lungomare ed io mi divertirò un po’.
Ti telefonerò per dirti quando puoi tornare a casa.
Ora devi soltanto inserirlo ed aspettare che io lo metta in funzione.
Ricordati, non ti azzardare a toglierlo, per nessun motivo, senza il mio permesso.

Donatella guardò perplessa quel piccolo oggetto. Si trattava di un cilindro lungo più un meno come un pacchetto di sigarette, di colore grigio chiaro. Una estremità era rastremata ed arrotondata, per facilitarne l’inserimento, mentre quella opposta terminava con un disco, di qualche centimetro più grande, che probabilmente aveva lo scopo di impedire che finisse tutto dentro, rendendone difficoltoso il recupero.
Donatella si coprì con il telo, allargò lo slip e lo spinse dentro.
Indossò il vestito sopra il costume, raccolse le sue cose ed abbandonò la spiaggia.
Capì subito che la passeggiata non sarebbe stata piacevole, perché la gran quantità di sabbia che aveva nel costume, sfregava di continuo sulle sue natiche ustionate.
Cercò di camminare piano, di controllare i movimenti, ma il dolore era sempre presente e, mano mano che andava avanti, aumentava.
Sotto i grandi occhiali da sole cominciò a piangere.
Zzzzzzz ‘.
Il rumore lo aveva sentito solo nella sua testa, perché quell’aggeggio era molto silenzioso.
Era stato solo un attimo. Si era fermata ed era rimasta a bocca aperta.
Le aveva fatto provare solo un assaggio di quello che sarebbe stata la sua passeggiata.
Riprese a camminare, aspettando che lui, a suo piacimento, sì, aveva detto proprio così, le imponesse di godere.
Stava traversando la strada quando ‘. zzzzzzz ‘
Questa volta continuò.
Quell’aggeggio infernale le stava facendo un massaggio, stimolando ogni fibra del suo sesso.
Più andava avanti e più si sentiva bagnata, poi le si cominciò ad ingrossare il clitoride.
Quando il suo ‘piccolo pisellino’, lo chiamava così, un po’ ironicamente, crescendo, venne a contatto con il vibratore, non riuscì a trattenere un gemito di piacere.
Un uomo che camminava nella direzione opposta le lanciò uno sguardo.
Dovette fermarsi, non riusciva più a camminare.
Squillò il telefono.
‘Che fai? Sei già stanca?’
dovette prendere il fiato prima di provare a dire qualcosa.
‘… ti prego ‘ non puoi ‘ farmi questo…’
‘non mi dire che non ti piace il giocattolino. Ah, aspetta, proviamo la seconda posizione, nelle istruzioni c’è scritto che è molto più efficace.’
Trrrrrrr ‘
Il rumore, sempre nella sua testa, era cambiato.
‘va meglio così?’
Donatella aveva cominciato a gemere. Si era piantata in mezzo al marciapiede, con le gambe divaricate e le mani sulla pancia, mentre i passanti la osservavano con un certo divertimento.
Le arrivò qualche commento, del genere ‘ma guarda un po’ che troia’.
‘… per favore ‘ basta …’
il vibratore si spense.
Era completamente bagnata e senza fiato.
Cominciò a riaffiorare il dolore delle scottature, che per un po’ aveva dimenticato.
Riprese a camminare cercando di allontanarsi rapidamente dal punto in cui aveva dato spettacolo.
Provò a sedersi su una panchina ma si rese conto che era molto meglio restare in piedi.
Zzzzzz ‘..
A suo piacimento, il bastardo aveva ricominciato.
Era già abbastanza eccitata e, in pochi secondi, si ritrovò come prima, con il clitoride gonfio, premuto contro quell’aggeggio infernale.
Trrrrrr ‘.
Ora respirava a bocca aperta.
Maledetto, pensò, fammi venire, ti prego, e poi lasciami tornare a casa, non ce la faccio più.
Fai squillare questo maledetto telefono, fammi parlare, una volta tanto, senza che riattacchi subito.
Il vibratore si spense di nuovo.
Fece così per parecchie volte.
Pensò, ecco, adesso entro in un bar, vado in bagno, mi tolgo quest’accidente, e finisco da me, con le mani.
Sapeva che non poteva farlo, doveva ubbidire e basta, senza prendere iniziative.
Il marciapiede del lungomare si allargava in un grande spiazzo rotondo, affollato.
Il vibratore riprese, direttamente alla seconda velocità.
Era letteralmente senza fiato, lo slip del costume zuppo.
La gente intorno la guardava, ma ormai non glie ne fregava più nulla.
Squillò ancora il cellulare.
‘ti vedo sai, ci sei quasi, vero?’
Si guardò intorno, cercando di individuare qualcuno con il cellulare.
C’era parecchia gente che telefonava, non poteva essere sicura.
Forse era quel giovanotto magro con gli occhiali, oppure quel signore con i capelli grigi.
‘… ti prego ‘ non lo spegnere ‘ lascialo ‘ ancora …’
Si avvicinò alla balaustra in pietra che affacciava sulla spiaggia e ci poggiò le braccia.
Raggiunse l’orgasmo lì, sola ma in mezzo ad un mucchio di gente, guardando il sole che scendeva verso il mare.
Ancora il telefono.
‘molto bene. Ora puoi tornare a casa, ma non lo togliere, perché strada facendo, giocherò ancora un po’ con te.’
La strada fino alla macchina era lunga, e, durante il tragitto, lo mise in funzione nuovamente.
Questa volta lo lasciò andare fisso, fino alla fine.
Quando arrivò al parcheggio aveva avuto altri tre orgasmi. Si era dovuta fermare un paio di volte per asciugare le cosce, perché il costume, completamente zuppo, non riusciva più a trattenere quello che le usciva fuori.
Squillò ancora il telefono, per l’ultima volta.
‘ora ho proprio finito con te, per oggi. Non buttare il vibratore, perché lo useremo ancora, in futuro, tienitelo dentro, al calduccio, fino a casa, poi riponilo con cura.
Buon viaggio.’
Il viaggio non fu affatto buono. Appena provò a sedersi in macchina, si rese conto che il suo sedere ustionato non sopportava neanche il minimo contatto.
D’altra parte non è possibile guidare la macchina stando in piedi.
Così, dopo una serie di tentativi infruttuosi per trovare un posizione meno dolorosa, strinse i denti e si sedette.
Avrebbe voluto sbrigarsi, ma era stanca e gli occhi, velati dalle lacrime, le impedirono di andare troppo veloce.
Arrivata a casa, in bagno si tolse il vibratore e, dopo essersi fatta una doccia tiepida, riprese il tubetto della pomata per le ustioni che già aveva usato la volta prima.

Messaggio.
Domani pomeriggio dovrai fare delle compere per me.
Mi raccomando, vestiti elegante, con una bella minigonna e gli stivali.
Devi prendere un agnello, due ricotte ed una forma di pecorino fresco.
Il posto è in campagna, un po’ fuori mano, ma se segui le istruzioni allegate, non dovresti avere difficoltà ad arrivarci.
Dovrai essere lì alle sedici in punto.
Dejan, il pastore che ti darà l’agnello ed il resto, è un tipo un po’ particolare, sono sicuro che ti piacerà.
Ti avverto, viene dal Montenegro e non parla molto bene l’Italiano.
Se occorre ti chiamerò al telefono.

L’inverno si stava avvicinando, ma lui non sembrava intenzionato a lasciarla tranquilla.
L’estate era stata molto dura per lei, ed ancora ne portava i segni sul seno e sul sedere.
Donatella partì con parecchio anticipo, perché la strada era abbastanza complicata e, negli ultimi chilometri, l’itinerario si snodava tra strade e stradine di campagna.
Il posto dove abitava il pastore era una vecchia casa colonica semi diroccata, dall’aria sinistra.
Era arrivata con dieci minuti di anticipo ed aspettò in macchina l’ora precisa.
Aveva imparato a rispettare alla lettera i suoi ordini.
Alle quattro in punto scese dall’auto e si diresse alla casa.
Di lato alla porta c’era un cartello, scritto con la vernice su una tavoletta di legno, che diceva:
VENDO RICOTTA, FORMAGIO E AGGNELLI
Sorrise: d’altra parte se Dejan parlava male Italiano, non ci si poteva aspettare che lo scrivesse bene.
Entrò in un stanza spoglia e discretamente sudicia. Sulla destra c’era un bancone con una vetrina con dentro alcune forme di pecorino iniziate, a sinistra, a lato di un’altra porta, un grande frigorifero rumoroso ed arrugginito. Completava l’arredamento un grande tavolo con il ripiano di marmo grigio, sporco e sbeccato qua e là, ed una sedia impagliata mezza sfondata.
‘buongiorno. Permesso ‘ c’è nessuno?’
Da dietro la porta interna, semichiusa, si sentì una voce dal tono poco cortese, accompagnata da un rumore di passi.
‘arrivo, arrivo’
Dejan era perfettamente in tono con l’ambiente squallido e trasandato.
Un vecchio alto e magro, un po’ curvo, con una brutta faccia.
Era completamente calvo, in parte sdentato, con una naso grande, storto e segnato da una vistosa cicatrice.
Aveva un occhio strabico e camminava zoppicando vistosamente.
Insomma, sembrava appena uscito da un film dell’orrore.
L’abbigliamento, composto da un maglione impataccato e strappato qua e là, un paio di jeans sdruciti, con sopra un grembiule dal colore indefinibile, completava degnamente il quadro.
Donatella gli disse in fretta le cose che le occorrevano, sperando di andare via da lì al più presto.
Il pastore prese il formaggio e la ricotta dal frigo mentre per l’agnello le disse di aspettare, perché doveva prepararlo.
Sparì nel retro.
Dopo qualche minuto squillò il cellulare di Donatella.
‘a che punto sei?’
‘ho quasi finito, sta preparando l’agnello.’
‘hai un problema, temo che avrai difficoltà a pagarlo.’
‘non credo proprio, nel portafogli ho più di duecento euro.’
‘non mi sono spiegato, il problema non è quanto hai nel portafogli, ma dove è il portafogli.
Il tuo portafogli non è nella tua borsa’
‘non è possibile, ho controllato sulla porta di casa.’
Disse la donna mentre frugava nella borsetta.
‘il tuo portafogli è nelle mie mani.’
‘ma come è possibile?’
‘prima di salire in macchina hai fatto traversare un vecchio cieco.’
Donatella ricordava vagamente un vecchietto, completamente intabarrato in un grande cappotto grigio, con cappello, sciarpa ed una grande barba bianca. Aveva un bastone bianco e sembrava essere in difficoltà. Lei l’aveva aiutato a traversare. Ci aveva anche impiegato un po’, perché l’uomo aveva paura e le si era aggrappato più volte al braccio.
‘quello non era un vecchietto, ero io travestito. Ti ho sfilato il portafogli dalla borsa, senza che tu te ne accorgessi. Ora, ti ripeto, hai un problema, per pagare l’agnello.’
‘va bene, pagherò con il bancomat o con la carta di credito.’
Donatella sentì una sonora risata.
‘è un miracolo se il vecchio ha la luce in casa. Il bancomat! Credo non sappia neanche cosa sia’.
‘va bene gli porterò i soldi domani …’
‘non lo conosci, è parecchio irascibile, temo che dovrai pagarlo subito in un’altra maniera, non so se mi sono spiegato.’
Donatella ebbe un sussulto.
‘sei impazzito? é un vecchio orribile. Non ci penso per niente …’
‘di questo ne ero sicuro ma … temo invece che ci penserà lui’
Aveva riattaccato.
Proprio in quel momento tornò il vecchio. Aveva il grembiule e le mani sporche di sangue e portava una busta di plastica con dentro l’agnello scuoiato e fatto a pezzi.
In mano aveva anche un grosso coltello insanguinato, servito probabilmente a squartare l’animale.
Sicuramente non aveva l’aspetto ideale per iniziare un discorso del genere.
Donatella sfoderò il suo miglior sorriso e cominciò a parlare:
‘mi scusi, ma mi sono accorta che non ho appresso i soldi per pagarla, se lei si fida posso tornare doma …’
‘COSAAA?’
Un autentico ruggito era uscito da quella bocca sdentata.
‘io ho preparato agnello e tu paghi agnello, subito, ora, capito?
Tu tiri fuori soldi o peggio per te.
Dejan non è qui per essere fregato.
Agnello è spellato e fatto a pezzi, per te, e te paghi.’
Mentre parlava era passato alle spalle della donna ed aveva chiuso la porta che dava sull’esterno, per impedirle una eventuale fuga.
‘hai soldi o no?’
Donatella era disperata, vedeva la sua situazione farsi sempre più drammatica.
Riuscì solo a far cenno di no con la testa.
Il vecchio l’afferrò per le braccia e la spinse fino al tavolo di marmo, strattonandola.
‘giù, giù’
Le urlò mentre la costringeva a piegare il busto sul piano di pietra, freddo e sporco.
Donatella provò a fare un po’ di resistenza, ma lui prima la minacciò con il coltello insanguinato, poi le legò le braccia dietro la schiena.
A questo punto le tirò su la gonna, poi le abbassò il collant e le mutandine fino a sotto le ginocchia.
‘ti prego’, urlò Donatella tra le lacrime, ‘ti porto i soldi domani, te ne do molti di più, ti giuro che ti pago’.
‘non serve, tu stai pagando ora, va bene così’.
La lasciò un attimo lì, sul tavolo, prese da terra un grosso sturalavandini a cui strappò via la ventosa di gomma arancione.
Si avvicinò a lei brandendo il lungo manico di legno e glie lo appoggiò dietro, poi cominciò a spingerlo dentro.
Donatella urlò, dapprima per la sorpresa, ma subito dopo per il dolore.
Dejan, incurante di tutto ciò, continuava lentamente ma inesorabilmente il suo lavoro.
Si fermò quando ne rimase fuori solo un pezzetto.
La donna era completamente paralizzata, oltre al dolore, aveva paura che, se si fosse mossa, quel bastone conficcato dentro di lei, le avrebbe lacerato l’intestino.
Cominciò a toccarla.
Stranamente questo, invece di crearle maggiore apprensione, la tranquillizzò.
Pensò che se avesse anche goduto, questo avrebbe, allo stesso tempo, alleviato il dolore.
Bastò poco perché le labbra della sua vagina si aprissero.
Ora era completamente bagnata ed il clitoride cominciava ad irrigidirsi.
Il vecchio se ne era accorto e stava intensificando i suoi sforzi.
Donatella cominciò a muoversi, cercando le sue dita, affinché entrassero più in profondità.
Una fitta acuta le ricordò improvvisamente che aveva un bastone piantato profondamente nell’ano.
Faceva male ma lei voleva comunque muoversi.
Gridò, pianse, ma riuscì a farlo, riuscì a superare il dolore, perché voleva godere, voleva raggiungere l’orgasmo.
Il vecchio si fermò.
Maledetto, non voleva farla venire subito.
La lasciò lì, piegata a novanta gradi, su quel tavolo per una buona mezzora.
La sua vagina si era raffreddata ed il dolore causato dal bastone era tornato, più forte di prima.
Lo spinse un altro pezzetto dentro e Donatella urlò disperatamente.
Poi riprese a toccarla.
Ricominciò tutto da capo e si fermò come la prima volta.
La lasciò di nuovo riposare e poi ricominciò.
Stava impazzendo, voleva assolutamente raggiungere questo maledetto orgasmo, aveva la gola secca, i capezzoli così duri che le facevano male e la vagina così sensibilizzata che non riusciva più a ragionare.
Non ti fermare, ti prego, fammi venire, gridava dentro di sé.
Tolse le mani.
Maledizione, di nuovo, non è possibile.
Questa volta invece glie lo infilò dentro.
Donatella emise quasi un ruggito di soddisfazione.
Solo per un attimo fu sfiorata dal pensiero che dentro di lei c’era il cazzo di un vecchio brutto e sudicio.
Fu una cosa abbastanza rapida, per entrambi.
Solo quando il pastore uscì dal suo corpo, tornò il dolore causato dal bastone.
La lasciò ancora parecchio tempo sdraiata sul tavolo.
Cominciava a sentire freddo e la posizione era scomodissima.
Cercò di alzarsi.
‘giù, devi stare giù, non ho ancora finito’
Gridò il vecchio.
Cominciò a sfilarle il bastone. Faceva male ma se non altro significava che aveva finito, almeno sperava.
Errore!
Appena tolto il bastone, ci infilò dentro, subito, il suo pene.
Maledizione, lei, una donna ricca, bella ed importante, inculata da un sudicio vecchio straccione, per un paio di chili di carne di pecora.
Questa volta il vecchio durò di più, evidentemente la prima volta lo aveva un po’ stancato.
Le venne dentro, per bene, poi, appena uscito, svelto, le rimise a posto le mutandine ed il collant.
La fece subito alzare in piedi.
Donatella barcollò vistosamente ed il vecchio dovette sostenerla
Ora che era di nuovo in posizione verticale, sentì lo sperma che usciva copioso dai suoi buchi violati, inzuppando lo slip e le calze.
Dejan le slegò le braccia e poi le le mise in mano due buste, una con l’agnello ed una con i formaggi.
‘ora puoi prendere agnello, perché hai pagato, buona sera’
La mise fuori e richiuse la porta.
La mattina dopo Donatella in ufficio, mandò un messaggio al suo misterioso interlocutore.
Ci aveva pensato tutta la notte, poi aveva preso una decisione.
Non farò più niente per te.
Ieri hai passato ogni limite.
Quel vecchio orribile mi ha addirittura sodomizzato con un bastone.
Sono viva per miracolo.
Questa sera parlerò a mio marito, sicuramente sarà comprensivo.
In fin dei conti si tratta di una fesseria che ho commesso venti anni fa, quando neanche ci conoscevamo.
Da quando sono sposata con lui mi sono sempre comportata bene.
Addio.

La risposta arrivò subito, come se quel bastardo avesse previsto tutto e l’avesse già pronta.
Il problema per te, ora, non è uno stupido filmino di venti anni fa, ma, tutto il resto, molto più interessante e recente.
So benissimo come è andata dal pastore, perché avevo messo lì una piccola telecamera.
Le immagini sono venute benissimo: godevi e gridavi come una troia mentre ti scopava sul tavolo.
Quando avrò messo insieme tutto quello che ho (foto e video), tuo marito sarà profondamente consapevole di aver sposato un lurida troia, che va in giro mostrando a tutti il culo e la fica, che si masturba e piscia in pubblico, e, ciliegina sulla torta, si fa scopare ed inculare da un vecchio sudicio.
Mi servono solo un paio di giorni per mettere in ordine il materiale, poi faccio un bel pacco regalo.
A meno che ‘
‘ a meno che tu domani sera alle otto, non prendi un altro agnello.
A quell’ora è chiuso, ma se bussi, il vecchio ti apre senz’altro.
Sarà sufficiente che gli dici ‘quello dell’altro giorno mi è piaciuto moltissimo, vorrei un altro agnello, e, naturalmente, anche questa volta sono senza soldi’.
Ti conviene dire a tuo marito che vai a cena con un’amica, perché farai un po’ tardi.

E così Donatella tornò la sera successiva da Dejan.
Lui fu molto contento di vederla.
Provò a chiedergli di non usare di nuovo il manico dello sturalavandini, ma il vecchio fu irremovibile.
Andò tutto come il primo pomeriggio tranne per un particolare, verso le dieci, arrivarono altri due pastori, brutti e sudici come lui, ma molto più giovani, che ricominciarono tutto da capo.
Per prima cosa le conficcarono nuovamente il bastone nel culo.
Poi presero a scoparla a turno, più volte di seguito.
Solo quando Donatella non ne poteva proprio più, le tolsero definitivamente il manico dello sturalavandini e si dedicarono con impegno al suo culo.
Quando la lasciarono andare erano le tre passate.
Donatella era stanca, stordita, dolorante e confusa.
Solo una cosa le era ben chiara: per il futuro, qualsiasi cosa fosse accaduta, mai e poi mai avrebbe provato a ribellarsi a quell’uomo.

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