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Racconti di Dominazione

H.P. : the untold tale – parte 5

By 9 Aprile 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

I sensi di colpa iniziarono a farsi sentire già mentre scendeva i primi gradini delle scale, eppure ad Harshwood bastarono un paio di minuti per scendere ed abbandonare la sala comune, completamente vuota a parte un paio di ragazzini del terzo anno addormentatisi sulle poltroncine davanti al camino.

‘Cosa ho fatto?’
Il pensiero si faceva sempre più martellante e il giovane non riusciva a capacitarsi della propria stupidità.
In poche settimane, non solo era diventato amico di quelli che per molti a scuola erano idoli, ma aveva anche soddisfatto voglie da tempo tanto remote quanto perverse.
Che tutto ciò avrebbe avuto un prezzo lo aveva sempre saputo, eppure Tom si era sempre guardato dal porre limiti, confidando comunque nel loro buonsenso.
Ingenuità, questa, che col passare dei giorni aveva spinto Harry e Ron a trattarlo quasi come un semplice oggetto. Il tutto sempre (o quasi) in modo cortese, non poteva certo dire che lo trattassero male. Semplicemente, si erano talmente abituati ad essere serviti e riveriti da non notare più quanto lui si sfinisse per loro da mattina a sera, tutti i giorni. Riguardo alle serate, aveva ormai imparato a passarle in silenzio, la faccia spiaccicata nel buio sotto le loro piante sudate (se non sporche) o soffocata dal cotone bagnaticcio dei loro calzini. Per la colazione era anche peggio: in genere era lo sporco delle scarpe, leccato in fretta all’alba mentre dormivano. Prima o poi lo avrebbero scoperto, era solo questione di tempo.
A parte loro, non aveva alcun altro su cui poter contare. Non aveva fatto altre conoscenze e all’interno della sua Casa non era certo visto di buon occhio: a Serpeverde, un amico di Harry Potter era a dir poco un ospite indesiderabile.
L’istinto principale era quello di tornare indietro, finire il lavoro in sospeso e scusarsi in tutta umiltà, per poi riprendere il suo posto sul pavimento. Eppure, il dolore alla faccia pesta e l’unticcio dei piedi di quei due che ancora bruciava nelle narici gli ricordavano che non avrebbe potuto resistere ancora per molto, al massimo una settimana o poco più. La media dei suoi voti era già crollata e la stessa sorte sarebbe presto toccata anche ai suoi padroncini: sempre più stanco, Tom a malapena riusciva a finire i loro saggi.
Una volta diventato inutile, che ne sarebbe stato di lui? La loro strana amicizia sarebbe sopravvissuta?
Harshwood temeva troppo la risposta e si odiava per la propria codardia: non aveva lasciato neppure un biglietto, eppure a ciascuno di loro aveva portato via di nascosto un paio di calzini usati, non era neanche riuscito a separarsene.

Il ragazzo passò parecchio tempo vagando per i corridoi bui, quando decise di scendere nei sotterranei della sua Casa era ormai l’alba. Era deciso a recuperare le sue cose ed andarsene già di prima mattina, si sarebbe cercato un lavoro altrove. Del resto, si ripeteva, tutto quello che gli era successo era solo colpa sua.
Fatta la valigia, ficcò alla rinfusa le sue ultime cose nella tracolla che usava a lezione e diede un ultimo sguardo al proprio dormitorio, era pronto a partire.
Anche la sala comune dei Serpeverde era immersa del silenzio, tetra e pesante nell’arredo.
Nell’ambiente regnava un’atmosfera ovattata: la luce delle poche lampade presenti sembrava perdersi negli ampi tendaggi color smeraldo ed i passi di Tom risuonavano appena, attutiti dalla moquette.
Aveva percorso solo pochi metri quando improvvisamente, passando di fianco ad una poltrona, inciampò in qualcosa e finì maldestramente disteso sul pavimento. La tracolla cadde insieme al proprietario e si aprì, sparpagliando il suo contenuto tutto intorno. Confuso e dolorante, il giovane fece per rialzarsi quando un colpo secco sul fianco lo fece letteralmente piegare in due.

‘Bene bene … cosa abbiamo qui? Dove scappa il galoppino dei Grifondoro?’
Un altro ragazzo torreggiava su Harshwood, lo sguardo divertito mentre contemplava dall’alto la vittima cui aveva appena fatto lo sgambetto e tirato un calcio. Era un Serpeverde che Harshwood conosceva di vista, doveva chiamarsi Danny Peters o qualcosa del genere. Piuttosto alto e con le spalle larghe, aveva i capelli color nero pece e gli occhi insolitamente azzurri, tanto belli quanto freddi. A giudicare dal viso fresco, proporzionato ed estremamente attraente era più giovane di Tom, doveva essere del quinto o forse sesto anno.
‘Non sono affari tuoi … e non sono il galoppino di nessuno!!!’ sibilò furibondo Tom rialzandosi, anche se la menzogna lo fece avvampare. Quella situazione era semplicemente assurda, non si sarebbe lasciato maltrattare da un bulletto qualunque, non stavolta.
Peters non si scompose affatto, al contrario ridacchiò indicando qualcosa sul pavimento.
‘Se lo dici tu … a me sembri proprio il loro cagnolino e forse a giudicare da QUELLE non mi sbaglio ehehe’
Harshwood seguì il gesto con lo sguardo e sentì il cuore perdere un colpo. Tra le altre cose, dalla sua tracolla erano usciti anche i calzini lerci di Harry e Ron, dall’inequivocabile color scarlatto e ricamati ciascuno con un leone rampante.
Fu un attimo. Tom si scagliò coraggiosamente contro Peters in un impeto di orgoglio, ma bastarono pochi colpi di quest’ultimo per costringerlo nuovamente a terra. A quanto pareva, resistere era del tutto inutile.
‘lo sai, se proprio ci tieni posso anche pestarti e riempirti di calci fino all’ora di colazione …’ minacciò il ragazzo a voce bassa, mentre Harshwood lo fissava terrorizzato ‘ma non è questo che mi interessa … beh, non ora. Voglio solo sapere un paio di cose da te, poi potrai andartene … anche se dubito che lo farai …’
Detto questo, estrasse fulmineo la bacchetta e la puntò contro la nullità che aveva appena atterrato.
Un incantesimo Legilimens, tanto banale quanto perfettamente eseguito: del tutto impreparato, Tom si vide costretto a condividere i ricordi di ogni singolo gioco perverso degli ultimi anni mentre il suo aggressore se li gustava tutti in anteprima.
‘uuuh, davvero MOLTO interessante… schiavetto’ ghignò Danny alla fine, trionfante.
‘Io… ti prego…’ si ritrovò suo malgrado a piagnucolare Tom, in ginocchio e più disperato che mai ‘non devi dirlo a nessuno!’
‘Bah…’ Peters si chinò tutto serio, finché i loro visi non furono a pochi centimetri di distanza ‘penso che al massimo lo racconterò ad un paio di amici…’ vide l’altro sbiancare e ridacchiò ‘anche ad un altro po’ di gente, se decidi di andartene … ma lascio a te la scelta. A me basta che tu faccia solo tutto quello che voglio, non mi sembra molto ehehe’
Harshwood non disse nulla. Semplicemente, chinò il capo e sospirò solo ‘grazie’. Pur odiandosi per essere così arrendevole, consegnarsi ad un ragazzo tanto bello quanto determinato lo faceva sentire innaturalmente tranquillo. Tutto sommato, si disse, poteva andare decisamente peggio.
‘Bravissimo…’ commentò tutto contento l’altro, allungando una mano e scompigliandogli i capelli quasi fosse un simpatico animale domestico ‘meglio tornare a letto schiavetto, sarai impaziente di cominciare!’

‘uff… devo proprio alzarmi?’, si ritrovò a pensare Danny Peters al suo risveglio poche ore più tardi.
Il tepore delle morbide coperte che gli carezzavano il corpo nudo e la lingua del suo nuovo ‘amico’ che gli solleticava amorevolmente le estremità erano un piacere cui non voleva proprio rinunciare tanto presto.
Sorrise, tenne gli occhi chiusi e si lasciò coccolare per un’altra decina di minuti, poi quando fu soddisfatto diede un colpetto col piede. Sentì un leggero lamento, doveva aver colpito Tom al volto, eppure
passarono un paio di secondi che il giovane riprese a baciargli il tallone.
‘Hey, può bastare, sono sveglio … molto gentile!’ commentò sarcastico il ragazzo, quindi lasciò che l’altro si stendesse a terra, usandolo come scendiletto senza troppi complimenti. Tutto sommato, pensò, gli stava quasi facendo un favore: era una fantasia che Harshwood aveva da tempo ma non aveva mai avuto il coraggio di proporre ai suoi vecchi padroncini.
Tom lo seguì a quattro zampe fino alla porta del bagno, per poi distendersi davanti a quest’ultima.
‘Ecco qua’ fece Danny eccitato come un bambino, prendendo un paio di vecchie infradito e lasciandole davanti al volto del suo nuovo tappetino ‘io ora entro e mi faccio una doccia, quando esco voglio che siano tutte pulite, intesi? Se vuoi scendere a fare colazione con me, le scarpe le puoi sempre fare dopo in pausa pranzo ok?’
‘Quanto è bello visto da qui …’ si ritrovò a pensare con folle riconoscenza Tom, mentre Peters gli sorrideva, lo calpestava e si richiudeva la porta alle spalle. Per Danny, la pacchia era iniziata.

Aveva parecchio freddo.
Fu la prima cosa che Harry notò al suo risveglio, mentre la luce del mattino gli feriva gli occhi chiari.
Si era addormentato in poltrona, senza alcuna coperta addosso e ancora vestito con l’uniforme della sera prima, il mantello doveva averlo gettato da qualche parte appena rientrato in camera.
I piedi, nudi e appoggiati sul pavimento, non gli dolevano più dopo il trattamento notturno ma li sentiva gelidi come due pezzi di ghiaccio.
Un po’ impacciato, il ragazzo si stiracchiò, quindi diede un’occhiata all’orologio da polso che aveva appoggiato sul comodino. Sgranò gli occhi e imprecò.
‘Ron! Sveglia, muoviti, siamo in ritardo bestiale!’
Da dietro le cortine di velluto rosso emerse un suono indistinto, ma era chiaro che l’altro aveva capito.
Avevano già perso la colazione e se non si fossero dati una mossa sarebbero arrivati a lezione con un ritardo quantomeno imbarazzante. Eppure, notò Harry mentre si davano una sistemata alla meno peggio, c’era anche dell’altro che non andava nella stanza.
Nessuno li aveva svegliati, i vestiti del giorno prima non erano stati portati via e i loro appunti erano ancora sparpagliati sulla scrivania, senza essere stati riordinati. Per fortuna, almeno il loro saggi sembravano finiti, anche se un po’ frettolosamente a giudicare dalla scrittura.
‘Uff…’ borbottò con disappunto Ron mentre, ancora intontito, rovistava tra le sue cose ‘volevo rimettermi i calzini di ieri per divertirmi con Tom stasera, ma non li trovo! ‘
‘Dai, non fare il cretino’ lo ammonì l’amico, cercando di apparire almeno indignato o disgustato ‘abbiamo pure l’allenamento di Quidditch oggi pomeriggio!’
‘Lo so …appunto!’
Finirono di rivestirsi in pochi minuti, quindi uscirono dal dormitorio in tutta fretta. Anche ad Harry mancavano dei calzini e le scarpe di entrambi erano rimaste impolverate così come le avevano lasciate la sera prima.
‘Strano però…’ osservò poi Ron a voce bassa e con l’aria corrucciata, mentre camminavano spediti in un corridoio ormai completamente deserto ‘che il nostro amico abbia deciso di battere la fiacca ieri sera eh? Non ha fatto praticamente niente!!!’
‘è restato lì sotto per tre ore mentre dormivi, lo chiami niente?!?’ ribatté invece l’altro, stavolta con tono più deciso ‘… scommetto che nessuno starebbe al suo posto, nemmeno per mille galeoni!’
‘In effetti hai ragione’ si arrese il rosso con aria colpevole, quindi bisbigliò ‘spero solo di non averlo pestato troppo, non dice mai se gli dà fastidio e a volte mentre studio me ne dimentico…’
‘Tra l’altro’ aggiunse Harry, ora un po’ preoccupato per Harshwood ‘dopo che ti sei messo a dormire è rimasto due ore anche con me, avevo voglia di rilassarmi un po’… stavolta abbiamo proprio esagerato amico…’
‘Può darsi…’ commentò l’amico, sorridendo e alzando le spalle ‘ … tutti hanno bisogno di un po’ di riposo e qualche giorno di pausa se lo merita eccome, poveraccio … peccato non ce l’abbia detto prima però, sono un po’ in ansia per i nostri saggi, speriamo li abbia scritti bene come al solito!’
Erano arrivati, la porta dell’aula era già chiusa. ‘Già’ concluse Harry secco, la mano sulla maniglia e ora vagamente scocciato dalla piega che la giornata aveva preso ‘sarà meglio!’

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