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High Utility

Episodio 32

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Ogni respiro riempiva i polmoni e gli occhi di Flavia della polvere che copriva la colonna sporca e sbreccata, la superficie ruvida e fredda che sembrava volersi imprimere come uno stampo sul lato sinistro del viso della ragazza ogni volta che Vittorio, che le teneva ancora la testa bloccata contro il pilastro, le assestava un violento colpo di inguine, penetrando la sua figa non sufficientemente bagnato con il suo grosso cazzo. Un odore di sesso, tanto forte da sovrastare quello di putredine che imperava nel capannone, si sollevava dagli inguini dei quattro ragazzi presenti, tre in attesa del proprio turno per poter dare il bentornato alla puttanella che aveva creduto di poter fare a meno di loro, ma che a Flavia, nonostante avesse vissuto con loro per dei mesi, stava provocando un principio di voltastomaco.
Vittorio ringhiava nell’orecchio destro della ragazza epiteti e insulti, inframmezzati da pesanti complimenti sul suo corpo giovane ma modesto, sul sottofondo le incitazioni degli altri ragazzi a sfondare quella zoccoletta e le ironiche richieste di lasciarne un po’ anche per loro, oltre al suono di cazzi in tiro che venivano masturbati per non perdere l’erezione. Flavia si scoprì a chiedersi se, anche un mese prima, i quattro si comportavano così e la cosa le desse tutto quel disgusto… Ebbe un brivido nel pensare che Luca faceva la stessa cosa, bloccandole la testa nel cuscino e scopandola da dietro, appellandola con termini che non avrebbe ripetuto di fronte alla propria madre; ma questo succedeva dopo che lui le aveva dato un paio di orgasmi, e seguito da coccole e baci… Il brivido divenne lacrime che riuscì a stento a trattenere, sebbene il ritmo del suo fiato passò da quello della scopata di Vittorio a quello del dolore che le stringeva il petto.
La mano libera dell’uomo scivolò sotto la maglietta della ragazza, sollevandola un po’ e prendendo con forza un seno, palpandolo, stringendolo tanto che avrebbe lasciato il segno sulla pelle, come un marchio di infamia. Non era mai stato un grande amante, la ragazza dovette ammetterlo, nonostante l’avesse sempre attratta fisicamente, e anche quella volta si dimostrò quale era: i colpi di inguine divennero più lenti e profondi, dolorosi per Flavia che non riuscì a trattenere dei gemiti penosi, stringendo i denti.
– Fammi godere, troia! – le ordinò Vittorio, sebbene stesse facendo tutto lui, le parole smantellate in sillabe dall’orgasmo imminente.
La mano che la teneva contro la colonna abbandonò la pressione per stringere convulsamente la gola di Flavia e trattenerla contro il corpo del suo amante mentre un paio di schizzi di liquido si riversavano nel sesso della ragazza; lei trattenne appena un conato di vomito quando un odore acre si sollevò dal suo inguine, che le sembrò quello di calzini indossati durante una giornata afosa passata a camminare per delle ore. Chiuse gli occhi, cercando di non pensare a quante volte quel liquido biancastro e colloso era finito in qualche orifizio del suo corpo.
La prima scopata di quella festa di bentornata ebbe termine con la stessa solennità con cui era cominciata: Vittorio uscì da lei, incurante delle gocce di seme che schizzarono da qualsiasi parte e colarono sulle mutandine e pantaloni scesi all’altezza delle caviglie della ragazza, quindi le diede una spinta sulla schiena. Flavia si ritrovò a barcollare come un pinguino, o uno di quei carcerati dei vecchi film americani con i ceppi alle gambe, per non cadere a terra, ma lo fece comunque tra le braccia di Jago.
– Adesso fottiti anche loro – le impose Vittorio, come se la ragazza si fosse aspettata altro, strappando una risatina a Yuri.
Jago le mise una mano sulla testa, imponendole di inginocchiarsi, e subito lei si trovò i cazzi in tiro di lui e dell’amico davanti al viso; nessuno dei due dei mostri di lunghezza ma, in quel momento, con le cappelle gonfie e libere dalla pelle, che sembravano ondeggiare di fronte a lei come per distrarla e attaccarla, le parvero più letali di altrettanti cobra.
La mano che Jago aveva posto sulla sua nuca girò, imprimendole un movimento, ma per suo stupore non fu verso il suo cazzo che si trovò indirizzata, ma verso quello di Yuri. – Apri la bocca, puttanella – le disse.
Flavia, più che aprire, lasciò che la mascella calasse per effetto della gravità, poi sentì le dita delle mani del figlio del proprietario del capannone prenderle la testa e spingerla verso l’inguine di Yuri, il quale teneva ben puntato il suo uccello perché lei non avesse problemi a farselo finire in bocca.
Nemmeno Jago chiuse la bocca. Era incredibilmente logorroico, perfino Flavia lo riteneva uno che parlava troppo, e non perdeva l’occasione di far sentire la sua voce. E aveva una sorta di ammirazione verso Jago, verso la sua capacità di fare soldi partendo da zero mentre lui era il figlio di uno degli imprenditori più ricchi della zona ma non era in grado di tenere per tutto un giorno i soldi per fare il pieno alla Suzuki di seconda mano che usava come suo unico mezzo di trasporto.
– Ti piace il cazzo, vero, puttanella? – domandò il ragazzo, ironico. – Guarda come ce l’ha grosso il nostro Yuri… E gli piaci, lo sai? Oh, è fortunato a farselo succhiare da te: sono certo che se non stesse con quel pezzo di figa di Antonella, si metterebbe con te. Non saresti contenta, puttanella?
Nonostante avesse fatto sesso con tutti loro diverse volte, non si era mai sentita tanto in imbarazzo come in quel momento, nemmeno quando era stata lì la prima volta, scopata a turno sotto lo sguardo di tutti, anche di Natalia e di Alena. Mentre sentiva il cazzo di Jago scivolarle in bocca, la grossa cappella che premeva contro la lingua e il palato, l’accenno di profumo che si metteva sull’inguine che contrastava con l’afrore pesante di sesso che gravava su di loro, sollevò curiosa e confusa lo sguardo verso il volto allungato del giovane investitore di criptomonete. Le piaceva, non poteva negarlo, ma era troppo… affettava troppo una parvenza di raffinatezza che era distante anni luce dalla semplicità che apprezzava lei.
La cappella di Jago le arrivò in gola, insinuandosi tra le tonsille, restando per diversi secondi, poi le mani di Yuri le spinsero indietro la testa e percorse quasi completamente la lunghezza dell’asta al contrario. Di nuovo, Flavia si trovò calcata in avanti e, di nuovo il cazzo le sprofondò in bocca. Era una delle cose più strane e, allo stesso tempo, costretta com’era a fare un pompino a qualcuno controllata da un altro uomo, eccitanti che la ragazza avesse mai fatto. La pelle dell’uccello di Yuri che si strofinava contro la lingua, il glande che le riempiva la bocca di quel sapore di eccitazione prossima a esplodere in un orgasmo, le mani di Jago che la bloccavano in quell’atto iniziarono a fare effetto su di lei sotto forma di un leggero capogiro e stordimento. Chiuse gli occhi e, quasi cullata dal movimento della propria testa, lasciò che una mano raggiungesse la propria figa bagnata dall’orgasmo di Vittorio e cominciò a massaggiarsela, le dita che scostavano le grandi e piccole labbra, i polpastrelli che premevano sull’imbocco dell’utero che spurgava sperma. La ragazza iniziò a fare respiri profondi e lunghi, l’afrore pesante di eccitazione maschile e sua che riempiva le sue narici e la sua mente.
– Va’ che si ditalina, la zoccola – disse una voce scivolando attorno alla vaga coscienza che non le si era ancora spostata nell’inguine accaldato e bagnato.
– Aumenta la velocità, – ordinò un’altra, e sia la testa che le dita di Flavia cominciarono ad agitarsi con maggiore celerità, – non siamo qui a far divertire lei.
Il suono umido che accompagnava il pompino imposto e guidato divenne più forte, ogni movimento faceva colare saliva dalle labbra in lunghe bave piene di bollicine, che finivano sul braccio e sulla maglietta di Flavia e si mischiava con la sborra di Vittorio che stava schizzando sul pavimento lercio. Lo stato prossimo alla catatonia della ragazza si dissolse nello scuotimento del suo capo, nella forza che Yuri stava applicando alla sua testa, come se fosse stato lui a prenderci gusto e non lei o quello con il cazzo nella sua bocca.
In ogni caso, dopo qualche attimo, nonostante fosse il migliore dei quattro nel sesso e durasse più di tutti, Jago, a sua volta, appoggiò le sue mani sulla nuca di Flavia, scacciando in malo modo quelle di Yuri, poi spinse la testa contro il suo inguine. La ragazza sentì il cazzo riempirle la bocca, sembrando improvvisamente un viscido serpente che volesse intrufolarsi nelle viscere; l’ombra del panico cominciò a scuoterle il cuore, e fu sul punto di spingere via, o più correttamente, spingersi via da Yuri, quando questo cominciò a urlare che stava per venire. Un istante dopo, nella gola della ragazza si riversarono dei fiotti caldi e densi, che le andarono di traverso e le provocarono un attacco di tosse.
Forse più intimorito di ritrovarsi il membro morso dalle convulsioni della rossa, il ragazzo si sbrigò ad estrarlo dalle fauci di Flavia, gli ultimi schizzi che finirono sul viso che stava assumendo lo stesso colore dei capelli, e sulla maglietta.
Flavia non ebbe il tempo di riprendere fiato, gli occhi ancora chiusi e sperma che le usciva dalla bocca ad ogni colpo di tosse, che si sentì spingere da due mani, una su una spalla e l’altra su un seno, che non perse l’occasione di stringere più del dovuto, e che la bloccarono a terra, sul rettangolo di telone cellophanato ormai lurido quasi quanto il pavimento in cemento.
– Adesso tocca a me, puttanella – annunciò Yuri.
Quando Flavia aprì gli occhi, la vista ancora annebbiata per il velo di lacrime che le convulsioni le avevano causato, avvertì il lembo inferiore della maglietta sollevarsi sempre più, poi le mani afferrarla a metà e tirarla su completamente, ritrovandosi con una sorta di collana fatta di stoffa, il costato e il reggiseno in bella vista.
Jago si era seduto all’altezza del suo stomaco, che lavorava per sollevare anche il reggipetto bianco. – Mi sono sempre piaciute le tue tette – disse, mentre le scopriva, palesemente soddisfatto alla loro vista. – Non sono volgari angurie come quelle delle altre due troie.
Nonostante la situazione, Flavia provò una punta di soddisfazione nel sapere che, nonostante le poppe smisurate delle sue due compagne di orge, il suo seno poco prorompente venisse comunque apprezzato da qualcuno, sebbene fosse quel verme di Jago, arrivando anche ad ignorare l’ironico insulto che qualcuno mormorò sottovoce alla volta del ragazzo.
Un attimo dopo, lui appoggiò il suo cazzo in mezzo alle due seconde di Flavia, ve le strinse attorno con le mani e cominciò a fotterle, muovendosi avanti e indietro con il bacino, le palle che si appoggiavano sullo sterno della ragazza. A Flavia sembrò la sensazione più strana che avesse mai provato da tempo: non la migliore, ma di certo… per qualche motivo soddisfacente: la posizione, qualcuno che apprezzasse davvero le sue tette anche se era abituato a meglio, il calore del cazzo in mezzo al seno, il leggero solletico che i coglioni le facevano accarezzandole la pelle.
La cosa, comunque, non durò a lungo, e si concluse nel peggiore dei modi: Yuri venne in un attimo, le palle, piene di seme per aver visto due uomini scopare prima di lui, svuotarono il loro contenuto fetido, prodotto dell’alimentazione folle del giovane, sotto il mento della ragazza, impiastricciando di sborra il suo collo e, soprattutto, la sua maglietta e il reggiseno.
Non pago, Yuri passò la punta delle dita in una colata di seme e poi le mise tra le labbra di una Flavia disgustata, come se stesse aprendo i lembi di una ferita, incoraggiandola a succhiarle, nemmeno le avesse immerse nel miele o in qualche confettura di frutta, trovandovi i denti serrati. Lui insistette con le dita e lei dovette cedere, lasciandosi penetrare in bocca fino alla seconda nocchia.
Il ragazzo si alzò soddisfatto da lei, la punta del cazzo da cui pendeva una lunga filagna di sperma che sembrava la lenza trasparente di un pescatore con una camola bianchiccia che faceva il dondolo. – Brava, puttanella: per me sei di nuovo dei nostri.
Flavia si trattenne dal rispondergli, chiedendosi in che modo l’avrebbe accettata di nuovo nel gruppo l’ultimo rimasto, ma non le ci volle molto per scoprirlo: come Yuri si spostò, Diego apparve dietro di lui, in tutto il suo fisico da supereroe dei film e sguardo da supercattivo. Il lungo cazzo in erezione, che sembrava delle dimensioni dell’asta da cui avrebbe sventolato una bandiera strinata e con qualche buco al termine della pellicola, dopo che i buoni avessero vinto con gravi perdite, sembrava puntare verso l’alto quasi con un’arroganza.
L’ultimo suo amante, che nel caso di Diego perdeva ogni sfumatura romantica, si accosciò senza una parola, le afferrò le ginocchia e la sollevò come se avesse avuto il peso di una piuma. Flavia si trovò con le gambe alzate sempre più, il sedere che si staccava da terra e poi anche la schiena, il movimento troppo improvviso e lei troppo confusa per emettere qualcosa di più articolato di un gemito di sorpresa; Diego fece un paio di passi avanti, strinse entrambe le gambe contro il petto massiccio con un solo braccio e la ragazza si trovò appoggiata al telone solo per le spalle e il collo, sempre più disorientata e, di secondo in secondo, più dolorante.
Qualcuno dei presenti rise, qualcuno batté le mani divertito a quello spettacolo, come se si fosse aspettato qualcosa di più tradizionale ma apprezzasse il numero di destrezza.
– Finalmente posso scoparti di nuovo, troietta – disse Diego, con la sua tipica voce, da cui sembrava gli fosse impossibile cancellare quella nota di rabbia verso il mondo intero.
Flavia, letteralmente a testa in giù, cercò qualcosa con cui ribattere, ma le sembrò che nessuna parola le potesse risalire fino alla bocca a causa di un attacco di panico che stava per travolgerla. Sentì due grossa dita aprirsi una strada tra le labbra del suo sesso, poi irrompere nel suo utero dandole la sensazione che vi avessero inserito un gancio da macellaio. Tra le chiappe, il grosso cazzo di Diego si muoveva come se stesse mirando qualcosa, ma erano le due dita a muovere il bersaglio e metterlo in posizione, facendo pressione all’interno della figa della rossa, che a stento tratteneva grida di dolore. Quasi nemmeno si accorse che la cappella stava baciando l’orifizio tra i suoi glutei fino a quando, con un colpo dei bacini di entrambi, Diego non sprofondò nel retto di Flavia. La ragazza si ritrovò con gli occhi sgranati e la bocca spalancata, nonostante il fiato le fosse rimasto bloccato nei polmoni.
Un coro di acclamazioni si alzò dal resto del gruppo, stupito e divertito alla vista di quanto stava facendo il loro amico, ignorando completamente cosa stesse subendo, in realtà, la ragazza. In seguito, Flavia avrebbe pensato che solo il fatto di aver appena goduto di un orgasmo impedì a quei tre stronzi di spararsi una sega e venirle sul suo corpo messo in una posizione tanto scellerata.
Le due dita di Diego all’interno della figa non fecero nulla a parte tenere immobile il bacino della ragazza, tenendo aperto il canale e lasciando maggiore libertà alla sborra di Vittorio di colarne fuori e scivolare sul basso ventre di Flavia, mentre i venti e passa centimetri del cazzo affondavano nel retto, le palle che sbattevano contro i glutei e i peli ricci provocavano un fastidioso, molesto prurito nello spacco. L’uomo era inclinato sopra Flavia, e ogni lungo, doloroso, estenuante affondo spingeva le spalle della ragazza contro il pavimento, i cento e più chili di muscoli e rabbia di Diego che si scaricavano sulla metà di lei, che si dimenava, cercava una posizione meno atroce, stringendo i denti e gli occhi, dimentica di dover respirare.
– Brava, zoccola, fammi divertire – la sbeffeggiò il bastardo, sogghignando, prendendo più saldamente le gambe che si muovevano come se stessero cercando di bloccare un crampo al suo insorgere. Piegò la testa a destra per non essere colpito sul volto da un piede ancora nella scarpa.
Flavia sentiva la colazione bloccata nello stomaco, pronta a uscire dalla parte sbagliata come se il cazzo che le riempiva l’intestino la stesse pompando fuori, e in quel momento sembrava avere le dimensioni di un braccio. Le sfuggì un gemito che non avrebbe saputo dire lei per prima se di dolore, disgusto o disperazione, incapace di estendere la propria coscienza oltre a ciò che stava succedendo nel suo culo e alle sue spalle. Se fino a quel momento la sensazione di aver lasciato Luca aveva vagato nella sua mente come l’ombra di un rapace in cielo, che volteggiava attorno all’illusione di aver fatto la cosa giusta, come se non ci fosse stato altro da fare per sfuggire all’insoddisfazione e al veleno di quella serbe di Giada, in quel momento la consapevolezza di aver fatto la peggior cazzata della sua vita divenne folgorante quanto il sole, dolorosa come un infarto.
Flavia aprì la bocca per implorare che tutto finisse, che la lasciassero andare via, mezza nuda e sporca di sborra di quattro bastardi, vittima del biasimo di chiunque, per tornare da Luca, per pregarlo di perdonarla… Ma non riusciva a emettere nulla che fosse differente da un gemito modulato sulle spinte di Diego, un suono che alle sue stesse orecchie sembrava quello di una valanga che spazzava via tutto, lasciando solo un deserto di desolazione e afflizione.
Improvvisamente, l’uomo cominciò a gemere a sua volta, i colpi più lenti e profondi, per quanto possibile. Il senso di disgusto che aveva preso alla gola Flavia divenne ancora più pressante, quasi fisico, finché non si accorse che il cazzo si era letteralmente fermato dentro di lei. Il pensiero che si fossero incastrati, che la bestia che la stava scopando restasse dentro di lei la infiammò di puro panico… l’immagine di loro due nudi, ancora in una posizione simile, in un pronto soccorso, sotto lo sguardo di medici, infermiere e sua madre con accanto Luca, fu la cosa peggiore che le fosse mai passata per la mente. Sentì le sue viscere sciogliersi, una mano gelata passarle sulla schiena e stringerle i seni. Poi lui lanciò un grido e lasciò la presa.
Il cazzo che uscì dal suo retto le fece credere di scoprire cosa provasse una bottiglia quando veniva stappata, un corpo estraneo che le veniva strappato dall’intestino. Non piombò a terra solo perché le gambe di Diego le bloccarono la caduta, facendola piuttosto scivolare sulle spalle fino a quando, piena di segni per lo sporco sul telone, non si ritrovò sulla schiena, sconvolta. L’uomo, come a infierire ulteriormente, mise un piede sulla pancia della ragazza, nemmeno fosse un animale abbattuto nelle savane africane, e, afferrato il proprio uccello, lo scosse, lanciando gocce di sborra che finirono ovunque, soprattutto sul corpo di Flavia, che cercò di proteggere il viso ponendogli davanti un braccio, riuscendo solo a strappare una risata allo stronzo.
Flavia lasciò cadere il braccio sopra i propri occhi per nascondere agli altri le lacrime di disperazione che stavano per scorrerle lungo le gote, ingoiando i singulti che cercavano di uscire dalla gola chiusa dolorosamente.
Nessuno attorno a lei sembrò rendersene conto, o per lo meno dimostrò di dare peso a cosa stesse accadendo nell’anima della ragazza: qualcuno sostenne che era felice che fosse tornata, qualcuno ribatté che non aveva dubbi che sarebbe successo.
Quando la voce di Vittorio risuonò nel capannone, tutte le altre tacquero. – Bentornata, Flavia – disse, ma non c’era calore in quelle parole. – La tua figa ci è mancata.
– Anche il buco del tuo culo – aggiunse Diego, soddisfatto.
Nessuno aggiunse altro. Non uno l’aiutò ad alzarsi, non uno spese una parola gentile per lei. Chiusa nel suo bozzolo di disperazione, Flavia li sentì muoversi, probabilmente vestirsi, poi uscire in pochi attimi, mentre si sentiva morire dentro.
Restò lì, senza muoversi forse per ore, sperando di capire cosa avesse fatto, come avesse potuto buttare via tutto ciò che di bello la vita, sua madre e Luca avevano fatto per lei. Per un lungo momento sperò che un terremoto facesse crollare il capannone su di lei, facendola sparire dalla faccia della Terra.
Si alzò infreddolita, disgustata e, non solo fisicamente, sporca, dai quattro stronzi e soprattutto da sé stessa. Il seme dei ragazzi, ormai secco, che si sgretolava in scaglie biancastre quando si muoveva, copriva un po’ ogni parte del suo corpo e disgustose macchie marchiavano i suoi abiti stropicciati e sporchi di polvere. Si strinse le gambe al petto, gli occhi ormai incapaci di riversare nuova disperazione sul suo volto sfatto.
Con uno sforzo più mentale che fisico, si alzò in piedi, raggiunse la colonna e infilò la mano nella tasca della giacchetta, dove le sue dita strinsero il suo Alcatel. La sensazione che le causò il toccare il cellulare fu simile a quella di mettere le dita su una bomba spenta, che sarebbe detonata una volta che avesse acceso l’apparecchio. Il senso di vuoto che le aveva stretto lo stomaco durante quella mostruosa scopata fu nulla rispetto a quello che sorse mentre premeva il tasto di avvio.
Distolse lo sguardo quando la torma di icone sullo schermo fece la sua comparsa, la foto felice di lei e Luca in un selfie scattato qualche settimana prima fu un coltello piantato nel cuore. Avviò WhatsApp, aprì la chat con il ragazzo che aveva appena tradito e abbandonato e, serrando le palpebre per non vedere i messaggi che lui le aveva mandato mentre era via, digitò senza nemmeno guardare la tastiera grazie ad anni di pratica.

Flavia
Non ci possiamo più vedere

Chiuse la chat, bloccò il numero dell’unico ragazzo che l’aveva amata, e poi scoprì che i suoi occhi avevano ancora lacrime, molte lacrime, e le sue grida echeggiarono tra le mura e le colonne di quell’antro di disperazione.

Continua…

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