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Racconti di Dominazione

I primi passi

By 12 Maggio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Era tantissimo tempo che Michela rimuginava su questa cosa. Non era mai stata molto decisa nella vita, tantomeno su una cosa del genere. Qualche anno prima si era iscritta su un forum, un forum particolare, inizialmente convinta a offrirsi come candidata, ma rinunciando sempre quando il cursore si avvicinava al fatidico tasto “post reply”.

In fondo ci voleva un notevole coraggio per offrirsi come schiava a una perfetta sconosciuta.

Aveva sempre apprezzato le ragazze dal temperamento forte, decise e autoritarie. Non che fosse lesbica, semplicemente, sin da quando era piccola, più che un amica, cercava qualcuna che le dicesse esattamente cosa fare, come farlo e senza un necessario motivo. C’era la madre, ovvio, ma solitamente era “troppo mamma” e le lasciava comunque la facoltà di scelta, benché, qualche volta, abbia pensato pure a lei come dominatrice.

Con l’adolescenza aveva maturato un idea di amica ideale, una ragazza che potesse seguire ovunque, ma stando in disparte, ascoltandola e lasciando a lei le decisioni più pressanti. Questo semplice desiderio, con il passare degli anni, divenne una vera e propria ricerca sfrenata. Veronica, la sua amica di infanzia, aveva per un po’ incarnato il suo ideale, ma era stata rimossa come candidata in quanto, forse per gli anni di amicizia, la trattava ancora con troppo riguardo.

Quella di cercare su internet una “padrona”, o “mistress”, come alcune volevano essere definite, era una cosa molto azzardata. Ciò che aveva visto la eccitava molto ,ma non credeva avrebbe tollerato mentalmente umiliazioni fisiche di portata così ampia. Vero, si era masturbata su qualche immagine, soprattutto se inerente al trampling o al bere urine, ma mai si era immaginata al posto di quelle schiave.

Una sera, dopo un bicchiere di vino e un pianto consolatorio per la fine della sua storia con Federico, decise di pubblicare finalmente quel post che teneva da quasi un anno in un file word accuratamente nascosto;

 

“Ciao, mi chiamo M. Sono una ragazza alle prime esperienze e desidererei trovare una padrona decisa ma gentile, disposta ad addestrarmi e, eventualmente, castigarmi. Sto cercando una donna tra i 20 e i 50 anni alla quale dedicarmi completamente.

Vi ringrazio infinitamente, per favore astenersi uomini”

 

Era una frase semplice e veloce, ma che aveva portato via a Michela diverse ore di lavoro. Assurdo, pensò una volta completata.

Rimase sveglia diverso tempo con il pc acceso, ma, a parte un uomo che si offriva volontario per usarla come una “puttanella sudicia che merita di essere punita”, nessun altro scrisse.

Il giorno dopo, tornata dall’università, andò a controllare le mail e vi trovò diverse notifiche di risposta. “incredibile…” pensò. “già 7 risposte in una giornata!”.

I contenuti erano però deludenti.

4 erano uomini, 1 una donna di sessant’anni praticante BDSM da quando ne aveva 18 e infine una ragazza che, dalle foto del suo profilo, sembrava pesare 90 kg.

Tra le risposte, solo una spiccava tra le altre. Una donna, 35 anni, dal linguaggio cordiale e garbato. Visti i precedenti, non sapeva che aspettarsi e decise di andare a dare un occhiata al suo profilo. Era un sito fatto veramente bene; se una persona ti abilitava, potevi accedere alle sue foto e, per regolamento interno, dovevano esservene almeno tre complete, e a volontà su particolari fisici a scelta. Ovviamente potevi oscurare il viso, come aveva fatto Michela, ma solo i più imbarazzati lo facevano. Le foto della ragazza erano piuttosto belle; era magra, ben proporzionata e con un seno prosperoso, una quarta forse. A suo confronto, Michela si sentiva un po’ bruttina. Non era molto alta, raggiungeva a malapena il metro e settanta, inoltre, nonostante giocasse a pallavolo, manteneva un filo di pancia intorno alla vita. Aveva occhi marroni e capelli castani con denti bianchi e regolari, andando a formare complessivamente un viso molto carino. Le altre foto della donna erano anche meglio della prima; il viso era opacizzato, forse perché anche lei piuttosto in imbarazzo, ma si vedevano dei lunghi capelli castani lisci fino ai fianchi. Il seno, stretto in un push up attillatissimo, sembrava stesse per scoppiare, quasi come la cucitura dei pantaloncini di jeans inguinali che indossava. L’attenzione di Michela però cadde ai piedi della donna; aveva delle bellissime decolté nere, molto classiche, in vernice, con un tacco a spillo sottilissimo in metallo di almeno, stimava lei, 11 cm. La foto successiva, la terza intera, vedeva sempre lei, in piedi e appoggiata con una mano allo schienale di una sedia con indosso un abito da sera nero, molto serio e elegante che le evidenziava il seno formoso e i fianchi snelli, esaltando la sua altezza e slanciandola ancora di più. I capelli le cadevano ai lati della faccia, che lasciava intravedere un sorriso mentre guardava verso terra, ai suoi piedi. Sul pavimento, schiacciato sotto delle decolté nere di pelle, aperte ai lati e fissate alla sottilissima caviglia da tre laccetti neri, con un altro vertiginossissimo tacco a spillo, vi era un orsacchiotto di peluches, sformato dal peso della ragazza che, con apparente piacere, lo calpestava.

Le immagini successive erano principalmente foto delle gambe della donna, piedi inclusi, in ognuna con un paio di scarpe diverse e, occasionalmente, altri oggetti calpestati. In una, delle graziose zeppette con tacco in legno schiacciavano una barbie, un altra vedeva delle scarpette gotiche calpestare a piè pari un bambolotto, altre avevano come soggetto fotografie, candele, frutta e cibi tutti brutalmente malformati dal peso della donna e, talvolta, perforati dai tacchi.

L’ultima immagine era una semplice scritta a sfondo nero: “Se sei arrivata fino a qui, forse sei interessata… no?”

Michela, paonazza in volto e piutosto eccitata, corse sul suo profilo, maledicendo la lentezza della sua connessione, per permettere alla ragazza di vederla. Una volta abilitata però, si rese conto di aver inserito solo una sua foto in costume, piuttosto pietosa a dire il vero, e due foto di serate con amici, una a casa sua, mentre indossava un audace mini e una fuori, con indosso un cappotto. Decisamente penose rispetto a quelle della donna sulla quale desiderava far colpo. Inoltre Michela sapeva che avrebbe dovuto puntare sul suo viso, non certo sul suo fisico (benché fosse in possesso di un seno di tutto rispetto) e rimase in paranoia per tutto il tempo. Si consolò salvando le foto appena guardate a facendo scivolare la mano in mezzo alle gambe, ormai già bagnate.

Nella sua mente erano già insieme, e la donna ancora senza volto la osservava con quel bel sorriso della foto dall’alto, mentre lei, sdraiata sula schiena, la accoglieva in casa.

“P…Prego…” diceva timidamente Michela.

“grazie mille…” rispose girandosi la donna, appoggiando la borsetta sul tavolino in parte all’ingresso. Meravigliose decolté le avvolgevano il piede, le stesse che avevano calpestato il peluches e che, se glielo avesse concesso, avrebbero calpestato anche lei. Il tacco 12 ticchettava ritmicamente, mentre piano la donna si avvicinava al corpo sdraiato della ragazza.

“mmmh… vediamo un po’… credo che questo sia lo zerbino…” l’indice di Michela, ormai impossibile da fermare, le masturbava il clitoride tanto da farla impazzire.

“beh, pare proprio dovrò usarti!” Disse la donna con il suo stupendo sorriso, fermandosi all’altezza del petto di Michela.

Lentamente sollevò il piede, portandolo all’altezza dello stomaco. “Farà male… te lo prometto”.

Con la stessa lentezza, il piede calò sulla pancia dello zerbino, iniziando dapprima a pigiare con la suola, poi appoggiando anche il tacco. Mano a mano che la pressione aumentava, il viso della piccola schiava si faceva sempre più rosso. La sadica donna non smise, anzi, godette di quel suo dolore, continuando a premere sempre più. Schiacciava la schiava come se schiacciasse uno scarafaggio, il più lentamente possibile. Infine, salì con tutto il peso sulla pancia di Michela, che, già dolorante, si lasciò sfuggire un gemito di dolore.

Venne. L’inebriante sensazione dell’orgasmo attraversò tutto il suo corpo, dal clitoride irradiò come un sasso buttato in acqua tutto il corpo e tornò indietro, dandole forse uno dei più begli orgasmi della sua vita. Ma non finì. La donna era ancora li, e il dito di Michela non si fermava.

Salì con l’altro piede sul petto della schiava, graffiandole il seno con il tacco in ferro e facendole lanciare un altro gemito di dolore. “ssst…” fu l’unico commento. “Più ti lamenterai, più diverrò crudele…”. Michela cercò di tapparsi la bocca. La padrona, dopo aver osservato accuratamente il suo nuovo zerbino ed averne valutati gli utilizzi, si decise e fare quello per cui l’aveva comprato. Iniziò con il piede sinistro, quello sull’addome. Strofinò prima la suola cinque o sei volte, facendo attenzione ad inclinarla bene per pulire anche sui lati, poi, come se schiacciasse una sigaretta, fece strofinare il tacco sulla schiava. “Uno zerbino non si lamenta… tu cosa sei?”

“U…Uno zer… bino…” rispose con voce strozzata Michela. “Brava, quindi fai pulire alla tua proprietaria le suole delle scarpe, ok?” e mentre diceva questo, sempre con il suo meraviglioso sorriso, cominciò a pulire la suola della scarpa destra, usando il seno della schiava come base. Il tacco fu atroce, ma non sembrò creare particolari problemi alla padrona. Graffiò il petto alla ragazza, che a stento riuscì a non urlare.

“oh, a quanto pare dovrò applicare la mia regola…” disse in tutta risposta la donna.

Mantenne fede alla sua parola. Con un piede sulla pancia e l’altro sospeso, schiacciò brutamente e con violenza il seno della giovane donna facendola gemere e urlare per tutto il tempo. La suola ruvida strofinava sul capezzolo graffiandolo e ferendolo, ma incurante la punizione procedeva, finché la donna non si fermò.

Per cambiare piede.

Si accanì per quasi venti minuti sul seno della schiava, ogni tanto schiacciandolo con la suola, ogni tanto con il tacco. Michela avrebbe potuto alzarsi, ma non voleva. Aveva finalmente quello che desiderava; una donna forte che la usava e la umiliava, seguendo i suoi capricci e i suoi desideri… Quando la padrona finì, il viso imperlato di sudore, si mise in piedi sulla pancia di Michela, osservando la sua opera. Stava schiacciando senza pietà una ragazza in lacrime, che giaceva supina sotto le sue decolté preferite. Il suo seno, livido e graffiato, era la prova che quella ragazza, ora, era la sua miserabile schiava e che ne avrebbe potuto fare quello che più desiderava.

Come quello che aveva in mente da un po’.

“ora buona, potrei perdonarti per tutti quegli urli, se ora fai la brava.”

Michela non rispondeva, si limitava a piangere e a fare cenno di si.

“bene…” disse la bella donna, togliendosi i pantaloncini di jeans e sfilandosi il tanga rosa.

La vagina rosa perfettamente depilata della padrona si avvicinò sempre di più alla sua faccia, alla bocca. “Ora… ingoia tutto, se ci riesci!” disse ridendo e riempiendole la bocca di urina.

 

Quello che venne, fu quello che Michela definì nel suo diario come “il più bell’orgasmo della mia vita”. 

 

Era ormai tanto che la ragazza aspettava una risposta. Aveva pure preso coraggio e aveva postato sul sito due nuove foto; una fatta al mare, in cui si vedeva il suo viso e che, comunque, era già online sul suo account facebook, l’altra invece, la ritraeva sul suo letto, con un tanga e senza reggiseno. Aveva fatto migliaia di foto, in alcune anche in manette (comprate diverso tempo prima) e alla fine aveva scelto quale inserire. Ora sperava solo che la donna le guardasse. E che facesse colpo.

A quasi una settimana di distanza, finalmente, un messaggio da Mis81.

“Ciao, ti rispondo solo ora perché non guardo spesso questa mail. Sarei interessata ad incontrarti.”

E allegata, una foto della donna in jeans e maglietta completa di viso. Era davvero bella, quasi finta, pensò. Aveva un visino sottile, trucco nero, piuttosto pesante che le allungava due bellissimi occhi verdi. Rendeva giustizia al suo fisico.

Rimase quasi due ore davanti al pc, scrivendo e cancellando continuamente la sua risposta. Darle del lei? Del tu? Chiederle qualcosa? Chiamarla padrona, come molte pretendevano? Era completamente nel pallone, doveva fare moltissime scelte e lei odiava prendere decisioni. Alla fine, in linea con il suo carattere e il suo modo di scrivere, optò per la semplicità.

“Sono contenta mi abbia risposto, sarei anch’io molto contenta di conoscerla, magari uno di questi pomeriggi.”

Voleva anche specificare il dove e il quando, ma non sapeva che fare.

Viveva in un piccolo appartamento in centro, piuttosto lontano dall’università (era fuori città) ma molto economico e tranquillo. Invitare già li al primo incontro la donna sarebbe stato eccessivo, pensò, quando all’improvviso il suo flusso di pensieri venne interrotto.

“Mis81 vuole parlare con te in chat.”

il piccolo pop-up lampeggiava sulla destra dello schermo quasi ammiccando.

Clic. Si aprì la schermata.

Mis81: “ciao”

Mis81: “Ti ho vista connessa e ho pensato di contattarti via chat, almeno parliamo più facilmente…”

Ci volle un po’ perché realizzasse, pensasse, scrivesse e rispondesse.

kimi: “si figuri, ha fatto bn!”

Mis81: “per favore niente abbreviazioni… non sono abituata!”

kimi: “mi scusi…”

Mis81: “Allora, quando saresti libera? Pensavo in un posto tranquillo, senza troppi ochi indiscreti”

kimi: “mi trova d’accordo, io potrei uno di questi pomeriggi”

Mis81: “dammi del tu finché non stabiliamo qualcosa, vuoi? Potremmo fare domani, in un piccolo bar in via garibaldi, che dici?”

Kimi: “sarebbe perfetto, a che ora?”

Mis81: “alle 18 va bene?”

kimi: “perfetto, allo STAR?”

Mis81: “ottimo!”

kimi: “a domani allora!”

Mis81: perfetto, a risentirci!”

Mis81 si è disconnessa.

 

Michela fissò la chat per un minuto intero, incantata. “ok, hai preso appuntamento con una persona che non conosci in un posto che ogni tanto frequenti con i compagni dell’università per discutere se preferisci farti calpestare, urinare addosso o frustare…” Il suo lato razionale era terribilmente fastidioso. Qualcosa, dai recessi della sua mente, semplicemente esultava.

Finite le lezioni, tornò a casa di corsa. Erano le 16, sarebbe riuscita a farsi una doccia, lavare i capelli, vestirsi e farsi trovare al luogo dell’incontro per le 17,30. Perfetto.

Cercò di non correre e di non agitarsi dopo la doccia, ma le riuscì più difficile che in altri casi. Alle 17.20 era già impalata davanti al bar.

Si sedette ad un tavolo, con una coca. Passarono solo dieci minuti, ma a Michela sembrarono un eternità.

La donna entrò, quasi una visione celestiale. I capelli biondissimi le scendevano sino alla vita, gli occhiali da sole le nascondevano parzialmente il viso. Una maglietta a maniche corte attillatissima strizzava il seno prosperoso e i jeans a vita bassa lasciavano intravedere un tanga nero sottilissimo ad ogni passo. Ai piedi, scarpe aperte, su un tacco vertiginoso (12 cm minimo), ticchettavano ritmicamente sul pavimento di mattonelle blu.

Tutti avevano gettato almeno uno sguardo. O Due.

Michela rimase paralizzata, nascosta dietro al bicchiere, senza rendersi conto che era proprio lei che quella bellezza cercava.

Non le piaceva nel senso di attrazione sessuale, ma le ispirava… autorità. Era quello che infondo le sarebbe sempre piaciuto essere, ma non aveva mai voluto nemmeno immaginare. Una bella donna che fa voltare gli uomini, una specie di femme fatale, dalle cui labbra tutti pendono, uomini e donne, facendo esattamente quello che lei chiede, anzi, ordina.

Non si accorse minimamente che l’aveva vista e che si stava avvicinando.

“Qualche ripensamento?” chiese una volta arrivata.

Michela paonazza, negò vigorosamente con la testa.

“Meno male!” esclamò la bionda. “Mi chiamo Cristina!”

“Michela… piacere” disse, quasi borbottando.

“Siamo parecchio in anticipo eh?” disse con un sorriso smagliante.

Cristina si avvicinò “a dire il vero” sussurrò, “sono rimasta completamente nel pallone fino ad un secondo prima di entrare qui! Non avevo mai fatto qualcosa di simile!”

Michela si sentì come un vincitore del premio nobel non appena sente il suo nome. “haha! Nemmeno io credimi, ho il cuore a mille da ieri pomeriggio e non ho dormito per niente!”

Le due risero, in qualche modo avevano rotto il ghiaccio.

Parlarono quasi per un ora, prima in generale, poi avvicinandosi al motivo dell’incontro. Si resero conto di avere un idea molto simile del rapporto che desideravano. Michela, voleva “giocare”, non avere una relazione completamente BDSM, avere quello sfogo che potesse farla staccare completamente dalla vita di tutti i giorni. Cristina, dal canto suo, aveva parecchie preoccupazioni tra lavoro e vita di tutti i giorni e voleva qualcuno su cui sfogarsi. Non mobbing o cavolate simili, cercava qualcuno come Michela, una schiava. Era uno strano rapporto simile a quello che hanno certe persone. Ci si incontra, si fa sesso, fine, amici come prima, solo con qualche endorfina libera in più.

Alla fine, Michela pagò il condo asserendo che “era giusto così” e invitò Cristina a casa sua per parlare più tranquillamente.

Le due donne entrarono nel piccolo monolocale. Dalla porta si poteva vedere tutta la casa; un salotto con angolo cottura e un tavolo, un passaggio senza porta che portava alla camera da letto e, subito sulla destra, una porta chiusa.

Decisero di rimanere in salotto sul divano. Michela, dopo aver portato un bicchiere d’acqua e senza pensarci, si sedette in terra sul tappeto, appoggiata al tavolino di legno.

“Bene, veniamo al motivo di questo incontro, direi” disse calma Cristina.

“si…”. Non sapeva da cosa cominciare, ma fortunatamente la donna era sufficientemente spigliata da prendere la parola anche su un argomento così spinoso.

“allora, direi di iniziare a mettere dei paletti e ad esprimere preferenze… ok? Prego.”

“beh…” non aveva mai pensato molto all’universo BDSM in effetti. Anzi, non ne sapeva quasi nulla.

“ok ok… inizio io. Innanzitutto voglio che tu ubbidisca. A tutto, senza condizioni, sempre rispettando i paletti. Se mi dici no una volta, ripeterò l’ordine. Due volte, me ne vado.” Michela si sedette composta.

“Secondo, voglio che ti prenda cura delle mie scarpe. Dovranno sempre essere impeccabili. Alcune le comprerò giusto per te, così potrò provare il piacere di vederti mentre mi lecchi le suole. Terzo, più importante, ti schiaccerò più e più volte. Domande?”

Michela era rimasta muta per tutto il monologo. “no… io… beh, vorrei prendermi cura delle sue calzature e poterle… beh… leccare mentre le indossa.”

“accordato.” la interruppe la donna.

Si prese coraggio. “ poi vorrei essere calpestata… quante volte vuole… e… se non la infastidisce, magari…”

“Per altro, vedremo se lo meriti!” la fermò ridendo. “e chiamami padrona.”

La donna si alzò in piedi. Le scarpe affondavano nel folto tappeto. “baciami i piedi.”

Michela, titubante, si chinò. Da vicino erano ancora più belli. Iniziò dapprima con piccoli baci, poi con crescente enfasi. Il ridacchiare della padrona tradiva soddisfazione.

“ora lecca, ma solo i laccetti…” sembrava un test di abilità per cani. Smise di baciare la bellissima pelle e tirò fuori la punta della lingua. Iniziò da quello più vicino a lei, quello che passava sopra le dita. Fece scorrere la lingua lungo tutto il laccio, da una cucitura all’altra. Passò poi all’altro. E quello dopo. Ad un tratto, un dolore lancinante alla mano le strappò una smorfia di dolore. Con la coda dell’occhio, vide il piede della sua padrona schiacciarle la mano destra, strofinandola come a spegnere una sigaretta.

“Ho forse detto lecca il piede? No, solo i lacci. Sei stupida schiava?”

“Mi perdoni…” mormorò Michela soffrendo.

Cristina, godendo al solo pensiero della mano schiacciata sotto la sua suola, decise di spostare il peso sulla gamba sinistra. “Continua.” disse secca, palesando il suo piacere nel vedere le sofferenze della ragazzina che le leccava con tanta dovizia le scarpe.

A Michela sembrava si stessero frantumando tutte le ossa. Per qualche motivo, forse divertimento, o forse punizione, la padrona aveva buttato tutto il peso sul piede che le stava stritolando la mano. Era più pesante di quanto non immaginasse. Riprese a leccare, facendo molta attenzione.

Dopo due minuti, la padrona si mise seduta. Dopo venti, decise che poteva bastare.

“non immaginavo la saliva avesse un effetto così portentoso sulla pelle delle scarpe!” in effetti i cinturini erano perfettamente lucidi. “devo ammetterlo… a parte quell’errore, sei stata brava…”

la mano doleva.

“Grazie padrona.” disse Michela.

“potrei…”

“cosa?”

“i tacchi, signora.”

il viso di Cristina si illuminò. “desideravo me lo chiedessi” poi, fingendo disinteresse “prego…”

Michela, stranamente, si alzò. “che fai?”

Prendendo una sedia e appoggiandola sul tappeto, sorrise “prego, padrona.”

Era entrata nel ruolo e nella sua testa c’era solo un idea.

Cristina non aveva ancora capito. “ero sul divano, non…”

Michela senza fiatare si sdraiò, il seno dove solitamente si poggiano i piedi.

La donna, mentalmente, era alle stelle, ma cercò di mantenere una certa regalità.

“capisco…”

Si portò a lato della sedia, si sedette. Sollevò i piedi e li sospese sul seno della serva.

“Penso di esser stata molto fortunata.”

Michela sentì le suole schiacciargli il seno. Anche così, il peso si faceva sentire.

“Ora schiava?”

“sono qui per pulirle il tacco, padrona.”

Cristina non se lo fece ripetere. Portò il tacco verso le labbra della sua nuova lustrascarpe e lo guardò affondare nella bocca dell’essere umano così desideroso di umiliarsi per il suo piacere. Sentì la punta del tacco toccare i denti, poi la resistenza della lingua sul fondo della bocca. Non soddisfatta, lo fece affondare ancora, graffiandola.

Michela, sentiva il duro tacco affondare sempre di più. Cercò di fermarlo con la lingua, ma la padrona non era soddisfatta. 12 cm… sarebbe riuscita a infilarli tutti in bocca? Una volta, durante una prestazione orale al suo ragazzo, lui le aveva preso la testa, il pene completamente in gola, spingendolo sempre più a fondo. Aveva continuato per pochi secondi, sbattendole la faccia contro gli addomoinali, venendo ed eiaculandolgli dritto in gola. Aveva sentito lo sperma caldo schizzarle dritto nell’esofago e ogni singola pulsazione del pene del fidanzato sulla lingua.

Un dolore improvviso alla gengiva la riportò alla sua padrona. L’aveva graffiata con il tacco, conficcandoglielo sempre più a fondo.

Il conato non bastò a far demordere l’aguzzina.

Incurante del tentativo involontario della ragazza di vomitare, Cristina rise, penetrandola più a fondo. “Cosa c’è piccola, vuoi che lo tiri fuori?” disse con fare canzonatorio. In risposta, la schiava serrò le labbra intorno al tacco e succhiò.

“Così va bene…” e pian piano sfilò il sottile tacco a spillo dalla gola della schiava.

La cosa che più eccitava Cristina, a parte la sofferenza di quella giovane ragazza, era lo stato del tacco. Incurante di tutto, Michela le aveva chiesto di poterlo succhiare, senza badare al fatto che era completamente sporco di polvere e quanto si può trovare in strada. In altri termini, la ragazza stava succhiando il suolo che la sua padrona aveva calpestato. Una devozione rara.

Il meglio però fu quando sentì la lingua strofinare sulla punta del tacco, leccandolo.

Un orgasmo mentale.

Senza sfilare lo stiletto d’acciaio, lo conficcò nuovamente e con meno grazia nella bocca della schiava. Ormai Cristina, presa dall’enfasi e dall’eccitazione, non vedeva più un essere umano, ma solo un semplice zerbino particolarmente efficace. Ripetè l’operazione una decina di volte, diventando sempre più violenta. In fondo, non meritava tutta quella gentilezza. Le aveva leccato il piede senza permesso.

L’altro tacco fu anche peggio. La padrona era completamente assorta nell’operazione, non si accorse nemmeno della lacrima che, lenta, scendeva lungo lo zigomo.

Per la schiava-zerbino, invece, era una tortura. La crudeltà della padrona si traduceva in graffi e colpi piuttosto violenti nella sua bocca. Quando le colpì il palato, addirittura sentì una lacrima calda scenderle lungo il viso, mista al forte sapore del sangue.

“Complimenti” disse Cristina sfilando per l’ultima volta il tacco “sei fantastica!”

Il vedere la padrona soddisfatta, ripagò Michela del dolore che aveva sofferto.

“Grazie”. Sorrise.

Cristina si sporse in avanti, appoggiandosi sulle ginocchia e guardandosi i piedini avvolti in un bellissimo paio di scarpette perfettamente lucide. Nemmeno si accorse dei seni di Michela, schiacciati sotto le sue suole.

“Padrona…” disse la schiava con un filo d’aria.

Cristina si rimise velocemente sulla sedia. La stava soffocando.

“Scusa…” iniziò.

“No no, non si preoccupi…” la interruppe subito Michela.

“è che… mentre le leccavo… cioè, mi onorava usandomi come uno zerbino, ho notato che il mio compito… ecco… potrebbe non essere finito…”

Cristina la fissava. Non aveva capito. Come dirglielo?

La donna schiacciò il seno della serva, giocherellandoci. “parla chiaro stupida servetta.” ordinò.

Michela era paonazza. Non sapeva che fare. Ma ormai aveva iniziato…

“voglio leccarle le suole!”

Aveva quasi urlato.

Cristina la fissava. Spostò nuovamente il peso sulla schiava, schiacciandola. Stava per dire qualcosa, ma ci ripensò. Sarebbe stato divertente.

“Sai, penso di poterla togliere, dalle mie condizioni, la parte inerente alle suole sporche…”

Michela sorrise nei limiti concessi dal dolore atroce al seno.

“G…Graz…ie”

Cristina sorrise. Uno dei suoi bellissimi sorrisi.

“Fuori la lingua.”

Cristina era molto aggraziata, ma, capì Michela, se si trattava di usarla, decisamente perdeva questa caratteristica.

La schiava le aveva appena chiesto quello che era uno dei suoi sogni più segreti, quella che riteneva un umiliazione estrema. Le suole, la parte più sporca e sudicia della scarpa.

Quella ragazza di dieci anni in meno di lei, era ora pronta a leccargliele e ad ingoiare ogni singolo granello di sporcizia che aveva calpestato fino a quel momento.

Forse non sarebbe successo di nuovo, quindi optò per trarre il massimo godimento da quei pochi minuti.

Avvicinò la suola lentamente, in modo che la leccapiedi potesse osservare bene cosa stava per andare ad ingoiare. Immaginò la cosa dal suo punto di vista. Una suola che si avvicina, sempre di più, coprendoti tutta la visuale. E poi vedi il sudiciume, sai che lo dovrai ingoiare, per la gioia della tua padrona… anzi, perché sei li apposta, non hai altra funzione. E poi il sapore, polvere, terra, peli, forse qualche schifezza ancora peggiore.

Cercò di inclinare la suola il più possibile per sfruttare al meglio la lunghezza della lingua, colpendo il mento della schiava con il tacco. Non appena il piede si posò sulla lingua rosa, ebbe un altro orgasmo mentale. Rimase li qualche secondo. Poi aumentò la pressione. Sentì la lingua schiacciarsi e gli spasmi muscolari attraverso il cuoio. Premendo costantemente, iniziò a trascinare la suola sulla lingua. Sentiva il naso della serva grattare sulle sottili seghettature della scarpa. Superato il naso, il primo passaggio era fatto. Appoggiò la punta del piede sul labbro superiore e premette con più forza. La serva strizzava gli occhi. Carina. Sentì la lingua schiacciata coprire una superficie sempre più ampia della suola, quasi ora faticava a trascinare il piede. Ridendo, tirò con più forza. La parodia di essere umano sotto di lei era ridicola, rossa, dolorante, che cercava di non ritrarre la lingua. Ed era brava. Cristina, soddisfatta, continuò fino in fondo, osservando quanto sudicio avesse rimosso. Michela rimase immobile, come a voler far vedere quanto era stata brava alla sua padrona. Questa, la guardò con una smorfia disgustata.

“Ingoia, non vorrai che ripassi la suola sulla tua lingua sudicia!”

Il suo tono era a metà tra il divertito e lo schifato.

“Mi… perdoni…” mormorò Michela.

Ingoiò doviziosamente ogni singola particella di polvere. La padrona aveva ragione, doveva essere pulita per la prossima passata. Inoltre era li, tutto il peso sul suo petto, già pronta a usarla nuovamente.

Cristina si sbizzarrì. Prima strofinò la suola avanti e indietro sulla morbida superficie rosa, poi, con movimenti circolari, come a spegnere una sigaretta ed infine, infilando parzialmente il piede in bocca alla servetta, per pulire bene la suola in punta su una parte di lingua ancora immacolata.

A fine seduta, Michela era stremata, mentre la padrona fresca come una rosa, anche se con i piedini un po’ sudati.

Tolse le scarpe e fece inginocchiare Michela, strofinandole i piedi sui capelli per asciugarli. “La prossima volta se farai la brava, forse te li lascerò leccare!” dichiarò felice. Era veramente soddisfatta. E per Michela era una cosa molto positiva, perché era stato il suo ruolo di schiava, a renderla così.

La donna si fece rimettere le scarpe e posò i piedi sul tavolino. “Lecca ancora un po’ da brava, le suole non sono mai abbastanza pulite…”

Non le bastava. Voleva rimanere li per sempre, a casa di quella ragazzina tanto devota che rispondeva ad ogni suo capriccio. E insegnarle nuove cose. Sperimentare, nuove cose.

Rimase li ancora un ora, guardando la televisione, mentre Michela le leccava le suole. Era stremata, la lingua, gonfia, aveva perso il vigore iniziale. Pareva avesse un limite intorno alle tre ore, ma per tutto quel tempo avrebbe potuto usarla a suo piacimento.

La donna se ne andò soddisfatta, non senza prima aver nuovamente calpestato un po’ il suo nuovo zerbino. Le aveva schiacciato il seno destro con tanta forza da lasciarle il segno rotondo e violaceo del tacco, ridendo mentre la ragazzina si chiudeva a riccio intorno alla scarpetta che affondava nella carne. “Ora sei ufficialmente mia! E lo rifaremo ad ogni incontro, così nel caso qualcun’altra voglia metterti i piedi addosso… saprà che già sei la schiava di qualcuno!”

E se ne andò, lasciandola inginocchiata a terra, tremante come una foglia e completamente sfinita.

Non appena Cristina uscì, Michela, senza riuscire a controllarsi, si mese una mano nel perizoma e si chinò sul pavimento. Lo leccò ardentemente nel punto esatto in cui la padrona lo aveva calpestato, poi vi posò la guancia e, ansimando pesantemente come mai aveva fatto prima, venne, provando un piacere mille volte superiore al solito. Iniziò a ricordare tutta la giornata, soprattutto dal momento dell’ingresso in casa, rivivendo ogni singola sensazione; il primo contatto tra la sua lingua e la suola della scarpa, il peso della padrona quando la schiacciava, la sua stupenda risata mentre la usava. Il secondo orgasmo non tardò, facendole provare una sensazione magnifica, ma catapultandola nell’inevitabile stanchezza che la gettò quasi immediatamente in un sonno senza sogni.

 

 

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