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Racconti di Dominazione

Il castello delle perversioni

By 11 Aprile 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Anno 1852- Inghilterra

La mia famiglia aveva bisogno di soldi, e non c’era altra soluzione che quella di farmi assumere al Castello del Duca come servitrice.
Sfortunatamente ero a conoscenza delle voci che circolavano intorno all’oscuro signore che vi abitava, e sapevo che correvo dei guai seri decidendo di andare di mia spontanea volontà nella ‘tana’ del lupo.
Quando mi presentai al Padrone di casa, lo trovai intento a mangiare ‘ su una donna nuda.
Il porco la toccava ovunque, oscenamente, e intanto s’ingozzava con del cinghiale. Avrei tanto voluto si strozzasse, rimanendoci secco!
Dopo aver bevuto del vino, che gli offriva dalle sue mani una donna velata da capo a piedi, il signorotto si accorse di me, e mi squadrò freddamente.
‘Tu chi saresti?’ mi chiese scocciato.
‘La nuova sguattera, signore’ feci un mezzo inchino, ossequioso, quando invece avrei voluto solo sputargli in faccia tutto il mio disprezzo.
Lo osservai meglio però, dopo. Era un bel ragazzo, sulla ventina credo, con capelli biondi e mossi, e uno sguardo che ti metteva soggezione.
In paese si diceva che, una volta rimasto orfano, era stato affidato ad uno zio dispotico e perverso, che lo aveva usato per i suoi giochi più ‘estremi’. Non c’era da meravigliarsi, quindi, se lui ora faceva lo stesso con le donne.
Dello zio comunque, non si era saputo più niente, tranne che era morto in circostanze misteriose ‘
Il Duca si alzò e avanzò verso di me con un ghigno sul volto. Si soffermò ad osservare la mia figura minuta e storse la bocca.
‘Dovremo farti mangiare. Non sopravvivrai alle segrete, ridotta come sei a pelle e ossa?’ mi disse raggelandomi.
‘Se ‘ segrete?’ chiesi impaurita.
Lui scoppiò a ridere e con lui anche le due donne presenti in sala.
‘Certo, segrete. Sei tonta?’ mi domandò beffardo bussandomi sulla testa. ‘Non crederai mica che ti dia una mia camera per dormire la notte’.
‘Ma io ‘. Credevo che la sera sarei potuta tornare a casa mia” Balbettai confusa.
Il Duca scosse la testa, arrabbiato. ‘Nemmeno per sogno! Nessuno esce dal mio Castello! E ora togliti questi vestiti sudici e cenciosi!’ Mi ordinò.
‘Ma signore ‘. Vuole che mi spogli ‘ qui?’ domandai perplessa e sconvolta dalle sue parole.
‘Ovvio. Sbrigati!’
Avevo assolutamente bisogno di quei soldi che mi avrebbe dato, e quindi chiusi la bocca e mi tolsi i vestiti, come aveva ordinato.
‘Anche il resto!’
Rimasi nuda di fronte a lui, in imbarazzo e in preda all’ansia. Ma il giovane Padrone del Castello si limitò a scuotere la testa mentre mi guardava e a rimandarmi in cucina, dove avrei trovato delle vesti più adeguate, e chi mi avrebbe spiegato quali sarebbero stati, d’ora in poi, i miei compiti da serva.
La mia nuova vita consisteva in turni di lavoro infiniti a massacranti. Il mio compito si sarebbe dovuto limitare a pulire le camere delle Concubine ma, vista la carenza del personale, dovevo sobbarcarmi anche della pulizia della cucina e del piano terra. Finivo le mie giornate distrutta e stremata dalla fatica. Almeno il cibo era abbondante, dietro ordine del Duca mi assegnavano sempre doppia porzione. Inoltre venni a sapere che solo le schiave stavano nelle segrete e che quindi il padrone del castello mi aveva preso in giro. Avevo una piccola ma luminosa stanzetta che dividevo con Stesy, un’altra cameriera della mia età. Era molto timida e schiva, al contrario di me, e più le ponevo domande su quello che vedevo ogni giorno con i miei occhi, e più lei si ritraeva a guscio.
Ma riuscii a capire da sola molte cose. In primo luogo, Daniel De Winter era davvero, come si diceva in paese, un uomo dispotico e prepotente. Le sue concubine, no lui non era sposato, nessuno in quel castello le aveva mai viste in volto. Ad alcune schiave, seppi in seguito, era concesso di lavare le tre donne, ma loro anche in acqua, dovevano tenere sempre il capo velato, neanche un capello doveva essere visto da chi non era Daniel.
Quelle donne mi facevano pena, all’epoca: tutte le serve mi dicevano che erano usanze che avevano gli arabi, e che il Padrone le condivideva a pieno.
Ma dovetti ricredermi quando una mattina rividi le schiave in Sala da Pranzo, mentre spolveravo. Erano dieci, ed era raro vederle tutte insieme. Erano tutte in piedi, nude, con un collare di ferro al collo, e ai piedi delle catene che le univano le une alle altre.
Alcune erano segnate dalla frusta, altre avevano paurose scottature. Una, la più conciata male, esibiva con orgoglio il suo seno stranamente cadente verso il basso per via dei numerosi trattamenti a cui il sadico signor Daniel doveva averla sottoposta.
La cosa più inquietante però era un’altra. Tutte erano more, alte, coi capelli lunghi e il seno prosperoso. Tutte mi somigliavano paurosamente.
In quel momento ricordai, gettai un grido e svenni.

Era l’estate del 1842 e io ero una bambina del popolo come tante, che giocava a fare la regina. Tutti i bambini del paese mi adoravano, e correvano da me, appena potevano, per sentire le mie storie. Io interpretavo sempre la parte della regina, e loro facevano i miei sudditi. Un giorno giunse vicino al lago dove giocavamo un nuovo bambino che non avevo mai visto: era biondo e con gli occhi chiari. Lui mi disse che una regina aveva bisogno di un re e che lui sarebbe stato felice di essere il mio, ma io gli dissi che non avevo bisogno proprio di nessuno e che al massimo avrebbe potuto fare il mio cavaliere servente. Lui si arrabbiò e se ne andò, e non lo vidi mai più.

Riaprii gli occhi, confusa, e mi risvegliai in una camera che non conoscevo, in un letto enorme a baldacchino. Lui era in piedi e mi guardava, con le mani in tasca.
Agitata e terrorizzata, feci per scendere dal letto ma mi accorsi che avevo i polsi e le gambe legati con delle corde molto strette.
‘Lasciami andare’ lo implorai ma lui ghignò. Mi faceva molta paura.
‘Non ci penso proprio’ disse guardandomi strano e carezzandomi il volto. Un brivido mi percorse la schiena.
‘Co ‘ cosa vuoi da me?’ domandai tremando.
‘Tutto. Ti ho aspettata molto’ disse facendomi ancora più paura.
Io iniziai a piangere, impotente e terrorizzata, e Daniel chiamò le sue concubine e ordinò loro di mostrarsi a me.
Erano le mie esatte copie, dei sosia, nient’altro che quello. More, alte, bellissime.
‘Tu sei pazzo!’ urlai cercando di togliermi le corde ‘Cosa credevi di fare?’ lo sfidai riprendendo il controllo della situazione ‘Non mi avrai mai!’ gli dissi guardandolo fisso negli occhi e facendolo indietreggiare di un passo. ‘Potrai ridurmi a schiava, ma io accetterò sempre passivamente, e cercherò di fuggire o mi ucciderò piuttosto’ sbalordii tutti.
Lui mandò via le donne, che si ricoprirono e sparirono silenziosamente com’erano arrivate. Poi, distogliendo lo sguardo da me, mi disse solo: ‘Perché mi rifiuti sempre?’
E capii che la sua ossessione per me nasceva da quel rifiuto di averlo come Re che, quando ero piccola, gli avevo dato’
‘Lasciale andare. E’ me che vuoi, no?’ ebbi la forza di chiedergli.
Lui allargò le braccia e mi disse: ‘Riusciresti a sostituirle in tutto e per tutto? Saresti disposta a divenire la mia unica schiava?’ mi domandò con uno sguardo che non mi piacque.
‘No, ovviamente no. Loro sono dieci più tre ‘ come potrei mai riuscirci?’ scossi la testa incredula.
‘Sì ma loro sono solo brutte copie’ mi contraddisse, schernendole.
‘Non voglio diventare la tua schiava. Non accetterò né ora né mai’.
‘Elisabeth, mai è un termine lunghissimo’ disse rabbuiandosi e chiamando due sue schiave, che comparvero rivestite di nero. ‘Portatela nelle segrete. Forse il puzzo della prigione le farà cambiare idea’ continuò, facendo scoppiare a ridere le due donne.
Le guardai storto: e quelle donne avrebbero dovuto essere me nella mente malata di Lord Daniel?
La cella era umida e priva di qualsiasi comodità: da una grata minuscola potevo osservare, per quanto le sue dimensioni me lo permettessero, il mondo esterno.
Ogni giorno una schiava diversa e, talvolta una concubina, entravano nella mia cella e mi supplicavano di acconsentire a prendere il loro posto. Ma sapevo benissimo che dietro le loro visite così frequenti c’era sempre Daniel, e che loro non avrebbero mai voluto lasciarlo.
Ai miei rifiuti reagirono malissimo e non tornarono mai più. Il cibo e l’acqua me lo consegnavano, in silenzio, attraverso una strettoia. Rimasi per circa un mese chiusa da sola in quella cella buia e fredda e, nemmeno una volta, Daniel venne a vedere come stavo. Credevo che sarei morta lì, o che sarei impazzita e avrei iniziato a parlare da sola.
Ma alla fine lui mi liberò: per me aveva altri progetti.
Poter rivedere finalmente la luce e delle facce umane mi commosse al punto che avrei accettato persino di ascoltare i vaneggiamenti del Duca senza ribattere, pur di sentire delle voci fuori dalla mia testa.
Lord Daniel era splendido come sempre, nel suo abito elegante: sembrava fosse sul punto di uscire.
‘Allora Elizabeth, sei pronta a cedere alle mie richieste?’ mi domandò annoiato, mentre sorseggiava del brandy.
‘No’ fu la mia risposta scontata.
‘Spogliati’, disse allora lui, sbalordendomi e, visto che io non avevo alcuna intenzione di sottostare ai suoi ordini, due schiave mi spogliarono mentre io cercavo di sfuggire, invano, alle loro mani. In breve tempo rimasi nuda di fronte agli occhi del giovane padrone del castello, mentre le schiave si denudavano a loro volta, e iniziavano a baciarmi dappertutto. Succube di due donne, questa mossa da lui non me la sarei mai aspettata.
Si limitò a guardarmi mentre io, infastidita dalle loro carezze lascive, e dal loro leccare, lo fulminavo con delle occhiatacce impertinenti.
‘Fermatevi’ ordinò loro. ‘Andate nei vostri alloggi’. Quasi risi al pensiero della definizione che aveva dato alle celle in cui le schiave vivevano. Supponevo, però, che fossero state riadattate e rese più ampie e luminose per consentirle almeno un minimo di vivibilità.
‘Lord de Winter dovete smetterla di ” Non avevo ancora terminato la mia frase che già l’uomo mi aveva sbattuta contro il muro dietro di me e aveva iniziato a baciarmi con foga, lasciandomi sconvolta e con le gambe tremanti.
Lui mi sovrastava con il suo corpo, e non accennava a lasciarmi una via di fuga. Continuava a tenermi intrappolata tra lui e il muro freddo ed io potevo sentire quale reazione la parte più virile del suo corpo stesse avendo alla vista di me, nuda.
‘Potrei scoparti adesso, contro la tua volontà e fregandomene delle tue lamentele. Qui per terra, come una puttana qualunque, e nessuno muoverebbe un dito per aiutarti’. Mi disse mettendomi paura. ‘Chi potrebbe impedirmi di prendermi quello che voglio?’ continuò sfiorandomi il seno. ‘Ti farei mia e impedirei a chiunque di alzare anche solo lo sguardo su ciò che mi appartiene’. Io deglutii più volte, paralizzata e inerme, consapevole di quanto ogni mia ribellione sarebbe stata in quel momento inutile.
‘Ma potrei anche prenderti nella mia stanza, sul mio letto, e fare di te la mia prima concubina, che ne dici, Lizzy?’ mi domandò sconcertandomi. Il mio nomignolo usato alla fine di una serie di minacce e a conclusione di un ultimatum mi aveva spiazzata.
Non seppi che rispondere. La seconda scelta era di certo la migliore, oltre che la più auspicabile, ma non volevo dargli la soddisfazione di vedermi chinare la testa alle sue volontà.
‘Oppure’ gli risposi invece, ostentando una calma che non provavo affatto ‘Potresti toglierti di dosso, lasciarmi in pace, permettermi di rivestirmi e concedermi un lungo bagno caldo, che è la cosa che desidero di più al momento, dopo tanti giorni di prigionia ”
Daniel tirò un violento pugno al muro, e si fece addirittura male, a giudicare dal livido che vidi si era procurato. A passo svelto il giovane Lord de Winter uscì dalla stanza, sbattendo la porta, e io, tirando un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, scivolai sul pavimento in pietra.
Per molto tempo non osai neppure alzarmi, incredula che il Duca alla fine non mi avesse fatto nulla di male. Poi, quando cominciavo a temere sempre di più il suo ritorno, entrò invece una concubina, col capo scoperto, che s’inchinò a me e mi disse di seguirla.
Mi portò in un bagno molto luminoso, e mi fece fermare davanti ad una bella vasca in marmo. Ero già nuda, per cui bastò che entrassi nella vasca che m’indicava, e mi facessi versare l’acqua calda sulla pelle. Mi strofinai con una pezzuola posata su uno gabellino lì vicino, e chiusi gli occhi, godendomi la stupenda sensazione di essere immersa nell’acqua bollente. Quanto mi era mancata questa semplice e fino a prima, scontata, abitudine.
Le mani della concubina si sostituirono alle mie e mi feci massaggiare da lei le spalle, e intanto cantava. Aveva una voce meravigliosa.
‘Io sono stonata’ mi scappò di dirle.
‘Lo sappiamo. Sappiamo ogni cosa di voi’.
Aprii gli occhi e mi strinsi. ‘Perché siete qui? Perché non vi ribellate a tutto questo?’ domandai.
‘Perché dovremmo? Mio marito non mi guardava neppure. Ero la sua schiava sotto altri punti di vista. Qui sto molto meglio’. Mi spiazzò.
‘Ma lui vi tratta male ‘ vi tortura ” provai a dirle.
‘ E’ un prezzo piccolo da pagare per le notti di piacere che ci regala’ mi sorprese lei, mentre mi spazzolava delicatamente i capelli.
‘Ma potreste averle lo stesso, senza per questo rischiare di rimanere sfigurate o peggio’. Le contestai.
La concubina scosse la testa con un sorriso, come fanno le madri con i bambini che vogliono sapere troppo presto le cose dei grandi. ‘Capirete ‘ un giorno’. Mi disse mentre mi asciugava con un telo bianco e sceglieva per me l’abito che avrei dovuto indossare.
Era un abito degno di una regina, pensai, e la domanda mi uscì spontanea dalle labbra.’Perché?’
La concubina rise, divertita dalla mia sorpresa, e posò su un separé un magnifico abito blu dalla scollatura generosa, impreziosito da delle piume di pavone e delle perle incastonate in esse.
‘Di chi è questo abito?’ domandai. In vita mia non avevo mai visto nulla del genere.
‘E’ vostro. è un regalo del Duca’.
‘Vuole ‘ vuole comprarmi?’ domandai sconvolta.
La donna si offese e mi guardò malissimo.
‘Ora andremo nella vostra camera ed io vi aiuterò a indossarlo’.
‘Perché? Perché fate tutto questo per me?’ domandai.
Lei iniziò a porgermi la biancheria intima e il corpetto elegante, strinse i laccetti togliendomi il respiro, poi, parlò.
‘Lui vorrebbe scusarsi e questo è il suo modo per farlo. Alzate le braccia’. M’infilò il vestito e mi fece rimirare davanti allo specchio.
Rimasi incredula di fronte al mio nuovo aspetto: sembravo la regina che avevo sempre sognato di essere.
La concubina mi lasciò alle cure di Stesy, che venne ad acconciarmi i capelli.
‘Sono stata promossa a vostra cameriera personale, signora’ mi spiegò.
‘Signora? Io sono come te Stesy, nient’altro che una sguattera, una donna del popolo’.
Stesy scosse piano la testa mentre cercava di acconciarmi i capelli sopra la testa.
‘Non lo siete mai stata. Eravamo votate al silenzio. Ma voi siete l’unica donna che il Padrone ha sempre in mente. Siete diventata un’ossessione per lui, state molto attenta!’. Mi mise in guardia.
Il Duca mi aspettava, seduto a capo di una lunga tavola. Una cameriera m’indicò la sedia vuota posta all’altro capo.
Le posate erano di argenteria, e i piatti, ancora vuoti di ceramica preziosa.
Non sapevo come comportarmi: avevo paura di rovinare il vestito, di guardarlo negli occhi, di farlo arrabbiare.
Restammo in silenzio per tutta la durata della cena, poi lui si alzò ed io, come calamitata dalla sua figura, lo seguii, seppur con passo incerto.
Mi attirò in un corridoio buio: le candele erano tutte spente, e non riuscivo a vederlo. Mi mossi, inquieta e attenta a ogni singolo rumore, tastando i muri con le mani.
All’improvviso avvertii il suo respiro caldo sul mio collo, e le sue mani che, frenetiche cercavano, al buio, di togliermi il vestito.
Tirò fuori i miei seni e li impastò come fossero creta nelle sue mani. Iniziai a sospirare, persa nell’eccitazione del momento.
Poi prese a sussurrarmi nell’orecchio, mentre la sua mano si spostava verso il basso.
‘Ho desiderato farlo per tutta la cena. Avrei voluto buttare tutto e stenderti sul tavolo, e prenderti lì, facendoti urlare dal piacere’.
Io caddi a terra, mi cedettero le gambe per le sensazioni provate: mi sentivo bagnata in modo vergognoso.
Non riuscivo a vederlo, ne intuivo solo i contorni, era come un’ombra cupa e misteriosa.
Mi fu addosso, come un lupo malefico, approfittando della mia debolezza. Non riuscendo a togliermi l’abito, mi alzò la gonna e mi abbassò le mutande.
Lo sentii respirare forte, e avvertii che doveva essersi tolto i pantaloni.
Il suo membro giocava con il mio sesso: lo strofinava, sadicamente sul mio che, bagnato, agognava l’istante in cui sarebbe stato preso da lui.
Non mi dominava più la ragione, ma la lussuria più assoluta.
Non vederlo, non scorgere la sua eventuale espressione di trionfo mi aiutava molto.
Alla fine entrò in me quando ero un lago di umori. Ero vergine e lui godè nell’apprenderlo: impazzì, persino.
Mi fece molto male, ma non avrei mai voluto che si staccasse. Lo abbracciai e pregai che il dolore smettesse subito.
Lui, il Duca, mi scopava quasi con rabbia, mordendomi i capezzoli e a ogni colpo affondando con sempre più forza.
Venne dentro di me, gridando il suo piacere.
Venne ed io rimasi inerte, sul pavimento, mentre le candele venivano riaccese, come per magia.
Lui non c’era: era sparito, lasciandomi sola.
La mattina seguente, come ricordo della mia perduta innocenza, del sangue raggrumato spiccava in mezzo alle mie cosce. Stesy bussò alla porta della mia camera che il sole era alto da un pezzo. Nascosi il viso sopra il cuscino, scalciando da sotto le coperte, vergognandomi per quanto era successo nella notte appena trascorsa.
Stesy, non ebbe alcuna risposta da parte mia quindi, abbassò la maniglia e domandò, preoccupata, se mi sentissi bene.
Io non risposi e lei, dopo altri tentativi andati a vuoto, iniziò a rassettare la stanza, mentre io cercavo piano piano di mettermi a sedere.
‘Il Duca era di buon umore stamattina’ ci tenne a farmi sapere. ‘Non l’ho mai visto così allegro, sembrava un altro’. Aggiunse.
Io dentro di me fremevo dalla rabbia. Con i pugni chiusi saldamente, lo maledivo nella mia testa e meditavo sul modo migliore per vendicarmi.
Stesy continuava a parlare imperterrita: ” Sembrava un angelo’. Mi disse, interrompendo i miei malvagi pensieri.
‘Vorrei farmi un bagno’ le mormorai.
‘Certo, signora’mi rispose allegra la serva con cui una volta dividevo la stanza. ‘Il Padrone mi aveva detto di preparare tutto l’occorrente ‘ ed io ho portato l’acqua calda’.
‘Mi laverò da sola’ riuscii a dire, trattenendo le lacrime di rabbia. Tutta qui la sua premura? Mi aveva lasciata sola, nuda e al freddo, e se n’era andato. E ora era felice, e pensava di risolvere tutto con un bagno!
Rimasi in camera per molte ore, dopo aver fatto il bagno. Ero distrutta e l’avevo con me stessa, per non essermi opposta alle attenzioni di Daniel. Era stato bellissimo, dovetti riconoscerlo. Ma non potevo permettere che la cosa si ripetesse.
Avrei trovato un modo per fuggire da quel castello delle perversioni e dal suo abietto proprietario, e poi avrei fatto in modo di far perdere le mie tracce per sempre. Col tempo forse avrei trovato un buon marito che mi avrebbe rispettata e il ricordo della notte precedente mi sarebbe parso, a distanza di anni, solo come un brutto sogno.
Non mangiai nulla per tutto il giorno: Stesy non tornò più, e la solitudine forzata mi deprimeva. Non ero fatta per restare chiusa in una gabbia senza lottare.
Così, facendo il minore rumore possibile uscii dalla mia camera e scesi le scale, intenzionata ad allontanarmi senza insospettire il mio carceriere, quando ‘ delle voci mi distrassero.
Mi affacciai alla porta-finestra e vidi il Duca in giardino che camminava vicino a una concubina: la donna era a capo scoperto, e notai che era molto più bella di me.
Possedeva una grazia innata nei movimenti, e la sua voce dolce, che mi arrivava fino a lì, non era nemmeno paragonabile all’asprezza del mio tono.
Li osservai da dietro una colonna: lui la baciò prendendole il viso fra le mani, e lei ricambiò senza protestare.
Cosa ci facevo io lì, quando Daniel aveva già trovato una mia degna sostituta?
Alzai la gonna del mio umile vestito e mi misi a correre, con il cervello annebbiato da tutto, senza pensare ai miei assurdi e irrealizzabili piani di vendetta, o a come fuggire di nascosto.
Finii per sbattere proprio nell’uomo da cui stavo scappando e, lui, sorpreso di vedermi, mi aiutò ad alzarmi. Stizzita, gli tirai uno schiaffo sulla mano che mi aveva aiutata, e la concubina rimase raggelata dal mio gesto.
‘Duca, ora che avete finalmente ottenuto ciò che volevate, lascio questo castello per non farvi più ritorno, mai più’. Dissi sfidandolo con lo sguardo a opporsi alla mia decisione.
L’espressione sul volto di Daniel de Winter mutò di colpo, come una chiara giornata estiva in cui scoppia all’improvviso un temporale.
‘Tu. Rimani. Qua’ sibilò, scostandosi dalla concubina e avvicinandosi a me.
‘Hai lei. Mi hai avuta. Cos’ altro vuoi?’ gli urlai sull’orlo delle lacrime.
L’uomo mi prese un braccio ed ebbi paura, per la prima volta in vita mia ebbi davvero paura di qualcuno. L’azzurro dei suoi occhi era tramutato in ghiaccio gelido. Iniziai a tremare e a balbettare di lasciarmi andare e di non farmi del male.
Lui mi sbatté contro il muro più vicino e mi urlò, indemoniato, ‘Tu sei mia!’
Iniziai a piangere per la violenza delle sue parole, per l’evolversi della situazione, per me e per quelle donne, per lui, il Duca che non riusciva a dimenticarsi di me, dopo tutti questi anni, con tutte le donne migliori di me che aveva …
‘Cosa ‘ cosa vuoi da me?’ trovai la forza di domandargli.
‘Tutto, Lizzy. Tutto’ mi sussurrò mentre strofinava la sua erezione sul mio sesso coperto dal vestito. ‘Voglio tutto di te’ disse mentre mi privava dell’abito con pochi gesti. Le sue mani sul mio corpo, le stesse sensazioni che avevo provato il giorno prima, con l’unica differenza che ora potevo leggergli in volto il desiderio che aveva per me.
Era immorale farlo in pieno giorno, e per di più in mezzo ad una stanza che serviva ad altri scopi, e dove chiunque avrebbe potuto vederci.
Come intuendo le mie paure, Daniel, senza fermare le sue mani, si girò verso la concubina e le ordinò di andarsene e di chiudere la porta dietro di sé.
La vidi piangere silenziosamente, chiaramente innamorata di lui.
Eravamo tutte marionette del Duca, che ci sfruttava come meglio credeva. E capii quello che mi ero ostinata a non voler vedere: le schiave, e le concubine, nessuna di loro veniva obbligata a sottostare al suo volere. Non erano prigioniere: loro volevano restare con lui, ed erano disposte anche a farsi torturare pur di compiacerlo.
‘Rimarrai con me per sempre’ disse facendomi sedere sulle sue ginocchia, dopo aver preso solo una sedia. Non volevo essere la sua ennesima bambola, e partecipare attivamente al suo osceno teatrino. Ma lui mi accarezzava i capelli dolcemente, così da farmi rilassare, malgrado i miei sforzi di sottrarmi al suo tocco gentile.
‘Diverrai la mia schiava, prima’. Mi spiegò con un tono stranamente dolce. ‘E poi, se ti comporterai bene, potrei anche decidere di promuoverti’. Sorrise, sadico, al pensiero delle punizioni che mi avrebbe inflitto.
Un lungo bacio sancì la sua promessa e quasi non mi accorsi che nel frattempo mi stava legando le mani dietro la schiena con delle corde.
Mi alzai, confusa e preoccupata. Lo vidi rigirarsi in mano un coltello, di quelli che sono soliti avere i banditi. D’istinto indietreggiai e inciampai nella sedia su cui eravamo fino all’attimo prima.
Mi prese con forza, impedendo la mia rovinosa caduta, e con il coltello fece a pezzi il mio vestito. In breve raggiunse il suo scopo: riavermi di nuovo nuda e inerme.
‘Ti prego’ gli dissi, sconvolta, ma lui non mi ascoltò neppure. Mi guardava e non faceva nulla. Guardava solo, come in attesa. Come se stesse riflettendo sul modo migliore per punirmi di tutti quegli anni passati ad aspettare me.
Una schiava entrò, timidamente: al collo aveva un collare di cuoio e ai piedi delle catene che trascinava a fatica.
‘P ‘ padrone?’ lo disturbò.
‘Quante volte devo ripeterti che non sta bene balbettare, G.?’ la fulminò con gli occhi il Duca. ‘E poi fa più silenzio. Non voglio sentire il rumore delle catene!’ disse duro mentre la donna incassava la testa nelle spalle.
‘Vuoi farmi diventare come lei?’ gli domandai, ritrovando il coraggio.
Lui prese una bacchetta di legno molto spessa dalle mani di G. e non mi rispose: m’ignorò.
Avevo le mani legate, ma i piedi potevo ancora usarli liberamente, così corsi verso la porta, ma lord Daniel, come prevedendo le mie mosse, mi bloccò la via d’uscita con il suo corpo.
‘Povera stupida. Stupida Lizzy, cosa speravi di fare?’ mi domandò prendendomi il viso con tre dita, e girandomelo verso di lui.
Non so che cosa avevo in testa in quel momento, non ho idea davvero di che follia s’impadronì del mio cervello, ma gli sputai, in pieno viso.
‘Puttana’ sibilò, asciugandosi. ‘Tienila ferma’ ordinò alla schiava il cui nome ora era solo una miser G.
Mi tennero sopra le sue ginocchia, mentre lui seduto s’apprestava a colpirmi con la bacchetta di legno ‘

Non ricordo dopo quanti colpi iniziai a provare una strana forma di piacere, oltre che la normale sensazione di vergogna e di dolore.
Avevo chiuso gli occhi, e i suoi colpi iniziai a sentirli con un’intensità maggiore: più lui colpiva e più dovevo trattenere i gemiti che mi sarebbero di certo affiorati alle labbra. Sarebbe stato terribile se lui si fosse accorto delle condizioni in cui versavo. Forse si aspettava che io avrei gridato o imprecato contro i lui, perché sentii la sua delusione rendere i suoi colpi meno precisi e violenti, e la sua rabbia affievolirsi.
‘Daniel’ lo chiamai e lui mi fece cadere per terra senza alcun riguardo.
Lo sentii percorrere la stanza avanti e indietro, pensieroso.
‘Ci sono ordini, Padrone?’ chiese titubante G.
Lui mi squadrò con uno sguardo distante. ‘Conoscete le mie disposizioni per stasera. Lei sarà la sorpresa della festa. Preparatela con cura e ” si fermò e sorrise a G ‘ ‘ punitela pure se non collabora’ aggiunse. G s’inchinò ossequiosamente, prima di uscire, cercando di essere la più silenziosa possibile.
Fui fatta immergere nella vasca più grande che avessi mai visto: mi legarono le mani perché io cercavo in ogni modo di divincolarmi alle loro attenzioni e di coprire le mie nudità.
Ero quindi costretta con le braccia dietro la testa a restare immobile e a lasciarmi andare alle languide carezze ed esplorazioni di quelle donne ‘ perdute!
Due concubine, quasi nude per via delle trasparenze dei loro vestiti, con le unghie lunghe come le portano le streghe e le braccia ricoperte di monili preziosi, mi guardavano piene d’odio.
G., la schiava, era l’unica in quella stanza che non mi guardava come se stesse meditando di soffocarmi nel sonno con un cuscino!
‘Qual è il tuo nome?’ le chiesi mentre lei mi passava la spugna sulle spalle.
‘G.’ rispose talmente piano e veloce che mi parve uno squittio.
‘Il tuo nome vero, intendo’. Ribattei ostinata.
‘Non siamo qui per fare conversazione. Lei si chiama G. per volontà del Padrone e ti basterà sapere solo questo’. S’intromise malevola una delle due concubine, quella più formosa.
‘Chiama anche te con una stupida iniziale perché fatica a ricordarsi il tuo nome per intero?’ la provocai arrabbiata.
La donna si avvicinò quindi e mi strinse forte il collo, con gli occhi iniettati di sangue e il chiaro desiderio di strangolarmi; poi mi tirò forte dai capelli ed io iniziai a urlare.
‘Aiutami a tapparle la bocca. Spingiamola giù’ disse all’altra concubina mentre G., terrorizzata, se ne stava immobile con le mani alla bocca.
Immersa totalmente nell’acqua profumata della vasca non riuscivo in alcun modo a respirare o a tornare in superficie: le concubine ridevano e mi tenevano con la testa giù. Pensavo sarei morta.
Invece sentii la voce di Stesy, la mia unica amica in quel posto d’inferno, urlare contro le concubine, e le sue mani gentili tirarmi in fretta fuori dall’acqua.
Credo di aver perso i sensi per un po’ perché quando rinvenni nella stanza non c’era nessun’altra a parte Stesy.
Mi abbracciò forte e mi disse che le aveva mandate via, che non avrebbero più potuto farmi del male. Ma, quella concubina aveva già ottenuto il suo scopo: mi aveva piegata nell’animo e non riuscivo più nemmeno a parlare per lo shock.
Non opposi resistenza quando Stesy mi fece indossare un corsetto rosso fuoco molto stretto e una gonna che lasciava scoperte le caviglie. Quasi non mi accorsi del collare che mi mise, o delle catene ai piedi che limitavano i miei movimenti.
‘Mi dispiace Elizabeth’ quello lo sentii, perché dopo non vidi più nulla: mi aveva bendata.

La mano che mi guidò fino a dove si stava svolgendo la ‘festa’ non era quella della mia amica Stesy, e nemmeno quella di una delle due sadiche concubine, perché non avvertii le loro unghie lunghe sulla mia pelle.
Sentivo un gran vociare, segno che gli invitati erano molti e che erano lì da un po’. Non sentivo musica, quindi non era una festa in cui si ballava.
Qualcuno mi toccò il seno: una mano invadente e sicura. Per la paura e la sorpresa di quel tocco maschile inaspettato balzai indietro e rischiai di cadere. Una voce gelida mi giunse forte nelle orecchie: ‘Ferma’!
Dei risolini femminili mi giungevano anche vicini: chi erano quelle donne? Le concubine erano tra loro? Stavano ridendo di me e della mia impotenza. Mentre mi mordeva il collo, Daniel mi alzò la gonna e iniziò a toccarmi lì, davanti a tutte quelle persone che io non potevo vedere.
Voleva scoparmi in quella stanza, quella sera, davanti a tutta quella gente.
Voleva punirmi per essermi fatta desiderare così a lungo per tutti quegli anni.
La gonna cadde, lacerata da qualcosa di appuntito che aveva preso il Duca. Sotto non avevo nulla. Sentii su di me altre mani maschili, desiderose di esplorarmi. Avevo una paura folle, ma Daniel mi afferrò la mano, mi portò distante da loro, e mi fece sedere su un tavolo.
Iniziò a toccarmi e mi piaceva, non capivo come fosse possibile, ma mi piaceva. Il suo tocco su di me, sempre più sfacciato, sempre più invadente ‘ le sue dita che mi mozzarono il respiro quando entrarono di colpo ‘ tutto il resto per un attimo sparì. Non sentivo più le risate delle donne, i commenti eccitati degli uomini, la vergogna e la paura per quella situazione.
-Ancora- pensavo solo.-Non smettere. Veloce, più veloce-
Gemevo e mi contorcevo sotto il suo tocco, mentre con la lingua mi stuzzicava anche un orecchio.
‘Godi Lizzy’ mi sussurrò, con voce roca, nell’orecchio. ‘Vieni’.
Ed io venni con un urlo, nell’apice del piacere che le sue mani avevano saputo darmi.
Mi tolse la benda e ritornai nel mondo reale: una decina di nobili mi stavano guardando carichi di desiderio. C’erano delle donne accanto a loro, decisamente poco vestite: probabilmente le loro mantenute. E, accanto al tavolo, le tre concubine ridevano di me, nude e bellissime, sdraiate su un morbido e largo tappeto di pelli. Al loro collo brillavano dei gioielli identici, con dei pendenti di zaffiro. Fu da loro che Daniel andò, senza dirmi più una parola. Le scopò una dopo l’altra, sotto i miei occhi increduli, mentre due schiave mi facevano scendere dal tavolo e mi toglievano quello che era rimasto dei miei vestiti.
‘Starai inginocchiata. Ordini del padrone’. Mi disse una bellissima schiava bionda.
La serata doveva ancora iniziare’

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