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Racconti di Dominazione

Il collare

By 26 Settembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

 

So che leggi con avidità i racconti di questo sito. Tanti ne abbiamo letti insieme, tanti ne hai letti su mia segnalazione… su mio ordine. Perciò è così che ho deciso di dirtelo. Spesso abbiamo immaginato come sarebbe stato far sapere a tutti di noi così, scrivendone qui. Lo faccio a tua insaputa, parlando dell’ultima scintilla di noi. E lo faccio per te, non per loro e non per noi. Non più.

Me l’hai detto piangendo, implorandomi di punirti come non mai, perché non eri stata in grado di impedirlo. Io non ne sapevo niente perché già le prime volte che ci siamo parlati ti avevo ordinato di tenere l’altra metà della tua vita lontana da Noi.

Tuo marito, l’unico uomo dell’altra metà di te stessa, ha accettato una promozione che porta con se un trasferimento lontano da qui, lontano da me. Lontano da noi. Non riuscivi a trattenere le lacrime ed io provavo qualcosa di dannatamente simile mentre ti guardavo, per quella che sarebbe probabilmente stata l’ultima volta, iniziare la tua transizione. Davanti ai miei occhi la donna “normale”, madre, moglie, sorella, amica, conoscente, negoziante del tutto normale che tutto il resto del mondo conosce, si spoglia della sua natura superficiale assieme ai vestiti che la coprono, finché non rimane una stupenda bellezza nuda che, indossato il suo collare, si tramuta istantaneamente nella mia fiera e sottomessa serva.

I tuoi occhi abbandonavano immediatamente i miei, abbassandosi, remissivo atteggiamento che avevi così bene imparato a fare tuo… La benda, la tua amata benda, ti privava poi della luce, affidandoti come sempre alla mia guida. Ti ho condotta alla sedi, la gelida sedia di metallo compagna della tua crescita, della tua evoluzione. Le tue mani in automatico si sono portate dietro la schiena, offrendosi alle corde che così tante volte t’hanno stretta, costretta, abbracciata.

Legata e bendata, nuda, con le lacrime che non hanno smesso un istante di rigare le tue guance, ti ho guardata a lungo, aspettando e facendoti aspettare, privandoti della mia presenza, per accrescere il tuo bisogno di me. Per amplificare l’effetto de mio ritorno sul tuo corpo. Mi avevi sentito tornare poi, inconsapevole di quale fosse l’oggetto scelto, di quale fosse la parte del tuo corpo che sarebbe stata coinvolta. Le tue cosce spalancate, la pelle candida, liscia, priva dei segni che qualche volta ho voluto, ho dovuto, lasciare su di essa. Il seno pieno e rigoglioso, dagli scuri e grandi capezzoli che tradiscono sempre la tua eccitazione. Quel seno che a stento eri consapevole di possedere e di poter usare, quel seno che insieme abbiamo trasformato in uno strumento per dare e per ricevere sensazioni, emozioni, piacere. Quel seno, quei capezzoli, che ho scelto questa volta per cominciare.

Le due piccole mollettine metalliche le conoscevi bene, quante volte le avevi attese, le avevi ricevute, le avevi amate. Si erano chiuse sui tuoi capezzoli col consueto Clik, accompagnate dal tuo sussulto, dal tuo gemito, da una nuova ondata di lacrime.

Poi mi ero portato davanti a te, a pochi centimetri dal tuo viso, in modo che potessi sentire il mio odore, avvertire l’intollerabile urgenza della mia eccitazione. E le tue labbra, la tua lingua, che s’erano mosse in avanti alla ricerca di me, le corde che ad ogni millimetro in avanti si stringevano sulla tua pelle, stingendola, serrando la presa, trasmettendoti tutto il dolore che meritavi. E la tua determinazione nel proseguire in avanti alla ricerca del tuo premio. Il contatto di un attimo, il tuo sospiro di soddisfazione, per essere riuscita ad arrivarci guidata solo dall’animalesca guida del tuo olfatto. Il tuo bacio devoto, la tua venerazione e poi la spinta della mia mano a forzarti a proseguire, a guidare il la tua bocca giù lungo il mio cazzo ed il tuo corpo verso il basso a spingere le corde a tirare ancora e ancora. Avrei potuto tenerti lì a mio piacimento ma dopo pochi minuti, passato l’impulso animale, aveva perso significato, era da tanto che non giocavamo più solo per il gusto di giocare, ormai eravamo oltre, ormai una punizione arrivava solo se meritata e tu, questa volta non la meritavi. Avevo smesso di spingere ma tu imperterrita avevi proseguito, succhiandomi, giù a fondo almeno fin dove ti portavo io. Sono stato io a farti smettere, a togliere le mollette, a slegarti, nella tua più totale inquietudine, nella paura di aver sbagliato qualcosa e nell’impossibilità di chiedere.

Ti avevo presa per mano e portata dove non eri mai stata autorizzata ad entrare, nella mia camera da letto. Ti avevo tolto la benda e, mentre i tuoi occhi si abituavano alla seppur poca luce della stanza, ti avevo tolto anche il collare. I tuoi occhi castani a quel punto mi avevano guardato con aria smarrita. Ed io ti avevo baciato come non ti avevo mai baciata prima. Ti avevo spinta sul letto e le tue lunghe cosce s’erano strette attorno ai miei lombi mentre ti penetravo. Dentro di te come non ero mai stato, dentro un lago di eccitazione diverso da quello che mi offrivi di solito. Bocca su bocca, fiato su fiato. E le tue unghie conficcate nella mia schiena, i fremiti della tua figa, in attesa di un esplosione immane. “Godi piccola mia. Godi.” Il mio ultimo perentorio ordine. 

Ci saranno altre che giocheranno, che vorranno esplorare, esplorarsi. Ma ci sarà un’altra che meriterà di portare un mio collare? E tu, lontana come sei, giocherai con qualcun’altro? Accetterai un altro collare? So solo che, con questa striscia di cuoio nero in mano, in questo momento, sento il freddo intollerabile di un vuoto incolmabile.

Sono migliorato?

 

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