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Dopo un po’, i due uomini si staccarono da noi ed io, con la bocca impiastricciata degli umori della ragazza, venni fatta alzare.
François mi venne davanti, mi baciò ed abbracciò, mi sollevò come una bambola di pezza e poi mi fece calare sul suo membro teso, impalandomici.
Non capivo più nulla, ma gli cinsi d’istinto il collo con le braccia e i fianchi con le gambe, mentre lui mi sosteneva con le mani sotto le natiche e mi scopava così, d’impiedi.
Sentii il fiato caldo di Victor sulle spalle e il giovane allora si fermò; stavo chiedendomi per quale ragione, quando sentii la cappella del senegalese appoggiarsi al mio buchino e poi occupare anche quel mio anfratto. Uhhhmmm… sentivo un altro orgasmo montare prepotentemente dentro di me, presa ‘in doppia’ così, all’impiedi, e sostenuta da quei due meravigliosi perni di carne infissi profondamente dentro di me.
Venni ancora, così tanto che non mi accorsi del cicalino discreto della porta; il giovane marinaio, invece, lo sentì e si sfilò dal mio sesso, lasciandomi sostenuta da Victor, che mi aveva messo le mani sotto alle ginocchia e che spostandosi offrì il mio sesso aperto e dilatato alla bocca della giovane.
Non avevo mai provato delle sensazioni così piacevoli e forti, con un uomo che mi penetrava dietro e la lingua, la bocca e le dita di una donna che danzavano sulla mia natura, resa sensibilissima dal mio stato d’estasi! Non capivo più nulla: tutta la mia attenzione era concentrata in quell’angolino tra le mie cosce frementi! Venni e, per una sorta di reazione a catena, sentii subito irrigidirsi e pulsare il membro che mi occupava il retto, mentre il suo seme copioso sgorgava e mi allagava quell’anfratto.
«Ma bene!» La voce inaspettata mi gelò, facendomi tornare sulla superficie di questo pianeta: girai la testa e vidi la signora che contemplava la scena, con una luce –forse- divertita negli occhi, ma sicuramente smentita dalla piega sdegnata delle labbra e dall’espressione altera e severa. Capii che era davvero la Signora, con la maiuscola, e mi sentii avvampare dalla vergogna e dall’umiliazione di esser stata sorpresa da lei in quell’imbarazzante, per quanto piacevole, frangente.
«Allora: cosa succede, qui?»
François, che aveva infilato gli short per andarle ad aprire, le mormorò qualcosa.
«Ah, davvero?» il nordafricano annuì.
«Davvero lo ha fatto? Male!» il marinaio mormorò qualche precisazione e la Signora girò il suo sguardo sdegnato su di me: mi sentii colpevole ed umiliata: capivo che stavo per essere coinvolta in un qualcosa che forse non avrei trovato molto piacevole… forse!
«Allora, signora: vediamo prima di tutto il lavoro che le avevo dato da fare»
Annuii e le sorrisi, anche se il mio sorriso rimbalzò sulla sua espressione sdegnata e mi si gelò sulle labbra; feci per prendere un asciugatoio per coprire la mia nudità, ma… «No, signora -quanto sarcasmo, nei suo “signora”!- resti pure così: non mi sembra il caso che lei debba vergognarsi di essere vista nuda da un’altra donna… sbaglio?»
Concluse dicendo “Sbaglio?” con un tono così gelido che non potei altro che scuotere la testa, in silenzio.
«Appunto!»
Verificò l’accuratezza della depilazione e la correttezza delle forature per i piercing ed annuì, con una sorta di sorrisetto.
«Bene: sono molto contenta dei lavori che ha fatto per me; come da promessa, questo è per il disturbo che le ha dato il dovermi attendere» Mi porse un certo numero di banconote da venti euro che presi senza neanche guardarle: erano una notevole mancia. La ringraziai con un sorriso ed un cenno del capo e le posai su un ripiano, ma la sua voce richiamò la mia attenzione.
«Però… però sono state commesse alcune irregolarità…» Ero stupefatta: irregolarità? E quali? Aprii la bocca per protestare, ma il suo sguardo severo mi raggelò e tacqui.
«… Oltre ad aver sedotto i miei marinai…» Sedotto loro, io??? «… ha anche indotto la mia amica ad infrangere un patto che avevamo tra noi e, inoltre, l’ha spinta a prendere iniziative che non le competevano»
Ero restata a bocca aperta, non riuscivo a scegliere uno dei mille argomenti che mi mulinavano in testa per controbattere a quelle accuse.
Lei proseguì, imperterrita.«La mia amica, per queste due infrazioni, verrà punita… ma mi sembra giusto che anche lei l’accompagni in questa punizione… -la sua voce divenne fredda come il ghiaccio e dura come il diamante- … non trova??»
Nuda, davanti a quella signora elegantemente vestita, accusata, sorpresa durante un’orgia con la sua amica e coi suoi marinai, non riuscii assolutamente a controbattere: annuii automaticamente.
«Bene! Allora si rivesta: verrà con noi» Mi disse con un tono che non permetteva obiezioni di sorta.
Così, andai verso la toilette, ma… «No, non stia a perder tempo a pulirsi, signora Sabrina: venga pure così; potrà farlo più tardi…” Le parole erano quelle di una cortese sollecitazione, ma il tono era indubbiamente quello di un ordine insindacabile.
Annuii umiliata e indossai la canotta gialla e la minigonna di jeans che indossavo quella mattina, anche se con la fastidiosa sensazione di umido che mi davano le poche gocce di seme del giovane, che erano colate tra le mie natiche, mettendomi particolarmente a disagio.
Come fui pronta, anche i due marinai erano rivestiti e Marica –ne avevo sentito il nome dalla Signora- di nuovo fasciata il quel trench e pronti ad uscire.
Chiamammo due taxi, chiusi la porta del mio atelier ed attendemmo pochi minuti: il primo, caricò François che, presumibilmente, tornava a bordo con gli acquisti della Signora e noi quattro salimmo sul secondo.
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Oddio: una punizione! Cosa mai mi farà fare, Angela, per punirmi? François le aveva detto che avevo infranto il voto del silenzio con Sabrina –ma senza volere!!!- e che poi mi ero toccata.
Salendo sulla monovolume che faceva da taxi, sento addosso gli occhi dell’autista.
Mi siedo e accanto a me siede Angela. Rifletto: ormai sono stata risucchiata da questa situazione e mi trovo a non poter più esercitare una volontà mia: accetto tutto, subisco tutto, voglio solo esplorare fino in fondo l’abisso nel quale sono stata precipitata.
Anche lo sguardo severo e pieno di riprovazione di Sabrina, prima che anche lei si facesse risucchiare dal gorgo della sottomissione ad Angela, mi aveva umiliata, sì, ma anche dato una sorta di torbido piacere.
E adesso siamo qui, diretti non si sa dove: l’indirizzo detto da Victor all’autista non mi dice ovviamente nulla: aspetto gli eventi, con paura, ma anche una vaga eccitazione.
Sento l’autista, con i delicati lineamenti indocinesi, interrogare Victor.
«La Mademoiselle avec le impermèable est-elle rendue malade?»
«Non, elle est une chienne!»
«Vraiment? C’est le vrai?» «Regardez vous!» E dicendo così mi scioglie la cintura e mi apre il trench, mostrando la mia totale nudità, resa ancora più evidente dalla fresca depilazione; Victor per rendere meglio il concetto mi forza ad aprire le cosce e mostrare la mia topina.
L’autista sposta lo specchietto interno per osservare meglio il mio sesso esposto. Il suo sguardo indagatore sulla mia oscena esposizione mi fa sentire una vera puttana, mi umilia profondamente, ma sento la mia micetta fremere di un inaspettato piacere e le mie labbrine contrarsi, eccitate.
Lui probabilmente lo nota: «Mais elle est juste baisé comme une chienne!»
«Ahahahah : Il est vrai!»
Victor sfiora il mio sesso e lo scopre umido. “Sei davvero una puttana, tu!”
La corsa di una ventina di minuti ci porta al cancello di un cantiere edile; un’ampia zona, recintata da una rete metallica, che delimitava un’area dove sono in costruzione tre grossi edifici, quello più lontano quasi terminato, uno ancora con le pareti non intonacate ed il più vicino con lo scheletro di cemento armato ancora a vista nei piani più alti.
Angela ci fa scendere e Victor entra nel cantiere, incontra un uomo, che lo accoglie con un sorriso e grandi pacche sulle spalle, e poi ci fa segno di raggiungerlo.
Entriamo nel cantiere, cercando di schivare le pozze di fango nel terreno e seguiamo i due verso l’edificio più vicino.
Pur camminando con cautela, un tacco a spillo affonda nel terreno instabile e perdo l’equilibrio, proprio accanto in una pozza di fango, rimestata ed approfondita dal passaggio di numerosi pesanti camion, profonda una ventina di centimetri. Cadendo col tacco intrappolato dalla mota, non posso riequilibrarmi e quindi cado lunga nella pozza; poi provo a girarmi per trovare un punto solido per rialzarmi, ma devo fare diversi tentativi.
In un caso del genere, per liberarmi da quella trappola di fango, mi sarei liberata delle scarpe e dei suoi assurdi tacchi, ma avendole allacciate fino alla caviglia l’operazione è più complicata di quanto sia disposta ad affrontare.
Chiedo aiuto ai quattro, ma Angela mi guarda con irritato sdegno, i due uomini ridacchiano e parlottano tra di loro e Sabrina è l’unica che, in equilibrio sull’orlo della pozza, allunga una mano per aiutarmi.
Il trambusto attira altri muratori -una decina- che, appena terminata la giornata di lavoro, si stavano dando una sciacquata in una delle baracche prefabbricate del cantiere, a giudicare dai torsi nudi o dagli asciugamani attorno ai fianchi e dalla pelle bagnata.
Allungo la mano fino ad afferrarmi al polso di Sabrina, faccio forza sui piedi e sull’altra mano per divincolarmi da quella trappola vischiosa e spingo per rialzarmi, mentre Sabrina, che ha incrociato la presa afferrandomi il polso, tira.
Vedo, con la coda dell’occhio, Victor che parlotta brevemente con Angela, poi che si avvicina dietro a Sabrina, sbilanciata e tesa per aiutarmi, le appoggia il piede sul sedere e la fa cadere, anche lei, nella pozza, tra grandi risate dei muratori.
Ci ritroviamo fradice, infangate, tristemente sedute, una accanto all’altra, nella pozza; ci guardiamo con sguardi affranti.
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Ero sbilanciata per aiutare Marica a rialzarsi quando una spinta sul culetto mi fa volare della pozza: riesco ad evitare di caderle addosso di misura, ma mi trovo anch’io come lei, nel fango molle (non tanto freddo, per fortuna) e schizzata dalla testa ai piedi.
Capisco che è stato Victor a spingermi dal suo sguardo trionfante, come se avesse fatto chissà quale prodezza e gli dico di aiutarmi, di fare qualcosa.
Riesce a lasciarmi stupefatta: ridendo, si sbottona la patta, tira fuori il coso -mollo-, me lo punta addosso e… comincia a pisciare!
Gli altri uomini ridono a loro volta e, quasi tutti, lo imitano, bersagliandoci coi loro caldi getti, nonostante cercassimo di evitarli e li implorassi di smettere.
Il disgusto era fortissimo, avevo quasi voglia di vomitare, ma mi trattenni solo perché, se lo avessi fatto, avrei sicuramente peggiorato la nostra situazione.
Alla fine della minzione collettiva, Angela fa un cenno e Victor aiuta prima me e poi Marica ad uscire da quella lurida pozza.
La guardo: è coperta di fango dalla testa ai piedi, coi capelli in un’unica massa informe di mota e solo il viso è stato sommariamente pulito con la mano e coi disgustosi getti; so che la mia immagine è ingloriosamente speculare alla sua.
Angela dice a Victor di farci dare una pulita «…con la manichetta: sono troppo sporche, queste due scrofe!
E in un posto dove poi non si debba ripulire da tutta la lordura che hanno addosso… e magari dove non veda nessuno di passaggio»
Così, parlottando tra loro, ci condussero all’interno del primo edificio, quello più indietro nella costruzione, e ci portarono in un vano al pian terreno, ancora col pavimento grezzo di calcestruzzo e solo le pareti esterne; una doppia parete divisoria era in costruzione e due file di mattoni, larghe tutto l’ambiente, arrivavano fino a circa settanta centimetri da terra, staccate di una trentina di centimetri una dall’altra.
Ci fecero mettere contro una parete e ci fecero togliere le scarpe ed i nostri pochi capi di vestiario, infangatissimi!, mentre tutti gli operai assistevano divertiti; poi il capomastro che ci aveva accolti prese un tubo di gomma, arrotolato sotto un rubinetto collegato ad un tubo chiaramente provvisorio, lo collegò al rubinetto con la ghiera filettata, puntò verso di noi l’ugello all’altra estremità ed aprì di colpo il comando a leva.
Dopo il breve intervallo in cui l’acqua percorse la serpentina del tubo, fummo investite dal getto violento e subito gridammo proteste.
Lui allora chiuse il rubinetto e parlottò un paio di minuti in uno strano idioma che non conoscevo con gli altri muratori e con Victor che, presumibilmente, traduceva ad Angela e da lei riceveva istruzioni.
Alla fine, probabilmente, raggiunsero un accordo, perché si scambiarono grandi sorrisi e potenti pacche sulle spalle ed anche Angela sorrideva come un gatto che avesse ingoiato un canarino.
Cinque o sei vennero verso di noi e ci presero, anzi, ci afferrarono per le braccia, portandoci ai due bassi muretti.
Attendemmo un momento che uno dei muratori tornasse da dov’era andato, piegasse due coperte due volte per il lungo, le appoggiasse una in terra, accostata al muro e l’altra sul primo muretto; Poi chi ci teneva ci costrinse ad inginocchiarci sulla coperta, appoggiandoci con le pance sul muretto, le cui asperità erano mitigate dalla seconda coperta, e con i polsi appoggiati sull’altro muretto.
Non capivo cosa esattamente volessero da noi, in quella posizione, ma ogni ipotesi che riuscivo a formulare mi sembrava terribile; davanti a noi vedemmo arrivare un muratore con un secchio di cemento giallino, impastandolo con una cazzuola.
Mentre altri ci tenevano i polsi bloccati sul muretto, fasciati da strisce di tessuto, depose un po’ di cemento sul muretto, ai lati di ciascun nostro polso e poi ci murò dei mezzi mattoni e sopra altri pezzi di mattone tagliati con maestria a colpi di cazzuola.
Cercai di divincolarmi, ma per qualche minuto, le ferree strette mi tenevano bloccata; quando mi lasciarono, scoprii che avevo i polsi bloccati in quella sorta di manette di muratura. Provai a scalzare i mattoni superiori, ma evidentemente avevano usato cemento a presa rapida: come Marica ero immobilizzata, col culetto esposto e le mani bloccate!
Quasi subito, sentii lo schiaffo freddo del potente getto d’acqua percorrermi il corpo, spingendomi di qua e di là, mentre venivo lavata dal fango nello stesso modo che si usa per gli animali…
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Il violento getto d’acqua mi percorre la schiena, le gambe, le spalle, le braccia, mi frusta i seni pendenti, mi schiaffeggia il viso, mi aggroviglia i capelli, mi acceca e mi soffoca, mi fruga violentemente le intimità e me le viola brutalmente.
Quando l’acqua viene chiusa, sono inzuppata, intontita e, sopratutto, bloccata in quella posizione come l’offerta umana di un rito crudele.
Sento mani che mi percorrono la pelle delle cosce e del sedere, che palpano, stringono, pizzicano, divaricano; poi un dito comincia a sondare il mio sesso, che aspettava un simile ruvido contatto schiusa come un fiore al mattino, ed il buchetto posteriore.
Pochi istanti, poi sento un membro che forza la mia micetta ed in soli due colpi, me la sento colmata.
Il gemito di Sabrina, mi fa intuire che anche lei è sottoposta al mio identico trattamento, ma poi una mano afferra i miei capelli, mi alza la testa ed una cappella turgida mi viene premuta sulle labbra: faccio uscire la lingua e la esploro brevemente, ma mi viene forzata in bocca, perciò comincio a spompinarlo.
Con la coda dell’occhio, vedo che anche Sabrina è impegnata nelle mie stesse attività, mentre sento che l’uomo si sfila dalla mia topina e cambia… bersaglio, bruscamente, provocandomi una fitta di dolore.
Nel frattempo, il cazzo che stavo succhiando è stato sostituito da un altro e poi… e poi gli uomini si avvicendano in tutti i miei anfratti, spesso scambiandosi anche tra me e Sabrina e la violenza di gruppo si dilata nel tempo.
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Mi bruciava la fichina, il culetto, violati infinite volte: la gola la sentivo gonfia ed era irritata dai cazzi che mi avevano spinto fino in fondo e gli occhi mi bruciavano per lo sperma che, schizzatomi in faccia, li aveva raggiunti.
Mi sentivo a pezzi, esausta, dolorante, insudiciata, ma dovevo ammettere di aver provato piaceri inimmaginabili, almeno all’inizio; poi, quando i violentatori si succedevano ormai indistinti, il dolore ovunque e successivamente una sorta di intontimento, di anestesia, una nuvola di vaga sofferenza, con la voglia che la cosa finisse al più presto.
Stavamo tutti rifiatando ed io non vedevo l’ora di essere liberata da quella umiliante e scomoda posizione.
Sentivo lo sperma, che avevano depositato nei miei buchini, colare fuori dagli orifizi sforzati e doloranti e che mi colava lentamente lungo le cosce.
In un altro momento mi avrebbe disturbato moltissimo, una situazione del genere, ma l’intontimento seguito dal lungo stupro di gruppo, mi faceva registrare l’evento in modo solo marginale.
Attendevo con annoiata impazienza di essere liberata e guardavo fiduciosa lo stesso muratore di prima avvicinarsi con una piccozzetta in mano, quando Angela lo fermò usando il suo discreto francese: «Aspettate: le due cagne adesso sono tutte sporche di voi; direi che prima di farle alzare, sarebbe buona norma igienica dargli una pulita, non credete?»
I muratori ridacchiarono e si dichiararono d’accordo, predisponendosi ad assistere alla ennesima… diavoleria della Signora.
Lei andò al rubinetto, regolò il getto ad una moderata pressione e poi ci lavò i visi e poi le cosce ed i sessi, schiudendoceli col due dita ed introducendo sgradevolmente il getto all’interno.
Poi tornò al rubinetto e lo regolò ancora fino a far uscire un debole getto, che si incurvava quasi subito verso il suolo invece che cadere qualche metro più in là.
Poi, mentre si avvicinava, spiegò: «Siete ancora sporche, ma per pulirvi a fondo ho un’ottima soluzione: vi farò un bel clistere»
Mi sentii agghiacciare, ricordando quelli che avevo subito da bambina.
«…Ma per fare effetto, dovrete tenerlo almeno cinque minuti: per… incentivarvi a tenerlo – fece una risatina cattiva- diciamo che se lo lasciate andare prima di cinque minuti, riceverete dieci cinghiate…» fece dondolare una larga cintura di spesso cuoio, probabilmente imprestata da uno degli uomini «…trascorso questo tempo, la prima che si scaricherà, riceverà due cinghiate»
Detto ciò, introdusse l’estremità del tubo nell’ano di Marica; la Signora fece un cenno quasi casuale, annoiato ed il caposquadra aumentò di colpo la mandata: vidi la giovane, dopo pochi istanti, congestionarsi in volto e stravolgere la sua espressione.
Quando Angela reputò di aver finito con Marica, introdusse il tubo nel mio martoriato culetto e dopo un pochino, cominciai a sentire una tensione ed una fitta crescente all’addome; sentii la pancia che si gonfiava e mi sentii cambiare la pressione del muro sulle cosce ed i fianchi; mi stavo gonfiando come un pallone e cominciai a sentire davvero male; gemetti, chiesi di smettere, di lasciarmi, mi divincolai, inutilmente, finché la Signora non giudicò completata la prima parte del mio supplizio.
Ad un suo cenno, il muratore ci liberò, alla fine e noi due, congestionate in volto per lo sforzo di tenere l’atroce liquido, ci alzammo, facendo una grottesca danza nel tentativo di resistere, con grande sollazzo di tutti.
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Tuo lettore dai tempi del “Vecchio Milù” ho trovato
molte affinità nei tuoi racconti