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Racconti di Dominazione

Il Tempio di Paola Enrica Sala

By 2 Ottobre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Alla stazione di Santa Maria Novella non ho dovuto attendere molto; il tempo di raggiungere la piazza, di gettare uno sguardo verso la splendida facciata rinascimentale della chiesa, opera mirabile dell’Alberti, e subito due giovani donne, una bionda e una bruna, elegantissime, mi hanno avvicinato.
– Il Dottor Carlo D’Adua? –
– Sì, sono io. Buongiorno. –
– Bene. Vogliamo andare, Dottor D’Adua? –
– Potreste chiamarmi semplicemente Carlo? Mi sentirei più a mio agio… –
– Come vuole, Carlo. Ci segua. –

La banale strategia del mazzo di rose rosse, segno di riconoscimento, ha funzionato con troppo anticipo.
Avrei preferito un lieve ritardo, qualche minuto di tempo per riflettere e raccogliere le idee, per dare un ordine e un senso alle domande che avrei dovuto rivolgere alla Signora Di Saba, ma le mie belle accompagnatrici erano già lì, tempestive e poco disposte a perdere tempo.
Una lucidissima Range Rover color nocciola e dai vetri fumé ci attende poco distante.
L’autista, un uomo attraente, sui quarant’anni, apre le due portiere di destra; la donna bionda sale davanti mentre io vengo invitato ad accomodarmi dietro, in compagnia dell’affascinante donna bruna.
L’autista richiude le porte, gira intorno alla vettura, sale e mette in moto.
Ora il mio viaggio comincia davvero e non c’&egrave più modo di sottrarsi.
Perché mai dovrei farlo, dopotutto? Le interviste fanno parte del mestiere…
Silenziose, le due donne guardano oltre i finestrini con aria distratta e non sembrano desiderare colloqui, sicché m’adeguo anch’io, ma con poco entusiasmo perché qualche scambio di parole mi avrebbe aiutato a superare un certo imbarazzo e una strana sensazione di ansia che ora si va facendo più insistente.
Alla periferia di Firenze la mia compagna di sedile estrae da un cruscotto dell’elegantissima vettura una fascia nera.
– Si metta questa, per favore! –
– E’ proprio necessario? –
– Non glielo chiederei, altrimenti! –
– Capisco! Sono un giornalista, quindi non vi fidate di me, ma se non bastasse la mia parola, signora, per convincerla del contrario, mi permetta di ricordarle che esiste una severissima legge a tutela della Privacy… –
– La Privacy, Carlo, nasce come virtù ed &egrave ben più antica della legge. Si metta la fascia sugli occhi o sarò costretta a far fermare l’auto e a farla scendere! –
– D’accordo. Se non c’&egrave altro sistema… –
– I sistemi sono due: o si mette la fascia, o si stende sul fondo dell’automobile. Scelga lei! – Risponde la mia ospite in modo garbato ma perentorio.
Mi rassegno e metto la benda nera, poi sento la mano di lei accomodarmela sugli occhi; &egrave una fascia elastica, spessa ma non fastidiosa.
Tanto meglio per me. Non &egrave stato facile ottenere un appuntamento con Paola Di Saba e sarebbe da sciocchi giocarselo per un dettaglio così da poco, sebbene un po’ umiliante.
Ho impiegato tre mesi per riuscire ad avere un primo contatto e altri tre per l’appuntamento.
Tutto era cominciato a Roma, a casa di un amico mercante d’arte erotica.
Mi aveva fatto vedere, tra le altre cose, un disegno conservato dentro una cartella color tabacco: una donna nuda dal volto solare &egrave in piedi sopra la testa di un uomo riverso sul ventre e con i polsi incatenati.
La figura femminile &egrave perfettamente in equilibrio, eretta e fiera; il braccio sinistro &egrave alzato e nella mano sorregge una mela rossa e intatta, il frutto inesistente, il simbolo ormai iconografico della conoscenza del bene e del male.
Il braccio destro &egrave lungo il fianco; la mano stringe l’impugnatura di una frusta di cuoio intrecciato, una di quelle fruste da doma, da schiocco, lunghissime, da istruttori equestri, da “gauchi” o da domatori di circo e la sua coda si snoda come un serpente sopra la schiena dell’uomo, senza avvolgersi.
Era un disegno a pastello molto raffinato, semplice e chiaro, d’interpretazione tanto immediata quanto inequivocabile.
– L’hai pagato caro? – Chiesi per curiosità.
– Cinquecento, forse seicentomila lire, in teoria. –
– Non &egrave caro! – Risposi senza riflettere.
La mia curiosità in effetti riguardava altro: la firma leggibilissima dell’autrice, certa Paola Di Saba.
– Ma chi &egrave? –
– Se ti dico che ci ho provato in tutti i modi, Carlo, ma che non m’&egrave riuscito di saperlo, devi credermi. Sai bene quanto sono curioso e cocciuto, in certi casi. –
– Ti credo… dove l’hai preso? –
– L’ho scambiato con un collezionista; cinque fotografie degli anni Venti… –
– Però! –
Non mi ha saputo dire chi fosse l’uomo del baratto, ma scoprire piste e fonti d’informazione &egrave la parte più divertente ed eccitante della mia professione.
Così &egrave cominciata la vicenda che mi ha portato fin qui, con questa benda sugli occhi e un profumo di donne piuttosto inebriante che ha invaso l’abitacolo della Rover.
Il viaggio non promette di essere breve; non posso guardare l’orologio, ma ho la sensazione che sia già trascorsa un’ora e la fascia che mi costringe al buio, che non mi permette di seguire l’andamento dell’auto, di prevenire le curve o di guardare lontano comincia a causarmi un forte senso di nausea.
– Manca ancora molto? –
– Un buon paio d’ore, almeno… –
Azzardo una richiesta.
– Senta… non potremmo fermarci qualche minuto? Questa situazione mi sta creando un certo malessere. Non credo che resisterò un altro quarto d’ora… –
– Spiacente, Carlo, ma di fermarsi non se ne parla nemmeno. L’aiuto a sdraiarsi sul fondo e poi potrà togliersi la benda. –
– Sul fondo? –
La bellissima signora sembra spazientirsi.
– E’ un’automobile molto ampia, dottor D’Adua, e la moquette viene pulita ogni giorno. Non ci starà male. Si sbrighi, prima di essere lei a sporcarla! –
– Va bene. La prego… non ce la faccio più. –
Sento le sue mani prendermi le spalle e guidarmi verso il basso con molta delicatezza.

Mi sdraio sul fondo, effettivamente ampio e morbido e finalmente posso togliermi la fascia nera.
La luce, attenuata dai vetri fumé, &egrave di grande conforto.
– Va meglio? – Chiede lei con gentilezza.
– Molto meglio, grazie. –
Nel risponderle la guardo, o per meglio dire, guardo ciò che della mia compagna di viaggio &egrave visibile; ha due gambe bellissime e calze a velo, sottili, lievemente dorate, color “carne”.

Mi ha fatto scendere con la testa dal lato di lei, tra le sue scarpe.
Non posso negare a me stesso che questa posizione mi ecciti, anzi, comincio ad avvertire all’inguine un certo movimento, un principio d’erezione e la cosa m’imbarazza un po’; m’imbarazza, mi eccita e m’inquieta.
Finirà per accorgersene, penso, visto che non potrò muovermi da qui per altre due ore…
Sposto la testa verso il sedile anteriore nel tentativo di vedere in viso la donna ai cui piedi ora mi trovo; si &egrave accesa una sigaretta e guarda fuori dal finestrino, tranquillamente, come se per lei non esistessi.

Guarda il panorama d’una campagna toscana, almeno credo, che se poco prima mi mancava ora non desidererei più cambiare con la straordinaria e a dir poco eccezionale opportunità di contemplare, non visto, gambe tanto belle per due ore o forse più.
D’un tratto le accavalla, emettendo quel fruscio tipico di calze che a nessun uomo dispiace sentire, ma che da qui sotto si percepisce in modo particolarmente intenso. Non si può fare a meno di apprezzarlo ancora di più, perché accade come un fatto a sé, unico, isolato da ogni altro contesto, perciò non si confonde tra diversi fenomeni d’eccitazione, ma si manifesta, almeno per me, per la prima volta in tutta la sua potente capacità di stimolare i miei sensi.
Accade però che adesso il suo piede destro si trovi esattamente sopra la mia testa ad una distanza di pochi centimetri, centimetri che talvolta si riducono a millimetri, a seconda delle oscillazioni che il fondo stradale, le curve e le sospensioni dell’auto provocano alle sue gambe.
Il sottile tacco a spillo sembra gravitare sopra di me come una lama di stiletto che nessuno controlla, a volte si avvicina ai miei occhi, a volte si ferma sopra la bocca, sulla gola, altre volte mi sfiora il naso…
La ragione, se non la prudenza, suggerirebbe di sottrarsi, ma c’&egrave qualcosa che mi blocca e che mi spinge a rischiare, a rimanere dove sono e in un certo senso ad “ascoltare” attentamente le sensazioni che quella elegante, raffinatissima spada di Damocle, squisitamente femminile, detta alla mente e al corpo.
In un primo momento avrei voluto chiederle quanto meno di togliersi la scarpa, ma non ne ho avuto il coraggio.
Le difficoltà incontrate per giungere ad un appuntamento con la Signora di Saba mi fanno sentire tutt’oggi un ospite poco gradito e non certo nella posizione di sfidare la loro già troppa cortesia.
La caviglia della mia accompagnatrice &egrave davvero bella, sottile e la sua scarpa nera, lucida e scollata, mette in evidenza l’incavo del piede, la lieve curva della pianta, accentuata dalle leggerissime pieghe della calza.

Mi sorprendo a pensare che anche i suoi piedi devono essere molto belli. Le ho visto le mani, alla stazione: le dita lunghe, le unghie curatissime e smaltate di rosso vivo.
Quando sono belle le mani &egrave impossibile che non lo siano anche i piedi…
Mi sorprendo di me stesso, &egrave vero, ma la circostanza &egrave talmente singolare, talmente irripetibile che non voglio perdere nemmeno un istante di questo viaggio e ciò che mi conforta di più &egrave dato dal fatto che, qualunque cosa accada, comunque vada la mia intervista, il ritorno sarà uguale all’andata.
Ora la donna bruna cambia posizione, dà un’occhiata giù per evitare di urtarmi o di calpestarmi, appoggia il piede destro appena oltre il mio collo, tra spalla e mento, e accavalla la gamba sinistra.
La sua scarpa, al tallone, poggia contro la mia gola. Il tacco dev’essere più alto di quanto supponessi e piuttosto arcuato.
Mi basterebbe pochissimo per baciarle la caviglia, una lieve torsione della testa verso destra e…
Ancora, mi meraviglio di me stesso, ma dal suo piede emana un profumo intenso di Chanel, leggermente miscelato ad un buon odore di cuoio, di calzatura nuova.
Mi vergogno, ma non posso fare a meno di respirarne l’aroma, la delicatezza; &egrave da questi non trascurabili particolari che trae origine il feticismo di un uomo, il piacere nell’adorazione di oggetti senza dubbio estetici, enfatici della bellezza femminile, ma in genere ignorati, forse perché accessori d’uso quotidiano, coprenti e non rivelanti, spesso lontani o troppo frettolosamente allontanati? Oppure niente, d’una donna, &egrave scindibile dalla stessa, ma tutto concorre a creare un unico feticcio, totemico, un idolo fatto di bellezza, di dolcezza, di profumi, di forme, di cose…?
Non &egrave ancora il tempo delle risposte.
In fin dei conti sono qui per conoscere ed intervistare l’autrice sconosciuta di tavole erotiche particolari e belle, non per dare risposte mai abbastanza definitive ai misteri dell’Eros.
Ma una già comincio a darmela; sopra la mia testa, le cosce accavallate della bella ospite oscillano in continuazione e la loro bellezza &egrave ancor più evidente perché difesa dalla distanza, e non solo.
Alla distanza s’aggiunge la circostanza, quella che ha messo un uomo normale, dotato di educazione, di buona cultura e di un certo self-control, in uno stato di totale inferiorità, di dipendenza e di subordinazione.
Questo stato di cose provoca un piacere diverso, ma nel contempo d’uguale natura, capace, se lo si lascia agire, di produrre un’eiaculazione.
La parte sconosciuta, semmai, &egrave data da una sorta di orgasmo mentale che non si spegne, anzi, aumenta di continuo e ciò dev’essere dovuto ad almeno due condizioni: la prima credo che dipenda dal fatto di non poter raggiungere e toccare l’oggetto desiderato e questo porta il desiderio ad un livello altissimo, inarginabile, difficile da controllare, ma irrinunciabile. Ed &egrave quello che mi sta accadendo!
La seconda &egrave che lei, la donna, sembra ignorare del tutto il turbine di emozioni e desiderio che si sta creando nell’uomo ai suoi piedi: &egrave talmente indifferente e lontana da diventare, ogni momento di più, uguale per natura ad una divinità, ad un idolo di pietra preziosa, ad una grande statua alla base della quale si prostrano i fedeli, a Dio stesso, se invece dell’uomo fosse stata fatta la donna a Sua immagine e somiglianza.
La bella ospite ignora i miei pensieri; cambia ancora una volta posizione e il tacco della sua scarpa destra torna ad oscillare sopra i miei occhi.
L’auto sembrerebbe salire lungo un percorso collinare, le curve aumentano e il fondo stradale pare piuttosto dissestato.

Sia il tacco che la suola ogni poco mi toccano, ma non con violenza e ciò mi fa credere che più di tanto non possa accadere.
Invece accade; una buca più profonda delle altre, un’improvvisa scossa della vettura e il suo tacco giunge a segno colpendomi poco sotto l’occhio sinistro, sopra lo zigomo, striscia e inevitabilmente taglia.
Sento un bruciore forte, mi tocco e una traccia di sangue rimane sul dito.
La donna non si muove; sembra che non se ne sia nemmeno accorta.
Non se n’&egrave accorta oppure non ci fa proprio caso?
Per qualche oscura ragione non mi sposto. Il dolore improvviso si &egrave combinato con l’eccitazione, produce adrenalina e pensieri inquietanti.
Ma chi sono io, a questo punto? Dove potrei arrivare se anche un fatto accidentale che avrebbe potuto causarmi di peggio, invece di allarmarmi mi stimola? E quanto &egrave distante la consapevolezza, crescente, d’essere anch’io un feticista dalla probabilità di scoprirmi ben altro? Dov’&egrave, sempre che ci sia, il confine?
In compagnia di questi pensieri fisso la sua scarpa che si muove per inerzia sopra il mio volto, fisso la sua bella caviglia, l’incavo del suo piede, le sottili e delicate pieghe della calza e l’immobilità distante, per me non visibile, ma solo immaginata, dei suoi occhi che forse guardano ancora, oltre il finestrino, un paesaggio a lei famigliare.
Nel frattempo il mio pene ha prodotto qualcosa di umido e caldo.
La grossa auto &egrave talmente confortevole che rende difficile capire, al di là di certe scosse improvvise, che genere di percorso stia facendo, se stia andando veloce o lenta e l’incantevole profumo di Chanel m’impedisce di percepire odori esterni che potrebbero altrimenti indirizzare un discreto segugio come me sulla pista giusta.
Tre ore di viaggio da Firenze, ma in quale direzione? Siamo sempre in Toscana oppure siamo in Lazio, in Umbria, nelle Marche, in Liguria, in Emilia…?
Rinuncio, anzi, rimando; in questo momento la mente non mi appartiene più, ma &egrave del tutto rapita dalle virtù di una donna che contingenze straordinarie hanno posto in una posizione dominante.
Infine, vorrei dire purtroppo, l’auto si ferma, i cardini di un cancello stridono, la Range Rover riparte ancora, percorre un viale sterrato, quindi si blocca e si spegne definitivamente.
Faccio per sollevarmi, ma questa volta il piede della mia ospite non &egrave inerte, mi respinge giù con decisione e giù mi costringe a stare, conficcandomi il tacco tra la clavicola e la spalla.
– Si rimetta la fascia. Siamo arrivati. –

to be continued
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